Questo lavoro ha come obiettivo l’analisi comparata delle politiche di immigrazione di
due paesi, la Francia e la Spagna, che non sembrano avere molto in comune. Il primo,
infatti, ha alle spalle una solida tradizione democratica accompagnata da una
lunghissima esperienza di accoglienza di cittadini stranieri, mentre la Spagna, regime
autoritario dal 1939 al 1976, solamente negli anni ’80 comincia a rendersi conto
veramente di essersi trasformato in un vero e proprio paese di immigrazione, con le
dovute conseguenze: l’incapacità nella gestione dei flussi, la questione del
multiculturalismo, dell’educazione laica, la sfida della lotta al razzismo, le politiche di
integrazione. Ancora oggi entrambi i paesi presentano numerose differenze, nella
quantità e nella composizione della popolazione straniera, nelle politiche di
integrazione, nelle richieste del mercato del lavoro. Tuttavia, è possibile delineare una
linea comune che unisce entrambi i paesi. Sia i paesi di nuova immigrazione come la
Spagna, sia i paesi di vecchia immigrazione come è il caso della Francia, appartengono
ad una più grande comunità di Stati, ad una vera e propria organizzazione regionale di
carattere sovranazionale, che è l’Unione europea. Ed entrambi, negli ultimi anni, hanno
cercato nel bene e nel male di raggiungere quell’armonizzazione richiesta ed auspicata
dalle istituzioni europee per la definizione di una politica comune in materia di
immigrazione.
Le migrazioni internazionali, così come il concetto di flussi migratori internazionali,
sono stati oggetto di numerosi studi e ricerche, così come lo sono stati i motivi che
spingono gli uomini a emigrare. La teoria del push/ pull factors può aiutarci a
comprendere parte di questo aspetto: questo modello è stato elaborato per spiegare in
parte le nuove migrazioni verso l’Europa, fino alla prima metà degli anni ’70.
La teoria push/pull, o teoria dei fattori di espulsione e di attrazione, deriva
dall’interpretazione neoclassica delle migrazioni, la quale ha avuto un grande impatto
nell’opinione pubblica e presso i dirigenti politici, responsabili dell’elaborazione delle
politiche di regolamentazione dei flussi. La teoria neoclassica considera le migrazioni
come il risultato di un semplice squilibrio economico nel salario percepito nei diversi
paesi. Finché i salari saranno differenti, il modello afferma che le migrazioni
internazionali persisteranno, sempre che non vi siano restrizioni da parte dei governi.
Di conseguenza la teoria push-pull sostiene che:
- le migrazioni internazionali di lavoratori si verificano a causa delle differenze tra
i salari dei vari paesi;
- l’eliminazione di questi differenziali porterà alla mobilità dei lavoratori visto che
le migrazioni non esisterebbero se non vi fossero tali differenze;
- i flussi internazionali di lavoratori qualificati rispondono alle differenze nel
“tasso di ritorno del capitale umano”, che indica la percentuale di lavoratori che
ritornano nel loro paese di origine. Esso può variare in base al salario promesso a questo
tipo di lavoratori. E’ un modello che si applica solamente ai lavoratori qualificati, in
quanto risponde a dinamiche diverse rispetto alla mobilità dei lavoratori non qualificati.
Questi ultimi, infatti, tendono più spesso a stabilirsi nei paesi di accoglienza, accettando
più facilmente le fluttuazioni dei salari;
- solo il mercato del lavoro incide in maniera significativa sui flussi internazionali
di lavoro e quindi sulle migrazioni internazionali;
- la via per la quale i governi possono regolare i flussi migratori è la
regolarizzazione del mercato del lavoro nei paesi di ricezione o in quelli di partenza.
- I fattori di espulsione sono caratterizzati da particolari condizioni di privazione
nei paesi di partenza: carestie, siccità, regimi autoritari, povertà e disoccupazione.
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Questa prospettiva teorica, che si sofferma soprattutto sul calcolo razionale
costi/benefici tra il paese di accoglienza e quello di partenza, presenta tuttavia alcune
lacune e col tempo si è cercato di integrare lo studio delle migrazioni internazionali con
un nuovo approccio, più sociologico, che cerchi di spiegare il lato “irrazionale” delle
migrazioni: la teoria delle reti migratorie, reti costituite dalle cosiddette “catene
migratorie”.
Il concetto di “catena migratoria” fa riferimento al sistema di trasferimento di
informazioni e di appoggi materiali che familiari, amici o compaesani offrono al
potenziale emigrante per intraprendere il suo viaggio.
