2
all’introduzione delle loro marche di rinomanza mondiale. L’importanza del mercato Ceco
continuerà a favorire una più ampia concentrazione di mercato.
Il comparto della birra nel nostro Paese è caratterizzato da un ridotto numero di imprese operanti
nel settore, da un elevato grado di internazionalizzazione delle stesse e da una notevole
concentrazione della produzione. Oggi la struttura dell’offerta è stabile. La birra non è radicata nella
cultura nazionale quanto il vino, gli acquisti seguono una dinamica stagionale, la fedeltà alla marca
è scarsa, il consumatore si colloca in fondo alla graduatoria europea con i suoi 25,4 litri a testa.
Mancando una vera e propria cultura birraria è facile comprendere perché il mercato non decolla.
Paradossalmente, l’attratività del mercato italiano sta proprio nelle potenzialità teoriche di un
sostanziale sviluppo, visto il basso profilo dei consumi, in una situazione internazionale
caratterizzata dall’avanzata maturità dei mercati tradizionali, come quelli nord europei
.
Le esigenze di un marketing sempre più aggressivo e la ricerca di novità da proporre a un
mercato ben disposto ad accettare le specialità birrarie hanno portato alla creazione di altre birre
aromatizzate alla frutta, come la pesca, il ribes nero, la banana e la fragola; birre analcoliche e light.
Questi prodotti rappresentano attualmente un elemento chiave per lo sviluppo presente e futuro del
mercato della birra.
3
CAPITOLO I
Origine, Storia e Cultura della birra
1.1 Origine e Storia della Birra.
La birra è una bevanda prodotta per fermentazione di cereali miscelati con acqua. Le scoperte
del quindicesimo secolo hanno messo in luce che tutti i popoli hanno sfruttato largamente il
fenomeno della fermentazione dei cereali per produrre bevande, ristoratrici per il loro moderato
contenuto di carboidrati e di alcol, salutari per il loro apporto di vitamine e di minerali. La storia
della birra va di pari passo con quella del pane, tanto che viene definita “pane liquido”. Per millenni
la fabbricazione della birra ha fatto parte dell’attività casalinga, si produceva nel contempo pane e
birra, in assenza di recipienti metallici idonei a riscaldare direttamente sul fuoco l’impasto di
cereali crudi e il mosto, si confezionavano appositi pani che, sminuzzati, servivano da materia base
per preparare la bevanda. Più tardi, per migliorare il prodotto, fu introdotto l’uso di far germinare
il cereale trasformandolo in malto; tecnica che troviamo descritta nei geroglifici delle piramidi in
Egitto, dove la produzione della birra aveva assunto dimensioni industriali [1].
Bevanda propiziatoria che da sempre ha sedotto l’uomo: le civiltà più antiche hanno conosciuto
la birra e l’hanno considerata segno di abbondanza e di fertilità. Più facile e rapida da produrre del
vino, la birra può essere ottenuta abbastanza semplicemente: bastano quattro ingredienti: malto,
luppolo, lievito e acqua, e un naturale processo di fermentazione. Ma è proprio dalla scelta di ogni
singolo ingrediente e da ogni fase del processo di lavorazione che dipende la qualità di una birra e il
suo gusto. In Europa, già verso l’anno Mille vennero codificate le regole di tutela della bevanda e
duecento anni dopo nacque la prima corporazione dei birrai. Nel 1516, Guglielmo IV Duca di
Baviera, emana il famoso Reinhetsgebot che ne garantiva gusto e purezza: nasce così la birra
moderna [2].
Mito e storia si confondono nel racconto di come e dove la birra è nata. Per i tedeschi, inventore
della bionda bevanda è un re di leggenda, Gambrinus, ma su una tomba reale dell’antico Egitto
appare l’iscrizione “Io ero uno che produceva orzo”, il che porta a pensare che dal cereale di quel
faraone si ricavasse birra. Questa bevanda era aprezzatissima dagli egizi, come pure dai loro
contemporanei babilonesi, assiri, fenici e cananei. La Bibbia narra di come Noè si fosse ubriacato
col succo dell’uva; nello stesso libro è ricordata la birra che gli ebrei, in fuga dell’Egitto, si
portarono appresso [3].
