6
In conclusione mi ritengo soddisfatto prima di tutto perché quella mia domanda ini-
ziale ha avuto una risposta positiva, in secondo luogo perché ho scoperto degli impor-
tanti elementi a supporto della mia tesi, soprattutto per quanto riguarda l’impostazione
federale fornita al Grundgesetz e la questione del federalismo fiscale, che risentono pe-
santemente delle direttive degli alleati, in particolare degli Americani, grande modello
storico di federalismo e nazione con un potere d’influenza speciale sulla Germania con-
siderato il suo rilievo economico e militare.
Ma al di là dell’interesse personale sull’argomento, nelle questioni storiche e costitu-
zionali, è assai significativo discutere oggi sulle origini del federalismo tedesco in rela-
zione alle tendenze di riforma in atto, che si orientano al recupero dell’originaria impo-
stazione federale della Legge Fondamentale di Bonn, sollecitando quindi un rinnovato
interesse nei confronti del modello “partorito” tra il 1948 e il 1949
1
.
La Commissione di Bundestag e Bundesrat per la Modernizzazione dell’ordinamento
federale, istituita il 17 ottobre 2003, di composizione politica allargata, ha come deno-
minatore comune della sua attività il riconoscimento della necessità urgente per
l’ordinamento federale tedesco di riconquistare la funzionalità gradualmente perduta nel
corso degli anni. In particolare è stato sottolineato come il contenuto di numerosi artico-
li del Grundgesetz, riguardanti la ripartizione di funzioni (sopratutto legislative) tra
Bund e Länder, abbia conosciuto un’evoluzione interpretativa che in molti casi ha sov-
vertito le delimitazioni di competenza tra i vari gradi dell’organizzazione statuale tede-
sca. L’effetto più allarmante è stato l’incremento anomalo degli interventi del Bundesrat
sulle decisioni legislative, e, viceversa, l’aumento del potere del Bund di intervenire
sull’esecuzione delle leggi federali da parte dei Länder (potere di supervisione, art. 84,
art. 85, comma 1, 2).
In questi fenomeni è stata ravvisata una contraddizione con lo spirito ispiratore degli
artefici della Legge Fondamentale, e alcuni hanno parlato di pericolo di totale assimila-
zione da parte della Federazione delle competenze per le materie soggette all’articolo
75, sulle leggi-cornice.
1
Per informazioni sui processi di riforma del federalismo tedesco si consulti il numero 3 della rivista
telematica “Osservatorio sul Federalismo e i processi di governo” sul sito web: www.federalismi.it, dove
il tema è ben illustrato in un articolo di Andrea De Petris.
7
D’altro canto si è criticata la funzione di approvazione da parte del Bundesrat delle
leggi già congedate con successo dal Bundestag. Questa potestà del Bundesrat è stata
ampiamente e impropriamente estesa anche alle leggi che in realtà richiederebbero un
pronunciamento della Seconda Camera sui soli aspetti di carattere amministrativo ed e-
secutivo, e non anche sui suoi contenuti più prettamente sostanziali (estensione del pote-
re di veto sospensivo che ne snatura la sua originaria funzione istituzionale).
Tutto ciò ha comportato una scissione della potestà decisionale tra i due rami del Par-
lamento, in contrasto con la responsabilità di guida politica che appartiene alla maggio-
ranza che sostiene il Governo federale.
In ultima analisi va osservato come il processo di europeizzazione della politica degli
Stati membri dell’Unione si è posto in contrasto con le esigenze di regionalizzazione
della politica nazionale, non solo nel caso tedesco, ma anche nei contesti di molti altri
Paesi europei. Il bisogno di difendere la sovranità, l’identità etnica e religiosa, ma anche
politica, culturale, linguistica minacciate, rende difficile un’accettazione completa e
convinta di un sistema giuridico internazionale, di fronte anche ai fenomeni crescenti di
globalizzazione.
In conseguenza del sostanziale stallo che spesso si crea ogni volta che organi di rap-
presentanza federali e substatuali sono chiamati a cooperare, la revisione del federali-
smo tedesco si rende necessaria al fine di riequilibrare le funzioni istituzionali di Bund e
Länder.
