cosa si intende per Customer Relationship Management e di chiarire i motivi per cui
diventa sempre più importante gestirlo in maniera efficace e corretta. Anche in questo
caso, dalle informazioni più generali si passa a quelle specificamente riguardanti le
Compagnie assicurative e si evidenziano limiti e benefici dell’adozione di questo nuovo
modo di gestire la clientela.
Nell’ultimo capitolo della trattazione, poi, vengono introdotti i cosiddetti “assistenti
virtuali”, strumenti tecnologicamente sofisticati, ma decisamente accattivanti che se
ben inseriti all’interno di un sito Web, possono fidelizzare il cliente e dare origine ad
una serie di proposte sempre nuove e sempre più adattate alle esigenze del singolo.
Parte Prima
Nascita delle Compagnie assicurative e
sviluppo dell’Information Technology
1. LE ASSICURAZIONI: CARATTERISTICHE GENERALI
Con il termine assicurazione si intende un “contratto attraverso cui una parte, sia
essa una società assicuratrice o lo Stato, contro pagamento di un premio, si obbliga a
rivalere l’altra parte, ovvero l’assicurato, degli eventuali danni prodotti da un sinistro o a
pagare un capitale o una rendita al verificarsi di un evento attinente alle vite umane”.
1
Sempre più spesso, però, questo stesso termine viene usato per riferirsi ad una
Società di assicurazioni, ossia all’ente o impresa che si occupa di stipulare i contratti
assicurativi.
1.1 CENNI STORICI
2
L’evoluzione storica dell’assicurazione può essere suddivisa in quattro periodi
principali:
1. L’età romana e l’antichità ad essa precedente
In questa fase si trovano riferimenti a contratti assicurativi già nelle pagine del XXIII
libro delle “Storie” di Tito Livio dove, a proposito della seconda guerra punica, lo storico
sottolinea come l’Erario Pubblico Romano si fosse fatto carico dei rischi derivanti dal
trasporto delle merci e delle provviste occorrenti all’esercito. In particolare, gli storici
delle assicurazioni rilevano in questo particolare un embrione dei futuri contratti dal
momento che il denaro per coprire gli eventuali danni era chiesto in prestito ad alcune
società che avevano ottenuti forti guadagni a seguito di precedenti operazioni belliche.
Sempre in quest’epoca, poi, è da registrare una lettera indirizzata da Cicerone ad un
pro-questore in cui si fa cenno alla necessità di assicurare, da qualsiasi rischio di terra
e di mare, il trasporto di un bottino di guerra.
A ben veder, però, in entrambe le testimonianze manca un elemento fondamentale
del contratto assicurativo, vale a dire il corrispettivo della garanzia offerta. Alla luce di
questo particolare, gli storici dell’assicurazione hanno nuovamente analizzato la lettera
precedentemente citata e hanno concluso che ciò a cui faceva riferimento il mittente
era il cosiddetto “Foenus nauticum”, un mutuo stipulato da un creditore con il navigante
sia per acquistare merci che per impiegare il denaro nel luogo di destinazione
attraverso un’ipoteca sulla nave e sulle merci stesse.
1
“Grande dizionario enciclopedico della lingua italiana”, UTET 1970
2
Per la stesura di questo paragrafo si è fatto riferimento al testo “dott. Stefano Borazzo,
L'ASSICURAZIONE nel suo sviluppo storico e nella sua funzione economico-giuridica, estr. da
MUTUALITA’ ASSICURATIVA, Bollettino n. 3-4, 3°-4° trimestre 1937-XVI, Società Industriale Grafica
Fedetto & C., Torino”.
2. Medio Evo ed Età Moderna fino al 1600
E’ in questa seconda fase che si trovano riferimenti più precisi alla nascita di un vero
e proprio contratto di assicurazione che, visto l’intenso sviluppo dei traffici commerciali
via mare, inizialmente riguardava soprattutto questo settore.
Prime tracce di contratti assicurativi si ritrovano nelle gilde, associazioni germaniche
di commercianti diffuse soprattutto nei Paesi del Europa settentrionale e, in generale,
in quelli di cultura germanica in cui ogni membro si impegnava a rispettare particolari
diritti e doveri. Negli statuti di queste corporazioni era prescritto, ad esempio, che se un
membro della gilda avesse perso la nave con tutto il suo carico tutti gli altri componenti
dell’associazione avrebbero dovuto coprire il danno o con una parte del loro carico o
con un indennizzo di altro tipo. Questa disposizione, però, pur facendo pensare ad un
vero e proprio contratto di assicurazione contro i danni, non si basava ancora su calcoli
di probabilità, né prevedeva il pagamento di un premio.
