4
emergenza o cariche di ambiguità e ciò ha i suoi risvolti di ansia e di fuga, di
perdita di controllo e di accuratezza.
Esiste, nella società italiana, una forte domanda di investigazione, di sicurezza,
di conoscenza. Esiste una domanda sociale crescente di professionalità e
scientificità della pratica investigativa, per situazioni che vanno dal
proscioglimento, perché il fatto non sussiste, fino all’ingiusta detenzione.
Milioni di persone sono state coinvolte per errore nel vortice della giustizia.
Quanti sono stati prosciolti dopo aver sofferto una indebita custodia
cautelare? E quanti sono i reati consumati ma non perseguiti?
1
L’identità investigativa assume i connotati di una moderna professione resa
difficile dalla complessità e della naturale indeterminatezza, ispirata dal
dubbio e orientata alla scoperta dell’errore, prima ancora che alla ricerca della
verità.
Il nucleo centrale dell’esperienza umana e professionale dell’investigatore si
radica a partire da due assunti di fondo. Da un lato, vi è la presa di coscienza
della fallibilità delle azioni e il conseguente approccio teleologico improntato,
prima ancora che sulla ricerca della verità, sulla ricerca dell’errore
interpretativo e sul dubbio sistematico, nella consapevolezza di disporre di una
razionalità limitata e di poter raggiungere solo un’approssimazione alla verità.
Dall’altro lato, v’è l’esigenza di riferirsi, nello svolgimento della professione
di investigatore, ai principi derivanti dalla psicologia cognitiva e da quella
umanista per riconoscere che all’inizio e alla fine di ogni investigazione c’è
sempre un essere umano.
1
Si stima che gli omicidi di cui non si conosce l’autore siano almeno uno su due.
5
L’investigatore deve affiancare ad un forte impegno nella formazione di tipo
tecnico, pratico, operativo, la formazione di tipo metodologico e psicologico,
rivolta innanzitutto a prevenire la possibilità dell’errore.
Il “paradigma indiziario”, probatorio, processuale di tipo ottocentesco era
fortemente influenzato da un’impostazione vetero-positivistica, che celebrava
le umane possibilità di raggiungere certezze trasparenti e inoppugnabili.
Questa impostazione deve oggi essere bilanciata da un’impostazione critica, di
accortezza e cautela. Un’ipotesi investigativa, in sede giudiziaria, deve oggi
essere confortata dalle scienze della natura e dalle strumentazioni più
sofisticate, secondo il modello che va dalle impronte digitali all’analisi del
DNA. Fuori da questo tipo di giustificazione ogni ipotesi è davvero
meramente ipotetica, degna della massima attenzione nella fase investigativa,
pre-processuale, ma assai problematica nel contesto dimostrativo della
responsabilità penale. La psicologia rilevante nella cultura dell’investigazione
va, dunque, ben distinta dallo “psicologismo”, intriso di un’ingenua e
velleitaria presunzione di sapere
2
e va definita come psicologia cognitiva,
evoluzionista, avvertita delle tematiche della razionalità limitata,
dell’inclinazione umana alla presunzione e all’errore. Davanti ad ogni
fenomeno ci confrontiamo con una mole notevole di fattori causali
interconnessi, mentre possiamo fronteggiare, di volta in volta, solo una
modesta quantità di problemi e di variabili. Inoltre, non soltanto siamo in
grado di vedere una piccola parte della realtà, ma inevitabilmente tendiamo ad
attribuire una straordinaria importanza a quella piccola parte di realtà che
2
Sopravvaluta le possibilità umane di trovare spiegazioni e verità.
6
siamo in grado di vedere. L’errore è spesso radicato nella storia biologica del
soggetto, nelle sue strutture sinaptiche e, quindi, in un certo senso fisiologico.
Soltanto una forte conoscenza metodologica può aiutarci ad evitare, o
quantomeno ridurre, le deformazioni e gli errori.
Perché non riusciamo a risolvere un problema? Le motivazioni possono essere
tre: 1) il problema è troppo complesso o irrisolvibile, 2) siamo portatori di un
deficit intellettivo di natura organica, 3) qualcosa ci fa ragionare in modo
scorretto. In particolare, questo terzo aspetto è di pertinenza psicologica,
implicando i processi di funzionamento del nostro pensiero.
E’ importante che l’investigatore abbia imparato a conoscere se stesso, la
propria umana inclinazione all’azzardo, al sospetto, all’errore, sviluppando
capacità di introspezione e di autocontrollo, basate su appropriate cognizioni
metodologiche.
Il presente lavoro mette in rilievo i nessi tra investigazione e intelligence, in un
periodo storico, quello presente, caratterizzato da un bombardamento di
informazioni, sottolinea gli aspetti scientifici dell’investigazione, con un
indirizzo unitario dal punto di vista metodologico, evidenziando la centralità
del fattore umano.