Come afferma Hans Meyer
2
, costituzionalista che fa parte della Commissione per la
riforma federale, al centro della Legge Fondamentale c’è la posizione dei Länder, so-
prattutto per via della presenza delle potenze occupanti nel periodo costituente, che in
nessun caso avrebbero autorizzato la costruzione di un nuovo Stato tedesco accentrato.
La prassi applicativa delle norme costituzionali ha tuttavia posto in essere in Germania
una situazione molto differente, molte competenze legislative, infatti, sono divenute
completamente federali anche quando erano previste come concorrenti. In questo caso
si discute della opportunità per molte di queste materie di essere trasferite ai Länder,
ma, in misura minore, la discussione riguarda anche alcune competenze possedute dai
2
Si veda l’intervista di Andrea De Petris al Prof. Hans Meyer sui lavori della “Commissione bicame-
rale per la modernizzazione dell’ordinamento federale tedesco”, nel numero 7 della rivista telematica
“Osservatorio sul Federalismo e i processi di governo”, dal sito web: www.federalismi.it.
8
Länder di cui sarebbe auspicabile il trasferimento al Bund. In un’altra direzione, per le
materie di competenza esclusiva federale la tendenza riformatrice mira a realizzare una
decisione autonoma da parte della Federazione (eliminando il veto del Bundesrat).
In questo lavoro si evidenzieranno le intenzioni politiche che hanno guidato
l’elaborazione del Grundgesetz, intenzioni che proprio recentemente si vogliono recupe-
rare, poiché furono quasi subito tradite nell’attuazione della Costituzione. I lineamenti
del federalismo tedesco furono il risultato di una stretta collaborazione tecnica tra rap-
presentanti politici tedeschi e forze d’occupazione, per cui vanno studiati i diversi ap-
porti teorici che lo hanno modellato nella forma originaria riportata dalla Legge Fonda-
mentale. Le parole dello studioso di diritto Horst Dippel “vanno a pennello” con questa
tesi: «l’influsso americano nelle questioni dello Stato federale di regola non è nella let-
teratura considerato degno di menzione, poiché, secondo quel che si dice, non solo un
ordine federale era evidente per la Germania nel 1848/49, ma questo era addirittura
l’unico che corrispondeva naturalmente all’ordine politico tedesco. Questa valutazione,
che è continuata fino ai tempi più recenti, né considera le condizioni storiche, né è in
grado di spiegare in modo soddisfacente le specifiche caratteristiche dello Stato federa-
le tedesco, nelle sue differenze col confrontabile modello americano»
3
.
Ritengo, inoltre, che il modello federale tedesco, per la unicità delle sue caratteristi-
che nel contesto europeo, abbia un’importanza fondamentale e una perpetua attualità
come manifestazione di direttrici utili a tutti i paesi che intendono avviare un approccio
al federalismo; infatti, nel momento in cui si stabilisce di intraprendere percorsi già scel-
ti da altri ordinamenti, si deve avere la capacità di trarre gli insegnamenti che possono
derivare dalle loro esperienze.
Per quanto riguarda invece la scelta dell’impostazione che ha caratterizzato questo
lavoro nella seconda parte, ho optato per un metodo minimalista degli studi giuridici,
che a mio parere risulta molto efficace. Ho presentato documenti, articoli e passaggi di
testi importanti (come il Federalist) da fonti differenti e in chiave comparativa. Ho ri-
nunciato intenzionalmente a confrontarmi con l’immensa letteratura sul federalismo per
applicare un confronto fra testi, facendo apparire, in modo diretto, immediato e scienti-
3
HORST DIPPEL, Die Konstitutionalisierung des Bundesstaats in Deutschland 1849-1949 und die
Rolle des amerikanischen Modells, in «Der Staat (Zeitschrift Staatslehre öffentliches Recht und
Verfassungsgeschichte)» Duncker & Humblot, Berlin 1999, pp. 222, 223.
9
fico, analogie, corrispondenze, influenze e ispirazioni tra esperienze costituzionali. Que-
sto metodo, che ricorda certi aspetti degli studi di Law and Literature diffusi negli Stati
Uniti, è giustificato anche da alcune recenti tendenze dottrinarie che propongono di in-
terpretare la comparazione come traduzione (traduzione di testi, di modelli, di istituti).