Per sentir parlare di qualcosa di molto più vicino a un’assicurazione, bisogna
rivolgersi alla storia italiana dell’età dei Comuni, periodo in cui si era avvertito il bisogno
di riorganizzare le risorse interne in seguito alle terribili invasioni barbariche. Un forte
impulso alla ricostruzione giunse dal commercio marittimo che si intensificò al punto da
spingere i commercianti a ricorrere al cosiddetto “cambio marittimo” per trasferire a
terzi i potenziali rischi derivanti dal trasporto delle merci. Il commerciante che voleva
avvalersi di questa possibilità doveva prendere a prestito una somma qualsiasi, a
interessi molto alti e fu forse questo il motivo per cui Papa Gregorio IX, nel 1237,
condannò ufficialmente questa pratica tacciando di usura chi concedeva il cambio.
Dopo tale condanna, i commercianti crearono al primo embrione del contratto di
assicurazione che si presentava, all’inizio, in due formule: “a salvo in terra”, attraverso
cui il venditore si assumeva un potenziale rischio garantendo la merce all’acquirente e
“a rischio di mare e di gente”, con cui il venditore faceva gravare sull’acquirente tutto
quanto poteva accadere alla merce in corso di navigazione. Da questo momento in poi
si inizia a parlare di premio, ossia di un compenso pagato per coprire tutti i rischi corsi
da un venditore in fase di trasporto della merce ad un acquirente.
In un primo tempo, gli assicuratori furono gli stessi proprietari delle navi su cui
avveniva il trasporto delle merci e il contratto di assicurazione era incluso in quello di
noleggio; i contratti, inoltre, erano stipulati verbalmente o, al massimo, mediante
scrittura privata e solo in secondo tempo fu imposto l’obbligo della stipulazione in forma
pubblica, alla presenza di un notaio o attraverso atti privati cui doveva seguire la
registrazione presso un apposito ufficio.
I primi usi commerciali di queste forme di assicurazione comportavano un interesse
diretto, da parte dell’assicurato, alla conservazione della merce e per questo gli
assicuratori ricorrevano a qualsiasi cavillo per non restituire il premio versato; proprio
per evitare questa speculazione, al contratto fu aggiunta la formula “habet vel non”
(che sta per “interesse o non interesse”) in modo da garantire la validità
dell’assicurazione anche in caso di interesse accessorio alla merce. Genova e Firenze
furono le prime città a codificare in forma di legge le regole sull’assicurazione marittima
e già nel 1319 la Repubblica di Pisa emanò uno statuto che prevedeva regole
dettagliate sul commercio marittimo. Nonostante questi documenti, però, secondo
alcuni storici la base del diritto delle assicurazioni marittime europee si trova in
un’ordinanza del 25 febbraio 1571 che, a sua volta, rispecchia un regolamento
pubblicato da tale G.B. Ferrofino e in cui veniva proposto per la prima volta uno
schema di polizza.
Per lungo tempo, comunque, i Canonisti condannarono questa pratica, rilevando
una sorta di usura nella riscossione di un premio senza la stipulazione di un prestito
vero e proprio; con l’andar del tempo, però, i giuristi legittimarono l’assicurazione
dimostrando che l’assunzione di un rischio poteva valere la corresponsione di un
compenso.
3. Età moderna tra il 1600 e il 1850
Una grande svolta per le assicurazioni avviene nel campo delle leggi scientifiche su
cui iniziano a basarsi; nel 1713, infatti, Giacomo Bernoulli pubblica il risultato dei suoi
studi sulla probabilità applicata alla vita civile, ai problemi morali e a quelli di carattere
economico, dando origine alla cosiddetta “Legge dei grandi numeri”. Secondo questa
teoria, pur essendo sconosciuta la probabilità di un qualsiasi avvenimento, è possibile
determinarne un valore approssimato nel momento in cui il numero delle osservazioni
è abbastanza elevato. Questa legge è stata assunta da subito come una delle basi
della tecnica delle assicurazioni, adozione spinta anche dalla crescita costante di
questa scienza che si stava formando sempre più come industria indipendente.
