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1 - Citazioni. In luogo di prefazione.
Ho finito di leggere le Veglie presso Dikan’ka. Mi hanno lasciato sbalordito.
Questa sí che è autentica allegria, un’allegria disinvolta, senza sdolcinature e affettazioni.
E poi quanta poesia, quanto sentimento in certi passaggi! Tutto ciò è così insolito nella
nostra letteratura che non mi sono ancora riavuto dalla sorpresa.
(A.S. Puškin)
Se ho voglia di un bell’incubo non ho che da figurarmi Gogol’ che verga nel
dialetto della Piccola Russia volumi su volumi di roba nel genere Dikan’ka o Mirgorod, a
proposito di spettri che si aggirano sulle sponde del Dnepr, di ebrei burleschi e di
impetuosi cosacchi.
(V .V . Nabokov)
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2 - Introduzione.
L’opera e la vita di Gogol’ sono ormai da oltre un secolo e mezzo oggetto di studi
approfonditi e circostanziati. Oggi la grandezza del suo genio e della sua scrittura
visionaria sono al di là di qualsiasi ragionevole dubbio; tuttavia, per molto tempo, specie
tra i contemporanei, la sua figura ha dato origine a interpretazioni contrastanti.
Gogol’ venne considerato per molto tempo una specie di divinità da parte di tutto
il mondo intellettuale russo, a quell’epoca diviso tra slavofili e occidentalisti. È noto,
infatti, l’odio ideologico che opponeva i fautori dell’esaltazione dei valori della Vecchia
Russia e della Chiesa Ortodossa agli esponenti dei circoli progressisti di idee anticlericali
e liberali. Uno dei pochi punti di contatto tra due mondi diametralmente opposti fu
proprio la figura di Gogol’, accolto come un genio nei salotti moscoviti della famiglia
Aksakov, ma al tempo stesso esaltato dal più importante critico letterario russo
dell’epoca, l’occidentalista Vissarion Belinskij, il quale su Otečestvennye zapiski (Annali
patrii) così commentò la pubblicazione dell’opera completa dello scrittore ucraino curata
dall’amico Prokopovič: “i quattro volumi delle opere di Gogol’ costituiscono al momento
attuale l’orgoglio e l’onore della letteratura russa”.
1
All’inizio degli anni Quaranta, in seguito alla pubblicazione del suo capolavoro
Mërtvye duši (Le anime morte, 1842) e a poco più di un lustro dalla morte di Puškin,
Nikolaj Vasil’evič Gogol’ veniva considerato all’unanimità come il più grande scrittore
russo vivente, un uomo la cui opera era in grado di intaccare un sistema ancorato a
modelli statali medievali e fatto di assolutismo regio e di immobilità sociale, nel quale la
servitù della gleba verrà abolita solo nel 1861.
Tristemente le opinioni di Aksakov e Belinskij torneranno a convergere pochi
anni più tardi sempre su Gogol’, sebbene in maniera radicalmente opposta, in seguito alla
pubblicazione di un’opera assai bizzarra, Vybrannye mesta iz perepiski s druz’jami (Brani
scelti dalla corrispondenza con gli amici, 1847).
La pubblicazione del libro attraversò l’orizzonte letterario russo come un fulmine
a ciel sereno in un momento nel quale il pubblico stava attendendo l’uscita della seconda
parte delle Anime morte, opera che nelle intenzioni dell’artista ucraino si sarebbe dovuta
articolare in forma di trilogia. Improvvisamente, invece, comparve sulla scena questo
“sermone”, nel quale Gogol’ espose il suo modello di società ideale, basata su un mondo
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Cit. in: D’Amelia, A., Introduzione a Gogol’, Bari, Laterza, 1995, p. 156.
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patriarcale assolutamente immobile e contrapposto ai terremoti sociali dell’età moderna,
sulla totale sottomissione dell’individuo a ferree regole imposte dall’alto, sulla supina
accettazione dello status quo. Si trattava di “… un libro inusuale, in cui la Bibbia si
insinua nella saggistica letteraria, l’eco giornalistica nella preghiera, le cure terrene nelle
preoccupazioni celesti in una miscela esplosiva”.