Nel fascicolo monografico di Ars interpretandi, titolato Traduzione e diritto, che racco-
glie contributi provenienti non solo dal mondo dei giuristi
4
, Rodolfo Sacco sottolinea
come «nei prossimi vent’anni i problemi della traduzione diverranno certamente il ca-
pitolo più promettente della comparazione giuridica, in grado di aprire vie
d’importanza primordiale per l’epistemologia giuridica». Il senso di questa proposta è
di spingere il comparatista a divenire consapevole del fatto che l’importazione di model-
li e istituti da una esperienza giuridica a un’altra non avviene mai senza che si compia
una reinterpretazione dell’istituto o modello “importato”, che lo riveste di senso
all’interno dell’ambiente giuridico in cui va impiantandosi.
La crescente globalizzazione del diritto, che si è riflessa per esempio nella riforma
del diritto internazionale privato italiano (legge 218/95, principio del iura aliena novit
curia), è foriera di un riconoscimento dell’essenza relazionale e comunicativa del dirit-
to; non in un ambito segnato dal diritto interno, ove la relazione e la comunicazione av-
viene fra persone, ma in un ambito internormativo, ove si confrontano ordinamenti e
culture giuridiche dissimili.
Se, dunque, lo studio del diritto comparato è una scienza tesa ad una migliore cono-
scenza del diritto, la comparazione giuridica ha come scopo precipuo quello di conosce-
re ed accertare somiglianze e differenze tra modelli giuridici.
4
Cfr. Ars interpretandi. Annuario di ermeneutica giuridica, Milano, 2000, numero monografico su
Traduzione e diritto con contributi di P. Ricoeur, D. Davidson, J. R. Searle, D. Jervolino, G. Borradori, G.
Ravasi, R. Sacco, G. R. de Groot, J. Wróblewski, T. Mazzarese, W, Hassemer e M. Walzer.
10
C A P I T O L O P R I M O
*****
QUADRO STORICO-POLITICO DELLA GERMANIA
DAL 1945 AL 1949
11
I. La rottura della coalizione antinazista e la divisione della Germa-
nia.
La situazione nella quale venne a trovarsi la Germania alla fine della seconda guerra
mondiale presenta molte analogie con la situazione nella quale essa si era trovata nel
corso della prima guerra mondiale, così come più di un'analogia esiste tra le circostanze
che condussero, in un contesto e in un momento diversi, allo scoppio delle due guerre
mondiali.
5
Ma la posizione della Germania alla vigilia della sconfitta era nel 1945 assai
più compromessa e disperata di quella del 1918: nel 1918 gli eserciti alleati non erano
penetrati su suolo tedesco, inoltre la pace imposta a Brest-Litovsk alla Russia impegnata
nella rivoluzione bolscevica
aveva allontanato una minaccia diretta dai domini orientali
della Germania; la stessa potenza distruttrice della guerra non era passata direttamente
sulle città tedesche; all'interno, la compagine statale aveva, bene o male, resistito senza
subire scosse apparentemente troppo violente al mutamento istituzionale. Ora, invece, la
Germania, gettata nella guerra dall'espansionismo nazista, non soltanto era cinta da vi-
cino dall'assedio concentrico di una nuova coalizione che riuniva le forze dell'occidente
e dell'oriente d'Europa, cui si era ancora una volta aggregata la maggiore potenza d'oltre
Atlantico, ma vedeva ritorcersi direttamente sul suo corpo la sfida e la violenza della
guerra totale con tanta iattanza proclamata dai reggitori nazisti, e gli eserciti alleati si
apprestavano a completare l'occupazione militare del paese, di cui veniva messa in forse
la stessa sussistenza come entità statuale. Distrutto il nazismo, la ricostruzione della
Germania come fattore di potenza e di equilibrio internazionale nel cuore dell'Europa,
all'incrocio tra est e ovest, e come società nazionale, doveva partire quindi da zero; que-
sti due aspetti, diversi ma inscindibili, del problema tedesco condizionarono non soltan-
to i rapporti politico-diplomatici ma anche la collaborazione strategico-militare tra le
potenze della coalizione antinazista. Per questo è necessario vedere anzitutto come que-
ste affrontarono il problema della sistemazione futura della Germania.
