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Per giudicare correttamente il contenuto di un messaggio mass
mediale, occorre un’adeguata maturazione del senso critico da
parte delle persone.
Risulta importante perciò analizzare l’influenza che possono
avere i mass media sugli esseri umani e in particolare sugli
individui affetti da disturbi alimentari.
Ultimamente questo argomento, il disturbo alimentare, è stato
molto analizzato e discusso; quasi come se queste malattie non
fossero mai esistite prima di allora. Ma quando si parla troppo, si
rischia di parlare a sproposito diventando confusi e confondenti.
In questi soggetti, il cui livello di autostima dipende quasi
esclusivamente dal giudizio degli altri, una delle principali
preoccupazioni è quella di diventare attraenti controllando il
“contenimento” del proprio corpo.
Questo per loro diventa lo scopo primario nella vita, a cui
dedicarsi, con metodo e rigore, per raggiungere e assomigliare ai
modelli prescelti.
Nel caso di un adolescente maschio, ad esempio, lo scopo da
raggiungere può essere quello di avere un fisico da “culturista”,
modello attualmente fornito e ambito da molti suoi coetanei e dai
giovani adulti.
Per una ragazza, invece, l’ideale di vita può essere quello di
somigliare alle modelle, magrissime, ormai presenti su tutti i
mass media, dalla televisione ai quotidiani, dai settimanali ai
film.
Quando, come nel caso di soggetti anoressici o bulimici,
l’esposizione al giudizio diviene inevitabile, il pensiero
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preminente riguarderà l’aspetto fisico e il peso corporeo.
Dimagrendo, ad esempio, si potrà ottenere un giudizio positivo,
in quanto corrisponderà a quei requisiti di “perfezione” formale,
quindi superficiale, richiesti dall’ambiente sociale e familiare;
tutto questo a scapito delle interazioni sociali che saranno scevre
di affettività.
E’ possibile, quindi, che individui con problematiche alimentari
siano maggiormente influenzabili dai messaggi emessi dai mass
media rispetto a quelli che non ne presentano.
Al giorno d’oggi, molti, infatti, conoscono le parole “anoressia” e
“bulimia”, ma pochi sanno veramente di cosa si tratti. Per delle
persone l’anoressica è la ragazza “stupida” che “non capisce
niente”, che decide di smettere di mangiare per un capriccio.
Purtroppo non è affatto un capriccio quello che spinge le ragazze
anoressiche a non mangiare e quelle bulimiche ad abbuffarsi per
poi pentirsi di ciò che hanno fatto e sentirsi in colpa al punto di
mettersi le dita in gola per vomitare.
I mass media danno molte informazioni ma per la maggior parte
del tempo presentano bellissime ragazze, rigorosamente magre,
così l’idea comune che si crea è che se non si è magri nessuno ci
guarda; l’aspirazione è quella di assomigliare a una di queste
ragazze della televisione che apparentemente hanno tutto dalla
vita e sono molto soddisfatte e felici.
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Fig. 1 - Amedeo Modigliani, Nu couché sur le coté gauche, 1917
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1. LA COMUNICAZIONE
La parola comunicazione e tutte le altre parole che hanno la
stessa radice e ruotano attorno al verbo comunicare vengono oggi
usate in molte occasioni e in contesti anche veramente differenti.
In particolare per comunicazione si intende la trasmissione di uno
o più messaggi, cioè il manifestare, il rendere altre persone
partecipi, l’informare, il tentare di condizionare, il mettersi in
contatto (il tutto realizzato in diversi modi e con diversi scopi).
Le parole “comunicare” e “comunicazione” provengono dal
latino e hanno la loro origine etimologica nel concetto di
“mettere in comune”. Già gli antichi romani usavano il verbo
“communicare” e il nome “communicatio”. Oggi, anche altre
lingue moderne continuano a essere influenzate da questa origine
lontana: abbiamo “to communicate” e “communication” in
inglese, “communiquer” e “communication” in francese...
Il campo della comunicazione è molto vasto; siamo addirittura in
grado di comunicare con esseri viventi appartenenti ad altre
specie: pensiamo al nostro cane o al nostro gatto. Oggi siamo
perfino arrivati al punto di poter comunicare con gli oggetti
tecnologici che la civiltà è stata in grado di costruire (personal
computer).
