2 CAPITOLO PRIMO
negli altri paesi europei, tale affermazione fu senz’altro
azzardata, mancando l’Autore di una prospettiva storica di
giudizio.
Tuttavia, poco importa valutare l’esatto peso della
componente casuale piuttosto che del perspicace ingegno dello
scrivente nella genesi di siffatta sentenza. Giova, invece,
rilevare la grande attualità che rivestono ancor oggi le parole
dell’AGNELLI, per ciò che concerne il grave e delicato dibattito
sull’assicurazione infortuni in Italia
2
.
Ed è proprio sotto la luce di tale affermazione che, a mio
avviso, va inquadrata tutta la vicenda infortunistica, nel passato
e nel presente, così come nel futuro.
Il quadro dipinto dall’evoluzione storica delle leggi
infortunistiche è un’opera che non sarà mai terminata, in quanto
sorgerà sempre l’esigenza, così come è sorta numerose volte nel
passato, di dare un ulteriore tocco di pennello, più o meno
marcato, per adattare il complesso sfondo di sicurezza sociale
al protagonista della composizione, l’uomo, un essere unico,
complesso e in uno stato di continuo divenire.
2
GIASE E., Atti del Convegno. “Infortuni e malattie professionali.
Riforma del Testo Unico. Proposte, obiettivi, tempi e prospettive” CNEL
20 gennaio 1999 Roma, in Tutela, 2, 1999, p. 9, ricorda che l’Italia è ai
primissimi posti in Europa nella triste graduatoria degli infortuni sul
lavoro. Nel nostro Paese, secondo i dati forniti dall’I.N.A.I.L., si
verificano oltre un milione di infortuni sul lavoro l’anno, di cui circa
milletrecento sono mortali. Ciò vuol dire che mediamente in Italia
muoiono, in diretta conseguenza del lavoro, più di quattro lavoratori per
ogni giornata lavorativa. Il bilancio sarebbe ancora più drammatico se si
potessero mettere in conto con esattezza anche le vittime del lavoro nero.
Infine, non bisogna dimenticare l’altrettanto triste resoconto delle
malattie professionali.
IL FONDAMENTO GIURIDICO DELL’ASSICURAZIONE INFORTUNI 3
Presa coscienza di tali caratteristiche dell’essere umano,
qualsiasi risultato dottrinale, legislativo e giurisprudenziale
non potrà mai risultare del tutto soddisfacente, per quanto
faticosa sia stata la sua elaborazione.
Tuttavia, ciò non significa affatto che tale sforzo sia stato
inutile anzi, esso costituisce spesso il punto da cui ripartire per
un’ulteriore pennellata con la quale si cerchi, almeno nelle
intenzioni, di rendere il più possibile coerente il sistema. Per
dirla con la felice sintesi dell’ALIBRANDI “l’intervento
pubblico di sicurezza sociale deve, tendenzialmente, adeguarsi
alle fondamentali esigenze dell’uomo, tener conto della sua
personalità e, nei limiti del possibile, della sua stessa
psicologia; deve prevedere, anche nella normazione
autoritativa, una componente che, ove possibile, solleciti, e non
solo ipotizzi, una partecipazione personale del singolo”
3
.
E’ immediatamente intuibile la difficoltà di ponderare
opportunamente tutte queste variabili.
Come si vedrà nel corso del presente lavoro,
l’assicurazione infortuni sul lavoro, e in particolare la correlata
analisi del concetto di occasione del lavoro, ha risentito e
continua a risentire della gravità di tale ponderazione. Di
conseguenza, anche la travagliata vicenda dell’infortunio in
itinere, istituto che va inquadrato proprio negli sfumati confini
dell’occasione di lavoro, può leggersi come una successione
storica di tentativi, più o meno calibrati, di bilanciamento dei
3
ALIBRANDI G., Infortuni sul lavoro e malattie professionali
10
,
Milano, Giuffrè, 1994, p. 20.
4 CAPITOLO PRIMO
variegati interessi che caratterizzano un sistema di sicurezza
sociale.