La birra è una bevanda molto antica. Se ne trova la prima traccia in Mesopotamia presso i
Sumeri 7.000 anni prima di Cristo e presso i faraoni del delta del Nilo nell’antico Egitto. I Greci
conobbero la ricetta della birra dai primi navigatori. Trasmessa di seguito ai Romani, questi la
fecero conoscere ai Galli che la chiamarono cervogia. La birra si diffuse presto nelle Fiandre e in
Normandia. Nel Medioevo la tradizione brassicola si consolida in tutta Europa, ciascun birraio
utilizza la propria tecnica e regole segrete, che trasmette di generazione in generazione [4]. Nel
Medioevo la birra fu prodotta nei monasteri ad uso dei monaci e delle migliaia di pellegrini che essi
ospitavano. Il famoso monastero di San Gallo aveva tre diverse fabbriche di birra: una per la più
leggera, destinata ai pellegrini; una per quella a media gradazione, chiara e scura, che consumavano
i monaci e i famigli del monastero; infine una per le birre di lusso, da offrire agli ospiti di riguardo.
Intorno al 1.100 dei monaci iniziarono a aggiungere del luppolo alla birra: con questo gusto nuovo e
aroma particolare è nata la birra moderna [6]. Qualche secolo più tardi, la produzione industriale del
freddo permette di produrre le birra durante tutto l’anno e non solo da fine settembre ad aprile [4].
4
Secondo Le Grand d’Aussy (La vie privée des Français, 1782) il consumo della birra, bevanda
dei poveri, aumentava nei periodi di difficoltà; il bel tempo, al contrario, trasformava i bevitori di
birra in bevitori di vino. Tra il 1750 e il 1780 la birra conobbe a Parigi una lunga crisi. Il numero dei
birrai passò da 75 a 23, la produzione da 75.000 a 26.000 moggi
1
; i birrai raccoglievano le mele per
cercare di recuperare sul sidro quello che perdevano sulla birra. La birra era oggetto di legislazione.
Le città ne sorvegliano la fabbricazione: a Norimberga si poteva fabbricare birra soltanto fra il
giorno di San Michele e la Domenica delle Palme. Heinreich Knaust, pubblicò un suo testo nel
1575, offrendo la lista dei nomi delle birre più famose e vantandone le virtù medicinali per i bevitori
[2].
L’industrializzazione vera e propria riguardante la birra è avvenuta negli ultimi 200 anni, dopo
che furono inventati la macchina a vapore, il motore elettrico ed il compressore frigorifero e dopo
che la scienza ha potuto spiegare i relativi fenomeni chimici naturali. Louis Paster scoprì che la
fermentazione è dovuta ai lieviti e che questi, per ottenere una birra dalle qualità eccelse, debbono
essere protetti dagli altri microrganismi. Oggi la fabbricazione della birra è un processo naturale ma
industriale, che segue per filo e per segno quello che la natura ha sempre fatto spontaneamente: il
birraio si serve del progresso tecnico e scientifico per rendere i prodotti del suo lavoro più costanti e
sicuri, grazie agli automatismi e alle eccellenti tecniche di controllo di laboratorio. La birra è una
bevanda genuina, nonostante la semplicità delle materie prime impiegate e delle tecnologie
applicate [1].
1.2 La cultura della birra
Fino a tempi recenti la produzione della birra si accompagnò a credenze magiche e superstizioni
proprie della mentalità popolare. Presso i birrai è sempre stata tenuta in considerazione la stella a sei
punte di David. Essa rappresenta i quattro elementi dell'antica Alchimia, la terra, l'acqua, l'aria e il
fuoco, dei quali anche la birra è composta. Questa stella pare tenga lontano il male che potrebbe
compromettere la buona riuscita della birra [6]. Per secoli la produzione della birra rientrava fra le
comuni attività domestiche; tuttavia, per l'operazione dell'ammostatura si ricorreva spesso ad
operatori esperti. Se capitava che l'operatore fosse una donna, nel caso che la fermentazione
presentasse qualche difficoltà sul tino era posto un capo di biancheria maschile. Era infatti diffusa la
credenza che le donne, durante alcuni giorni del mese, esercitassero un'influenza negativa sul
lievito. Si credeva inoltre che, per non spaventare il lievito, non si doveva sbattere la porta o far
vibrare il pavimento, solitamente di legno. In realtà perché il lievito si depositi e la fermentazione si
avvii regolarmente, bisogna evitare anche le più piccole correnti d'aria ed ogni minimo scuotimento
del mosto. In molte regioni d'Europa la birra ha fatto parte del rituale del corteggiamento amoroso.
