INTRODUZIONE
Questo lavoro prende le mosse dall’esperienza di tirocinio da me svolta presso
l'Ambulatorio per i Disturbi del Comportamento Alimentare, Servizio Interdipartimentale
di Psicologia dell'Azienda Ospedaliera Universitaria Policlinico "P. Giaccone" di
Palermo, diretto dal Prof. Antonio Bongiorno, Professore Associato di Psicologia Clinica
alla Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università degli Studi di Palermo, e dalla Dott.ssa
Cristina Lanzarone, Dottore di ricerca, Psicoterapeuta, allievo didatta del Centro di Studi di
Terapia Familiare e Relazionale di Roma (CSTFR).
Durante questa esperienza è stato possibile approfondire i metodi d’indagine delle patologie
del comportamento alimentare dal punto di vista di due diverse tipologie di approcci
terapeutici: l’approccio della terapia cognitivo - comportamentale, che postula una
complessa relazione tra emozioni, pensieri e comportamenti, rilevando come molte
problematiche psichiche siano influenzate dai comportamenti e dalle riflessioni esperite nel
qui ed ora, proponendo, pertanto, di agire la terapia su questi, e l’approccio del trattamento
di tipo sistemico - relazionale, attento più alle dinamiche relazionali che caratterizzano una
famiglia o un gruppo nel loro insieme, piuttosto che all’individualità intrapsichica di ogni
singolo componente del sistema.
All’interno del primo capitolo verranno ripercorse le modalità di definizione dei disturbi
del comportamento alimentare e le principali prassi attraverso cui tali patologie vengono
indagate, sottolineando come, spesso, non sia possibile ricondurre il disturbo ad eventi
unici e deterministicamente riconoscibili, ma sia necessaria un’indagine di tutti i fattori che
potrebbero concorrere allo sviluppo dell’anomalo comportamento alimentare, prestando
particolare attenzione all’influenza che fattori di rischio familiari, culturali ed individuali
esercitano nella sua manifestazione.
Il secondo capitolo attraversa i significati che l’alimentazione e la nutrizione, in quanto
portatori di simboli ideologici e mezzi di interazione sociale e culturale, assumono nella
vita degli individui, evidenziando le modalità che permettono al “rito” dell’alimentarsi di
stare alla base dei legami interpersonali ed in particolare della relazione primaria con la
figura d’attaccamento. Successivamente verranno approfondite le modalità di esordio dei
disturbi del comportamento alimentare facendo riferimento a due età: l’infanzia e
l’adolescenza, considerando, anche, i quadri descrittivi della patologia esposti nei manuali
diagnostici, come il DSM-IV-TR.
Nel terzo capitolo sono state riassunte le principali teorie che si sono occupate di una
descrizione dinamica del fenomeno patologico indagato, concentrandomi soprattutto sulla
Teoria dell’attaccamento di Bowlby e sulle modalità con cui la relazione d’attaccamento
primaria tra bambino e caregiver influenza, qualora fosse di tipo disfunzionale, la
manifestazione sintomatica del disturbo. Si è fatto riferimento, inoltre, agli approcci teorici
di diversi Autori che hanno rilevato come un deficit della regolazione interattiva tra
neonato e caregiver possa essere alla base di uno sviluppo patologico dell’infante.
Infine, il quarto capitolo descrive la mia esperienza di tirocinio formativo avvenuta
all’interno dell’Ambulatorio per i Disturbi del Comportamento Alimentare del Policlinico
di Palermo, durante il quale è stato possibile operare un confronto tra le conoscenze
teoriche, sviluppate durante il percorso di formazione didattico-universitaria, e l’esperienza
clinica
Durante questa esperienza è stato possibile approfondire le diverse tipologie di approccio
al trattamento clinico dei disturbi del comporamento alimentare, mettendo in luce
l’importanza di una terapia multidisciplinare e integrata, che crei una collaborazione tra
figure professionali diverse, verso il comune intento di permettere la guarigione del
paziente, sottolineando le caratteristiche e la centralità dell’approccio medico,
contemporaneamente psicologico e, nel caso in cui fosse ritenuto necessario,
psicofarmacologico.
CAPITOLO PRIMO
1. EZIOPATOGENESI DEI DISTURBI DEL
COMPORTAMENTO ALIMENTARE
1.1. Aspetti psicopatologici
Sotto la denominazione comune “disturbi del comportamento alimentare”
(DCA) si raccolgono tre quadri clinici d’interesse psichiatrico e internistico:
Anoressia Nervosa (AN), Bulimia Nervosa (BN), Binge Eating Disorder
(BED), oltre ai Disturbi del comportamento alimentare non altrimenti
specificati (DCA NAS).
Nel loro insieme, i disturbi del comportamento alimentare rappresentano un
problema grave e diffuso soprattutto tra adolescenti e giovani donne: nei
Paesi occidentali industrializzati ogni 100 ragazze in età di rischio (12 – 20
anni), 8- 10 soffrono di qualche disturbo del comportamento alimentare (1-
2 nelle forme più severe e pericolose, le altre nelle forme più lievi, spesso
transitorie, di disturbi parziali, subliminali).