Certo, fuorvierebbe dallo scopo del presente lavoro
descrivere tutte le pennellate date a tale complesso dipinto. In
questo capitolo ci si limiterà a passare in rassegna i tratti più
marcati dati sul piano del pensiero dottrinale, tramite le diverse
concezioni di rischio che si sono scontrate per porsi a
fondamento della nuova tutela infortunistica. Sulla base teorica
del principio vincente, il rischio professionale, si analizzerà nel
secondo capitolo il concetto di occasione di lavoro, ponendo
quindi le basi per un’analisi dell’istituto dell’infortunio in
itinere, anche in relazione alla nuova normativa, oggetto dei
capitoli terzo e quarto.
2 – Il principio della colpa extra-contrattuale o
aquiliana.
Il problema degli infortuni sul lavoro si pose al centro del
dibattito politico nel nostro Paese intorno al 1870, subito dopo
il raggiungimento dell’unità nazionale, con la conquista di
Roma e con l’assunzione di essa a capitale d’Italia.
Quest’ultimo fatto impose, com’era inevitabile, una
tumultuosa e repentina crescita edilizia della città laziale, con
conseguente aumento statistico del fenomeno infortunistico
4
.
4
Gli infortuni sul lavoro nel finire del secolo diciannovesimo
avevano raggiunto in Italia livelli elevatissimi. Il CATALDI E., L’Istituto
IL FONDAMENTO GIURIDICO DELL’ASSICURAZIONE INFORTUNI 5
Tale impressionante aumento delle vittime del lavoro
destò subito preoccupazione ed interesse, sia perché costituiva
l’eco dell’allarme lanciato in contemporanea in altri Paesi del
mondo
5
, sia perché aveva ormai attecchito nelle menti della
gente comune il pensiero socialista, persuadendo della necessità
e possibilità dello Stato di migliorare la condizione delle classi
lavoratrici
6
.
Così, sotto la spinta politico-sindacale delle categorie
interessate, nacquero studi, congressi, inchieste, mentre nelle
aule parlamentari iniziava un ventennale acceso dibattito al
quale conseguiva un’interminabile lista di disegni di legge,
proposte, progetti e controprogetti
7
. Finalmente, il 13 aprile
Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro
(Testimonianza di un secolo), Roma, Stab. Tip. INAIL, 1983, p. 21,
riporta tali drammatiche cifre: 20.000 al giorno gli infortuni lievi (con
inabilità assoluta non superiore a tre giorni) e 5.000 quelli più gravi, tra
i quali 250 comportanti invalidità permanenti e 13 risoltisi in evento
mortale.
5
Le prime legislazioni infortunistiche, non solo in Europa, si
hanno: nel 1884 in Germania e in Polonia; nel 1887 in Jugoslavia; nel
1888 in Austria; nel 1894 in Norvegia; nel 1897 in Inghilterra e Irlanda;
nel 1898 in Italia, Francia, Danimarca e Finlandia; nel 1900 in Spagna,
Ungheria e Nuova Zelanda; nel 1901 in Svezia; nel 1902 in
Lussemburgo, nei Paesi Bassi e in Australia; nel 1903 in Belgio; nel
1906 in Guatemala; nel 1911 negli U.S.A., Giappone e Svizzera e via via
tutti gli altri Paesi. Per un esame delle più significative tra tali
legislazioni vedi AGNELLI A., Commento alla legge sugli infortuni del
lavoro, cit., p. L.
6
ID, Ivi, p. VI. Subito dopo lo studioso aggiunge (si ricordi che
scriveva nel 1905): “E mentre le aspirazioni verso una trasformazione
integrale della società rimangono, per ora, nel campo del pensiero e della
propaganda, il cosiddetto Socialismo di Stato è un fatto reale,
constatabile, che tutt’i giorni si allarga, con attiva collaborazione della
grande maggioranza”.