Proprio di questo periodo la nascita delle prime assicurazioni terrestri attraverso cui
la popolazione cercava di garantire beni mobili e immobili riacquisiti dopo un lungo e
tormentato periodo di guerra e distruzione. In particolare, le prime assicurazioni a farsi
strada in questo campo furono quelle contro gli incendi: dopo la devastazione di
Londra in seguito all’incendio del 1677, infatti, fu fondata la prima impresa assicuratrice
contro tale pericolo. Da questo momento in poi, anche altri Stati europei seguirono
l’esempio e fu così che in Francia nacquero i cosiddetti “Bureaux des Incendies” cui
seguirono nel 1750, un’Assicurazione Mutua contro l’incendio e nel 1787 la
“Compagnie Royale d’Assurances Generales”; nello stesso periodo, in Germania
alcune città iniziarono ad obbligare i proprietari di immobili a pagare una tassa che
aveva valore di premio d’assicurazione proprio contro gli incendi. Sempre a Londra,
poi, avviata a diventare la prima città commerciale del mondo, nacque una
potentissima corporazione di assicuratori, il cui nome si ispira ad un piccolo caffè in cui
si riunivano i capitani delle navi mercantili: questa associazione è conosciuta come il
Lloyd’s.
3
In questo periodo, però, trovano spazio anche le prime assicurazioni sulla vita,
apparse per la prima volta con il nome di tontine dal nome del banchiere che le ideò
intorno al 1650. Si trattava di associazioni costituite per facilitare le sottoscrizioni ai
prestiti pubblici ed erano composte da chi sottoscriveva le emissioni stesse. Questi
ultimi erano suddivisi in 10 classi, in base all’età e ad ognuno di loro spettava una
rendita annua di importo direttamente proporzionale alla classe di appartenenza. Alla
morte di un creditore, gli interessi della rendita a lui destinata venivano spartiti tra i
superstiti e, così facendo, la quota pro capite era sempre maggiore in seguito al
decesso di un certo numero di componenti la classe; quando anche l’ultimo superstite
moriva, lo Stato si trovava totalmente svincolato da ogni obbligazione. Questo sistema
fu adottato in Francia per le emissioni di debito pubblico del 1689 e del 1696, ma
cadde presto in disuso sia per il fatto che sembrava ingiusto che i superstiti di una
classe lucrassero sulla morte di un loro pari, sia perché la crescita dell’industria privata
delle assicurazioni propose la suddivisione del contributo in tanti premi annuali nonché
il pagamento di una somma fissa indipendente dal numero dei decessi.
L’eco del movimento assicurativo si fece sentire anche in Italia dove, a partire dal
1825, iniziò ad operare a Milano una compagnia di assicurazione contro il danno da
incendio, sulla vita dell’uomo e per le rendite vitalizie; a questa seguirono altre
compagnie in Piemonte e a Napoli. Nel capoluogo piemontese, infatti, furono fondate la
“Società reale di assicurazione generale e reciproca contro gli incendi” e il “Toro”, noto
anche come “Compagnia anonima a premio fisso di assicurazione contro i danni da
incendio”; nel 1831, poi, a Trieste nacquero le “Assicurazioni Generali” e, sette anni più
tardi, la “Riunione Adriatica di Sicurtà”.
3
In un locale gestito da un certo Edward Lloyd veniva esposto una specie di bollettino, il “Lloyd’s
News”, in cui venivano riportati gli arrivi e le partenze delle navi, i loro carichi, i prezzi delle merci e
varie altre notizie che potevano interessare gli avventori. In questo modo il locale iniziò a essere
considerato un’importante sede di contrattazioni, diventando un luogo in cui, principalmente, venivano
stipulate assicurazioni. Nel 1760, poi, tutti gli assicuratori che frequentavano il locale decisero di riunirsi
in associazione che, a partire dal 1871, si vide riconoscere la personalità giuridica. Il Llloyd’s, in quanto
tale, non emette polizze, ma le emettono i membri della corporazione, singolarmente o associati;
eccetto i rischi sulla vita a lungo termine e di garanzia finanziaria, questa associazione tratta ogni altro
tipo di assicurazione che presenti un certo grado di importanza o che si presenta con un rischio tale da
dover essere suddiviso tra più compagnie.