5
La maggior parte delle informazioni utilizzate per la ricostruzione del problema tedesco negli anni
compresi tra il 1945 e il 1949 sono tratte dall’opera di ENZO COLLOTTI, Storia delle due Germanie
1945-1968, Einaudi, Torino 1968.
12
1.1. I propositi degli alleati: la distruzione dell’ideologia nazista e l’instaurazione
della democrazia.
A parte le generiche e ovvie dichiarazioni esprimenti la volontà dì continuare la guer-
ra fino alla sconfitta della Germania, volontà ribadita nella risoluzione interalleata di
Londra del 12 giugno 1941 e, dopo l'aggressione tedesca all'Unione Sovietica, la deci-
sione comune anglo-sovietica per la condotta congiunta delle operazioni militari, consa-
crata nell'accordo di Mosca del 12 luglio 1941, la prima definizione degli scopi di guer-
ra degli alleati risale alla cosiddetta Carta atlantica, emessa il 14 agosto 1941 al termine
di un incontro al largo del Canada tra il presidente degli Stati Uniti Franklin D. Roose-
velt e il primo ministro britannico Winston Churchill.
In questo modo gli Stati Uniti, pur non essendo ancora ufficialmente e direttamente
coinvolti nella guerra, prendevano inequivocabile posizione contro la Germania, auspi-
cando la «distruzione finale della tirannia nazista»; Gran Bretagna e Stati Uniti affer-
mavano di non essere mossi nella loro politica dal desiderio di ottenere alcun «ingran-
dimento, territoriale o d'altro genere», esprimevano il desiderio che non avvenissero
mutamenti territoriali senza il libero consenso delle popolazioni interessate, proclama-
vano il diritto di ogni popolo di scegliersi la propria forma di governo, si impegnavano
infine a favorire l'accesso a tutti gli Stati, senza distinzione tra vincitori e vinti, al com-
mercio mondiale e alle materie prime, a promuovere la collaborazione economica inter-
nazionale allo scopo di migliorare il livello del lavoro, il progresso economico e la sicu-
rezza sociale, a restaurare la sicurezza internazionale e a garantire che «ogni uomo in
ogni paese possa vivere in libertà dal timore e dal bisogno», auspicando al tempo stesso
l'abbandono dell’uso della forza da parte delle nazioni e il disarmo generale.
Tuttavia, soltanto in un secondo momento gli alleati, nell'elaborazione dei principi
destinati a presiedere alla loro collaborazione non soltanto militare ma anche politica,
incominciarono ad uscire dal vago delle dichiarazioni ideologiche e di principio, per
scendere sul terreno di concrete proposte per la sistemazione futura della Germania, o
quanto meno per concordare le grandi linee del loro comportamento nei confronti dei
problemi concreti e pratici che si sarebbero posti con la fine delle ostilità. Ancora, sol-
tanto verso la fine del 1943, quando ormai sì profilava la vittoria delle armate alleate di
cui rimaneva ancora incerto soltanto il momento preciso, questi progetti andarono pren-
13
dendo una forma più definita; la sorte della Germania aveva costituito oggetto costante
di discussione negli incontri diplomatici, politici e militari, che si erano susseguiti tra gli
alleati negli anni precedenti.
La ricostruzione dell'atteggiamento dell'Unione Sovietica nei confronti del problema
tedesco resta affidata per il momento essenzialmente a fonti di parte occidentale, ed è
quindi implicita in essa un largo margine di arbitrarietà e di imprecisioni.
Ma evidentemente le ragioni della condotta militare, che portarono tra l'altro alla co-
mune risoluzione degli alleati di non accettare alcun armistizio separato, non escludeva-
no la necessità di affrontare anche gli aspetti politici del conflitto e di impostare i prin-
cipali problemi della regolamentazione futura della pace. Gli Stati Uniti, ad esempio,
ben presto dopo la loro entrata in guerra si diedero a studiare i problemi per la sistema-
zione postbellica.
