INTRODUZIONE
Il monitoraggio ambientale: un efficace strumento di controllo
Da quando l‟uomo ha fatto la sua comparsa sulla Terra ha profondamente modificato
l‟ambiente. Il cambiamento apportato alla natura è stato purtroppo nella maggior parte dei casi a
svantaggio di quest‟ultima, con uno sfruttamento forsennato delle risorse disponibili, con la
distruzione ed il danneggiamento degli ecosistemi, uniti alla minaccia di stravolgere i delicati e
complessi equilibri che governano il nostro pianeta. Alla base di questo comportamento vi è una
visione esclusivamente antropocentrica, caratterizzata da un forte egocentrismo che vede l‟uomo
orientato al proprio esclusivo beneficio, senza considerazione alcuna e rispetto per gli altri esseri
viventi che popolano la Terra e nemmeno per le generazioni future. Prima che l‟irrazionale
progresso riduca questo mondo in “polvere di Cantor”, qualche segnale fa sperare che questa
tendenza negativa possa un giorno essere invertita. Il monitoraggio ambientale si inserisce nel
panorama delle iniziative di salvaguardia dell‟ambiente, con la misura dei parametri inquinanti ed il
loro controllo costante. Infatti il monitoraggio prevede la sistematica raccolta di dati qualitativi e
quantitativi, usando una procedura standardizzata per il periodo temporale di studio. La tecnica del
monitoraggio è costituita da varie fasi:
definizione dell‟obiettivo
selezione degli indicatori e del segnale da misurare
piano esecutivo per definire i punti di monitoraggio, i tempi di raccolta dei dati e la durata
dell‟azione
raccolta ed interpretazione dei dati
valutazione finale
Quindi il monitoraggio ambientale è costituito dall‟insieme delle operazioni che permettono, con la
rilevazione di una serie opportuna di indicatori, di valutare lo stato di qualità dell‟ambiente. Per
quanto riguarda, l‟inquinamento atmosferico le tecniche previste si possono avvalere di strumenti
automatici o semiautomatici per l‟individuazione diretta degli inquinanti e di organismi viventi che
interagendo con l‟atmosfera a più livelli, possono servire da bioindicatori. Di pari passo, con il
miglioramento delle tecniche di monitoraggio, bisognerebbe cercare di aumentare le conoscenze
dell‟ambiente e delle dinamiche degli ecosistemi. Solo così si potrebbe effettuare un‟analisi più
realistica dei problemi ambientali, essenziale per una più efficace strategia di salvaguardia e
risanamento del meraviglioso mondo che ci circonda.
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CAPITOLO 1
1.1 Il biomonitoraggio
Il termine biomonitoraggio indica una tecnica di analisi che fa uso di organismi viventi per la
valutazione dello stato dell‟ambiente. In particolare, con tale metodo di indagine si monitora
l‟inquinamento attraverso la componente biotica dell‟ecosistema. Alla base del biomonitoraggio vi
è il concetto secondo cui fra l‟organismo vivente e l‟ambiente circostante si realizza un continuo
scambio di materia ed energia che porta ad un equilibrio dinamico. Questo equilibrio viene però ad
essere interrotto, se il rapporto fra organismi ed ambiente viene alterato oltre determinati limiti. In
realtà il biomonitoraggio nasce anche come esigenza per compensare i limiti del monitoraggio di
natura puramente fisica e chimica. Esempi, relativi al tipo di organismi usati, fanno parte di una
vasta gamma di esperimenti. Per citarne solo alcuni abbiamo: anellidi, chiromidi, aracnidi,
lamellibranchi, pesci, anfibi, rettili, uccelli, mammiferi, piante, muschi, licheni… Gli organismi
possono essere utilizzati come:
indicatori
accumulatori
I primi presentano variazioni morfologiche e funzionali della struttura, in presenza di determinate
concentrazioni di contaminanti (risposta qualitativa). Nel secondo caso i bioaccumulatori
sopravvivono all‟esposizione di specifici contaminanti e li accumulano (risposta quantitativa).
Quindi, il biomonitoraggio ha il grande merito di permettere la valutazione della tossicità
dell‟inquinante a livello di sistemi viventi. Il tipo di risposta del bioindicatore varia a seconda del
livello di organizzazione biologica del sistema assunto come indicatore ed al tempo di esposizione
alla causa scatenante lo stress e la conseguente reazione. Infatti i bioindicatori con un basso livello
di organizzazione biologica vengono utilizzati in particolare come sensori; quelli che sono
prevalentemente fissi, selezionati con un patrimonio genetico il più possibile uniforme, sono ottimi
come test di verifica. Informazioni di massima le forniscono invece bioindicatori nati in natura.
