6 L’Inquisizione romana e le Marche.
Con la consapevolezza dell’obiettivo centralizzatore della Congregazione del
Sant’Uffizio è stato particolarmente interessante valutare la dislocazione periferica dei
tribunali e la risposta delle istituzioni statali nei territori non sottoposti al dominio temporale
dei papi. Ad esempio Venezia, riluttante a concedere anche solo minimi spazi relativi ai
tribunali della fede nella Repubblica; Lucca sempre ostile all’istituzione stessa di un tribunale
direttamente controllato da Roma. Interessante è stato poi valutare come l’eresia in Italia
abbia avuto esiti lontani da quelli raggiunti negli stati d’Oltralpe, dove la Riforma protestante
è nata, si è sviluppata e ha consolidato in breve tempo la sua supremazia sulla Chiesa di
Roma.
Particolare attenzione ho poi dedicato alle vicende inquisitoriali nel territorio
marchigiano, prima nel Cinquecento e poi nel Seicento, analizzando pensieri e vicende
personali, nonché conventicole o vere e proprie comunità organizzate. Dal quadro generale ho
potuto desumere che, a differenza di altre regioni italiane per le quali esistono archivi ben
forniti, il reperimento di fonti e di una storiografia particolareggiata per l’azione
dell’Inquisizione romana nelle Marche è ancora molto difficile, così come sono lacunose le
informazioni sulle eresie diffuse in questa regione.
Per il Cinquecento, particolare interesse suscitano le vicende delle comunità ebraiche
molto presenti nella regione, soprattutto ad Ancona e a Pesaro, ma anche in questi casi i
documenti in nostro possesso non danno la possibilità di ricostruire in modo preciso e sicuro
gli avvenimenti e il contesto sociale in cui si sono sviluppate queste vicende. Per il resto, il
XVI secolo è ancora in gran parte da scoprire per quanto riguarda la storia delle eresie nelle
Marche.
Durante il Seicento, superato il timore del contagio protestante anche sul suolo italiano,
l’Inquisizione si è consolidata in modo efficiente nelle sue strutture periferiche e ha allentato i
morsi della lotta all’eresia, nemica che non faceva ormai più paura, per iniziare ad intervenire
in modo uniforme in tutte le questioni inerenti la fede. Vi è stato quindi un allargamento delle
sue competenze, ma anche una lieve diminuzione della crudeltà e dell’intransigenza che
l’Inquisizione aveva mostrato nel secolo precedente, soprattutto durante i pontificati di Paolo
IV e Pio V.
Il XVII secolo, nelle Marche, vede la comparsa e il fiorire di sette quietiste distribuite in
piccole conventicole, soprattutto nell’entroterra della regione; spiccano in tal senso le figure
del cardinale Pier Matteo Petrucci di Jesi, vescovo della sua città natale, e di Giacomo
Lambardi da Trevi, che non era un marchigiano ma che nelle Marche, e in particolare a
L’Inquisizione romana e le Marche. 7
Osimo, ha trascorso alcuni anni, fatto numerosi proseliti e lasciato ai suoi adepti la gestione di
una vera e propria comunità quietista.
L’Inquisizione romana e le Marche. 9
Capitolo I
Visione sommaria della Riforma e della
Controriforma sul territorio italiano
1. La Riforma protestante nel contesto europeo
La Riforma protestante fu un movimento socio-religioso sbocciato nei primi decenni del
XVI secolo che ebbe ripercussioni senza precedenti nel mondo della cristianità occidentale; fu
un fenomeno prettamente europeo, che ebbe la forza di imporsi soprattutto nelle regioni
germaniche. La presa da parte delle idee eterodosse nei popoli centro-settentrionali del
“Vecchio Continente” è da ricercarsi soprattutto nell’appoggio politico che spesso
incontrarono gli aderenti al mondo riformato, e forse in parte anche nell’assenza di un
apparato giudiziario e repressivo centrale in grado di controllare e tutelare l’ortodossia della
Chiesa di Roma. La Riforma, quindi, ha rappresentato una frattura tra l’Europa mediterranea e
quella continentale non solo sul piano religioso, ma anche e soprattutto su quello sociale.
