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Capitolo Secondo: Le emozioni durante la pandemia da Covid-19 nel
contesto lavorativo
2.1. Inquadramento teorico sulle emozioni
In questo paragrafo si inquadrerà, dal punto di vista teorico, il tema delle emozioni. Nel
corso del primo sotto-paragrafo verrà esposto, a titolo introduttivo, il conflitto tra ragione e
passione che ha dominato per secoli, con lo scopo di far comprendere, da un lato,
l’evoluzione del concetto di emozione nella storia, dalla filosofia antica all’epoca
contemporanea, e dall’altro, di evidenziare la difficoltà nel trattare un tema così complesso.
Le emozioni rappresentano, infatti, una sfida per l’uomo e per il ricercatore in quanto sono
prive di una consistenza empirica direttamente osservabile. In seguito, nel secondo sotto-
paragrafo, si proverà a definire il concetto di emozione attraverso l’analisi delle principali
teorie formulate all’interno della letteratura psicologica.
2.1.1. Ragione o passione: dalla filosofia alla neurobiologia contemporanea
Il rapporto tra ragione e passione è stato al centro del dibattito filosofico per secoli. La
filosofia, in genere, ha contrapposto la razionalità alle emozioni come due ambiti distinti
dell’animo umano e ha prospettato un ideale di controllo razionale dell’emotività. Fin
dall’antichità le emozioni, denominate “passioni”, traduzione del termine greco πάϑος
(pathos) che significa “sofferenza”, sono state fonte di studio ed interesse da parte dei
filosofi. Esse erano ritenute importanti manifestazioni della psiche umana, ma venivano
considerate come forze interne irrazionali e istintive in contrapposizione alla ragione. Nel
noto mito della biga alata, narrato nel “Fedro” di Platone, l’anima umana è immaginata come
una biga trainata da un auriga, che simboleggia la ragione moderatrice, e due cavalli
(Andolfi, 2016). Dei due cavalli, uno, quello di colore bianco, tende verso le altezze
dell’iperuranio e rappresenta i sentimenti spirituali legati alla ragione; l’altro, di colore nero,
simboleggia la parte irrazionale delle passioni del corpo che si ribella alla guida della ragione
e persegue la soddisfazione delle pulsioni, dirigendosi verso il mondo sensibile (Andolfi).
Le passioni sono l’elemento che muove il carro, mentre, la ragione, ha il compito di
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governare la corsa verso il mondo delle idee: il cavallo nero viene così spinto a controllare
la propria dimensione affettiva, dominata dagli impulsi e dalla illogicità, e ad attuare, di
conseguenza, un processo auto-educativo di acquisizione di una capacità di analisi e
controllo su se stesso (Andolfi, 2016). Dunque, nella visione di Platone, emerge l’immagine
dell’uomo come di un organismo complesso all’interno del quale convivono tendenze
“irascibili” discordanti che esigono un adeguato governo, ma, allo stesso tempo,
rappresentano l’aiuto necessario per agire.
Lo stoicismo presenta un pensiero più radicale. Parte integrante della sua etica è, infatti,
la negazione totale del valore dell’emozione, che viene considerata al pari di una “malattia”
che colpisce unicamente lo “stolto” (Abbagnano e Fornero, 2012). Il sapiente è infatti colui
che, vivendo secondo ragione, pratica l’apatia, ovvero l’indifferenza nei confronti di ogni
emozione.
Andando avanti nel tempo, il filosofo che ha fatto del conflitto tra ragione e passione il
punto centrale del suo pensiero è Cartesio, iniziatore della filosofia moderna. Egli stabilisce
un rigoroso dualismo tra anima e corpo, distinguendo la res cogitans, ovvero la sostanza
pensante, dalla res extensa, ovvero la sostanza estesa e corporea: è il cosiddetto “dualismo
cartesiano” che si riflette nell’enunciato “cogito ergo sum” (penso dunque sono) (Abbagnano
e Fornero, 2015).Tale suddivisione, tuttavia, pone il filosofo di fronte al problema delle
passioni, nelle quali anima e corpo sembrano interagire tra di loro; il quesito viene risolto
grazie alla teoria della ghiandola pineale, concepita come la sola parte del cervello in grado
di unificare le sensazioni che provengono dagli organi di senso. Inoltre, recuperando il
precetto stoico, ritiene che l’uomo si debba lasciare condurre unicamente dalla propria
ragione e non si debba far dominare dalle emozioni (Abbagnano e Fornero, 2015). Nel libro
“Le passioni dell’anima” le emozioni, chiamate “affezioni”, vengono definite da Cartesio
come delle modificazioni involontarie causate da forze meccaniche che agiscono nel corpo
e la cui funzione è quella di orientare l’anima verso azioni volte a conservarlo. Le emozioni
principali, infatti, secondo il filosofo, sono la tristezza e la gioia in quanto permettono di
adempiere a tale funzione: la prima avverte l’anima delle cose che danneggiano il corpo,
inducendola a provare odio nei confronti di queste; la seconda, invece, la avverte delle cose
utili al corpo, suscitando amore verso queste (Abbagnano e Fornero, 2015). Nella visione di
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Cartesio, pertanto, le emozioni non sono viste come un qualcosa di “nocivo” perché esse
hanno il compito di indicare all’uomo il bene e il male, tuttavia, la loro peculiarità, è quella
di ingigantire e distorcere ogni cosa come una lente di ingrandimento e, per questo, è
necessario un loro dominio grazie alla ragione, che rende l’uomo libero, saggio e padrone
della sua volontà (Abbagnano e Fornero, 2015).