Infine organismi capaci di bioaccumulare sostanze inquinanti possono dare utili notizie di carattere
storico.
I vari livelli a cui i bioindicatori ambientali possono esplicare la loro azione sono:
subcellulare (risposta di tipo genetico, biochimico e fisiologico)
cellulare (microrganismi che rivelano i contaminanti del suolo)
a livello di organismo
a livello di specie
a livello di comunità
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I primi studi sul biomonitoraggio risalgono alla metà del XIX secolo e riguardano i licheni,
associazioni simbiontiche fra funghi ed alghe, che sono considerati dei buoni indicatori
dell‟inquinamento atmosferico a bassa concentrazione. Inoltre risale al lontano 1935 l‟uso delle api
nel monitoraggio, ad opera di Jaroslav Svaboda, dell‟Istituto di ricerche in Agricoltura di Praga; egli
verificò le ripercussioni negative degli inquinanti industriali, sulle api che bottinavano nelle zone
densamente antropizzate ed industrializzate della Cecoslovacchia. Il biomonitoraggio dei metalli
pesanti è stato effettuato, di recente, utilizzando api morte, miele, polline e propoli (Cavalchi,
Fornaciari 1983).
Figura 1.1 Utilizzo delle api nel biomonitoraggio
Focalizzando l‟attenzione sul biomonitoraggio per lo studio dell‟inquinamento atmosferico,
possiamo individuare indicatori biologici appartenenti al regno vegetale, fra cui:
piante
muschi
licheni
Figura 1.2 Esempi di vegetali usati in biomonitoraggio (muschi, piante, licheni)
La vasta gamma di interazioni possibili fra gli inquinanti e le specie vegetali, a causa della netta
differenza nella risposta che organismi diversi presentano per uno stesso agente chimico, consente
lo sviluppo di varie metodologie. In particolare abbiamo:
indicatori di reazione (individui molto sensibili ad una precisa sostanza fitotossica che
manifestano sintomi caratteristici quando esposti a bassi livelli di contaminante. La risposta deve
essere rapida, riproducibile e ripetibile, univoca, facilmente quantificabile e correlabile in funzione
della quantità, con il composto nocivo).
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bioaccumulatori (organismi particolarmente resistenti all‟inquinante considerato, ne
sopportano senza conseguenze l‟esposizione prolungata. In caso di persistenza lo accumulano in
funzione della sua concentrazione nell‟ambiente; l‟analisi del contenuto elementare dei tessuti
permette di determinare la presenza dello stesso inquinante).
indicatori di presenza (essi si basano sul differente grado di resistenza e sensibilità di diverse
specie nei riguardi di un contaminante. Viene studiata la distribuzione geografica comparata di
determinate unità tassonomiche, valutando i livelli di biodiversità e considerando che le specie
sensibili si rarefanno e quelle resistenti aumentano in funzione del carico inquinante).
Esistono due tipi di approccio nell‟uso del biomonitoraggio:
passivo
attivo
Con il primo per esempio si impiegano i vegetali naturalmente presenti nell‟ambiente, con
l‟osservazione diretta e l‟analisi chimica dei tessuti. Invece nella forma di tipo attivo, si introducono
nell‟area di studio individui selezionati e standardizzati. Concludiamo mettendo in evidenza
l‟importanza del biomonitoraggio: quando nel 1995 un attacco chimico paralizzò la metropolitana
di Tokio, per verificare la scomparsa del contaminante furono usati test biologici con organismi
appartenenti all‟avifauna.
1.2 Le briofite ed il biomonitoraggio
Le briofite sono organismi vegetali ampiamente utilizzati per gli studi sul biomonitoraggio, sin
dagli anni sessanta del secolo scorso ed in modo più esteso negli anni 70. Il loro ruolo è duplice,
essendo utili sia come bioindicatori della qualità dell‟aria, sia come accumulatori di inquinanti, in
particolare di metalli pesanti. Una specie di muschio molto diffusa nelle zone boreali, Hylocomium
splendens, riceve quasi totalmente gli elementi nutritivi minerali dalle precipitazioni atmosferiche
dirette e dal percolato delle chiome degli alberi (Tamm 1950). Le briofite inoltre hanno una
notevole capacità di scambio ionico, grazie all‟assenza di cuticola nei tessuti ed alla grande
concentrazione di acidi poliuronici nella parete cellulare (Knight et al. 1961, Brown 1984). Infatti
questi acidi possiedono siti carbossilici a carica negativa, capaci di legare attraverso forze di tipo
elettrostatico, i cationi.
Alla fine degli anni ottanta, da ricerche eseguite da Rolling et al. si è determinata una relazione,
valida per i paesi del nord Europa, che mette in rapporto quantitativo la concentrazione di ogni
metallo pesante nei tessuti muscinali e la quantità depositata dalla precipitazione atmosferica umida
e secca:
Log
10
[concentrazione muschio]= 0.59+ 1.0 log
10
[dep.atm.]
