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Ne sono consapevoli anche i politici. Benché la Gazzetta Ufficiale non sia
giornale che si legga come i quotidiani, anche su quest’organo ufficiale, quando si
pubblica dí “ecologia”, la qualità dell’ambiente domina sulla tutela della natura.
Non tutti hanno consapevolezza che i parchi, le aree protette, la difesa
della biodiversità, la conservazione del paesaggio sono temi sui quali si deve
lavorare, bene, con fermezza e con tempestività, perché il nostro futuro dipende
anche da quanto saremmo riusciti a conservare dell’originario patrimonio del
nostro pianeta.
Si può tuttavia ben sperare che si stia diffondendo al riguardo una nuova
cultura e una buona maturazione etica e ideale. Vi sono molti segni, che partono
forse da lontano, da quando cioè le scuole hanno cominciato ad educare i giovani,
sin dalle elementari, sul valore della casa comune.
Non bisogna desistere; questo messaggio va ancora con forza diffuso tra
tutti coloro che sono nelle condizioni di scegliere e di condizionare le scelte altrui.
Gli strumenti d’elezione sono ancora i media, mossi da giornalisti capaci e
motivati, sui quali può influire la formazione e l’educazione ambientale, quella
cioé che venne promossa dall’Università di Padova a San Vito di Cadore.
Oggi qual è la posizione del giornalista e del giornale nei confronti della
tutela ambientale ?
Quale funzione hanno i media sulla diffusione della notizia naturalistica e
sulla “costruzione” di un pensiero rivolto alla tutela del territorio e dei valori
biologici ?
A dare risposta a questi quesiti, e forse anche per prospettare, sulle risposte
per essi ottenute, una possibile strategia di formazione culturale e di divulgazione
di un pur se elementare pensiero ecologico, è stata concepita questa tesi. Essa si è
dipanata aprendosi sull’orizzonte ormai amplissimo dell’informazione, esplorando
i settori dei quotidiani, delle riviste e, per ultimo, delle reti informatiche,
evidenziando potenzialità che fino a ieri sembravano fantascienza.
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Capitolo primo
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PREMESSA
L’informazione rivolta ai residenti delle aree protette nasce da una serie di
esigenze e di problemi tra cui quello più sentito è probabilmente quello del
difficile rapporto tra il parco e le popolazioni locali.
Il rapporto con le popolazioni locali
Vivere in un parco presenta vantaggi e svantaggi, crea delle possibilità e
impone dei limiti e questo può impensierire e angosciare chi a tutto ciò non è
preparato o abituato.
In moltissimi casi, prima e dopo l’istituzione del parco, si sono avuti
grandi problemi con la popolazione locale, che non l’accettava, sentendola
(giustamente) come un’imposizione dall’alto e (meno giustamente) come
portatrice di una serie di impedimenti allo svolgimento tradizionale della sua vita
e allo sviluppo economico dell’ area protetta. La gente diffida dei lacci e
lacciuoli che il parco porta con sè e vorrebbe non essere costretta a fare da
polmone verde a chi altrove è libero di inquinare e cementificare. Bisogna infatti
ricordarsi che nel parco convivono due società: quella degli ospiti provenienti
dalle aree esterne, generalmente urbane, e quella dei padroni di casa, il più delle
volte esponenti di quello che resta della società legata all’economia agro-silvo-
pastorale.
Questi ultimi, soprattutto gli abitanti delle zone montane, considerano le
tradizioni più importanti delle leggi , sono convinti di “difendere tradizioni e
sistemi di vita che -a parer loro- sono sempre stati in armonia e non in contrasto
con la tutela ambientale”(1) e non capiscono le esigenze dei visitatori-turisti.
La contestazione popolare talvolta si basa su situazioni di disagio reale, ma
spesso viene fomentata e rafforzata da fughe di notizie riguardanti, per esempio, la
bozza di piani o di progetti non ancora ben determinati, la cui diffusione dovrebbe
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essere sempre preceduta e accompagnata da un’informazione completa e
corretta.(2)
Negli ultimi vent’anni, ci sono stati casi in cui si è riusciti ad avere un
sufficiente consenso da parte delle popolazioni locali in conseguenza dei buoni
risultati nell’integrazione socio-economica. Tuttavia questi casi rimangono quasi
solo eccezioni anche per l’impostazione di molti parchi dove si utilizzano
prevalentemente gli strumenti dei vincoli e non quelli della promozione della
cultura, delle nuove tecnologie, dell’economia e quindi del lavoro.