Nella Penisola Iberica le idee eterodosse trovarono da subito la ferma opposizione
dell’Inquisizione già da tempo istituita dai “Re Cattolici”, mentre ebbero sbocchi e risvolti
particolari nella nostra penisola
1
; per quanto nata da un generale ed omogeneo dissenso nei
confronti della Chiesa dei papi, la Riforma italiana fu sostanzialmente slegata dai fatti
d’Oltralpe e fu quasi una rivisitazione degli echi portati dal mondo germanico: per riuscire a
comprendere appieno la Controriforma cattolica è essenziale, quindi, conoscere le cause
scatenanti ed il contesto storico-sociale in cui ebbe inizio la Riforma protestante.
Sicuramente è da ricercare nel monaco sassone agostiniano, Martin Lutero
2
, l’origine
del dissenso religioso che sfociò nel corso del XVI secolo in uno scontro teologico violento
1
A. Del Col, L’inquisizione in Italia dal XII al XXI secolo, Mondadori, Milano 2006, pp. 263-264.
2
Monaco agostiniano docente dell’università di Wittemberg, considerato il padre della Riforma protestante; le
sue riflessioni partono tra il 1513 e il 1514 dalla lettura di un passo della Lettera ai Romani (1, 17) di san Paolo:
«Finalmente, per misericordia di Dio, a furia di riflettere giorno e notte sulla connessione e il significato di
quelle parole: “La giustizia di Dio è rivelata nel Vangelo, come scritto: Il giusto viva per fede”, cominciai a
10 L’Inquisizione romana e le Marche.
da cui la cristianità d’occidente uscì rinnovata seppur segmentata. Nell’affiggere a
Wittemberg le sue 95 tesi Lutero aveva aperto a sua insaputa quello che sarebbe divenuto di lì
a poco un solco incolmabile fra due diverse concezioni di Cristianesimo, anche se il suo
obiettivo era quello di riformare dall’interno la Chiesa di Roma e non di crearne una parallela
scissa da quella tradizionale. Ma la scomunica inflittagli da Leone X, la straordinaria
attrazione suscitata dai suoi scritti rivoluzionari e la particolare situazione politica portarono
gli eventi a sfociare in quel periodo storico che siamo soliti racchiudere nell’opposizione fra
mondo della Riforma e della Controriforma.
La definitiva rottura con Roma delle idee eterodosse provenienti dalla Germania
imperiale avvenne per strappi successivi e fu certamente agevolata dal clima di instabilità
politico-sociale presente nei territori d’Oltralpe di Carlo. La giustizia divina, secondo Lutero,
doveva essere intesa non come giudizio ma come giustificazione, come il dono della grazia
offerto. Anche secondo la Chiesa la grazia era indispensabile, ma l’uomo poteva meritarsela
con le opere buone, con la Caritas, e così contribuire alla propria salvezza. Invece per Lutero
l’uomo giusto avrebbe fatto naturalmente il bene, ma ciò sarebbe stata una semplice
conseguenza e non una causa del suo stato di grazia. Ribadì con forza questo suo assunto nella
polemica epistolare che ebbe con Erasmo, il quale opponeva il suo De libero arbitrio al De
servo arbitrio scritto dal monaco tedesco. In quest’ottica anche la Sacra Scrittura acquisiva un
nuovo significato: doveva essere letta e spiegata senza tenere alcun conto delle interpretazioni
ufficiali. Sola scriptura era l’altro grande principio che nella teologia luterana si aggiungeva a
sola fide. L’autorità esclusiva attribuita alla Rivelazione contenuta nei testi sacri cancellava il
magistero della Chiesa in materia teologica, così come la dottrina della giustificazione per
sola fede ne annullava la funzione di intermediario tra l’uomo e Dio. D’altro canto erano
negate le possibilità di illuminazioni mistiche dei credenti da parte dello Spirito Santo: questo
portò presto Lutero in contrasto con le correnti più radicali della Riforma. Dei sette
sacramenti se ne salvavano soltanto due: il battesimo, visto come l’iniziazione alla vita
cristiana, e l’eucarestia, la presenza reale del Cristo nel pane e nel vino. Particolarmente
importante fu la soppressione del sacramento dell’ordine a vantaggio di un sacerdozio
universale dei laici, che fu un’ulteriore negazione del ruolo della Chiesa come istituzione
divina.
