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CAPITOLO 1: LO STUDIO DELL’EFFETTO
“TROPPA SCELTA”
Tutti noi, ogni giorno, ci troviamo a dover fare delle scelte che coinvolgono un
numero sempre maggiore di alternative; e questo vale sia per il lavoro, sia per la
scelta della casa, sia per la scelta della destinazione delle nostre vacanze, e così via.
Sebbene, a prima vista, potrebbe sembrare che tutti noi desideriamo avere più
alternative di scelta, in realtà, avere troppe opzioni può avere conseguenze negative.
Infatti, sebbene molte ricerche sostengano che avere più opzioni di scelta è positivo ,
in quanto, più alternative si hanno, più aumenta la probabilità di trovarne una che
soddisfi pienamente le nostre aspettative e i nostri desideri, altri punti di vista, più
recenti, ritengono, invece, che avere troppe alternative non è sempre positivo, ed è
anzi negativo.
Questi ultimi sono i sostenitori di quello che viene definito “effetto troppa scelta”.
1. UN ANALISI GENERALE
L’idea dell’esistenza di questo effetto si fa risalire al filosofo francese Jean Buridan;
egli si occupò dell’analisi della volontà umana, che lui riteneva seguisse le
valutazioni dell’intelletto. In particolare, egli sosteneva che la scelta della volontà
cade sempre sul bene, sul valore migliore; la volontà che dovesse decidere quale
scegliere tra 2 beni, considerati equivalenti dall’intelletto, si troverebbe in imbarazzo.
Un esempio della sua tesi è il famoso “paradosso dell’asino” che, posto tra 2 cumuli
di fieno perfettamente uguali e posti alla stessa distanza non sa scegliere quale
iniziare a mangiare, e muore di fame per l’incertezza. La tesi dell’effetto “troppa
scelta” è stata poi ulteriormente sviluppata da Lewin (1951) e Festinger (1957),
secondo i quali la scelta fra più alternative, tutte piacevoli, porterebbe ad una
maggior conflitto interno. Festinger, in particolare, è l’autore del noto concetto di
“dissonanza cognitiva”.
La dissonanza cognitiva è una sensazione di disagio causata dall’avere
contemporaneamente, idee e comportamenti contrastanti tra di loro. Questa
incoerenza produce appunto una dissonanza cognitiva, che l'individuo cerca
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automaticamente di eliminare o almeno di ridurre a causa del marcato disagio
psicologico che essa comporta. Questo può portare all'attivazione di vari processi
elaborativi, che permettono di compensare la dissonanza.
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Lipowski ha esteso questo punto di vista, affermando che il conflitto aumenta
all’aumentare del numero di alternative, il che produce, a sua volta, confusione,
ansia, e difficoltà nel fare una scelta.
Più di recente, una serie di studi di Iyengar e Lepper (2000), hanno evidenziato le
possibili conseguenze negative dell’avere troppe alternative di scelta. In un loro
studio Iyengar e Lepper hanno sistemato, all’ingresso di un negozio di alimentari,
uno stand per consentire la degustazione di marmellate di frutti esotici. Nello stand
veniva esposto in un certo momento della giornata un piccolo assortimento di
confetture composto da 6 alternative; in un altro momento, ad altre persone, veniva
presentato un set composto da ben 24 gusti diversi.
In linea con la tesi secondo la quale le persone sarebbero attratte maggiormente da un
assortimento più ampio, gli autori hanno osservato che, appunto, i consumatori
venivano attratti ed erano invogliati ad assaggiare maggiormente le confetture
presenti nel grande assortimento.
Ma, al momento di acquistare, solo il 3% dei consumatori che hanno approcciato
l’assortimento più grande ha poi deciso di utilizzare il buono e acquistare un
prodotto. Viceversa, nell’altra condizione, ben il 30% ha deciso di acquistare uno
dei prodotti.
Iyengar e Lepper ritengono, quindi, che questi risultati siano dovuti all’effetto
“troppa scelta”; per cui le troppe alternative di scelta riducono la motivazione a fare
la scelta. Questa apparente contraddizione - tra l’iniziale attrazione provocata dal
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Un esempio tipico è quello di un soggetto che disprezza esplicitamente i ladri, ma che poi compra un oggetto a
un prezzo troppo basso per non intuire che sia di provenienza illecita. Secondo Festinger, per ridurre questa
contraddizione lo stesso individuo potrà o smettere di disprezzare i ladri (modificando quindi l'atteggiamento), o
non acquistare l'oggetto proposto (modificando quindi il comportamento).
La più nota versione di dissonanza cognitiva è espressa nella favola di Esopo “la volpe e l’uva”, nella quale la
dissonanza fra il desiderio dell’uva e l’incapacità di arrivarvi, conduce la volpe alla conclusione che “tanto l’uva è
acerba”.
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grande assortimento e la successiva perdita di motivazione - è chiamata “il paradosso
della scelta”(Schwartz, 2004).