Un'altra occasione in cui la birra non poteva mancare era all'inizio dei lavori nei campi, dopo il gelo
invernale. Il consumo pubblico della birra avveniva nelle locande, contrassegnate in genere da rami
di pino o abeti appesi sopra la porta di entrata oppure da locandine di ferro battuto, o in altri metalli
pregiati od anche in legno, raffiguranti in modo artistico o simbolico la denominazione del locale.
In più punti del suo epistolario Goethe (come lui anche altri rappresentanti della cultura tedesca
quali Hien e Lessing), disquisisce sulle qualità delle varie birre prodotte nelle diverse regioni della
Germania. Dalle sue lettere si apprende che la birra prodotta in città non era eccezionale, quindi si
acquistava da fuori e si beveva allungata con acqua. Questo perché, trattandosi di birre più forti,
esse mantenevano più a lungo le loro caratteristiche, mentre le locali, più leggere, duravano solo
fino a metà estate e poi inacidivano. Goethe, abituato alle birre di Francoforte equilibrate
1
Un moggio equivale a 286 litri.
5
nell'aroma, non approvava quelle amare, ma si assuefece a queste come più tardi a quelle dolci,
bavaresi, diventate di moda. Facevano parte del galateo, erano birre "galanti".
Né mancò chi riconobbe alla birra apprezzabili virtù terapeutiche. La birra di Zerbst andava
famosa per la sua “vis expellendi": si beveva, infatti, anche per liberarsi dei calcoli renali che questa
riusciva ad espellere evitando l'intervento dei medici. Il mondo della birra si riflette anche nel
campo architettonico. Molti stabilimenti sono stati costruiti con attenzione e rispetto per l'ambiente,
tanto da integrarsi perfettamente col paesaggio, costituendone un elemento insostituibile ed
essenziale. La fabbrica di birra Forst di Lagundo, nei pressi di Merano, sembra reinterpretare in
modo originale e fedele la particolare architettura locale. Un altro stabilimento stile Liberty,
risalente in parte all'inizio del secolo, è quello delle industrie Paretti di Induno Olona, all'imbocco
della Valganna.
Dello stretto rapporto tra attività birraria e cultura è significativo l'esempio della Fondazione
Carlsberg di Copenaghen: creata nel 1875, essa fu direttamente amministrata dal fondatore, J.C.
Jacobsen, fino a quando il 25 Settembre 1876 fu ceduta ad un comitato eletto dall'Accademia Reale
delle Scienze di Copenaghen che, in oltre 100 anni di attività, la sviluppò in un susseguirsi di
progressi del più alto livello scientifico. Lo scopo era quello di dotare i collaboratori di profonde
conoscenze sui processi naturali che si svolgono nella fabbricazione della birra. Oggi la scuola
costituisce il più importante centro nel campo della biochimica e della biologia. Jacobsen aveva
stabilito che nessun risultato ottenuto, se di valore pratico e teorico per l'umanità, avrebbe dovuto
rimanere segreto. Gli allievi di questa scuola contribuirono alla ricerca e allo sviluppo della scienza
in tutto il mondo. La birra è sempre stata, ad ogni livello, ritenuta degna di essere conosciuta sotto
gli aspetti più diversi. Sotto quello medico vale la pena di ricordare Hugo Theorell, Premio Nobel e
medico dell'Istituto di Medicina di Stoccolma, che in un’esposizione del 1965 ha chiarito i
fenomeni collegati all'alcol e alla sete, dimostrando come la birra sia la bevanda ideale per evitare i
pericoli dell'uno e per appagare nello stesso tempo le necessità fisiologiche del corpo,
congiuntamente alle attese del palato. Alla corte di Carlo VI non mancava mai la birra a tavola;
Federico il Grande fu un sostenitore dell’arte birraria; Riccardo d'Inghilterra usava regalare birra.
Nella pittura Eduard Grutzner raffigura prevalentemente monaci nelle cantine dei conventi mentre
si concedono piccole pause nel lavoro e si ristorano con pane, formaggio e birra [1].