4. Anni successivi al 1850
Da questo momento, l’istituto dell’assicurazione perfeziona le sue caratteristiche di
industria autonoma e arriva ad assumere un carattere internazionale; grazie al
progresso della civiltà, infatti, nelle diverse attività si era assistito all’introduzione di una
serie di macchine che, pur aiutando l’uomo nello svolgimento delle sue mansioni, ne
aumentavano i rischi cui poteva essere esposto. A fronte di questa realtà, le
assicurazioni estesero i pochi rami di interesse a nuove forme di garanzia e di
previdenza, ricorrendo sempre di più a indagini e studi statistici relativi a fatti e
fenomeni collettivi. Le compagnie già operanti trassero un notevole vantaggio da
queste nuove possibilità, ma dovettero ben presto scontrarsi con la nascita di nuove
realtà che sfruttarono l’occasione per inserirsi in questo mercato. Nel 1879, infatti, a
Firenze viene costituita “LA Fondiaria” e dieci anni più tardi, a Milano, nasce la “Società
Cooperativa Italiana Incendi”.
In questa “4^ epoca” delle assicurazioni, riveste una particolare importanza lo
sviluppo delle cosiddette assicurazioni sociali nate in seguito a provvedimenti emanati
per proteggere dai casi di mancanza o di incapacità chi aveva nel lavoro la principale,
se non unica, fonte di reddito. In particolare, questo tipo di contratto era volto a
garantire i lavoratori contro gli infortuni sul lavoro o a far fronte ad un’eventuale
disoccupazione e trovarono vasta applicazione soprattutto a partire dal 1919, anno in
cui una legge le rese, di fatto, obbligatorie. Queste attenzioni verso gli operai, fino a
questo momento, erano state adottate in modo sporadico nelle diverse realtà aziendali
e per lo più a fini filantropici, non supportati da una reale consapevolezza della loro
importanza.
Sempre in questa fase di storia, poi, grande importanza ha avuto la creazione, nel
1883, della “Cassa Nazionale Infortuni” ad opera di Luigi Luzzatti. Le operazioni di
questo istituto iniziarono nel Luglio 1884, ma fu solo in seguito al perfezionarsi delle
teorie sul rischio professionale e con l’approvazione di alcune leggi per l’assicurazione
obbligatoria contro gli infortuni che subirono un forte incremento. Nel 1912, poi, la
fondazione dell’”Istituto Nazionale delle Assicurazioni”, meglio conosciuto come “INA”,
sancisce la decisione presa dal Parlamento italiano di dare carattere di monopolio
pubblico a certi rami assicurativi già molto diffusi in Italia. In particolare, con la legge “4
Aprile 1912, n.305” si stabiliva che tutte le assicurazioni sulla vita dovevano essere
gestite unicamente dall’INA che aveva personalità giuridica ed era gestita in modo
totalmente autonomo. Si imponeva, poi, che le polizze dell’Istituto non potessero
essere pignorate né sequestrate, ma, allo stesso tempo, venivano considerate valide
tutte quelle emesse da istituti privati prima della promulgazione della legge. Su
richiesta delle imprese assicurative nazionali ed estere, inoltre, l’Istituto era autorizzato
ad accettare la cessione dei loro portafogli per il complesso dei contratti vita stipulati
nel Regno nel periodo antecedente al 31/12/1911. La stessa legge, infine, autorizzava
le imprese già operanti nel periodo antecedente al 31/12/1911 a continuare la loro
attività per un periodo non superiore ai 10 anni a partire dal 90° giorno di emanazione
della disposizione; ben 11 compagnie si avvalsero di questa facoltà. Allo scoppiare
della 1^ guerra mondiale, l’INA ebbe un ruolo fondamentale nel supportare lo Stato
nelle sue imprese belliche; nell’Aprile del ’23, poi, avrebbe dovuto iniziare ad operare
nel regime di monopolio fissato dalla legge, ma, di fatto, questo non accadde mai. Con
il D.L. 29/04/1923, infatti, veniva abolito il monopolio delle assicurazioni vita e le
imprese private venivano ammesse all’esercizio di tali garanzia. Questi istituti avevano
l’obbligo di cedere all’INA una parte delle quote di rischio assunto e l’Istituto stesso
veniva, così, ad assumere il ruolo di regolatore del mercato assicurativo italiano.