7
Per una rassegna delle iniziative parlamentari dal 1879 al 1898,
così come dei congressi e studi che dette iniziative ispirarono vedi
6 CAPITOLO PRIMO
1897 l’allora ministro Guicciardini presentò al Senato un nuovo
progetto, il quale venne approvato con alcune modificazioni il 5
luglio dello stesso anno. Trasmesso alla Camera dall’allora
ministro Cocco-Ortu dopo soli due giorni, il progetto fu
approvato definitivamente in data 10 marzo 1898 e diventò la
legge 17 marzo 1898, n. 80, alla quale si aggiunse il
Regolamento Esecutivo approvato con R.D. 25 settembre 1898,
n. 411
8
.
ALIBRANDI G., Infortuni sul lavoro e malattie professionali
10
, cit., p. 27
ss., in nota.
8
Brevemente, possiamo ricordare che la legge 17 marzo 1898 n.
80 fu caratterizzata per il regime di libera scelta dell’ente assicuratore,
mentre il r.d. 31 gennaio 1904, n. 51 riunì in un testo unico le
disposizioni precedenti e sancì l’affermazione del principio del rischio
professionale e dell’obbligatorietà dell’assicurazione. Tuttavia, il
rapporto assicurativo era ancora regolato entro gli schemi privatistici del
diritto commerciale, quindi se il contratto non era stato stipulato o il
datore di lavoro era inadempiente, al lavoratore non restava che citare in
giudizio il datore di lavoro, alternativa incerta e difficoltosa. Tale
problema fu risolto con il r.d. 17 agosto 1935, n. 1765, una vera riforma
dell’assicurazione infortuni. Il r.d. 1765/35, infatti, tra le altre novità
sancì il principio dell’automaticità sia del sorgere dell’obbligo
assicurativo nei confronti dei datori di lavoro, sia delle prestazioni
economiche e sanitarie nei confronti dei lavoratori infortunati, cioè le
prestazioni erano erogate a prescindere dal versamento datoriale dei
contributi. Successivamente, il d.p.r. 30 giugno 1965, n. 1124 (emanato
in attuazione della delega di cui alla l. 15/63) fu il secondo testo unico
delle disposizioni per l’assicurazione infortuni ma, oltre all’opera di
coordinamento, non apportò radicali modifiche all’impianto giuridico, se
non quella di riunire in un unico contesto legislativo le disposizioni sia
del settore industria, sia del settore agricoltura (la cui prima tutela
avvenne con d.l.lgt. 23 agosto 1917, n. 1450). Tale t.u. è ancora in
vigore, seppur con le modifiche apportate dal d.l.vo n. 38 del 2000, in
attuazione della delega di cui alla l. 144/99. L’assicurazione contro le
malattie professionali, invece, forse per il carattere meno vistoso ed
emotivo che caratterizza la malattia rispetto all’infortunio, s’impose
molto tardi all’attenzione del legislatore, con il r.d. 13 maggio 1929, n.
928 per l’industria, con la l. 21 marzo 1958, n. 313 e il d.p.r. 28 aprile
1959, n. 471 per l’agricoltura. Oggi, la tutela delle tecnopatie rientra nel
IL FONDAMENTO GIURIDICO DELL’ASSICURAZIONE INFORTUNI 7
Solo uno sguardo retrospettivo a tale legge consente di
cogliere appieno le novità introdotte e di capire il motivo per il
quale il dibattito sulla questione infortunistica fu così lungo ed
aspro.
In effetti, fino al 1898, cioè alla data della legge, il
lavoro era unicamente disciplinato dall’art. 1628 dell’allora
codice civile, in base al quale “nessuno può obbligare la
propria opera all’altrui servizio che a tempo, o per una
determinata impresa”.
Nell’epoca del pieno trionfo della modernità, stante la
grande dignità ed importanza che veniva sempre più assumendo
il lavoratore, era quindi palesemente inadeguata la
regolamentazione giuridica del contratto di lavoro.
Proprio in conseguenza della mancanza di una normativa
speciale, l’infortunio del lavoratore era regolato dalle
disposizioni del codice civile in tema di responsabilità
derivante all’autore di delitti o di quasi delitti, in base al
principio della responsabilità per colpa extra-contrattuale o
aquiliana, risalente alla romana Lex Aquilia
9
e riprodotto negli
articoli 1151 e seguenti del codice civile allora in vigore
10
. In
base a tali disposizioni, il risarcimento era a carico di colui che
il danno, per fatto proprio o per propria negligenza od
t.u. 1124/65 e, come si vedrà da qualche accenno nel testo, è stata
anch’essa oggetto di modifiche con il d.l.vo 38/00.