Il primo a mettere in discussione il dualismo cartesiano e, in generale, il dibattito tra
ragione e sentimento è stato Darwin (1982) che nel libro “L’espressione delle emozioni
nell’uomo e negli animali”, risolve il tema della razionalità o irrazionalità delle emozioni,
aprendo il dibattito psicologico sull’argomento e aiutando la diffusione del termine
scientifico di emozione. Nella teoria dell’evoluzione egli introduce, infatti, un radicale
cambiamento di prospettiva affermando che le emozioni sono funzionali alla sopravvivenza
della specie e possiedono uno scopo adattivo.
Il conflitto, successivamente, è stato obiettato in maniera evidente dalla neurobiologia
contemporanea. Antonio Damasio, importante neurologo e psicologo portoghese, nel libro
“Errore di Cartesio” alla luce dei suoi studi condotti su pazienti neurologici colpiti da deficit
cognitivi, propone la tesi secondo la quale ragione ed emozioni lavorino insieme e che queste
contribuiscano al pensiero razionale (Damasio, 1994). Egli prende in analisi il celebre caso
di Phineas Gage, operaio statunitense che nell’estate del 1848, subì un importante incidente
mentre lavorava, con conseguente lesione della corteccia prefrontale del cervello. In seguito
all’accaduto il giovane, guarito miracolosamente, cambiò improvvisamente atteggiamento
manifestando difetti del comportamento sociale e della capacità di decisione. Non c’è
dubbio, pertanto, che sia stata la lesione cerebrale a portare a tale cambiamento, ma questa
spiegazione, come afferma Damasio, è diventata accettabile due decenni dopo
l’avvenimento: era difficile accettare ai tempi, infatti, che qualcosa vicino all’anima umana,
come il giudizio morale, potesse dipendere da una zona del cervello. Il neurologo analizza
anche altri casi clinici, come il caso di Elliot (pseudonimo) rimanendo sbalordito dagli effetti
che poteva produrre un danno all’area prefrontale del cervello. Elliot, riportando brevemente
il caso clinico, a causa di un grave tumore al cervello, un meningioma, che gli aveva
provocato danni nelle cortecce prefrontali, aveva subito un cambiamento radicale della
personalità, pur rimanendo intatte le sue abilità intellettive. Egli, in particolare, aveva perso
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la capacità di provare e sentire le emozioni (menomazione del sentimento), unito ad una forte
incapacità nel prendere decisioni (menomazione della ragione): Damasio ipotizza che le due
cose potessero essere collegate, ovvero che la freddezza del ragionare non gli permettesse di
decidere in modo adeguato, arrivando alla conclusione che lesioni nella regione delle
cortecce prefrontali ventromediane compromettano sia il ragionamento che l’emozione,
soprattutto nel dominio personale e sociale. Osservando i danni cerebrali di altri pazienti,
scopre anche una regione del cervello, la corteccia anteriore del giro del cingolo, in cui i
sistemi dell’emozione e quelli dell’attenzione e della memoria interagiscono a tal punto da
consentire sia l’azione esterna (movimento) che interna (ragionamento): una lesione in
quest’area provoca infatti menomazioni del movimento, dell’emozione, dell’attenzione e dei
processi di pensiero. Damasio, pertanto, dai risultati delle sue ricerche neuroscientifiche,
delle quali in questo documento si è riportato solo un estratto, suggerisce una stretta
corrispondenza tra emozione e ragione proprio a livello delle strutture cerebrali, mettendo
totalmente in discussione il pensiero di Cartesio e rivoluzionando così il concetto stesso di
emozione. Egli, inoltre, ritiene necessario, per comprendere a fondo la mente umana, avere
una visione integrata e rendersi conto della vulnerabilità e fragilità dell’essere umano,
accettandola:
La mente umana non solo deve muovere da un “cogito” non fisico al regno dei tessuti
biologici, ma deve anche essere correlata con un organismo intero, in possesso di un cervello e di
un corpo integrati e in piena interazione con un ambiente fisico e sociale. [ … ] Forse la cosa davvero
indispensabile che noi umani possiamo fare è ricordare a noi stessi e agli altri, ogni giorno, la nostra
complessità, fragilità, finitezza e unicità (Damasio, 1994, p.339).