Sono stati fatti diversi tentativi per trovare le cause specifiche di tali
fenomeni così da proporre soluzioni adeguate, ma spesso la loro complessità
ha determinato una profonda confusione, sia a livello etiologico che
terapeutico. «Si tratta, infatti, di disturbi psichiatrici gravi, con alta
comorbilità, frequenti complicanze mediche e tra le più alte percentuali di
1
mortalità tra i disturbi mentali».
1
Favaro A., Santonastaso P. (1996), Anoressia e bulimia , quello che i genitori e gli altri
vogliono sapere, Positive Press, Verona.
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Presupposto fondamentale per individuare e poi realizzare interventi
adeguati in proposito è un giusto inquadramento diagnostico e una consona
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conoscenza delle varie problematiche legate a questi disagi.
Sono state formulate varie ipotesi su singoli fattori (individuali, familiari e
culturali) che possono concorrere a determinare l’insorgenza dei disturbi del
comportamento alimentare. Non è ancora possibile però costruire una teoria
sintetica che spieghi i fattori eziopatogenetici.
Il modello generale di malattia che sembra più convincente e utile all’analisi
di quelli che sono i fattori alla base dello sviluppo della suddetta patologia è
quello che vede nell’evento patologico “la via finale comune” di vari
possibili processi patogenetici che nascono da interazioni diverse tra forze
molteplici riguardanti numerosi e svariati ambiti.
Il “modello della via finale comune” può essere riassunto in tre punti:
1. La malattia risulta dall’interazione di vari fattori predisponenti che
agiscono su un individuo;
2. Degli individui a rischio, solo alcuni si ammalano effettivamente;
3. In quelli che sviluppano la malattia, la presenza, il peso e le modalità di
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interazione dei vari fattori predisponenti variano da caso a caso.
Con ciò si evidenzia, pertanto, come soggetti con la stessa patologia
possono presentare fattori predisponenti diversificati e, viceversa, soggetti
con identici fattori predisponenti non saranno condannati a sviluppare in
modo deterministico l’identica patologia e, anche nel momento in cui questa
si sviluppasse in entrambi i soggetti, questi potrebbero presentare sintomi,
gravità e caratteristiche differenti.
Per i disturbi del comportamento alimentare è utile distinguere tra fattori
predisponenti a lungo termine, fattori precipitanti e fattori che tendono a
perpetuare la sindrome.
1. Fattori predisponenti a lungo termine; tra i fattori individuali, i più
importanti sono: il genere, femminile: sembra, infatti, che nelle donne
2
Curi Novelli M. (2004), Dal vuoto al pensiero. L’anoressia dal vertice psicoanalitico,
Franco Angeli, Milano.
3
Pissacroia M. (1998), Trattato di psicopatologia della adolescenza, Piccin, Padova.
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la definizione dell’identità si basi sulla consapevolezza delle proprie
caratteristiche, espresse all’interno del contesto relazionale, che nella
società postmoderna è molto influenzato dall’aspetto esteriore; l’età,
l’adolescenza, nella quale l’identità è in fase di costruzione e il corpo è
soggetto a profonde modificazioni, che possono creare un senso di
perdita di controllo nei soggetti con caratteristiche psicologiche ritenute
a rischio. Tra le caratteristiche psicologiche, tratti ossessivi di
personalità, aspettative esasperate, perfezionismo patologico, difficoltà
dei processi di separazione-individuazione, rifiuto del corpo adulto e
della sessualità sono aspetti non infrequenti della personalità dei
soggetti che presentano diagnosi di un disturbo del comportamento
alimentare. Sono stati segnalati, inoltre, vari fattori familiari che
possono avere un ruolo nella predisposizione al disturbo come: disturbi
dell’umore, alcolismo dei genitori o obesità della madre, esperienze
d’abuso, vischiosità e scarsa definizione dei ruoli familiari, incapacità
di incoraggiare separazione e autonomia. I fattori culturali sono senza
ombra di dubbio importanti, poiché il comportamento alimentare
patologico si configura come fenomeno legato alle culture occidentali
postmoderne, in cui l’esaltazione della magrezza, il mito della bellezza
e le sollecitazioni contraddittore cui è esposta soprattutto la donna
possono determinare la necessità di esprimere la propria identità
concentrandosi sul corpo come biglietto da visita per l’espressione e
l’accettazione del proprio sé all’interno dei contesti relazionali.
2. Fattori precipitanti; si tratta di quei fattori che fanno sì che si presenti
la patologia, probabilmente fino a quel momento sopita, attraverso le
modalità sintomatiche. Sono soprattutto frequenti separazioni e perdite,
nuove richieste ambientali, minacce alla stima di sé. Un evento spesso
caratterizzante è l’esperienza dei cambiamenti puberali vissuta come un
trauma e che ha come nucleo la paura di perdere il controllo e la stima
di sé. La reazione all’evento traumatico legato allo sviluppo è spesso la
concentrazione sul corpo come campo elettivo, o come unico campo, su
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