Il capitolo 1 riguarda gli aspetti generali dell’inferenza: cosa significa
ragionare, come si ragiona, perché si commettono errori, quali sono i più
comuni errori del ragionamento. Vengono poi discussi i metodi investigativi
di Sherlok Holmes, Peirce e Dupin, soffermandosi sul ruolo centrale svolto dai
processi abduttivi.
7
Il capitolo 2 descrive le metodologie induttive della scienza empirica oggi in
uso, come riconducibili ai metodi di conoscenza “ipotetico-deduttivo” e
“probabilistico-bayesiano”.
Il capitolo 3 studia l’attività d’intelligence e l’analisi criminale strategica:
definisce ed analizza l’attività d’intelligence, descrive le varie fasi, il
procedimento di intelligence (che è complesso e che può essere assimilato ad
un gioco ad incastro, puzzle), sottolineando l’importanza dello sviluppo di
inferenze, approfondisce quella parte dell’attività d’intelligence svolta in
campo criminale e diretta alla prevenzione del dilagare della criminalità
organizzata.
Il capitolo 4 si occupa della “criminalistica”, la nuova scienza investigativa
sviluppatasi, in Italia, con la nascita della Polizia Scientifica, ripercorre la
nascita e lo sviluppo dell’epistemologia investigativa, si sofferma su un
aspetto psicologico-metodologico della cultura dell’investigazione, noto come
“paradigma indiziario”.
Infine, gli ultimi paragrafi dei capitoli 3 e 4 descrivono le peculiarità e le
caratteristiche della figura di investigatore, analista scientifico, globale,
tecnicamente preparato, ma uomo, con le sue inclinazioni, propedeuticità,
difetti.
8
Capitolo 1
Aspetti generali dell’inferenza
1.1 - Il ragionamento
Investigare presuppone ed implica una capacità di ragionamento.
Quando parliamo di ragionamento facciamo riferimento all’insieme dei
processi mentali con i quali traiamo delle inferenze a partire da quelle che
sono le nostre conoscenze. Ragioniamo quando il grado di verità che
attribuiamo ad un’informazione dipende dal grado di verità di altre
informazioni in nostro possesso.
Per inferenza si intende genericamente, ogni conoscenza nuova ottenuta
elaborando le informazioni in ingresso. Ricopre un ruolo fondamentale in tutti
i processi mentali orientati alla comprensione del significato. Si distingue in
inferenza logica (o formale) e inferenza pragmatica.
Le inferenze logiche avvengono quando la conoscenza nuova è pilotata da
premesse esplicite, ad esempio in un sillogismo
3
.
Le inferenze pragmatiche avvengono quando la produzione della conoscenza
nuova è guidata dalla propria personale conoscenza del mondo. Le persone
filtrano le proprie osservazioni del mondo dai propri preconcetti, stereotipi,
pregiudizi, conoscenze ottenute dalle esperienze personali. Quindi, al fine di
trarre delle inferenze il più possibile accurate, abbiamo bisogno di
comprendere meglio quali siano per ognuno di noi i processi di osservazione,
conoscenza e la nostra capacità di trarre inferenze dagli elementi poc’anzi
citati.
3
Che vedremo più avanti.
9
Le nostre inferenze hanno una base psicologica e una base biologica:
percepiamo selezionando e poi, tramite una inferenza, facciamo una
ricostruzione mentale. Dopo milioni di anni di evoluzione, siamo
“programmati” per fare delle conclusioni e prendere delle decisioni in tempi
rapidi.
Tuttavia il nostro programma mentale è spesso fallace, i nostri pensieri sono
spesso errati. E’ più facile sbagliarsi in discipline dove la catena dei
ragionamenti è lunga e lontana dalla nostra esperienza diretta.
La capacità di realizzare inferenze è condizionata, ovviamente, dal caso e dalla
fortuna. Si parla di serendipity, concetto non moderno, al di là del conio della
parola
4
, per indicare la scoperta, in maniera casuale, una teoria o una legge
senza averla deliberatamente cercata, la scoperta di qualcosa attraverso le tre
regole auree “caso, osservazione e sagacia”, la miscela di sagacia e fortuna che
permette di fare, magari senza iniziale intenzione, felici scoperte.
Il ragionamento, in termini più generali, si collega ai concetti di intelligenza e
di pensiero.