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Ma bisogna anche dire che i ricercatori che hanno potuto osservare questo effetto
hanno sottolineato che esso non si verifica sempre e comunque, ma ci sarebbero,
secondo alcuni, delle condizioni e dei contesti particolari che lo favoriscono ed altre
in cui esso non si manifesta per niente.
Ad esempio, consideriamo una situazione in cui si abbia familiarità con le alternative
di scelta, in cui esistono dunque delle preferenze ben definite ancor prima della
scelta. Chernev (2003) ha dimostrato che le persone che hanno delle preferenze ben
definite prima della scelta preferiscono scegliere da un assortimento ampio piuttosto
che da uno piccolo e, soprattutto, che le probabilità di acquisto e la soddisfazione
post-acquisto aumentano all’aumentare delle alternative a disposizione. In pratica
l’esatto opposto dell’effetto “troppa scelta”.
Quanto appena detto è dovuto al fatto che, le persone che hanno le idee ben chiare su
cosa acquistare devono “solamente” trovare l’alternativa che combaci, nel modo
migliore, con le proprie preferenze. Diversamente, le persone che non hanno queste
preferenze ben definite, si trovano ad affrontare un compito molto più difficile; cioè
quello di valutare tutte le alternative disponibili e, allo stesso tempo, formarsi dei
criteri di scelta che gli serviranno per prendere una decisione. Chiaramente,
all’aumentare delle dimensioni del set, queste difficoltà aumentano. Tutto ciò porta,
probabilmente, a non scegliere quando ci si trovi di fronte a grandi assortimenti e a
preferire, invece, la scelta da un assortimento molto più limitato.
Risultati simili sono stati ottenuti da Mogilner e colleghi (2008), che hanno
riscontrato l’esistenza di una relazione negativa tra la dimensione dell’assortimento e
la soddisfazione post-scelta, solo per quelle persone che avevano meno familiarità
con le alternative di scelta.
Un'altra condizione di contesto importante per far sì che si verifichi l’effetto “troppa
scelta” è quella per cui non dovrebbe esistere, nel set, un’opzione dominante rispetto
alle altre; altrimenti, la scelta diventerebbe fin troppo semplice, indipendentemente
dal numero di opzioni. Poi si potrebbero aggiungere anche altri fattori che
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Altri ricercatori hanno riscontrato risultati simili per tanti altri prodotti come le penne(Shal e Wolford 2007), il
caffè(Mogilner et al. 2008), e così via.
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contribuirebbero a moderare l’effetto “troppa scelta” come, ad esempio, la possibilità
di rinviare la scelta (Dhar 1997).
Ma, mentre si può sostenere che la dimensione dell’assortimento sta alla base
dell’effetto “troppa scelta”, non c’è una definizione ben precisa di cosa sia,
effettivamente, la “troppa scelta”; Iyengar e Lepper (2000) l’hanno definita come “
un numero ragionevolmente grande ma non insolito di opzioni”.
In sintesi, ci sono dei punti di vista contrastanti sul fatto che avere molte alternative
di scelta sia positivo o negativo. Esaminiamo adesso le ragioni che giustificano i due
diversi punti di vista.
2. I SOSTENITORI DELL’EFFETTO
Cominciamo dai sostenitori dell’effetto “troppa scelta”. Inanzitutto, avere troppe
alternative tra cui scegliere rende la scelta molto più difficile, a mano a mano che si
riducono le differenze fra le varie opzioni e aumenta il numero di informazioni di cui
tener conto (Fasolo et al 2009).
Inoltre, secondo Iyengar e colleghi (2006), i grandi assortimenti obbligano il
consumatore a numerosi e dispendiosi confronti tra tutte le opzioni. Tutto ciò non fa
altro che aumentare la sensazione e il timore di non essere in grado di fare la scelta
ottimale e quindi, spesso, si preferisce non farla.
In questa ricerca, Iyengar e colleghi introducono, inoltre, la distinzione tra soggetti
che si accontentano di un opzione “soddisfacente” (satisficiers), e soggetti che
vogliono avere sempre e solo il meglio, vogliono cioè massimizzare sempre il
risultato (maximizers).
Quest’ultimi cercando, appunto, di massimizzare sempre il risultato, dopo la scelta,
sono pessimisti, ansiosi ed esternano sentimenti di insoddisfazione rispetto ai primi.
Inoltre, essi sono stanchi, stressati a causa dell’enorme sforzo fatto durante il
processo di scelta. Infatti, per cercare di raggiungere il loro obiettivo, devono fare
grandi confronti fra tutte le opzioni a disposizione e, inoltre, per fare questo, devono
prima effettuare una grande ricerca di informazioni per poter trovare l’opzione
migliore.
Ciò che viene sottolineato da questi autori è proprio questa notevole differenza di
comportamento fra i due diversi tipi di soggetti.