comprendere che la giustizia di Dio è quella per cui il giusto vive per la grazia di Dio, cioè della fede che egli ci
dona, e capii che la giustizia di Dio rivelataci attraverso il Vangelo è quella passiva, per cui Dio misericordioso
ci giustifica attraverso la Fede […] ».
L’Inquisizione romana e le Marche. 11
Soprattutto sotto l’auspicio e la spinta dell’imperatore Carlo V, non erano mancate
possibilità di confronto e dialogo, dove forse la frattura avrebbe anche potuto essere sanata;
ma fu lo stesso imperatore che, falliti i tentativi di riconciliazione alla dieta di Augusta nel
1530 e l’ultimo colloquio di Ratisbona
3
nel 1541, decise di imporre con la forza la sua idea di
“omogeneità” all’interno dell’Impero dal quale voleva eliminare ogni tipo di dissenso, che nel
frattempo si era spostato dalla semplice disputa teologica ad uno scontro politico-sociale.
Infatti, il luteranesimo era stato preso quasi a pretesto da molti principi tedeschi desiderosi di
svincolarsi dal potere imperiale e la conseguenza fu una lunga guerra che vide contrapposte
da una parte le truppe di Carlo V e dall’altra quelle della cosiddetta Lega di Smalcalda: dopo i
primi successi imperiali le cose si stabilizzarono e frattanto si congelarono definitivamente i
rapporti tra protestanti e cattolici. I primi ormai consideravano il papa l’Anticristo
preannunciato dall’Apocalisse, mentre la Chiesa di Roma rispondeva istituzionalizzando la
Congregazione del Sant’Uffizio. Carlo V, con la pace di Augusta del 1555, decise di accettare
l’esistenza dei due credi distinti nei suoi possedimenti imperiali; ai principi era lasciata la
scelta di aderire al cattolicesimo o al protestantesimo, scelta che inevitabilmente si rifletteva
sulla popolazione costretta a professare la stessa fede del suo signore (cuius regio eius
religio).
Ma sarebbe sbagliato e limitativo porgere il nostro sguardo solamente a Lutero,
tralasciando molti altri importanti teologi protestanti: non possono non essere citati
Melantone, che diede natura organica al luteranesimo, Zwingli e Calvino che, rispettivamente
a Zurigo e Ginevra, avevano dato vita a delle vere e proprie comunità riformate. Non è
possibile tralasciare la parte radicale della Riforma, quella degli anabattisti
4
e degli
3
Città tedesca sede di un famoso colloquio fra protestanti e cattolici nel 1541; esso fu affidato al legato papale
Gasparo Contarini, il quale cercò di evitare la definitiva frattura tra il mondo cattolico e quello protestante.
Inizialmente, in materia di giustificazione si poté pervenire ad un importante compromesso dottrinale
soddisfacente per i teologi protestanti e per il legato papale, mentre di diversa natura fu la discussione sui
sacramenti, in particolare su quello della Cena, nonché sul carattere apostolico della Chiesa di Roma e del suo
ordine gerarchico. Il tentativo di mediazione fallì proprio sopra l'argomento della transustanziazione (la
“trasformazione” del pane e del vino nel corpo e nel sangue di Cristo) dell'eucaristia, definito dogma dal IV
concilio lateranense del 1215 e sul quale il cardinal Contarini decise di non transigere.