1.2 COMPAGNIE ASSICURATIVE E COMUNICAZIONE
Le Compagnie assicurative sono gli enti preposti a proporre e gestire i contratti di
assicurazione e si dividono in due categorie: pubbliche e private; le prime, in
particolare, svolgono un’importante azione di tutela e prevenzione della persona
attraverso un sistema di assicurazioni obbligatorie rivolte a grandi categorie di
lavoratori. In genere sono gestite da istituti di diritto pubblico e sono controllate dallo
Stato che provvede a fissare le aliquote dei contributi dovuti da assicurati e datori di
lavoro, a indicare campi e modalità di applicazione delle assicurazioni
4
.
A partire dagli anni ’80 le imprese di assicurazione hanno subito una vera e propria
esplosione che le ha viste costrette a cambiare le modalità di gestione e offerta dei
contratti tradizionali a cui, però, sono stati affiancati sempre di più altri tipi di polizze.
Questo fenomeno è spiegato dal fatto che, proprio in quel periodo, si era assistito ad
un notevole aumento del benessere nella vita quotidiana il che, come scomoda
conseguenza, aveva portato ad un forte incremento delle situazioni “a rischio”. In
quegli anni si iniziava a lavorare di più e, soprattutto, lo stile di vita iniziava a farsi
sempre più frenetico e proprio questo radicale cambiamento nelle abitudini quotidiane
aveva accresciuto il senso di incertezza e insicurezza che sta alla base dell’agire
4
Tra questi istituti troviamo INPS (l’Istituto Nazionale per la Previdenza Sociale, il più grande ente
previdenziale italiano che assicura la quasi totalità dei lavoratori dipendenti del settore privato ed alcuni
del settore pubblico, così come la maggior parte dei lavoratori autonomi) e l’INAIL (Istituto Nazionale
Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro che assicura i lavoratori dai rischi di infortunio ormai dal
1898, quando una legge ha introdotto l’obbligatorietà di tale copertura).
umano
5
. All’aumento dell’attività lavorativa e, quindi, dei guadagni, l’individuo si è
trovato, da un lato ad avere più denaro da investire in settori che, prima, non avrebbe
considerato, dall’altro a disporre di una serie di beni da preservare nel tempo.
E’ importante sottolineare che la crescita esponenziale del settore assicurativo non
è derivata soltanto da questi cambiamenti sociali: proprio in quello stesso periodo,
infatti, lo Stato, attraverso una serie di leggi, aveva reso obbligatorie alcune coperture
assicurative ed è stata più probabilmente questa la “molla” che ha fatto scattare il
mercato, favorendo la nascita di nuove, piccole realtà assicurative accanto ai colossi
storici.
La coesistenza tra realtà così differenti è tuttora in atto,ma i dati dicono che la
concentrazione dell’offerta ha un tasso ancora piuttosto elevato: pur essendo aperto e
privo di barriere all’entrata
6
, il mercato assicurativo è spartito tra poche compagnie, per
lo più di grandi dimensioni. Qualunque sia la posizione occupata da una certa
compagnia all’interno di questo scenario, comunque, ognuna di loro pianifica il proprio
operato sulla base di una compagnia di riferimento,con obiettivi importanti quali “non
soccombere”, “acquisire e mantenere clienti”, essere in grado di “ricollocarsi” nel
momento in cui si trova ad affrontare un periodo di crisi.
Alla base di questa “lotta per la sopravvivenza” entrano in gioco le cosiddette
strategie di marketing, tecniche di pianificazione aziendale adottate in tutti i settori e
opportunamente adattate al particolare mercato di riferimento. Le assicurazioni, infatti,
rientrano nel cosiddetto “mercato dei servizi”, in cui a essere venduto non è un prodotto
fisicamente identificato, ma un’azione, qualcosa che viene prodotto e offerto al
consumatore per la sua funzione intrinseca. Un contratto di assicurazione, ad esempio,
offre ad un potenziale cliente la garanzia di una tutela costante e puntuale nelle diverse
fasi della sua vita, sia lavorativa che familiare; pur risultando molto allettante, la
concretizzazione di queste garanzie è difficile da ottenere a causa di una serie di fattori
che caratterizzano i cosiddetti servizi
7
. Prima di tutto, si tratta di beni intangibili e
questo è il primo elemento difficoltà sia per chi vende, che non sa come modellare
5
Secondo lo psicologo Abraham Maslow (Motivation and personality, 1970) tutte le azioni umane sono
mosse dalla volontà di colmare una carenza e di soddisfare un bisogno. Questi ultimi si dividono in
primari, secondari e di autorealizzazione e se trascurati o non del tutto appagati possono portare ad un
forte senso di disagio che, a detta dello studioso, può sfociare anche nella malattia. Uno dei bisogni
primari degli individui è dato dal senso di protezione e sicurezza, ricercato in ogni momento tanto nelle
azioni individuali quanto nella vita di gruppo; aumentando le situazioni di rischio e diventando sempre
più difficile affrontare da soli nuovi ostacoli, chiedere aiuto a chi della sicurezza delle persone aveva
fatto la sua missione è sembrato, forse, l’unica via di scampo e l’unico mezzo per ritrovare la serenità
perduta.