Questa bevanda, come del resto anche il vino, ha sempre avuto un legame con il sacro. In
Mesopotamia veniva bevuta durante i funerali per ricordare il defunto e ingraziargli le divinità. Gli
antichi Greci, che si consideravano benedetti da Bacco perché aveva dato loro il vino, non
trascuravano di onorare Demetra, dea delle messi e quindi anche dell’orzo. Non essendone
produttori, la birra la importavano dalla Fenicia, dall’Egitto e ne facevano largo uso, sia durante le
feste sia durante i giochi olimpici durante i quali erano banditi le armi e il vino. Per gli antichi
popoli germanici la birra era invece legata al dio Thyr, al quale dedicavano grandi feste. Come i
Romani anche i Celti davano grande importanza alla birra. La "cervogia" delle storie a fumetti di
Asterix è la latina cerevisia, la spagnola cerveza, insomma la birra dei popoli celti, esclusi per quelli
abitanti nelle isole britanniche che l’avevano invece chiamata Ale e hanno iniziato a produrla in
epoca lontanissima. Celti e Germani hanno messo insieme le loro conoscenze e, dopo
l’introduzione del luppolo, è nato il nome beer, termine con cui la birra oggi è universalmente
conosciuta, anche se a un nome solo corrisponde un’infinita varietà di tipi: bionde, scure, ambrate,
forti, leggere, affumicate, trappiste, dolci e amare [3].
6
CAPITOLO II
La produzione della birra
2.1 Orzo, acqua, lievito e luppolo, i quattro ingredienti che stanno alla base del
fare la birra.
Per produrre un buon bicchiere di birra si devono scegliere le migliori materie prime, cereali,
lievito, si deve avere a disposizione buon luppolo e acqua e seguire scrupolosamente procedimenti
relativi al tipo di birra che si desidera [6].
[12]
7
2.1.1 Il lievito
La fermentazione della birra non sarebbe possibile se non esistesse il lievito [8]. Il lievito è un
microrganismo, grande pochi millesimi di millimetro. Secondo l'ambiente in cui si trova, respira o
fermenta, si nutre e produce diverse sostanze, alcol etilico, anidride carbonica e altre ancora, con le
sue reazioni biochimiche libera energia e si trasforma in calore. È presente, come tutti i
microrganismi, un pò dovunque: basta lasciare un liquido contenente zucchero all'aria, che questo si
mette a produrre bollicine di anidride carbonica, cambia aroma e diventa limpido appena
fermentato. La fermentazione è in questo caso spontanea, ma l'uomo la può controllare,
aggiungendo al mosto il lievito che ricava dalla fermentazione precedente. Il lievito si usa anche per
produrre il pane, il vino, i distillati. Per ogni prodotto si usa un lievito specifico, sempre della stessa
famiglia dei saccaromiceti, ognuno dei quali ha la facoltà di produrre un aroma tipico che
caratterizza il prodotto finale. Per la birra il lievito usato è il Saccharomyces Cerevisiae, o il
Saccharomyces Carlsbergensis, a seconda del tipo di birra che si vuole produrre, di fermentazione
alta o di fermentazione bassa. Il lievito è una vera e propria fabbrica di enzimi, molecole che
permettono di scomporre e ricomporre quelle sostanze che sono indispensabili alla vita mediante la
digestione, l'assimilazione, la trasformazione di sostanze organiche [1].
Pare che fin dal XV secolo a.C. esistessero primitive forme di recupero del lievito. Nel
Medioevo, il lievito veniva abbondantemente usato per la produzione della birra. Nel 1680 lo
scienziato olandese Van Leeuwenhoek con l’ausilio del microscopio osservò per la prima volta il
fungo. Fu però Pasteur che nel 1875 studiò tutte le funzioni svolte dal lievito. In sostanza esse si
possono così riassumere: la fermentazione è la trasformazione enzimatica degli zuccheri in alcol
etilico e anidride carbonica, col contestuale sviluppo di energia. Oltre a questa, molte sono le
trasformazioni che contemporaneamente avvengono per il metabolismo del lievito e che portano
all’aroma finale della birra. Le condizioni per la fermentazione alcolica sono: presenza di mosto
zuccherino, di lievito, di ossigeno e temperature adatte. Il lievito incide per il 50% sul profilo
organolettico finale della birra [8].