9
Un’interessante ricostruzione storica del problema infortunistico,
dal tempo antico ai giorni nostri, è offerta da CATALDI E., L’Istituto
Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro
(Testimonianza di un secolo), cit., p. 25 ss.
10
I corrispondenti articoli nel codice Napoleone erano gli artt.
1382 e segg. Cfr. art. 2043 e segg. del codice vigente.
8 CAPITOLO PRIMO
imprudenza avesse causato
11
. Di conseguenza, il lavoratore
infortunato, alla stregua di qualsiasi altro cittadino danneggiato
da fatto illecito altrui, solo provando la colpa del datore di
lavoro poteva ottenere dai tribunali il risarcimento economico
dei danni subiti. Tuttavia, tale diritto era praticamente
illusorio. Infatti, il lavoratore doveva: 1) promuovere e
sostenere un giudizio; 2) fornire la triplice prova della colpa
dell’imprenditore, l’esistenza del danno ed il rapporto colpa-
danno; 3) attendere l’esito del giudizio e l’eventuale condanna
del datore di lavoro per poter conseguire un risarcimento; 4)
correre il rischio di veder vanificato tale risarcimento, a causa
della non solvibilità dell’imprenditore colpevole; 5) in ogni
caso subire e superare le conseguenze immediate
dell’infortunio con le proprie, spesso scarse, risorse, nelle
pendenze di un giudizio quanto mai incerto.
Riassumendo, il fragile diritto al risarcimento da
infortunio sul lavoro esigeva un fatto soggettivo, una colpa, sia
pure lievissima, sia pure in eligendo, del datore di lavoro. La
giurisprudenza, dal suo canto, tendeva ad applicare
rigorosamente tale principio, dichiarando l’imprenditore
colpevole per il solo fatto che l’infortunio si sarebbe potuto
evitare, seppur usando onerose ed inusuali precauzioni
12
.
11
Tale danno poteva manifestarsi sotto qualunque forma: danno
cagionato dalle cose che si hanno in custodia, danno cagionato dalle
persone delle quali si deve rispondere, oppure danno derivante da
mancanza di riparazione o da vizio di costruzione.
12
AGNELLI A., Commento alla legge sugli infortuni del lavoro,
cit., p. X.
IL FONDAMENTO GIURIDICO DELL’ASSICURAZIONE INFORTUNI 9
Pur con tali sconfinamenti giurisprudenziali, risultavano
tuttavia privi di tutela la maggior parte dei casi d’infortunio.
Infatti, l’indennizzo era escluso quando la colpa
dell’imprenditore non sussisteva, e cioè in tutti quei casi dovuti
a colpa dell’operaio, caso fortuito e forza maggiore.
A prova di ciò, basti citare la Relazione della
Commissione d’inchiesta del Patronato milanese
d’assicurazione e soccorso per gli infortuni del lavoro, datata
1885, relazione che classificò i 1390 infortuni accaduti nella
provincia di Milano nell’anno 1884
13
. Tra tanti infortuni, di 616
soltanto si poterono con sicurezza stabilire le cause in ordine
alla responsabilità giuridica: 523 erano da attribuirsi al caso
fortuito, 71 all’imprudenza della vittima e solo 22 infortuni
erano attribuibili alla colpa del datore di lavoro.
La brutalità di tali dati esigeva una repentina e chiara
risposta del Governo. In quell’epoca di riforme e di libertà,
morti tutti gli antichi istituti giuridici in nome del libero
lavoro, non si poteva lasciare “senza difesa, malconcio e senza
pane”
14
il lavoratore, principale artefice di tale cambiamento.
13
Relazione riportata da COCITO F., Commento alla legge degli
infortuni sul lavoro: Testo unico 31 gennaio 1904, n. 51 e Regolamento
13 marzo 1904, n. 141
3
, Torino, UTET, 1918, p. 4.