Le catene facilitano il processo di entrata ed uscita: possono finanziare parzialmente il
viaggio, gestire i documenti e trovare un posto di lavoro, cercare una casa in affitto.
Sono inoltre una fonte di informazione molto importante, sui cambiamenti economici,
sociali e politici che si producono nella società di accoglienza.
Le catene migratorie tendono ad ammorbidire l’atterraggio degli immigrati, ma in alcuni
casi l’esistenza di catene molto strutturate, come conseguenza di una forte presenza
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Malgesini, Graciela, Cruzando fronteras: migraciones en el sistema mundial, Icaria Fundaciòn del
empleado, Barcelona, 1998.
etnico-culturale nel paese, possono indicare che i nuovi arrivati disporranno di meno
opportunità di mobilità sociale reale, rispetto ai migranti di vecchia data, che hanno
costituito la catena.
L’esistenza di catene e di reti migratorie nella società di ricezione costituiscono quindi
un argomento contro la teoria neoclassica dell’immigrazione (push/pull), che considera
il processo di immigrazione come un fattore prettamente individuale.
Contro l’affermazione secondo cui gli individui si muovono spinti dalla legge della
domanda e dell’offerta, possiamo dire che l’immigrazione è un fenomeno sociale
collettivo: la famiglia, le amicizie, i legami comunitari, l’esistenza di reti stanno alla
base di molti dei movimenti migratori nel corso della storia.
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I flussi migratori sono quindi una realtà molto complessa e difficile da comprendere
sotto un’ottica razionale ed unilaterale; sono di conseguenza difficili da gestire e da
regolare. Quello che è certo è che negli ultimi decenni abbiamo assistito ad una
trasformazione radicale nella tipologia dei flussi: gli anni ’90 saranno ricordati come gli
anni della transizione. Da un lato, infatti, la caduta del muro di Berlino ha fatto
scomparire quella “cortina di ferro” presente da decenni ed ha abbattuto una vecchia
frontiera che divideva due mondi contrapposti; dall’altro lato l’Europa ha visto
aumentare il numero di rifugiati e di migranti per ragioni economiche, provenienti dalle
regioni del sud del mondo. L’aumento di conflitti in questi paesi, per non dimenticare le
catastrofi naturali e le crisi economiche causate anche dai fallimentari piani di
aggiustamento strutturale, non hanno fatto altro che aumentare quella forbice di
disuguaglianze tra i cittadini del nord e del sud del mondo. La globalizzazione
dell’economia, lo sviluppo delle tecnologie, se da un lato hanno mostrato il loro lato
umano e apparentemente vincente, dall’altro hanno evidenziato ancora di più le
differenze tra i più ricchi ed i più poveri di questo pianeta.
Le migrazioni sono anche questo: la conseguenza degli effetti della globalizzazione,
della libertà di circolazione dei capitali. Le migrazioni degli anni novanta perciò sono
più flessibili e transitorie, ed i paesi europei hanno dovuto affrontare questo nuovo
fenomeno studiando ed avviando nuove politiche migratorie che superassero il vecchio
modello tedesco del Gastarbeiter (l’emigrante stagionale) che, in definitiva,
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Cfr. Goering, J.M. “the explosiveness of chain migration: research and policy issues”, in International
Migration Review, 23 n.4 1989.
contemplassero piani di azione su vari livelli: piani di integrazione sociale, educativi, di
regolamentazione dei flussi, di controlli alle frontiere, di gestione del mercato del
lavoro.
Che cosa intendiamo quindi per “politiche di immigrazione”?
Le politiche di immigrazione sono un insieme di provvedimenti politici che hanno come
obiettivo la gestione dei flussi di cittadini stranieri in entrata e la determinazione delle
condizioni di soggiorno, ma anche e soprattutto tutte quelle misure che hanno
l’obiettivo di prendere in considerazione i cittadini stranieri come nuovi soggetti di
diritto e come destinatari dei piani di integrazione sociale e culturale. Le politiche di
immigrazione comprendono quindi le politiche educative, le politiche sanitarie e quelle
abitative, senza limitarsi alla mera gestione dei permessi di soggiorno e del controllo
delle frontiere.
Tuttavia questi ultimi due aspetti, più “forti”, sono rappresentativi e simbolici, in quanto
determinano il grado di apertura di una data società. Più le frontiere sono chiuse, più
sarà difficile accedere a tutti gli altri diritti; la frontiera rappresenta infatti la via
d’accesso, il primo dei tanti ostacoli da superare nel processo di integrazione alla nuova
società di accoglienza.