Restando nell’ambito della comunicazione più strettamente
umana, c’è comunque da notare che le nostre possibilità si sono
moltiplicate a un ritmo che, anche solo cento anni fa, nessun
essere umano poteva immaginarsi. Infatti, molti dei nuovi
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macchinari non sono altro che dei moltiplicatori o miglioratori
delle nostre abilità di comunicazione. Con la stampa, il telegrafo,
la radio, il cinema, il telefono, la televisione e ora le varie
combinazioni multimediali, abbiamo raggiunto un potenziale di
comunicazione enorme.
Sicuramente, ciascuno di noi è cosciente del fatto che molti
aspetti del nostro vivere quotidiano, a partire dalla politica,
passando attraverso l’economia, fino al miglior funzionamento di
un’azienda di servizi e alla migliore gestione dell’attività del
singolo professionista, dipendono dai mass media e da altre
tecnologie comunicative. Ciascuno di noi, però, è anche cosciente
del fatto che l’uomo non può lasciarsi schiacciare dai macchinari
che lui stesso ha costruito e quindi, è proprio nel mondo della
comunicazione che si rende necessario il fattore umano, cioè il
valore che ognuno di noi ha, arricchito dalle competenze sociali
acquisite.
Analizzando la comunicazione dobbiamo fare riferimento al
concetto di motivazioni e cioè a quegli elementi dinamici che
producono la spinta necessaria all’azione e, nel caso specifico,
alla comunicazione; ma devono essere presi in considerazione i
possibili e/o reali risultati oggettivi: occorre perciò analizzare le
funzioni della comunicazione stessa. Queste funzioni possono
essere divise in varie categorie:
a) la funzione espressiva: comunichiamo per manifestare le
nostre sensazioni e i nostri sentimenti, per dare sfogo a ciò che
abbiamo dentro e sentirci, di conseguenza, sollevati (“Oggi mi
sento felice”);
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b) funzione di contatto sociale: comunichiamo per socializzare,
per costruire le nostre relazioni personali, per combattere la
solitudine, per confrontarci con gli altri (“Ciao, come stai?...”);
c) funzione informativa: comunichiamo per passa agli altri le
nostre conoscenze, per informare su contenuti precisi;
d) funzione strumentale: comunichiamo per ottenere uno
specifico risultato sulla realtà che ci circonda (“Versami da
bere”);
e) funzione di controllo sugli altri: comunichiamo per fare in
modo che gli altri agiscano in conformità alle nostre esigenze;
f) funzioni limitate al ruolo: comunichiamo per i doveri/diritti
legati alla posizione che occupiamo, sia in famiglia che al
lavoro.
Nella realtà, poi ci troviamo spesso di fronte a processi
comunicativi n cui diverse funzioni si intrecciano.
Le forme che gli esseri umani possono utilizzare per comunicare
sono veramente innumerevoli e si possono classificare in
comunicazione interpersonale e comunicazione sociale.
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1.1 La comunicazione interpersonale
Per comunicazione interpersonale si intende quella
comunicazione che avviene fra due persone o all’interno di un
gruppo definito di persone. Tale comunicazione ha in sé una
certa immediatezza e la possibilità di risposta e di dialogo.
Comunicazione interpersonale è quella che ognuno di noi fa al
telefono, è lo sguardo fra due amanti, è una lettera personale o
professionale, è lo scambio di idee in una riunione di lavoro, è il
discorso di un relatore a un congresso. Si suddivide in
comunicazione verbale, non-verbale e para-verbale.
1.1.1 La comunicazione verbale
L’uomo può usare diverse modalità per comunicare, ma il codice
più rilevante è il linguaggio verbale, in quanto è estremamente
usato sia nella comunicazione interpersonale che in quella
sociale. Per il singolo individuo, è infatti una base insostituibile
nella condizione della propria vita. Grazie al linguaggio verbale,
egli conversa, chiede e dà aiuto, riceve e impartisce ordini,
esprime se stesso, legge, scrive...insomma assimila la cultura del
suo “gruppo”, impara concetti, pensa. Infatti anche il nostro
pensiero si appoggia sul linguaggio verbale, ragioniamo
facendoci delle farsi “interiori”, tant’è vero che ognuno pensa
nella propria lingua. Più una persona è intelligente e maggiori
sono le sue possibilità di apprendere un linguaggio ricco e
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complesso; viceversa, più una persona sviluppa il suo linguaggio
e migliori diventano le sue abilità intellettive.