14
ID, Ivi, Ibid. La dimostrazione che il problema infortunistico
fosse all’epoca veramente sentito ce la fornisce lo stesso Autore (Ivi, p.
2) tramite questo breve, ma profondo, pensiero: “Fra tutti, il problema
che più interessava era quello degli infortuni sul lavoro, triste ma
inevitabile frutto della organizzazione della industria moderna; problema
che s’imponeva allo studio di tutti, perché la conservazione e la
protezione della vita deve costituire la suprema preoccupazione di tutti
gli uomini di cuore”.
10 CAPITOLO PRIMO
3 – Segue: il principio della colpa contrattuale.
Cercando una maggior tutela del lavoratore, la dottrina
del tempo avanzò un’altra teoria, detta della responsabilità
contrattuale. Per essa, in ogni contratto di locazione d’opera è
insito l’obbligo del conduttore di garantire la vita, la sicurezza,
l’integrità personale del locatore.
In breve, i sostenitori di tale teoria affermavano che gli
articoli sulla responsabilità extra-contrattuale non potevano
applicarsi al rapporto di lavoro, poiché riguardavano
prestazioni isolate, fra persone non legate in genere da alcun
vincolo giuridico, in conseguenza delle quali una persona
arrecava un danno ad un'altra. Al contrario, secondo il loro
pensiero, un rapporto di lavoro instaurava un vincolo giuridico
continuo e non occasionale fra locatore e conduttore d’opera, in
conseguenza del quale le condizioni del rapporto erano regolate
dalle condizioni del contratto e, prima ancora, dalle norme
generali sulle obbligazioni ex contractu.
Proprio nelle condizioni del contratto molto spesso si
trovava la clausola per la quale l’una parte deve garantire
l’altra per i danni patiti nell’esecuzione del contratto. Tuttavia,
anche se tale disposizione non fosse stata esplicitamente
prevista in un contratto di lavoro, il lavoratore poteva
appigliarsi, come si è detto, alla normativa generale sulle
obbligazioni, e in particolare all’art. 1124 dell’abrogato codice
civile del 1895, in base al quale incombevano sul contraente
IL FONDAMENTO GIURIDICO DELL’ASSICURAZIONE INFORTUNI 11
tutte le conseguenze che secondo l’equità, l’uso o la legge
derivavano dal contratto medesimo
15
.
In virtù di tale principio, l’onere della prova veniva
spostato dal lavoratore al datore di lavoro. L’unica incombenza
per l’infortunato era l’esibizione del contratto di locazione
d’opera.
Il datore di lavoro era così tenuto a dimostrare di aver
adempiuto tutte le obbligazioni derivanti da quel contratto, in
particolar modo dimostrando di aver vegliato a che il lavoro si
fosse svolto nelle migliori condizioni possibili di sicurezza.
Egli si poteva cioè liberare solo provando la colpa del
lavoratore, il caso fortuito o la forza maggiore.
Tale teoria era evidentemente inadatta allo scopo che si
voleva raggiungere. Non solo lasciava statisticamente scoperti
la maggior parte degli infortuni, ma lasciava inalterata la
15
AGNELLI A., Commento alla legge sugli infortuni del lavoro,
cit., p. IX ss., evidenzia l’analogia del contratto di lavoro con vari
istituti giuridici: a) il mandato, nel quale il mandante deve tener indenne
il mandatario incolpevole delle perdite subite per gli incarichi assunti
(art. 1754 dell’abrogato cod. civ.); b) il comodato, nel quale il
comodante, se la cosa reca danno a colui che se ne serve, è tenuto a
risarcirlo, qualora, conoscendo i difetti, non ne abbia avvertito il
comodatario (art. 1818 dell’abrogato cod. civ.); c) la locazione, per la
quale il conduttore deve servirsi della cosa locata con la diligenza del
buon padre di famiglia (art. 1583 dell’abrogato cod. civ.); d) l’obbligo di
custodia, dal quale discende il dovere del conduttore di risarcire i
deterioramenti e le perdite della cosa, se non li provi avvenuti senza sua
colpa (art. 1588 dell’abrogato cod. civ.); e) il trasporto tramite vetturino
o vettore, per il quale questi ultimi rispondono della perdita o dei guasti
della cosa loro affidata e anche dei danni alle persone trasportate se non
provano che l’incidente è derivato da caso fortuito o da forza maggiore
(art. 1631 dell’abrogato cod. civ.; art. 400 dell’abrogato cod. comm.); f)
il vitto ed alloggio concesso da osti ed albergatori, per il quale questi
rispondono del furto e di qualunque danno recato agli effetti dei
viaggiatori nell’albergo (art. 1588 dell’abrogato cod. civ.).