Bisognava attendere però l'incontro Roosevelt - Churchill di Casablanca, a metà gen-
naio del 1943, per arrivare a una pubblica dichiarazione delle intenzioni degli alleati, e
precisamente alla richiesta di resa incondizionata (Unconditional Surrender) posta alla
Germania e ai suoi alleati come «garanzia ragionevole per la futura pace mondiale»
6
.
Come spiegò Roosevelt nel dare notizia alla stampa di questa decisione, essa implicava
«non la distruzione delle popolazioni in quei paesi, ma la distruzione delle loro ideolo-
gie fondate sul terrore e sull’odio e sull'asservimento di altri popoli».
Criticata allora e successivamente, da diverse parti e per diverse ragioni di ordine po-
litico e psicologico, la dichiarazione di Casablanca, che fu dovuta probabilmente all'ini-
ziativa personale di Roosevelt, non aveva presumibilmente altro scopo che quello di ri-
badire l'assoluta impossibilità di una cessazione delle ostilità che non si concludesse con
la completa eliminazione dei regimi nazifascisti; essa era cioè una conferma degli obiet-
tivi di guerra proclamati dagli alleati, anche se anticipava in un certo senso le modalità
materiali della cessazione delle operazioni belliche, e soprattutto doveva servire per la-
sciare ai vincitori mano libera nella regolamentazione delle condizioni postbelliche,
senza precostituire alcun impegno che ne vincolasse in qualche modo la libertà di azio-
ne e di decisione. Ciò evidentemente come risultato dell’esperienza negativa fatta dagli
6
Cfr. Documents on Germany under Occupation 1945-1954, scelti e pubblicati a cura di BEATE
RUHM VON OPPEN, Oxford University Press, Londra 1955, p. 1.
14
alleati nel primo dopoguerra, allorché la Germania, appellandosi ai principi solenne-
mente proclamati da Wilson, era riuscita a contrastare validamente l'attuazione integrale
della politica dei vincitori e a ottenere condizioni notevolmente e sostanzialmente più
miti. In un certo senso, quindi, anche adesso gli alleati volevano impedire che i tedeschi
si facessero forti dei principi contenuti nella Carta atlantica per sottrarsi alla inevitabile
disfatta e alle sue conseguenze e per condizionare l'azione delle potenze vincitrici.
Comunque sia, dopo la svolta della guerra segnata dalla battaglia di Stalingrado, il
primo vero rovescio militare che apriva la via alla disfatta definitiva della Germania, si
intensificarono tra gli alleati gli sforzi per mettere a fuoco i piani per il futuro. La sorda
battaglia tra Stalin e Churchill per l'apertura del secondo fronte promesso da Churchill
fu il preludio della lotta che si sarebbe scatenata a guerra finita per l'egemonia sull'Eu-
ropa e quindi sulla Germania, asse di ogni soluzione centroeuropea. Procrastinando lo
sbarco sull'Europa continentale Churchill impediva l'alleggerimento della pressione te-
desca sul fronte orientale e contribuiva in tal modo a contenere la spinta verso occidente
delle armate sovietiche. Con ciò si confermava che il problema tedesco rappresentava il
nodo dei rapporti futuri tra le potenze della coalizione antinazista.
Alla conferenza di Mosca fu sottoscritta una dichiarazione sulle atrocità commesse
dalle forze hitleriane nei paesi occupati, nella quale gli alleati si assumevano solenne-
mente l'impegno di giudicare i principali responsabili delle atrocità stesse; oggetto di di-
scussione fu anche l'assetto futuro della Germania sulla base di documenti presentati
dalla delegazione statunitense, nei quali erano affrontati il problema dell'occupazione e
del controllo della Germania da parte delle potenze alleate, in vista della distruzione del-
la potenza militare tedesca e dell'eliminazione del regime nazionalsocialista da una parte
e dell'instaurazione di un regime democratico dall'altra, mentre venivano confermati i
dubbi sulle possibilità di realizzare un effettivo smembramento della Germania in più
stati, dubbi ai quali aderirono anche i rappresentanti britannici e quelli sovietici.