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La reazione dell’intelligencija radicale non poté che essere violenta. Secondo gli
esponenti di questo movimento, il progresso doveva necessariamente passare attraverso
cataclismi sociali che rivoluzionassero alla base tutte le istituzioni del mondo russo, in
primis il potere sterminato dello zar e l’odiosa istituzione della servitù della gleba. I
Brani scelti sollevarono un coro di proteste. A. Gerzen li definì un “libello servile”
mentre Belinskij qualificò l’autore come “predicatore del knut, apostolo dell’ignoranza,
profeta dell’oscurantismo”.
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Decisamente debole sarà la difesa d’ufficio portata avanti dai suoi amici slavofili,
turbati anch’essi dal tono blasfemo dell’opera.
Del resto, lo stesso Nikolaj Vasil’evič era, già in giovane età, perfettamente
conscio di questa sua ambiguità di fondo. Al riguardo è emblematica la lettera inviata alla
madre dal collegio di Nežin e datata 1 marzo 1828, scritta quando l’autore era appena
diciannovenne:
Правда, я почитаюсь загадкою для всех; никто не разгадал меня совершенно. У вас
почитают меня своенравным, каким-то несносным педантом, думающим, что он умнее
всех, что он создан на другой лад от людей. Верите ли, что я внутренне сам смеялся над
собою вместе с вами? Здесь меня называют смиренником, идеалом кротости и терпения.
В одном месте я самый тихий, скромный, учтивый, в другом -- угрюмый, задумчивый,
неотесанный и проч., в третьем болтлив и докучлив до чрезвычайности, у иных умен, у
других глуп. Только с настоящего моего поприща вы узнаете настоящий мой характер.
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2
Ibidem, p. 216.
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In questo caso la parola knut deve essere contestualizzata all’interno del fraseologismo “knut i prjanik”,
corrispondente all’italiano “Il bastone e la carota” [N.d.A.].
4
Veresaev, V ., Gogol’ v žizni, sistematičeskij svod podlinnich svidetel’ stv sovremmennikov, portet strannovo
genija, in risorsa elettronica: http://az.lib.ru/w/weresaew_w_w/text_0220.shtml. Trad. It.: “In verità,
costituisco un enigma per tutti; nessuno mi ha mai decifrato. Dalle vostre parti vengo considerato come un
essere capriccioso, un pedante insopportabile, che si considera più intelligente degli altri, che è stato creato
diversamente dagli altri. Ci credereste che io mi sono unito a voi per ridere di me stesso? Per la gente di qui
io sono un ideale di modestia, di dolcezza, di pazienza. In un luogo io passo per l’essere più pacifico,
modesto, cortese; in un altro per l’essere più lunatico, pensieroso, rozzo; in un altro ancora sono garrulo e
inopportuno fino all’eccesso. Per alcuni sono intelligente, per altri stupido. Solo attraverso le mie attuali
occupazioni si può conoscere la vera natura del mio carattere.”, Prina, S., Introduzione, in: Gogol’, N.,
Opere (Serie: I Meridiani Collezione), V ol. I, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1994, pp. XI-XII.
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I tormenti interiori appena accennati in questa lettera affliggeranno tutta
l’esistenza di Gogol’, rendendolo molto presto “un morente per tutta la vita, dacché si
mise a tavolino, la sua vita non fu altro che una prolungata agonia […] è certo che, in
ogni caso, egli era morto molti anni prima della data ufficiale, se addirittura non portava
con sé la morte fin dalla nascita […]. La morte non fece che progredire a misura che egli
viveva”.
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Deve essere questa la ragione per cui la sua biografia ci appare così insignificante,
soprattutto se paragonata a quella dei suoi grandi contemporanei. Gogol’ non visse
un’esistenza di passioni stroncata da un duello come nel caso di Puškin o Lermontov, non
sperimentò i terrori della guerra come L. Tolstoj e non subì la profonda umiliazione della
prigionia e dell’esilio siberiano come Dostoevskij. Egli studiò, si trasferì a San
Pietroburgo, dove trovò modesti impieghi nell’amministrazione statale, scrisse e pubblicò
le sue opere, viaggiò a lungo per l’Europa in cerca di un luogo dove curare le sue vere o
presunte malattie, ciclicamente ritornò in Russia, dove infine morì.