Attorno a queste resistenze da qualche anno si è creato fra gli addetti ai
lavori un dibattito mirato a porre fuori gioco e comprendere le cause delle proteste
e a proporre delle scelte alternative o dei rimedi che annullino, o affievoliscano, i
contrasti tra l’ente parco e gli abitanti dell’area protetta.
Due sono i punti importanti della discussione: uno di merito e uno di
metodo.
Il primo è quello del concetto di parco, come si è evoluto negli anni
passando da una visione prettamente protezionistica e essenzialmente naturalistica
ad una che prevede un’integrazione tra interessi dell’uomo e della natura, tra
ragioni della conservazione e ragioni dello sviluppo delle comunità umane. In
quest’ultima visione il parco diviene territorio di sperimentazione di un nuovo
rapporto dell’uomo con l’ambiente, magari con il fine di estendere in futuro
questo rapporto anche ad ambienti non protetti.
Un precursore di questo modo di intendere il parco fu certamente Valerio
Giacomini. Egli scrisse nel suo libro “Uomini e Parchi” (1981): “Obiettivo
primario dell’ecologia è la ricerca di quei parametri entro i quali il rapporto uomo-
natura può definirsi armonico, rapporto che non è mai definitivamente
conquistato, ma evolve in continui assestamenti di equilibrio dinamico, mentre
l’obiettivo prioritario delle applicazioni territoriali dell’ecologia diviene allora la
coniugazione dello sviluppo umano con la conservazione.”
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Le attuali difficoltà dei parchi devono quindi farci rivalutare e rivisitare le
metodologie e gli strumenti usati, in primo luogo quelli di pianificazione, i cui
fondamenti derivano oggi prevalentemente dalle scienze naturali e trascurano gli
aspetti socio-economici.
La seconda, la questione di metodo, riguarda la partecipazione e il
coinvolgimento della gente nella progettazione e nell’amministrazione, in senso
lato, del parco. Per arrivare a ciò bisogna creare delle condizioni di fiducia tra le
parti e riuscire a mobilitare tutte le energie possibili dal basso perché il parco
diventi un progetto locale.
In questo caso “la nuova etica è un prodotto e una conquista della comunità
locale [...]. Il nuovo sapere che ne deriva affonda le sue radici nel sapere
consolidato, le nuove regole nelle regole di lunga durata. Non si tratta di sostituire
nuovi criteri a vecchi criteri, ma di produrre un innesto in cui sia possibile fare
agire nella storia del parco tutta l’energia, l’esperienza, la cultura e il sapere
specifico che la storia lunga di area ha sedimentato”.(3)
Oggi i parchi non riescono sempre a sperimentare, a innovare, a produrre
modelli anche perché non hanno questo stretto rapporto con il basso, con le
comunità e le energie locali.
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La comunicazione
Uno dei metodi per migliorare i rapporti tra le popolazioni locali e l’ente
parco è quello di instaurare tra essi un dialogo diretto e continuo per favorire lo
scambio di informazioni e per innescare quel rapporto di fiducia che oggi manca,
ma che è fondamentale per lo sviluppo del parco.
Già nel 1978 Valerio Giacomini (4) scriveva “si deve attuare un controllo
sperimentale permanente dei rapporti effettivi tra sviluppo e conservazione, fra
diritti-doveri dell’uomo ed esigenze di integrità della biosfera (...). Questo
controllo non può esaurirsi in un dissidio alimentato da accuse e reso cronico da
un categorico atteggiamento di diffidenza verso individui e comunità umane,
quando non si è fatto nulla per aprire un colloquio, un confronto, per realizzare
una valida informazione e partecipazione. Si afferma a parole la partecipazione,
ma si sconfessa con i fatti, ritenendo che non si possa dare fiducia a popolazioni
che sono state incoraggiate soltanto allo sfruttamento, alla consumazione,
all’abuso dei beni del territorio. Ma non facendo nulla per colmare questo vuoto
d’informazione e di persuasione, questa assenza di comunicazione, si lascia libero
campo all’intervento di ben altre informazioni e persuasioni: quelle degli
speculatori avidi e occhiuti, che sono prodighi di promesse fondate su quel potere
che il denaro esercita purtroppo nella povertà e sul bisogno.”
Questo bisogno di comunicazione veniva quindi sentito già 20 anni fa ma
nei convegni si continua a dibatterne ancora oggi.