15
1.2. Le strutture e i metodi della politica alleata postbellica: l’E.A.C.
Ma la decisione più importante della conferenza di Mosca, oltre alla proclamazione
della volontà di restituire l'indipendenza all'Austria, fu la creazione di un organismo
permanente, la European Advisory Commission, per lo studio delle questioni relative al-
la sistemazione postbellica dell'Europa, con il compito di presentare raccomandazioni ai
tre governi alleati. In tal modo lo studio del futuro della Germania usciva dalla fase ge-
nerica delle formulazioni dei singoli governi e dei propositi di massima per entrare in
quella più impegnativa del coordinamento di concrete proposte congiunte, quale comu-
ne piattaforma politica delle potenze della coalizione antinazista: da questo punto dì vi-
sta si può ben dire che la European Advisory Commission fu lo «strumento decisivo nel-
la preparazione della politica postbellica degli alleati relativamente alla Germania»
7
.
In seno a questa commissione furono elaborati i documenti principali per l'ammini-
strazione della Germania occupata ad opera delle potenze alleate, quali le dichiarazioni
del 5 giugno 1945 sulla disfatta della Germania, sull'assunzione dei poteri da parte delle
potenze occupanti e sulla ripartizione del territorio tedesco in zone d'occupazione.
Il problema tedesco venne quindi affrontato, alla fine del 1943, alla conferenza di
Teheran (28 novembre – 1° dicembre), che vide riuniti i tre capi di governo alleati,
Churchill, Roosevelt e Stalin, nella prima delle conferenze alla sommità che dovevano
decidere la sistemazione postbellica mondiale. Ufficialmente la conferenza esprimeva la
volontà decisa di schiacciare militarmente la Germania, come affermava la dichiarazio-
ne comune emessa alla conclusione dei suoi lavori e nella quale era detto: «Nessuna po-
tenza al mondo potrà impedirci di distruggere gli eserciti tedeschi sulla terra, i suoi
sommergibili sul mare e la sua industria bellica dall'aria. I nostri attacchi diventeranno
spietati e sempre più forti»; ma in realtà questa ulteriore riaffermazione degli obiettivi
militari immediati degli alleati era stata preceduta dalla discussione politica circa la sor-
te della Germania nel dopoguerra.
7
Cfr. E. DEUERLEIN, Die Einheit Deutschlands. Ihre Erörterung und Behandlung auf den Kriegs-
und Nachkriegskonferenzen 1941-1949. Darstellung und Dokumentation, Frankfurt a. M. 1957, p. 36.
16
Sia Stalin, sia Roosevelt, e con minore drasticità forse lo stesso Churchill, sottolinea-
rono in questa occasione, ancora una volta, i pericoli di una rinascita della Germania e
la necessità di predisporre energiche misure di salvaguardia contro una tale minaccia.
Forse per la prima volta affiorò in queste discussioni una divergenza di fondo tra gli al-
leati sui metodi per prevenire l'eventualità di un ritorno aggressivo della Germania:
mentre Churchill avrebbe preferito seguire la via del disarmo e del controllo del poten-
ziale industriale tedesco, senza incidere profondamente sull'assetto territoriale della
Germania, Stalin e Roosevelt propendevano invece per soluzioni più radicali. La lentez-
za nell'apertura del secondo fronte era certamente legata anche all'incertezza delle pro-
spettive politiche, che Churchill in particolare non voleva sacrificare a danno dell'occi-
dente e a vantaggio dell'Unione Sovietica.
La tesi di uno spezzettamento della Germania tale da infrangerne forse per sempre la
potenza e l'unità, come si proponevano Roosevelt e forse anche Stalin, non trovava, è
vero, l'unanimità dei Tre Grandi, tuttavia sul principio della spartizione non sembrava
sussistere dubbio. Nell'impossibilità però di raggiungere un accordo definitivo sui modi
pratici della sua attuazione, la questione fu deferita allo studio della Commissione con-
sultiva europea, che proprio allora si trovava in procinto di iniziare i suoi lavori.