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Nella precedente equazione la concentrazione del muschio è espressa in mg kg
-1
e la deposizione
atmosferica in mg m
-2
a
-1
.
Emerge dunque che le briofite sono degli ottimi indicatori biologici; le modificazioni
morfostrutturali, l‟accumulo di sostanze inquinanti e le variazioni della composizione floristica
della comunità vegetale, rappresentano le modificazioni ecologiche dell‟ambiente su questo tipo di
organismi. Certamente sono le caratteristiche biologiche a rendere i muschi adatti per ricerche nel
campo del biomonitoraggio; abbiamo già citato l‟assenza di cuticola, a cui aggiungiamo la
mancanza di tessuto epidermico e di vere e proprie radici con sistemi di conduzione. Quindi gli
scambi gassosi avvengono tramite l‟intera area superficiale delle foglioline e del gametofito; ciò
permette un assorbimento diretto di acqua, elementi nutritivi e contaminanti che si protrae nel
tempo. La capacità di accumulo di metalli pesanti da parte dei muschi in concentrazioni notevoli,
risulta essere superiore alle normali capacità di assorbimento delle piante vascolari. Si tratta di un
fenomeno di tipo passivo che avviene nella parete cellulare, come già detto, ad opera di numerosi
siti carichi negativamente che agiscono come efficienti scambiatori cationici (Tyler 1990). In alcuni
casi si è notato che la ritenzione dei metalli era dovuta a fenomeni di chelazione. Per il piombo ed il
rame, ciò è realizzato grazie all‟esistenza di gruppi con speciali affinità per questi metalli, mentre
per lo zinco sono coinvolti meccanismi di assorbimento attivo. Particolari peptidi, le fitochelatine,
complessano i metalli pesanti e la loro sintesi è indotta dalla presenza di questo tipo di inquinanti.
Bisogna considerare che l‟elevato rapporto superficie/volume e la microscopica scabrezza della
stessa superficie, permettono ai muschi di intrappolare minuscole particelle (Richardson 1981).
L‟assorbimento nelle briofite riguarda anche sostanze radioattive, con una capacità che è doppia,
rispetto a quella delle piante superiori. Questa loro proprietà è data dall‟elevato grado di ritenzione
di acque meteoriche, che rende i muschi un perfetto ricettacolo di radionuclidi. E‟ stato osservato
che in condizioni di stress ambientali le briofite rallentano il proprio metabolismo, aumentando la
resistenza agli inquinanti. Inoltre il lento accrescimento e la grande longevità, permettono di stimare
l‟inquinamento per tempi lunghi nei centri abitati. I muschi manifestano anche una spiccata
sensibilità nei confronti di contaminanti quali anidride solforosa, idrocarburi, ozono, Pb, Zn, Cd, i
cui effetti si esplicano con alterazione delle attività di fotosintesi e nella riproduzione di tipo
sessuale. Da quanto illustrato appare evidente la rilevante plasticità applicativa delle briofite in studi
sul biomonitoraggio della qualità dell‟acqua e soprattutto dell‟aria.
1.3 Iniziative di biomonitoraggio all’estero ed in Italia
Nel 1980 è stato dato il via al primo progetto sovranazionale di monitoraggio e mappatura della
deposizione di metalli pesanti, riguardante le zone della Groenlandia, della Svezia e della
Danimarca (Gydesen et al. 1983). Questo progetto di monitoraggio è stato poi potenziato
successivamente, con il patrocinio e contributo finanziario del Nordic Council of Ministers. Negli
anni seguenti il biomonitoraggio si è esteso ad altri paesi europei; il progetto di monitoraggio della
deposizione atmosferica dei metalli in Europa, EHMS European Heavy Metals Survey, è il più
importante piano internazionale.
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Nell‟ambito dell‟EHMS è stato definito un protocollo per le procedure da applicare. Diffusi sono gli
esperimenti di biomonitoraggio a livello europeo ed internazionale: ad esempio in Baviera, il
Bavarian State office for Environmental protection (LIU), opera dal 1981 usando una rete di
bioindicatori con la specie di muschio epifitica, Hypnum cupressiforme. Questa rete di
monitoraggio serve per lo studio dell‟accumulo di metalli fra cui: Al, Mn, Fe, Cd, Zn, As, Hg, Pb.
Nella Boemia centrale (Repubblica Cecoslovacca) sono state determinate le concentrazioni di
mercurio presenti in Hypnum cupressiforme nel suo ambiente naturale; gli studi risalgono al 2002.