12 CAPITOLO PRIMO
fragile posizione di forza processuale del lavoratore, per di più
accentuando lo scontro tra le classi sociali.
4 – Segue: il principio della responsabilità oggettiva.
Superato il condizionamento della responsabilità
all’accertamento della colpa dell’imprenditore, venne proposta
una teoria della responsabilità senza colpa, la responsabilità
oggettiva del datore di lavoro.
Il principio operava un trasferimento della responsabilità
dalle persone alle cose ed aveva la sua codificazione nell’art.
1153 e segg. del codice civile allora vigente: il proprietario di
un oggetto è responsabile, per il solo fatto che è proprietario, di
tutti i danni che tale oggetto cagiona, anche se in ciò egli non
abbia alcuna colpa.
Traslata nel contratto di lavoro, tale norma significa che
l’infortunio, in quanto occasionato dal lavoro, implica
oggettivamente la responsabilità del datore di lavoro, il quale è
tenuto a rispondere del danno cagionato dai propri dipendenti o
dalle cose in suo possesso o custodia.
Anche tale principio, così come la teoria della
responsabilità contrattuale, aveva come principale caratteristica
l’inversione dell’onere probatorio, ma tale inversione era resa
ancor più netta: bastava provare non più il contratto, ma la sola
appartenenza della cosa che ha cagionato il danno alla persona
che se ne vuol tenere responsabile.
IL FONDAMENTO GIURIDICO DELL’ASSICURAZIONE INFORTUNI 13
Con la teoria della responsabilità oggettiva si era così
riusciti a porre a carico del datore di lavoro le conseguenze del
fortuito, coprendo una larga parte degli infortuni, ma restavano
ancor privi di tutela gli infortuni derivanti da colpa del
lavoratore.
Tuttavia, tale sistema fu a ragione con il tempo scartato
per due diversi e ben più gravi motivi. Il primo era che i
sistemi basati sull’inversione della prova calpestavano il
fondamentale principio che “l’attore deve provare”. Per dirla
con le parole del COCITO “il dire, come si faceva a sostegno di
tale sistema dell’inversione della prova, che il padrone è ricco,
e il lavorante è povero, e che per conseguenza fosse meglio che
il danno cadesse sul primo che sul secondo, confondeva la
questione giuridica colla sociale, ed ammesso tale principio che
calpestava l’altro dell’uguaglianza di tutti di fronte alla legge,
non si sarebbe saputo poi come contenerlo”
16
.
Il secondo motivo per il quale la dottrina sentì l’esigenza
di cambiare rotta era un fattore comune a tutti i principi fin qui
visti. Tali teorie, collegandosi alle norme del diritto civile,
poggiavano come si è detto su una concezione privatistica la
16
COCITO F., Commento alla legge degli infortuni sul lavoro:
Testo unico 31 gennaio 1904, n. 51 e Regolamento 13 marzo 1904, n.
141
3
, cit., p. 4. Nella pagina seguente l’Autore aggiunge: “In modo
veramente esauriente l’on. Fusinato confutò tale teorica, dimostrandola
contraria alla legge, all’uso, all’equità stessa, dimostrandola dannosa
all’operaio stesso, perché per ottenere l’inversione della prova
occorrerebbe aver facoltà (in caso di disastro) di domandare la
restituzione dell’operaio come si chiede la restituzione della cosa al
comodatario e al conduttore; locchè sarebbe un vero assurdo finchè sarà
vero che l’operaio non loca se stesso, ma l’opera sua; finchè sarà vero
che l’umana persona non può diventare oggetto di contrattazione”.