Nel frattempo i singoli gruppi di lavoro alleati continuavano lo studio delle questioni
connesse al complesso del problema tedesco. In particolare gli esperti del dipartimento
di Stato affrontarono nei dettagli il problema dello smembramento, ponendo in evidenza
i vantaggi e gli svantaggi, l'utilità e i pericoli di una simile soluzione; questa se aveva il
merito di realizzare l’auspicato indebolimento del potere statale della Germania, apriva
anche incognite non indifferenti, sia ai fini delle possibilità di un effettivo controllo del
disarmo e dello sviluppo democratico futuro, sia dal punto di vista della vitalità econo-
mica dei progettati nuovi stati tedeschi. Non da ultimo, infine, il dipartimento di Stato
espresse il timore che la spartizione potesse ripercuotersi negativamente nel senso di at-
trarre i singoli stati tedeschi nel gioco d'influenze delle grandi potenze, creando cosi un
elemento di divisione fra di esse.
L'opinione del dipartimento di Stato non rispecchiava tuttavia il punto di vista uffi-
ciale. Roosevelt in special modo non rimase insensibile alle ben più radicali proposte
elaborate dal sottosegretario al Tesoro Henry Morgenthau nella seconda metà del 1944,
17
proposte che in effetti furono portate in discussione alla seconda conferenza di Quebec
nel settembre di quell'anno.
1.3. Continua: il piano Morgenthau, la divisione in zone d’occupazione e l’A.C.A.
Tra i piani alleati del tempo di guerra sul futuro della Germania, il progetto Morgen-
thau, oltre ad essere uno dei più elaborati, è certamente il più drastico nel senso di dare
rigorosa attuazione al principio dello smembramento dell'unità statale e della riduzione
del potenziale industriale della Germania. Esso prevedeva il disarmo totale della Ger-
mania, da attuarsi con la distruzione del potenziale bellico e dell'industria bellica tede-
sca, l’attuazione delle riparazioni, la punizione dei criminali di guerra e il controllo del-
l'educazione della gioventù tedesca. Da ultimo era previsto il controllo internazionale
per la deindustrializzazione della Ruhr, includendo in questa zona un'area assai più va-
sta del solo bacino della Ruhr, ossia quasi tutta la Renania e la fascia della Germania
nordoccidentale che va dalla Renania stessa sino a nord del canale di Kiel.
Pur non essendo stato ripudiato espressamente, il piano Morgenthau non divenne
neppure base ufficiale della politica statunitense, sulla quale tuttavia esercitò una indub-
bia influenza, almeno nei primi tempi dell'occupazione, in quanto espressione, sia pure
poco realistica ed eccessivamente drastica nella sua assolutezza, della necessità allora
realmente avvertita di smilitarizzare la Germania e di porne sotto controllo internaziona-
le l'enorme potenziale industriale.
Come si è già detto, l'incontro e la fusione tra i diversi punti di vista degli alleati av-
venne nell'ambito dei lavori della Commissione consultiva europea, che fu il vero centro
registratore delle convergenze e delle divergenze tra le grandi potenze. In seno a questa
commissione si svolsero i lavori di preparazione materiale dei documenti atti a tradurre
praticamente i principi della politica alleata. In particolare, la commissione ebbe a occu-
parsi in primo luogo della delimitazione delle zone d'occupazione nelle quali sarebbe
stata ripartita la Germania, sulla base dell'accettazione di massima del principio
dell’amministrazione e della responsabilità congiunta degli alleati già stabilito alla con-
18
ferenza di Mosca nell’autunno del 1943, come punto di partenza della politica delle po-
tenze vincitrici
8
.
La divisione in zone d'occupazione fu decisa in base a considerazioni di natura pret-
tamente pratica, per l'impossibilità di provvedere ad una amministrazione unitaria di un
paese cosi grande per mezzo di forze dipendenti da tanti commandi diversi, per cui si
imponeva una ripartizione anche territoriale dei compiti e delle responsabilità. Ma fu
anche dettata dalla necessità di conciliare le ragioni di prestigio delle diverse potenze.
Questa fu dunque l'origine della divisione che in seguito doveva assumere un significato
cosi preminente anche dal punto di vista politico, a dispetto delle intenzioni iniziali dei
suoi promotori, per quanto già in partenza ciascuna delle singole potenze occupanti ten-
tasse di trarre il massimo profitto dalla propria zona d'occupazione, quanto meno in
termini di riparazioni. È evidente, ad esempio, che il tentativo compiuto inizialmente
dalla Gran Bretagna di porre sotto il suo controllo il più grande distretto industriale del-
la Germania era stato ispirato dal desiderio degli inglesi di assumere una parte decisiva
nel controllo del potenziale industriale tedesco.