2.1.2. Che cosa sono le emozioni: definizioni e teorie
Nella storia della psicologia non si è ancora giunti ad una definizione unitaria di emozione
che metta d’accordo i vari studiosi dell’argomento, è infatti un fenomeno complesso che
viene studiato anche da altre discipline, come la sociologia, la biologia e le neuroscienze.
Fehr e Russel (1984, 464) affermano: “Tutti sanno che cos’è un’emozione, fino a che non si
chiede loro di definirla”.
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Data la difficoltà nell’inquadrare il fenomeno, si partirà dal definire cosa non è
un’emozione, distinguendo i fenomeni che sono concettualmente simili.
Partendo dallo stato d’animo o umore, esso è caratterizzato da una bassa intensità e una
durata elevata, ha una modesta attivazione psicofisica ed è privo di una specifica
motivazione all’azione. Si può definire come un tratto emotivo più o meno stabile, frutto del
nostro temperamento e della nostra personalità e non relativo a una causa contestuale.
Il sentimento, invece, è un fenomeno più stabile che presenta sempre un oggetto ben
definito, infatti, si prova sempre un sentimento nei confronti di qualcuno o qualcosa.
Infine, l’affetto è un termine più generico in quanto definisce lo stato affettivo
dell’esperienza emotiva e la valenza positiva o negativa che le si attribuisce.
Chiarito questo, ci si deve addentrare nel cercare di definire il concetto di emozione. Per
prima cosa, le emozioni, al contrario degli altri fenomeni descritti, sono uno stato affettivo
intenso e di breve durata. Quando si prova un’emozione si ha come la sensazione di essere
mossi da qualcosa di proveniente dal nostro interno, tale percezione richiama anche
l’etimologia del termine, che deriva dal latino “emotus” e significa letteralmente “mosso”.
Un contributo importante nel cercare di definire il fenomeno proviene da Kleinginna e
Keleinginna (citati da Magro e Muffolini, 2011) i quali, raggruppando elementi comuni di
centinaia di altre definizioni, affermano che l’emozione è un insieme complesso di
interazioni fra fattori oggettivi e soggettivi, mediati da fattori neurali-ormonali, che può
suscitare esperienze affettive (eccitazione, piacere, dispiacere), generare processi cognitivi
(effetti percettivi, valutazioni, processi di etichettamento), attivare adattamenti fisiologici
diffusi e condurre a un comportamento che spesso è diretto ad uno scopo adattivo.
Secondo Magro e Muffolini la maggior parte delle attuali teorie sulle emozioni le
definiscono in termini di un processo che ha un decorso temporale più o meno lungo ed è
articolato in più componenti. Si può pertanto affermare, in linea generale, che le emozioni
non corrispondano, come si riteneva in passato, ad una esperienza disorganizzante
unicamente a base biologica, bensì ad un’esperienza multidimensionale, complessa, e
processuale avente una forte funzione cognitivo-affettiva e di mediazione nel rapporto tra
organismo e ambiente. Si parla quindi di natura multisistemica delle emozioni: tra le
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componenti si ritrovano l’elaborazione cognitiva, la motivazione, il comportamento, le
risposte fisiologiche e il vissuto soggettivo (Camaioni e Di Blasio, 2002).