6
Le barriere all’entrata sono le modalità attraverso cui si rende difficile l’accesso di nuovi produttori nel
settore di riferimento e che condizionano sensibilmente le strategie aziendali.
7
La descrizione che segue è tratta da “Cherubini, Il Marketing dei servizi, Franco Angeli, 1985”.
l’offerta, sia per l’utente, che non riesce ad identificare in modo completo e corretto la
proposta. Non è, infatti, possibile ricondurre un servizio a qualcosa di osservabile e
questo non fa che creare un senso di disorientamento in chi intende avvalersi di una
certa prestazione; nel caso del mercato assicurativo, ad esempio, ci si potrebbe
chiedere cos’è un’assicurazione e cosa un assicurato acquista realmente, ma la
risposta a questa domanda non sarà né immediata né uguale per tutti.
L’immaterialità di un servizio porta con sé altre importanti caratteristiche quali, ad
esempio, la deperibilità, ossia l’impossibilità di immagazzinamento, e l’impossibilità di
trasporto; se, però, la prima non fa che aumentare il disorientamento individuale, la
seconda facilita profondamente il compito dei responsabili del marketing che non
dovranno scontrarsi con la difficile gestione della logistica, ma che, comunque,
dovranno scegliere con estrema attenzione la localizzazione degli impianti produttivi.
Un altro aspetto positivo dato dall’intangibilità del bene è la possibilità di pianificare
strategie di comunicazione mirate a catturare l’attenzione dei potenziali clienti,
attraverso suggestioni o stimolazioni che spingono ad acquistare quel particolare
prodotto proprio per soddisfare la curiosità indotta dal messaggio. Questo approccio,
però, il più delle volte è scelto soprattutto per sopperire alla difficoltà di ostentazione di
un servizio, all’impossibilità, cioè, di soddisfare eventuali esigenze di status o di
qualificazione sociale da parte di chi lo acquista. Dimostrare di possedere un certo
oggetto o tenere un certo comportamento testimonia, infatti, l’appartenenza a un certo
gruppo sociale e può aiutare ad essere accettati dal proprio ambiente di riferimento:
ecco perché non è facile convincere una persona dell’indispensabilità di una polizza
assicurativa che non può essere né quantificata né mostrata e, soprattutto, difficilmente
compresa da chi non ne sente l’esigenza.
Altri elementi che intervengono a complicare le cose sono: l’interazione produttore-
consumatore, derivante dal fatto che, spesso, un servizio può essere espletato solo
con la simultanea presenza di questi due attori; la difficoltà di standardizzazione che
non consente di impostare linee di produzione ben definite e controllabili; la varietà di
forma nella valorizzazione, ossia l’impossibilità di riferirsi soltanto al prezzo per favorire
la vendita di un certo prodotto. Non sempre, infatti, è facile convincere un potenziale
acquirente del fatto che ad un certo sacrificio economico corrisponderà l’erogazione
puntuale e garantita del servizio stesso e questa difficoltà dipende, ancora una volta,
dall’immaterialità dell’acquisto proposto. Forse è proprio questo fattore a favorire una
certa frequenza nel contatto fisico tra fornitore del servizio e utenti con la conseguenza
che, spesso, i clienti finiscono per identificare il bene acquistato con la persona che lo
fornisce. Per poter essere accettati da una fetta sempre maggiore di utenti, poi, le
imprese devono tenere conto della valutazione prevalentemente soggettiva di un
bene-servizio che impone la capacità di acquisire e mantenere i clienti attraverso
un’azione di sensibilizzazione costante piuttosto che con un’imposizione del prodotto.