L’intelligenza è una delle due funzioni mentali superiori
5
, inesistenti o
semplificate negli animali. Possiamo distinguere una intelligenza creativa,
intesa come capacità di immaginare alternative nelle percezioni od usi di
4
L’archetipo di cui abbiamo notizia sta in una favola persiana di età antica, che narra le avventure di
tre principi, figli di Javer, il re-filosofo di Serendip (Serendip dal Sanscrito simhala dvipa, antico
nome dell'isola di Ceylon, oggi Sri Lanka). Re Javer aveva affidato la loro istruzione agli uomini più
sapienti del reame. Per arricchire la loro cultura con l'esperienza e la conoscenza di altri popoli, i tre
giovani partirono per un grand tour. Prima tappa la vicina India. Cominciarono così le loro peripezie e
le loro scoperte; scoperte intese come intuizioni dovute sì al caso, ma anche alla sagacia ed allo spirito
di osservazione dei tre principi. Queste qualità li porteranno a trovare sul loro cammino una serie di
indizi che prima li inguaieranno e poi ne faranno riconoscere le capacità. Tradotta in diverse lingue, la
leggenda approda nelle mani dello scrittore inglese Sir Horace Walpole (1717-1765), iniziatore del
genere letterario gotico, che usa per primo il termine serendipity.
5
L’altra è il linguaggio
10
qualcosa, da una intelligenza logica, che identifica la capacità di esaminare un
evento in modo analitico e scomponendo i vari fattori che contribuiscono ad
originarlo. Il comportamento intelligente è quindi sia di tipo logico-analitico
che sintetico, intuitivo e creativo. L’intelligenza implica un uso “produttivo”
del pensiero, una capacità creativa di risolvere problemi, immaginando
correttamente lo “spazio del problema”, ossia le alternative possibili. Questa
capacità è però minata, di frequente, da due limiti strutturali o cognitivi, ossia
non di tipo motivazionale o emozionale
6
:
- quello della “fissità funzionale”, in cui siamo propensi a percepire gli
oggetti in un certo modo;
- quello del “set mentale”, ossia della propensione a scegliere le
procedure già collaudate in determinati problemi, per risolvere
problemi simili che però, essendo più semplici, richiederebbero
procedure meno complesse.
Entrambi i casi costituiscono barriere alla soluzioni dei problemi
7
, fenomeni di
irrigidimento (meccanizzazione) del pensiero indotti dall’esperienza e della
pratica. Ecco, allora, che risulta importante insegnare anche i processi
psicologici per poter giungere ad un pensiero definibile produttivo: tener conto
del ruolo giocato dalla disposizione spaziale degli oggetti, riorganizzando
appunto il campo visivo; deconcentrarsi su un problema, perché, quando
torniamo ad esaminarlo a mente fresca, si presenterà in modo nuovo; cambiare
6
Un’interferenza negativa di fattori emotivi sui processi di pensiero è, ad esempio, l’eccessiva paura
di sbagliare che blocca sul nascere qualsiasi processo di pensiero e il soggetto si arrende
all’insuccesso ancora prima di provare a saggiare le difficoltà del problema.
7
Cfr. Canestrari R.,Godino A. “Trattato di Psicologia”, Clueb Bologna, 1997.
11
l’organizzazione temporale dell’approccio al problema (partire dalle soluzioni
funzionali per giungere a quelle generali, o viceversa, o partire dalla metà).
Nella stessa direzione, favorire lo sviluppo delle attitudini creative, si colloca
l’insegnamento all’introspezione e al miglioramento delle capacità di ascolto,
di osservazione libera e profonda.
Le persone ragionano seguendo le leggi della logica: parliamo di pensiero
logico o razionale o anche operatorio. Le regole di inferenza della logica dei
predicati forniscono lo strumento per derivare nuove proposizioni dalle
proposizioni esistenti (e cioè per compiere "deduzioni"). La logica ha, tuttavia,
un limite come strumento per conoscere l'universo: in nessun sistema è
possibile definire il concetto di verità (ovvero definire tutte le proposizioni che
sono vere in tale sistema).
Possiamo acquisire esperienza diretta, tramite i nostri cinque sensi, di un
numero limitato di cose. La maggior parte della nostra conoscenza viene non
direttamente dal mondo, ma indirettamente tramite il racconto degli altri: la
logica è, allora, una scienza per ragionare correttamente, per ragionare bene;
imparare la logica consiste nell’acquisire la capacità di risolvere problemi
logici applicando alcune regole che sono molto chiare, di effettuare operazioni
mentali astratte.
Distinguiamo quattro tipi di ragionamento: deduttivo, induttivo, probabilistico,
abduttivo.
Definiamo deduttive le inferenze in cui vengono ricavate conclusioni che
sono implicitamente presenti nelle premesse date, in cui si passa dal generale
12
al particolare
8
. Caratteristica fondamentale delle inferenze deduttivamente
corrette (o valide
9
) è che se le premesse sono vere, allora e necessariamente,
anche le conclusioni sono valide; al contempo risulta impossibile che ci sia
una situazione in cui le premesse siano vere e la conclusione sia falsa.