Come vediamo, le politiche di immigrazione rappresentano un mondo di normative e
regolamenti, di decreti e di iniziative a livello nazionale e locale, impossibili da elencare
in questo lavoro; si è deciso di conseguenza di analizzare solo alcuni aspetti del
fenomeno migratorio in Europa, e precisamente in Spagna e Francia: il problema
dell’ingresso e del soggiorno dei cittadini stranieri, nonché il problema dell’accesso dei
diritti di cittadinanza. A questo proposito si è cercato di delimitare l’ambito di analisi in
questo senso:
1. I cittadini stranieri, oggetto delle politiche, sono cittadini provenienti da paesi
terzi, ossia cittadini non comunitari: come vedremo i cittadini comunitari, con l’entrata
in vigore del Trattato di Maastricht, non possono essere equiparati ai non comunitari, in
quanto godono di un vasto repertorio di diritti e privilegi, che ci farebbero deviare dal
nostro argomento principale, il problema dell’esclusione dei cittadini stranieri
nell’Unione Europea; inoltre, ove possibile, si cercherà di specificare se si sta parlando
di stranieri cosiddetti “regolari” o “clandestini”.
2. Quando parliamo di “migranti”, o “immigrati”, non facciamo riferimento alla
situazione dei profughi e dei rifugiati. Trattare in questo contesto le leggi di asilo, le
convenzioni internazionali sulla protezione dei rifugiati, significherebbe aprire ulteriori
parentesi. Le leggi di asilo rappresentano un aspetto importante della politica
migratoria; vi sono paesi come l’Italia che purtroppo non hanno ancora una vera e
propria legge in materia di asilo. E proprio perché il tema dell’asilo e rifugio è un
problema complesso e delicato non possiamo relegarlo ad argomento marginale della
tesi. Di conseguenza, quando parliamo di migranti, ci riferiamo ai “migranti per ragioni
economiche”.
3. Le politiche di immigrazione si occupano di numerosi aspetti della vita dello
straniero nonché dei diritti a cui egli può accedere. Nonostante i diritti sociali, civili e
politici non facciano parte del tema principale del nostro lavoro, tutti questi livelli
verranno trattati implicitamente. La politica di cittadinanza ed i criteri di acquisizione
della nazionalità a cui accenneremo fanno, infatti, diretto riferimento al godimento dei
diritti legati alla cittadinanza.
4. Il periodo storico trattato si riferisce agli anni ’90 ed alle riforme legislative
avvenute in quest’ultimo decennio (1990-2000). La Spagna infatti ha modificato la
legge in materia di trattamento dello straniero nel dicembre 2000, mentre in Francia
sono attualmente in corso dibattiti e proposte da parte dell’attuale ministro degli Interni
per una ulteriore modifica. Nonostante “la questione migratoria” recente abbia avuto
origine all’inizio degli anni ’70, dopo la crisi petrolifera, si è cercato di delimitare
l’ambito di analisi agli ultimi anni: la politica di chiusura risale al 1973 circa, ma lo
scorso decennio è stato teatro di numerose riforme legislative, processi di
regolarizzazione, dibattiti politici. Insomma, la politicizzazione della questione, che fino
a pochi anni prima rappresentava una mera questione di politica pubblica, competenza
esclusiva del ministero degli Interni, si è manifestata solo in questi ultimi anni.
5. Le politiche di ingresso e soggiorno verranno anche definite politiche di
“controllo dei flussi migratori”, secondo la definizione di Dominique Schnapper
[Schnapper,1992]. Sebbene per l’autrice la politica dei “flussi” e quella degli “stock” sia
inscindibile, in quanto la prima riguarda i criteri di ingresso e soggiorno e la seconda i
programmi di integrazione alla nuova società, si è appunto dato risalto alla politica di
controllo dei flussi, trascurando un aspetto importante – se non fondamentale –
dell’immigrazione nella sua complessità.
In questo lavoro si cercherà di comprendere meglio quali siano i fattori che determinano
l’esclusione materiale di una parte dei cittadini stranieri al godimento dei diritti sociali,
civili, ma soprattutto politici. Partendo dallo studio di due casi particolari, si vedrà la
legislazione in materia di ingresso e soggiorno dei cittadini non comunitari, i criteri per
la concessione di un visto, i processi di regolarizzazione: in quest’ultimo caso i cittadini
stranieri a cui facciamo riferimento sono i migranti in situazione irregolare o, come li si
definisce erroneamente, “illegali”.