Un’ultima caratteristica da non sottovalutare sta nella regolamentazione cui i servizi
sono sottoposti: questo settore, infatti, ha regole molto più rigide di quello dei prodotti,
fatto che risulta evidente nel caso di servizi pubblici o in concessione. In questi ambiti
la normativa limita in modo rilevante tanto l’autonomia dell’esercente, fissandone, ad
esempio, orari e modalità di servizio, quanto quella dell’utente, con una scelta limitata
dalle condizioni di monopolio in cui gli esercenti si trovano ad operare.
Tenendo ben presenti le caratteristiche appena descritte, è possibile comprendere
come le compagnie assicurative non possono limitarsi ad applicare le regole base del
marketing, ma devono adattarle alla situazione particolare in cui si trovano ad operare.
Per questo motivo, il processo del marketing assicurativo risulta piuttosto complesso e
può essere rappresentato attraverso uno schema altrettanto complesso:
Fig. 1 – Il sistema del marketing delle assicurazioni (Fonte:
Eminente&Cherubini SaS).
Come si può notare, l’intera azione scaturisce dall’effetto prodotto nella compagnia
dall’analisi dei cosiddetti fattori di input, composti, in linea generale, dalle diverse
influenze esercitate sul mercato da una specifica compagnia e attraverso una specifica
azione di marketing e dipendono dal modo in cui il mercato stesso accetta o respinge
quest’azione. Nello schema, in particolare, l’input è costituito da un insieme di decisioni
(strategia di compagnia, strategia di marketing, marketing mix) che, combinate
opportunamente tra loro, costituiscono uno stimolo per il mercato di riferimento e
influenzano il processo di accettazione o rifiuto da parte del consumatore. Da questa
interazione, nasce un output, un risultato visibile e quantificabile che, nel caso delle
compagnie assicurative, è costituito dal consuntivo relativo a premi, polizze e altro. Ma
l’azione di marketing non si esaurisce in questo momento: analizza i risultati raggiunti e
raccoglie una serie di informazioni utili per le successive scelte della compagnia. Solo
una valutazione oggettiva dei risultati raggiunti da una compagnia può far capire dove
è necessario o possibile effettuare correzioni strategiche e solo così si può capire in
che modo orientare le future decisioni di input. Nello schema questo importante
elemento è indicato come informazioni interne e indica il feedback che, attraverso una
continuità nelle azioni di marketing della compagnia, contribuisce ad ampliare le
possibilità di scelta nelle azioni da intraprendere.
Per formulare le strategie di input i responsabili del marketing partono da uno
schema molto simile a quello proposto e lo analizzano attraverso stadi successivi di
disaggregazione:
1. scenario: per prima cosa si analizzano i generici fattori ambientali, esterni
all’organizzazione, ma in grado di influenzarne l’operato. Sono riconducibili a
quattro dimensioni principali (economica, socio-demografica, tecnologica e
politico-normativa) e possono influenzare la strategia di una compagnia
creando una serie di instabilità o di turbolenze;
2. settore assicurativo: nello schema riportato questa dimensione è
rappresentata da tutti i fattori che appaiono racchiusi in un quadrato; la loro
importanza è fondamentale per rilevare oil peso e il ruolo della compagnia in
relazione alle altre. Sempre in quest’ambito, poi, la compagnia riesce ad
individuare l’area o le aree di affari in cui le risulta più conveniente operare;
3. segmenti di domanda e concorrenza: questa componente prende in
considerazione le scelte strategiche fatte in relazione alla segmentazione della
domanda e al posizionamento concorrenziale. Nel primo caso si suddivide il
mercato in diversi gruppi omogenei di clienti e ognuno di questi viene indicato
come target da raggiungere. Con le scelte relative alla seconda indicazione, i
responsabili del marketing analizzano i diversi beni offerti dal settore e si
valuta il ruolo specifico coperto dalla compagnia di riferimento in questa
azione;
4. consumatore finale: quello di cui è indispensabile tenere conto è il
comportamento d’acquisto di un potenziale cliente, dove con questa
espressione si intende il processo con cui un individuo passa dalla percezione
di un bisogno all’acquisto e uso di un bene. Questo iter può essere influenzato
da molteplici fattori che non possono essere trascurati dagli analisti:
ξ fattori ambientali, su cui la compagnia non può agire in nessun modo
ma che deve analizzare e saper riconoscere;
ξ fattori accidentali che sfuggono totalmente al controllo degli analisti;
ξ fattori di marketing, gli unici su cui la compagnia ha una certa
discrezionalità e che derivano dall’attuazione di una serie di scelte
specifiche.