La sua vita esteriore fu caratterizzata dalla calma più assoluta, interrotta solo dai
suoi malanni più o meno nobili. Non risulta che una donna sia mai comparsa nella sua
vita, il che significa che, con ogni probabilità, Gogol’ non visse nemmeno i fastidiosi
turbamenti del cuore. Un’esistenza, insomma, che pareva non essere presa molto sul
serio nemmeno dai suoi più vicini amici e collaboratori. Un percorso di vita triviale, che
tuttavia rivestiva una biografia terrificante e caotica, una psicologia dilaniata da incubi e
terrore e portata alle sue estreme conseguenze dall’imperativo morale che contraddistinse
l’arco vitale e artistico di tutti gli scrittori russi del XIX secolo.
La concezione artistica russa derivava direttamente da quella religiosa e vedeva
l’uomo come essere unico, indivisibile. Non era possibile pensare di distinguere in lui
funzioni diverse che agissero in maniera indipendente. La vita artistica e quella privata
erano indissolubilmente legate e qualsiasi scelta o azione veniva compiuta con tutta la
sua personalità. Il dovere dell’uomo era quello di “fare il bene” a prescindere dal mezzo
utilizzato per conseguire il risultato. Il ballerino “faceva il bene” esprimendosi nel
migliore dei modi sul palcoscenico; il falegname “faceva il bene” costruendo sedie
perfette. Per uno scrittore “fare il bene” in quel contesto si concretizzava
fondamentalmente in una sola funzione: dire la verità. Il ferreo legame che univa la sfera
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Sinjavskij, A., Nell’ombra di Gogol’, Milano, Garzanti, 1980, p. 15.
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artistica a quella privata obbligava pertanto lo scrittore a vivere un’esistenza totalmente
dedicata a questo scopo.
Nel contesto della Russia di Gogol’, scrittore era chi con la sua opera si poneva al
servizio dello Stato, si interrogava sul ruolo storico della Russia, si faceva carico di
denunciare i problemi sociali e politici della Patria e ne proponeva le soluzioni: lo
scrittore diveniva, volente o nolente, coscienza critica di un popolo. Scrivere significava
recare testimonianza della verità e l’artista semplicemente non aveva il diritto di
distogliere lo sguardo dalle questioni fondamentali del suo tempo. Scrivere, prescindendo
da quelli che erano i problemi fondamentali della società con il solo scopo di perseguire
fini personali, significava macchiarsi agli occhi della critica e dell’opinione pubblica di
alto tradimento.
Gogol’ non si sottrasse a questo compito; egli sviluppò già negli anni giovanili la
convinzione di essere chiamato da Dio a svolgere un ruolo determinante nella storia della
Russia, una specie di investitura divina volta al conseguimento di un bene superiore:
recare un utile ai suoi compatrioti e portare un beneficio alla Patria.
Misura di questo profondo convincimento, che si conserverà inalterato per tutto il
resto della vita, è la lettera del 3 ottobre 1827 inviata allo zio Pëtr Kosjarovskij:
Еще с самых времен прошлых, с самых лет почти непонимания, я пламенел
неугасимою ревностью сделать жизнь свою нужною для блага государства, я кипел
принести хотя малейшую пользу [...] Я перебирал в уме все состояния, все должности в
государстве и остановился на одном -- на юстиции. Я видел, что здесь работы будет
более всего, что здесь только я могу быть благодеянием, здесь только буду истинно
полезен для человечества.