La ripartizione delle zone d'occupazione non fu il solo compito affrontato e risolto
dalla Commissione consultiva, la quale ebbe a elaborare anche un progetto di documen-
to per la capitolazione incondizionata della Germania e i piani per la struttura dell'Ente
alleato di controllo (Allied Control Authority) destinato a sovrintendere all'amminis-
trazione del grande paese occupato o ad assicurare l’unitarietà delle direttive delle po-
tenze occupanti. In sostanza, il materiale cosi raccolto ed elaborato dalla commissione
fornì il dossier per la discussione del problema tedesco alla conferenza di Jalta, in Cri-
mea, che riunì i Tre Grandi nell'imminenza della cessazione della guerra guerreggiata -
quando già le armate alleate convergenti da oriente e occidente si accingevano a pene-
trare verso il cuore della Germania - allo scopo di definire l'aspetto postbellico mondia-
le, e in particolare quello dell'Europa così direttamente sconvolta dalla conflagrazione.
8
Sulla delimitazione delle zone d’occupazione e in particolare sui lavori della Commissione consulti-
va europea si veda il saggio di P. E. MOSELY, The Occupation of Germany. New Light on How the
Zones were Drawn, in «Foreign Affairs», luglio 1950, pp. 580-604.
19
1.4. La conferenza di Jalta: la spartizione della Germania e le riparazioni.
A Jalta, dal 4 all'11 febbraio 1945, Churchill, Stalin e Roosevelt - facendo seguito
all’incontro anglo-americano di Malta - fecero il punto della situazione militare e passa-
rono in rassegna le prospettive aperte dall'imminente vittoria degli eserciti alleati. Il
primo degli argomenti affrontati fu appunto il problema tedesco. Scontata la necessità di
un controllo militare, pregiudizialmente e unanimamente accettato da tutti, aperto rima-
neva soprattutto il problema della spartizione della Germania, anch'esso inizialmente
accettato nel principio, ma tutt'altro che risolto nella sua pratica attuazione. Insoluti ri-
manevano inoltre così la questione delle frontiere orientali come i particolari pratici per
l'esazione delle riparazioni.
Relativamente facile per i tre capi alleati fu raggiungere l'accordo sulla partecipa-
zione della Francia all'occupazione della Germania e al Consiglio di controllo alleato,
una volta superate le obiezioni sovietiche, stabilendo che la zona francese sarebbe stata
ritagliata da quelle britannica e americana, invariata restando invece la delimitazione del
settore sovietico; meno facile fu accordarsi sulla partecipazione della Francia all'organi-
smo di controllo, data l'opposizione manifestata in un primo tempo da Stalin e condivisa
anche da Roosevelt. Il problema dello smembramento della Germania, che era ancora
iscritto tra gli obiettivi degli alleati, non fece invece alcun sostanziale passo in avanti.
Fu bensì convenuto che lo strumento per la resa incondizionata della Germania ela-
borato dalla Commissione consultiva europea dovesse essere integrato con una clausola
che prevedesse espressamente la potestà, non comunque l'impegno, per le potenze oc-
cupanti di procedere allo smembramento della Germania, ma in definitiva nessuno dei
partecipanti fu ancora una volta in grado di formulare proposte concrete al riguardo. Ri-
conosciuta così la necessità di approfondire lo studio di questo argomento, la questione
fu rinviata ad uno speciale comitato composto da Eden, Winant e Gusev, che avrebbe
dovuto decidere anche sulla partecipazione ai suoi lavori di un delegato francese.
Come informa P. E. Mosely che seguì da vicino, nella sua qualità di esperto statuni-
tense, la preparazione dei piani alleati, questo comitato tenne soltanto due riunioni pro-
cedurali e non discusse mai le questioni di sostanza: «Come si approssimavano i tumul-
tuosi eventi della ‘débâcle’ della Germania, tutti i capi alleati erano impegnati a con-
centrare i loro sforzi per risolvere i problemi quotidiani. Lo smembramento che a Jalta