14 CAPITOLO PRIMO
quale, pur riletta sotto forme inusitate, si era dimostrata
comunque inconciliabile con le esigenze del lavoro, senza
peraltro contribuire in alcun modo ad accorciare le distanze tra
lavoratori e datori di lavoro, né tanto meno a ridurre le
numerosi liti e processi giudiziari
17
.
Era ormai sempre più evidente, quindi, che solo un
intervento pubblico avrebbe potuto porre fine ad un male il
quale, secondo alcuni, minacciava pericolosamente il
benessere, l’interna sicurezza, la potenza e la stessa esistenza
dello Stato
18
.
Così, nell’ultimo ventennio del secolo diciannovesimo si
iniziò a porre in atto una trasformazione completa della tutela
del lavoratore. Si cominciò a parlare di assicurazioni sociali in
contemporanea con la nascita di un nuovo principio, il
principio del rischio professionale.
17
Come dimostra efficacemente il CATALDI E., L’Istituto
Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro
(Testimonianza di un secolo), cit., p. 35, nota 32, le lotte fra capitale e
lavoro portavano séco l’incredibile contraddizione che gli interessi dei
lavoratori erano “sostenuti” dalla classe borghese (!), talmente i
lavoratori non avevano voce. L’Autore riporta, a sostegno della sua tesi,
il caso del primo grande Congresso operaio inaugurato in data 17 aprile
1872 nel teatro Argentina in Roma. All’ordine del giorno del Congresso
c’erano sei importanti argomenti, tra i quali quello concernente “come
provvedere una pensione dell’operaio assolutamente inabile al lavoro”. A
presiedere tale Congresso venne chiamato il principe di Teano e tra i
numerosi membri si annoveravano senatori, deputati, industriali,
avvocati, ma soltanto sei operai. Dopo soli due giorni il Congresso venne
interrotto da una manifestazione di lavoratori, che lo definirono
“congresso di capitalisti” e “pseudocongresso operaio”. La stampa diede
ampio risalto all’accaduto, a conferma della già avvenuta
sensibilizzazione dell’opinione pubblica sull’argomento.
18
GRECHI A., Le assicurazioni sociali (Corso di diritto del
lavoro), Empoli, Casa Editrice Ditta R. Noccioli, 1942, p. 100.
IL FONDAMENTO GIURIDICO DELL’ASSICURAZIONE INFORTUNI 15
5 – Segue: il principio del rischio professionale.
Abbandonati gli schemi privatistici, la nuova tutela
infortunistica avrebbe dovuto, innanzitutto, prevenire tali
sciagure, per poi attenuarne le conseguenze economiche e
fisiche.
La prevenzione degli infortuni fu quindi al centro di
numerosi dibattiti, nei quali emerse con sufficiente chiarezza
che la soluzione a tale problema sarebbe potuta pervenire sia
privatamente, tramite lo studio di mezzi e congegni a tal fine
dedicati, sia giuridicamente, tramite la formulazione di rigidi
regolamenti ed ispezioni di vigilanza
19
.
Si era però consapevoli che, nonostante tutti gli sforzi per
la prevenzione, sfuggivano comunque dal controllo fattori
imprevedibili e variabili da industria ad industria. Bisognava
dunque ammettere che l’infortunio era una conseguenza
immanente ed a volte inevitabile del lavoro, nonché della
organizzazione e del funzionamento delle relative imprese.
19
La lettura dei primi regolamenti preventivi è, a mio avviso,
interessantissima, soprattutto per capire l’alta qualità, perfino
anacronistica, con la quale esordì la legislazione italiana sulla sicurezza
nel lavoro. Vedi, ad esempio, i regolamenti riportati da COCITO F.,
Commento alla legge degli infortuni sul lavoro: Testo unico 31 gennaio
1904, n. 51 e Regolamento 13 marzo 1904, n. 141
3
, cit., p. 7 ss.