L’emozione quindi attiva, da un lato, reazioni a livello fisiologico, mettendo in gioco il
sistema nervoso centrale e autonomo che sono responsabili di specifiche reazioni corporee
connesse alla manifestazione dello stato emotivo, ma anche il sistema endocrino che ha il
compito di regolare i livelli di stress e ansia, oltre che attivare il sistema nervoso centrale
(Camaioni e Di Blasio, 2002). A queste modificazioni si accompagna anche una dimensione
cognitiva che media il rapporto con l’ambiente e valuta gli eventi che accadono dandogli un
significato. Numerose sono le ricerche e teorie che indagano tale prospettiva: Lazarus (citato
da Magro e Muffolini), per esempio, nel 1982 ha sostenuto l’importanza della valutazione
cognitiva nel determinare l’esperienza emozionale, ritenendo che fosse necessario e
sufficiente il pensiero affinché comparisse un’emozione È presente anche un livello
motivazionale di regolazione emotiva che orienta all’azione e modifica il comportamento in
base ai desideri dell’individuo. Inoltre, ogni emozione ha un livello espressivo e
comunicativo che si esprime nelle manifestazioni non verbali, come i movimenti corporei,
il tono della voce e le espressioni facciali (Camaioni e Di Blasio). Darwin (citato da Magro
e Muffolini) è stato colui che ha studiato tale legame mettendo in evidenza, grazie ai suoi
studi, che le espressioni facciali delle emozioni sono innate e non apprese. Egli era giunto a
tali conclusioni osservando che le stesse comparivano in forma simile nei primati, erano
uguali e presenti fin dai primi mesi di vita in persone cieche dalla nascita, erano simili in
diverse culture ed etnie e si presentavano nei neonati nella stessa forma osservata per gli
adulti. Paul Ekman (citato da Magro e Muffolini), riprendendo gli studi di Darwin e
compiendo numerose ricerche, propose la teoria “neuroculturale”, di ispirazione innatista e
universalista. Egli affermò l’universalità delle emozioni, anche se non trascurò l’evidente
influenza culturale che secondo lui aumenterebbe o neutralizzerebbe le stesse. Propose un
sistema di classificazione che suddivideva le emozioni in primarie o fondamentali, comuni
a tutti gli esseri umani (sorpresa, gioia, ira, paura, tristezza e disgusto), e secondarie o
complesse, derivanti da quelle primarie e strettamente determinate dalla situazione stimolo
e dalla relazione individuo-situazione. Nonostante questa teoria abbia permesso di aprire il
campo del naturale a quello culturale, presenta dei limiti, in quanto, prendendo in
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considerazione le sole espressioni facciali, non considera il complesso universo emozionale
(Velardi, 2020). Kelter e Cordaro (citati da Velardi) recentemente affermano, infatti, che
l’enfasi sul facciale ha sacrificato molte emozioni: ad esempio, l’amore, la noia e la vergogna
non possono essere osservate guardando unicamente il viso. L’ipotesi innatista è stata,
dunque, messa in discussione sia a livello metodologico che di contenuto.
Infine, le emozioni presentano una dimensione sociale, essendo fortemente influenzate
dal contesto, e non manifestandosi mai in maniera casuale o senza una ragione. Si può dire,
infatti, che le principali sorgenti delle risposte emozionali siano proprio le relazioni
interpersonali che si sperimentano, ricordano o pensano.
L’evento emotigeno, dunque, assume significati diversi in rapporto alla valutazione
soggettiva e intersoggettiva che gli viene attribuita.
Per concludere, si riportano le principali teorie classiche delle emozioni: la teoria
periferica di James e Lange del 1884-1885, la teoria talamica di Cannon e Bard del 1927 e
1934 e la teoria del Juke-box o di etichettamento di Schachter del 1962 (citate da Magro e
Muffolini). Esponendole brevemente, i primi ritengono che la risposta fisiologica preceda e
causi lo stato emotivo, e quindi, che l’esperienza emotiva sia provocata dalla percezione
cosciente delle modificazioni del nostro stato fisiologico (“ho paura perché tremo”). Cannon
e Bard, andando contro tale ipotesi, ritengono che i cambiamenti corporei siano troppo lenti
per causare l’emozione. Per loro lo stimolo emotigeno scatenerebbe una immediata risposta
emozionale soggettiva a mediazione cerebrale. Dunque, contemporaneamente alla
stimolazione del sistema nervoso autonomo e alle manifestazioni espressivo-
comportamentali, verrebbero inviati alla corteccia cerebrale dei segnali che permetterebbero
di consapevolizzare l’emozione, dando luogo alla sensazione soggettiva (“il cane mi fa
tremare ed avere paura”). Infine, Schachter descrivendo il processo in modo più complesso,
ritiene che per provare un’emozione sia necessario lo stato di arousal, ovvero la risposta
fisiologica, e l’interpretazione cognitiva della situazione. Egli, grazie ai suoi esperimenti e
studi, arriva alla conclusione che il sistema cognitivo, quando l’organismo è in uno stato di
attivazione, interpreti tale eccitazione in base alle caratteristiche della situazione da cui
deriva l’esperienza emotiva (“definisco paura il mio tremolio perché valuto la situazione
come pericolosa”).