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Primo obiettivo della comunicazione dei parchi: l’informazione per il consenso
L’obiettivo primario della comunicazione dei parchi è quindi la necessità
di instaurare un rapporto più diretto tra l’istituzione e la gente che ci vive.
L’informazione è uno degli strumenti indispensabili per cercare di conquistare il
consenso delle comunità, ma deve avere caratteristiche ben determinate, una linea
precisa, ed essere messa in atto da persone preparate e in questo specializzate. Il
consenso, naturalmente, va anche acquistato e rimotivato con i fatti: sarà più facile
così continuare a comunicare ed avere la fiducia della gente.
Il mezzo principe per questa comunicazione indirizzata alle popolazioni
che abitano nell’area del parco è sicuramente il bollettino.
Altri obiettivi della comunicazione dei parchi: l’ottimizzazione dei progetti
Il parco non ha bisogno di comunicare solo per migliorare i suoi rapporti
con le comunità locali.
Ha bisogno di informare la gente, gli Enti e gli amministratori locali dei propri
obiettivi e dei progetti che nascono e con loro avere uno scambio costruttivo di
idee e di proposte. Ha l’esigenza di far conoscere i propri bisogni e i propri limiti,
e di protestare per far valere le proprie posizioni (per esempio nei confronti delle
amministrazioni locali quando non collaborano o addirittura mettono i bastoni fra
le ruote). Ha bisogno di confrontare con vari interlocutori dati, esperienze, teorie.
Problemi generali della comunicazione
La comunicazione dei parchi è influenzata anche dai problemi che da
sempre colpiscono l’informazione.
Un grande problema dell’informazione nella società moderna è quello
della ridondanza di notizie, che fa si che ciascuna di esse “entri” superficialmente
nella memoria, e non venga assimilata nella sua completezza. Questa ridondanza
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porta il giornalista a semplificare sempre più il contenuto degli articoli che non
riescono a rendere la complessità degli eventi e dei problemi che stanno a monte.
Spesso, inoltre, le notizie vengono gridate ed enfatizzate sottolineandone solo
qualche aspetto.
Da tutto questo nasce la necessità che i parchi producano una informazione
completa, ragionata, che renda la complessità che sta per esempio dietro l’attività
di salvaguardia ambientale.
In Italia vi è poi una generale carenza di divulgazione scientifica. Un parco
dovrebbe essere uno dei luoghi principe della ricerca e quindi della divulgazione
scientifica, invece spesso le trascura, se ne dimentica o le retrocede a questioni da
affrontare in un secondo momento . Crediamo che ci sia bisogno di dare maggior
peso a questo settore anche dando largo spazio nella redazione dei bollettini o di
altre pubblicazioni a specialisti e ricercatori.
Strumenti comunicativi
Il mondo dei parchi è complesso, così che anche la comunicazione deve
essere costituita da molti strumenti che spazino su di un vasto orizzonte di
interessi.
Alcuni possono essere predisposti direttamente dai parchi : il volantino, il
bollettino, il libro, la rivista scientifica, il video, il collegamento telematico...
Altri vanno invece gestiti indirettamente: una rubrica fissa su giornali o riviste
esterne, spazi televisivi o radiofonici.
In tal caso il parco potrebbe diventare “agenzia di stampa” in modo da
fornire quelle notizie che ha interesse a divulgare nella maniera più coerente ai
mezzi di comunicazione.
Per gestire con attenzione, professionalità e continuità tutti questi
strumenti, sarebbe però necessario avere nella pianta organica del parco almeno
un responsabile dell’immagine e della comunicazione, anche se ciò finisce per
comportare costi aggiuntivi non trascurabili.
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Rispetto all’insieme delle aree protette si potrebbe ipotizzare, e sarebbe
una cosa molto positiva, che si formi un sistema della comunicazione istituzionale
ambientalista, basato principalmente su pubblicazioni edite dalle regioni, dalle
province, o dai parchi stessi, magari collegato con ciò che la società civile vorrà
produrre localmente; per questo si potrebbe approfittare anche di finanziamenti
previsti da alcune leggi regionali.
Concludendo si può oggi affermare che “il nemico primo dei parchi è dato
da una cultura, da pregiudizi, da disinformazione, diciamo pure anche da
ignoranza, delle realtà. Per molti aspetti il parco rimane qualcosa di
largamente sconosciuto. Noi siamo una specie di pianeta che è sempre in eclisse,
dove la luce non arriva mai, qualunque sia l’orbita che noi seguiamo” (5)
E per questo bisogna darsi da fare.