E’ chiaro che una conclusione può essere logicamente valida ma non vera, se
una delle premesse è falsa; mentre se la conclusione è invalida, ciò non
esclude che la premessa sia vera: esiste cioè una possibile divaricazione tra
verità e validità.
L’idea che le prestazioni deduttive dipendano da regole formali di inferenza ha
caratterizzato per molto tempo l’analisi e lo studio del pensiero. Può essere
fatta risalire ad Aristotele e all’antica dottrina che identifica le leggi della
logica con le leggi del pensiero, viene cioè attribuita alle persone una
competenza logica naturale, postulando l’esistenza di una logica mentale.
La logica permette di stabilire se la conclusione di un ragionamento è corretta
o sbagliata (criterio normativo) e serve per descrivere il ragionamento
deduttivo umano (teoria descrittiva), o assumendo che esso coincida
semplicemente con un sistema logico formale (Piaget), o assumendo che,
modificando opportunamente alcune regole logiche, si possa definire una
“logica mentale” (Braine & O’Brien, Rips) in grado di descrivere
correttamente una deduzione spontanea
10
.
8
Lo schema generale è quello del “sillogismo aristotelico”, un’argomentazione logica che consiste di
due premesse e di una conclusione.
9
Un’inferenza si dice “valida”, in senso tecnico, se viene tratta in un argomento in cui, se le premesse
sono vere, la conclusione è necessariamente vera.
10
Cfr.Cherubini P., Giaretta P., Mazzocca A. “Ragionamento:Psicologia e Logica” – Giunti 2001.
13
Le teorie “logiciste” del ragionamento si basano sul metodo della deduzione
naturale e sono caratterizzate da regole d’introduzione ed eliminazione di
connettivi logici. Questa capacità inferenziale viene attribuita all’applicazione
di schemi fondamentali della logica proposizionale, il modus ponens e il
modus tollens
11
, da cui si ricavano conclusioni valide. Si suppone che le
persone, quando ragionano, eseguano delle inferenze conformi a tali schemi,
facenti parte di una logica situata nella nostra mente.
Perché, nella realtà e in concreto, vengono tratte conclusioni logicamente non
valide?
Per i sostenitori della teoria della logica mentale i problemi in questione non
sussistono, in quanto gli errori di ragionamento commessi dai soggetti non
sono dei veri errori logici, ma devono essere attribuiti all’azione di fattori
extra- logici che minano la competenza logica delle persone.
Tra i fattori che ci inducono in errore, possiamo indicare:
- i limiti della nostra capacità di memoria;
- la tendenza a produrre inferenze sulla base delle nostre credenze, le
quali vanno a modificare l’interpretazione delle premesse.
Definiamo induttive le inferenze nelle quali le conclusioni aggiungono
informazioni rispetto alle premesse date, in cui si passa dal particolare al
generale. La conclusione induttiva può allora essere falsa, nonostante siano
vere tutte le premesse.
Il processo ipotetico o induttivo si compone di due funzioni:
11
Che vedremo più avanti.
14
a) l’individuazione di regolarità: rintracciare la regolarità o nell’ambiente
(meccanismi associativi) o nel nostro patrimonio di conoscenze
(meccanismi analogici). Il notare regolarità, di per sé, non genera
ipotesi;
b) la generalizzazione: sulla base delle regolarità posso sviluppare una
certa fiducia che altre regolarità si presenteranno. In questo caso posso
generare un’ipotesi.
Queste due funzioni possono creare alcuni problemi teorici e metodologici.
Quali eventi è utile controllare per individuare regolarità che possano generare
ipotesi sensate? L’ambiente in cui viviamo è troppo complesso e il sistema
cognitivo troppo limitato per poter tener traccia di tutti gli eventi in modo da
controllare sistematicamente quali si ripetono e quando
12
.
Altro fatto importante che dobbiamo tenere in considerazione è che
l’induzione si basa sul principio dell’uniformità della natura, ma il concetto di
“regolarità” non è un concetto che rispecchia l’ordinamento della realtà in sé,
bensì dipende dal nostro modo di vedere il mondo e dal nostro modo di parlare
in esso (linguaggio). Il linguaggio non è qualcosa di dato che rispecchia la
realtà in sé, bensì è qualcosa di costruito dagli uomini. Ne consegue che
l’argomento induttivo fornisce conclusioni che dipendono dal linguaggio usato
per esprimere le regolarità.
12
In psicologia cognitiva si sostiene che abbiamo una “tendenza ad indovinare bene”, perché
possediamo un insieme di strategie euristiche e di vincoli cognitivi che ci guidano nel notare alcune
regolarità, e non altre, inoltre, che siamo dotati di meccanismi che determinano la nostra fiducia verso
la possibilità di generalizzare quelle regolarità.