Dopo aver analizzato tutti questi elementi, i responsabili del marketing passano alla
pianificazione delle “strategie di marketing” che non solo devono scaturire da un’attenta
analisi del mercato, ma devono anche essere coerenti con le più ampie strategie
aziendali. Meglio conosciute come “strategie di compagnia”, queste ultime consistono
in una serie di decisioni che consentono alla compagnia di passare da una certa
situazione di equilibrio ad un’altra, guidano la crescita dell’azienda fissando obiettivi di
medio e lungo periodo. Data la forte interconnessione tra queste differenti strategie,
l’attuazione di quelle più ampie e generali determina le modalità con cui applicare
quelle più specifiche, note anche con il nome di “marketing mix”. Queste sono
composte da diversi fattori, ossia prodotto, prezzo, pubblicità/promozione e canali di
distribuzione, ma di questi elementi si parlerà in modo più approfondito nel seguito.
Tornando allo schema proposto, si è detto che l’output dell’intero processo è
rappresentato dai cosiddetti risultati operativi, dalla sommatoria dei volumi di vendita
registrati a livello dei singoli clienti; l’azione del marketing mix colpisce ogni
cliente/consumatore che, da parte sua, può attraversare tutte le fasi del già citato
processo d’acquisto o percorrere solo una parte del percorso:
Fig. 2 – Comportamento d’acquisto e risultati operativi (Fonte:
Eminente e Cherubini).
Come si può notare, non tutti i potenziali clienti arriveranno all’acquisto, ma bisogna
considerare la possibilità che alcuni componenti del target si fermino a fasi intermedie
(indicate dalla freccia con scelta “no”). I risultati operativi veri e propri, quelli che
contribuiscono ad aumentare il fatturato dell’azienda sono rappresentati dalle fasi di
sottoscrizione o di rinnovo e sono proprio questi elementi che, aggregati ad analoghi
comportamenti di altri consumatori, influenzeranno aspetti quali la quota di mercato,
l’immagine e i profitti di una certa compagnia.
L’importanza dei risultati raggiunti sta anche nella grande quantità di informazioni
veicolate alla compagnia che potrà così formulare nuove strategie o riformulare quelle
già pianificate per meglio adattarle al target da raggiungere. Il flusso informativo arriva
alla compagnia attraverso ricerche di marketing che possono essere commissionate
dalla compagnia stessa o effettuate da istituti specializzati.
1.2.1 Destinatari
Queste, comunque, non sono altro che le regole generali seguite dai responsabili
del marketing di una qualsiasi compagnia che, come si è detto, deve analizzare tutte le
dimensioni del mercato, tenendo, però come punto di riferimento le reali esigenze dei
consumatori. Il cliente, infatti, deve essere il punto di partenza di qualsiasi azione
intrapresa e nessuna decisione può essere corretta se questo importante elemento
viene trascurato. Questa particolare attenzione deriva, in parte dalle caratteristiche
intrinseche dei servizi di cui si è discusso in precedenza, in parte dal comportamento
dell’assicurato che risulta essere piuttosto complesso e notevolmente diversificato a
seconda degli individui.
Se, ad esempio, una persona usufruisce soltanto dei servizi standard od obbligatori
offerti da una certa compagnia, l’analisi del suo comportamento evidenzierà molto
spesso una certa “volontà di riscatto”, si avrà, cioè, l’impressione che l’assicurato
voglia rifarsi in ogni momento della spesa della polizza, mantenendo un
comportamento disonesto e che gioca a suo totale vantaggio. Da questo piccolo
esempio si può facilmente comprendere come il pubblico di riferimento di
un’assicurazione sia piuttosto eterogeneo e che se può essere suddiviso in:
1. utenti spontanei: persone che, oltre ad aver raggiunto un soddisfacente
standard di vita, possiedono una cultura e una maturità di pensiero tali da far
comprendere loro la necessità delle assicurazioni non obbligatorie;
2. utenti “previdenti”: clienti che stipulano polizze non obbligatorie con la sola
speranza di non doversene mai avvalere;