4
L’anabattismo nacque come reazione all’acquiescenza con cui Zwingli aveva accolto gli iniziali tentennamenti
del consiglio cittadino zurighese. Alla sua moderazione, Grebel e Manz, futuri capi e martiri del movimento,
opposero l’idea di dar vita a comunità di autentici cristiani indipendentemente dall’approvazione dell’autorità
civile. Richiamandosi all’esperienza della Chiesa primitiva, gli anabattisti ritenevano che la Chiesa dovesse
essere ristretta alla limitata cerchia dei veri credenti e «con ciò è escluso ogni battesimo dei fanciulli, il primo e
più grande abominio del Papa». Nonostante si distinguessero per il loro assoluto rifiuto della violenza, la loro
persecuzione fu uno dei pochi punti in comune tra cattolici e protestanti alle diete di Spira (1529) ed Augusta
(1530). Da ricordare è poi la drammatica esperienza del regno di Münster in Westfalia (1534-1535). (G. Gentile-
L. Ronga-A. Salassa, Nuove prospettive storiche, Vol. I, La Scuola, Brescia 1997, pp. 279-280)
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antitrinitari
5
. Queste idee eterodosse furono viste come pericolose da Roma, proprio per la
loro natura organizzata e spesso affiancata da un appoggio politico-istituzionale: la mancanza
di un coordinamento di base fu proprio la principale debolezza che colpì alla nascita il
movimento riformato italiano.
2. L’eresia in Italia
È indispensabile ricollegare il 1542 (anno della bolla Licet ab initio di Paolo III Farnese
con la quale si istituì giuridicamente il Sant’Uffizio) almeno al 1517 e ai sentimenti
contrastanti degli italiani nei confronti del clero. Infatti, fu già all’indomani dell’affissione
delle tesi di Wittemberg da parte di Lutero che l’eresia dilagò nel nord della penisola,
soprattutto nel tessuto urbano: le rivoluzionarie parole del monaco tedesco si allacciavano
facilmente alla tradizione anticlericale dell’Italia settentrionale e non solo. A facilitare il
confronto e il divampare di pensieri eterodossi contriburono anche il pensiero umanistico e il
platonismo rinascimentale, ma la vera origine di questa rottura dell’Italia nei confronti del
papa va cercata in quello che il papa stesso rappresentava: l’istituzione ecclesiastica era da
tempo precipitata in una crisi profonda, e vi regnavano ignoranza e corruzione, abbandono di
ogni regola e disciplina religiosa, abusi nel sistema beneficiario che portava a scandalosi
cumuli di prebende e pensioni, tali da attirare la condanna di alti prelati come Ercole Gonzaga
o Gian Pietro Carafa, nonché di laici del calibro di Francesco Guicciardini
6
.
Da ciò, soprattutto nelle classi più abbienti sia laiche sia ecclesiastiche, nasceva un forte
interessamento verso le nuove tesi portate dalla Riforma, a cui molti si avvicinarono anche
solo per curiosità. Non è poi possibile scindere la crisi spirituale della Chiesa dalla crisi
istituzionale degli Stati, molti ritrovavano nelle tesi dei vari Lutero, Erasmo, Melantone,
Zwingli, Calvino quell’idea di renovatio invocata dagli umanisti ed annunciata sulle piazze da
profetici predicatori, primo fra tutti Girolamo Savonarola
7
.
5
L'antitrinitarismo è la negazione della dottrina della trinità di Dio. Tra i più importanti personaggi che misero in
discussione la formulazione trinitaria è da ricordare il medico spagnolo Michele Serveto, che contestò la dottrina
trinitaria nel De Trinitatis erroribus; rifiutò il battesimo dei bambini e considerò la Cena del Signore un
nutrimento puramente spirituale. Venne condannato al rogo dai calvinisti di Ginevra. Sorte analoga toccò
all'italiano Giovanni Valentino Gentile, condannato alla decapitazione dai calvinisti per eresia nel 1566.
6
M. Firpo, Riforma protestante ed eresie nell’Italia del Cinquecento, Laterza, Roma-Bari 1993, pp 3-4.
7
Ivi, p. 5.