Diversamente dalla comunicazione intesa nella sua globalità, il
linguaggio verbale è tipicamente umano, perché gli altri animali
non lo usano, anche se alcuni riescono ad adoperarlo a loro
modo: i pappagalli per esempio sanno ripetere alcune parole, ma
nessun animale riesce ad apprendere più di quanto riesca un
bambino di due anni.
Il linguaggio verbale assume caratteristiche diverse, infatti a
seconda di chi lo usa, dello scopo del contesto nel quale viene
utilizzato, possiamo dividerlo in informale e formale, scientifico,
burocratico, giuridico, letterario...
1.1.2 La comunicazione non-verbale
La comunicazione non-verbale è quella che non riguarda la
parola. Non essendo fatto di parole, il linguaggio non-verbale
viene spesso trascurato, dimenticando che la comunicazione non
si esaurisce alle sole parole. Mettendo a confronto il verbale col
non-verbale, vediamo che talvolta l’importanza di quest’ultimo
supera quella dell’altro.
Se consideriamo tutto il mondo della comunicazione, inclusa
enorme. Per esempio, consideriamo la comunicazione visiva:
generalmente gli individui tendono a privilegiare l’uso della vista
su quello degli altri sensi ed è proprio il non-verbale a essere una
forma di comunicazione spesso percepibile tramite la vista.
Pensiamo alla cultura odierna delle immagini: che ne sarebbe del
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successo dei mass media, se mettessero a disposizione del
pubblico solo le informazioni verbali?
A livello interpersonale, il linguaggio non-verbale può assumere
forme diversissime. Spesso il linguaggio non-verbale è usato per
accompagnare il linguaggio verbale, sostenendolo e
completandolo. Per esempio, noi italiani siamo famosi per la
nostra abitudine di gesticolare mentre parliamo e ciò aiuta molto
gli altri a comprendere le nostre descrizioni e le nostre opinioni.
Il linguaggio non-verbale è particolarmente adatto a esprimere
sentimenti e sensazioni e a chiarire fra gli interlocutori stessi la
relazione in cui si pongono reciprocamente.
Spesso il linguaggio non-verbale è più spontaneo e immediato,
talvolta sfugge addirittura al controllo dell’emittente, mentre la
parola è sempre un atto più controllato e controllabile. Un aspetto
interessante del linguaggio non-verbale è infatti la facilità dei
suoi segnali di tradirci a nostra insaputa. Certe volte, per
esempio, non vorremmo far capire agli altri alcuni sentimenti o
sensazioni che proviamo, ma il nostro non-verbale ci tradisce
facendo fallire l’uso della “maschera” che avremmo voluto
indossare...
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1.1.3 La comunicazione para-verbale
Consideriamo comunicazione para-verbale tutte quelle modalità
che vengono usate in concomitanza (prima, dopo, durante) di un
quella sociale, vediamo che nella realtà l’impatto non-verbale è
messaggio verbale orale. Le principali forme del linguaggio para-
verbale sono: il volume della voce, la velocità della parola, le
pause, il silenzio, il riso e altre espressioni sonore.
Si tratta di modalità comunicative “minori”, fatte di piccole cose,
di dettagli, non per questo trascurabili, tutt’altro.
La parola volume viene utilizzata per indicare l’intensità del
suono e il volume della voce viene percepito più debole se i
riceventi sono lontani dall’emittente. Il volume viene usato non
tanto come significante per messaggi differenti, quanto come
“filtro” che facilita o meno la comunicazione.
Il volume della voce può anche essere espressione della
personalità, in quanto ogni individuo ha delle tendenze nella
scelta del volume di voce con cui si esprime, ma la funzione
comunicativa vera e propria del volume della voce è la tendenza
ad alzarlo o abbassarlo a seconda della situazione in cui ci si
trova. Molte volte dal volume della voce che una persona usa se
ne capisce l’umore.