In Austria tramite l‟uso di briofite come indicatori di reazione, si sono misurate le
concentrazioni di contaminanti atmosferici quali azoto e zolfo. In nord America, già dagli anni 70‟,
i muschi sono stati utilizzati come bioindicatori della qualità dell‟aria; in particolare sono stati
stimati i pattern di distribuzione di SO
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ed HF in diverse zone nord americane. Attraverso questo
tipo di ricerche si è potuto determinare l‟indice di purezza atmosferica (IAP), considerando la
frequenza delle specie trovate in ognuno dei siti contaminati. Precisamente l‟indice di purezza
atmosferica è un parametro proposto da De Gloover e Le Blanc (1964), che può essere applicato sia
con i muschi che con i licheni, considerati come bioindicatori.
La formula originale è:
IAP= Q f n /10
dove n rappresenta il numero di specie epifite presenti in una stazione; Q è il fattore di resistenza
di ogni specie all‟inquinamento ed è dato dal numero medio di epifite che accompagnano le specie
in esame, f è il valore combinato di frequenza, ricoprimento ed abbondanza. La somma dei prodotti
viene divisa per dieci, per avere valori più facilmente comparabili.
Figura 1.3 Licheni per il calcolo dell’IAP
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Goodman e Roberts, precursori della tecnica delle moss-bags, introdussero tappetini di muschio
trapiantati dalle zone naturali nell‟area industriale del Galles. La specie in questione era Hypnum
cupressiforme che risultò accumulare metalli pesanti anche dopo la sua morte (1971). La
correlazione lineare fra l‟accumulo dei metalli come inquinanti e la deposizione atmosferica è stata
dimostrata nell‟esperimento di Pillegard (1979), che immise Dicranoweisia cirrata, con il suo
substrato, vicino ad un‟acciaieria in Danimarca. In Spagna, precisamente in Galizia (regione a nord-
ovest), la contaminazione dei metalli è stata determinata, usando la specie Scleropodium purum ed
Hypnum cupressiforme, con un biomonitoraggio di tipo passivo.
Anche i muschi acquatici sono in grado di assorbire metalli in tracce in fiumi e laghi (Cenci e
Mentau,1993). Inoltre la capacità delle briofite di accumulare radionuclidi li ha resi adatti a rilevare
questi contaminanti a seguito dell‟incidente di Chernobyl.
Nel nostro paese il biomonitoraggio è piuttosto recente; i progetti e gli esperimenti svolti hanno
scatenato curiosità ed interesse, dunque questo tipo di indagine sta ricevendo sempre più attenzione
da parte dei ricercatori. Infatti sta aumentando il numero di pubblicazioni in merito. Anche tramite
le direttive europee, si sta dando maggiore risalto a questo tipo di analisi; la legislazione dell‟UE
sottolinea la necessità di allargare il raggio d‟azione del biomonitoraggio, nell‟ambito del territorio
nazionale per compensare la mancanza di dati utili e fornire una panoramica della qualità
dell‟ambiente e della deposizione degli elementi in traccia in Italia. Questa tecnica peraltro offre
due innegabili vantaggi:
la rapidità, relativa al tempo di effettuazione
i bassi costi, rispetto a quelli delle centraline elettroniche
L‟uso della specie Tortula muralis (Hedw.), per monitorare le concentrazioni di contaminanti
organici (IPA) ed inorganici ( metalli pesanti, azoto), è stato impiegato nel nord Italia in aree
urbane. Uno studio interessante è stato realizzato a Vigiano, in provincia di Potenza. Attraverso la
valutazione della biodiversità epifitica delle briofite nelle vicinanze del centro Oli, in cui avviene la
separazione di oli, gas ed acqua di processo, che è collegato ad uno dei pozzi di estrazione presenti
in varie aree della Basilicata. Bargagli ed Adamo hanno utilizzato la tecnica del trapianto dei
muschi e licheni per il biomonitoraggio attivo di metalli in tracce, negli ambienti urbani di aree
italiane del nord est. Le specie interessate sono state Hypnum cupressiforme ed il lichene epilitico
Pseudevernia furfuracea.
Figura 1.4 La specie lichenica Pseudevernia furfuracea
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A Trieste usando muschi trapiantati di Hypnum cupressiforme e Pseudoscleropodium purum,
sono stati monitorati vari metalli in tracce: Al, As, Cd, Cr, Cu, Hg, Fe, Mn, Pb, Ti, V, Zn. In
conclusine nella nostra nazione le esperienze compiute con il biomonitoraggio, anche se piuttosto
recenti, sono però significative. Si auspica per questo un miglioramento e perfezionamento di
questo tipo di analisi ambientale, sicuramente da incoraggiare.
Figura 1.5 Piano di biomonitoraggio dell’I.B.E.(Indice biotico esteso, Arpav, Veneto)
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