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Il “marchio” di scrittore segnerà intensamente l’esistenza di Gogol’, dando
origine a un lento e inesorabile processo di paralisi intellettuale che lo porterà alla crisi
religiosa degli ultimi anni e al totale ripensamento della sua opera. Tutta la sua carriera
può pertanto essere vista come una continua e affannosa ricerca (o forse sarebbe più
appropriato dire “invenzione”) della sua vocazione. Ogni libro, ogni idea, ogni
capolavoro non reggerà alla severa disamina a posteriori del suo autore, il quale non
smetterà mai di sconfessare quanto scritto in precedenza, concentrandosi invece sempre
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Veresaev, V ., op. cit. Trad. It.: “Fin dai tempi più lontani, dall’età in cui non avevo quasi discernimento, io
ardevo di un inestinguibile zelo di rendere la mia esistenza necessaria al bene dello Stato, e anelavo
arrecare sia pur la più piccola utilità […] Nella mente ho passato in rassegna tutte le mansioni, tutte le
funzioni esistenti nello Stato e mi sono soffermato su una: la giustizia. Ho veduto che qui vi è da operare
più che non altrove, che solo qui io posso essere una provvidenza, che solo qui io sarò davvero utile
all’umanità.”, D’Amelia, A., op. cit., p. 17.
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su quanto dovrà scrivere in futuro. Per comprendere pienamente Gogol’ “il faut respecter
la dynamique de sa progression et distinguer les étapes de son itinéraire, non seulment en
fonction de ses textes, mais en tenant compte des effets d’interaction de ces derniers avec
les rèactions du public russe qui les attendait”.
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L’esordio letterario di Gogol’ è bislacco e al tempo stesso emblematico. Nel
maggio del 1829, infatti, egli pubblicò a proprie spese un idillio intitolato Hans
Küchelgarten, poemetto scritto già al tempo del Ginnasio di Nežin e portato fino a San
Pietroburgo con la precisa intenzione di utilizzarlo come debutto nell’arena letteraria. Il
poema romantico venne (giustamente) stroncato dalla critica specializzata, tanto che
l’autore ritirerà le copie rimanenti dalle librerie e le darà alle fiamme. Curioso è il fatto
che la carriera di Gogol’ cominciò nella stessa maniera in cui sarebbe terminata una
ventina d’anni dopo; la sua prima opera, infatti, fece la stessa fine dell’ultima, la seconda
parte delle Anime morte: vennero bruciate entrambe.
L’umiliazione fu troppo forte per l’orgoglio dell’autore il quale all’improvviso,
adducendo un’improbabile passione amorosa, si imbarcò per la Germania, Patria del
Romanticismo e di quegli scrittori da lui tanto amati: Schiller, Winckelmann, Tieck.
Nell’animo di Gogol’ si produsse una seconda grande disillusione dopo quella già
vissuta all’arrivo a San Pietroburgo. La Germania non era il Paese da lui idealizzato
attraverso la lettura dei poeti tedeschi, tanto che dopo un breve soggiorno di soli due
mesi, rientrò in Russia.
Per sbarcare il lunario, oltre al solito grigio lavoro al servizio della Stato comincia
a collaborare con alcuni giornali. Sugli Otečestvennye zapiski diretti da P. Svin’in
pubblica, in forma anonima, Basavrjuk, ili večer nakanune Ivana Kupala, Malorossiskaja
povest', iz narodnogo predanija, rasskazannaja d'jačkom Pokrovoskoj cerkvi (Basavrjuk
o La sera della vigilia di Ivan Kupala. Racconto ucraino, tratto da una leggenda popolare,
narrato dal diacono della chiesa dell’Intercessione). Siamo nel 1830 e la vita di Gogol’ si
trova di fronte a un bivio. Comincia infatti a elaborare i racconti di una nuova opera che
pubblicherà, sempre sotto pseudonimo, e che gli darà la fama tanto attesa: Večera na
chutore bliz Dikan’ki: povesti izdannye pasičnikom Rudym Pan’kom (Veglie alla fattoria
presso Dikan’ka: novelle edite dall'apicultore Rudyj Pan'ko).
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AA. VV ., Histoire de la littérature russe, Le XIX siècle, L’epoque de Pouchkine et de Gogol, Paris,
Fayard, 1996, p. 740.