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1.2 La comunicazione sociale
Per comunicazione sociale intendiamo quella comunicazione che
ha, in genere, alcune caratteristiche:
a) viene realizzata da una o poche persone ed è rivolta a molte
persone, talvolta addirittura alle masse;
b) l’emittente, mentre produce il messaggio, non sa esattamente
quanti e quali saranno gli individui che lo riceveranno;
c) non c’è la possibilità di un confronto immediato fra gli
interlocutori.
Comunicazione sociale è un programma televisivo, è il manifesto
appeso al muro, è il libro che prendiamo in biblioteca, è la
segnaletica stradale...
1.3 La comunicazione di massa
La comunicazione di massa può essere considerata come una
forma speciale di comunicazione sociale se si struttura, nel senso
più semplice e generale, come comunicazione segnica
(linguaggio verbale, gestuale, mimica, altri sistemi visuali e
acustici) di determinati contatti tra un trasmittente
(comunicatore) e un destinatario (ricevente).
La teoria matematica della comunicazione, ideata da Shannon e
Weaver [1949], aiuta a comprendere molto facilmente e con
estrema chiarezza il sistema di comunicazione tra trasmittente e
destinatario, grazie a un semplice schema:
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FONTE DI
INFORMAZIONE DESTINATARIO
| |
messaggio messaggio
| |
TRASMITTENTE -- segnale -- -- segnale ricevuto --
RICEVENTE
|
FONTE DI RUMORE
In contrasto con la comunicazione interpersonale (“face-to-face-
communication”), nella quale è caratteristico uno scambio
virtualmente più continuo tra trasmittente e ricevente, i
“partners” della comunicazione di massa fungono in determinate
situazioni soltanto da comunicatori, o soltanto da riceventi. Il
contatto personale è sospeso e sostituito da un apparato tecnico-
organizzativo in grado di trasmettere contenuti conformi al senso.
Secondo il ricercatore tedesco Peter Muller [1970], la parola
“massa” nell’accezione corrente, non si riferisce ai comunicatori,
bensì ai comunicati che vengono prodotti in grandi quantità. Per
comunicazione di massa, egli intende «la trasmissione, che
avviene in sistemi segnici e significativi generalmente
comprensibili, di contenuti di attualità, di impegno e di
divertimento a una comunità di riceventi, che si rappresentano al
comunicatore in modo eterogeneo, indistinto e anonimo. Tuttavia
tale trasmissione non è affatto isolata socialmente in quanto si
avvale di mezzi tecnici la cui organizzazione richiede una vasta
partecipazione della sfera del lavoro sociale». Si può aggiungere
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che la comunicazione di massa, ricorrendo a procedure ricavate
dal processo industriale e socialmente formalizzato, fornisce a un
pubblico illimitato e molto diversificato messaggi semantici,
visuali e acustici, sono prodotti e presentati da particolari gruppi
sociali. Questa sorta di distribuzione dei messaggi è pubblica,
rapida, indiretta ed esclusiva, e si realizza in modo relativamente
non strutturale e informale, creando un “dialogo” tra i mass
media e il pubblico.
La comunicazione di massa si colloca nell’ambito del processo
comunicativo sociale generale, organizzato e istituzionalizzato
come comunicazione al di là delle discussioni politiche, dei
processi produttivi..., cioè dei meccanismi dell’esercizio del
potere, dell’economia capitalistica...
molto spesso si dimentica che vi è una profonda differenza tra un
tipo di comunicazione di massa, che possiamo definire periodica
e che manifesta pretese di attualità e di universalità (televisione,
radio, giornali, riviste), e un tipo di comunicazione di massa non-
periodica, alla quale è preclusa ogni pretesa di attualità e
universalità, o per lo meno si tratta di pretese “non-costitutive”
(libri, film, manifesti, dischi, nastri, cassette). Del secondo
gruppo fanno parte anche alcune pubblicazioni periodiche
(fumetti, romanzi gialli...). Ambedue i tipi di gruppi fanno parte
dei sottosistemi sociali della comunicazione di massa, in quanto
sono in grado di soddisfare determinate funzioni considerando
l’ambiente e senza dare troppa importanza alle aspettative
comportamentali standardizzate e istituzionalizzate.