- Lievito a fermentazione alta
(Saccharomyces Cerevisiae)
È la forma di lievito più diffusa in natura. Esso si riproduce formando colonie di cellule che
rimangono agglutinate tra di loro, offrendo una larga superficie alle bollicine di anidride carbonica
che le trasportano verso l'alto durante la fermentazione. Questo tipo di lievito sale a galla e si
presenta sotto forma di schiuma alla superficie del tino di fermentazione. La temperatura di questa è
compresa fra i 15 e i 20°C e richiede perciò meno raffreddamento del lievito a bassa fermentazione,
permettendo di produrre birra durante tutto l'anno anche senza impianti frigoriferi; basta una buona
cantina. Con questo tipo di lievito si producevano fino a 200 anni fa tutte le birre [1]; fino al 1700
era l’unico conosciuto. Con Cervis si fanno tutt’oggi tutte le birre inglesi (Ale, Stout, Porter) e le
birre tedesche speciali (non lager) e olandesi come la WeissBier e l’Alt [9].
- Lievito a bassa fermentazione
(Saccharomyces Carlsbergensis)
Questo lievito quando si riproduce forma cellule che si staccano subito l'una dall'altra e che
perciò non offrono resistenza alle bollicine di anidride carbonica che salgono in superficie mentre le
cellule di lievito si depositano sul fondo del tino. La sua temperatura di fermentazione è compresa
fra i 5 e i 10°C e richiede perciò un raffreddamento durante tutto l'arco dell'anno. Sembrerebbe più
logico usare il vecchio lievito a fermentazione alta, ma le alte temperature rappresentano un
pericolo perché con esse si facilita lo sviluppo di altri microrganismi che possono avere il
8
sopravvento, guastando la birra. La temperatura bassa protegge la birra e permette di lasciar
maturare il prodotto per più lungo tempo; in tal modo la produzione si può distribuire meglio
nell'arco dell'anno. La moltiplicazione delle cellule di lievito all'inizio della fermentazione, quando
ancora è presente l'ossigeno e le cellule respirano ancora, fa sì che si abbia un’eccedenza di lievito.
Alla fine della fermentazione si raccoglie quello più vigoroso e più puro, per riutilizzarlo nelle
fermentazioni successive, mentre dallo scarto si estraggono vitamine per prodotti farmaceutici o
mangimi e anche per la produzione del noto estratto vegetale di cui il lievito rappresenta un'ottima
materia prima [1]. Carl produce le Lager [9].
- Fermentazione spontanea
È chiamata così perché alla birra non si aggiunge alcun lievito: è l'aria stessa che deposita nel
mosto, assieme ad altri microrganismi, il lievito di cui essa è sempre ricca e poiché il mosto è il
substrato ideale del lievito questo si sviluppa e riesce a prendere il sopravvento su tutti gli altri
microrganismi, l'azione dei quali viene inibita. È un sistema molto sensibile alle influenze esterne,
per cui una cantina, nella quale avviene la fermentazione spontanea, deve essere protetta dalla
possibilità di ingresso di aria inquinata dall'esterno, da materiali che possono apportare infezioni o
altri microrganismi. Nella fermentazione spontanea la flora microbiologica è un tesoro che vale
molto, perché conferisce alla birra un aroma inimitabile, fintanto che il suo equilibrio non viene
disturbato. Oggi è difficile mantenere una microflora in equilibrio. Per quanto riguarda il lievito che
viene eliminato dalla fermentazione, per il miliardo di ettolitri prodotti all'anno si ottengono più di
un miliardo di litri di lievito, che corrispondono a 200.000 tonnellate di proteine pure, di alto valore
alimentare [1].
2.1.2 I Cereali
I cereali sono colture erbacee che, grazie alla clorofilla ed all'energia solare, riescono, come tutte
le piante, a comporre, partendo da anidride carbonica dell'aria, gli amidi che si accumulano nei
semi, producendo al contempo l'ossigeno che noi respiriamo. Il birraio utilizza questi amidi,
trasformandoli in zuccheri grazie all'azione degli enzimi dei cereali stessi e lasciando poi che il
lievito fermenti questi zuccheri per produrre l'alcol etilico e anidride carbonica della birra. Il cereale
più importante per il birraio è l'orzo [1]. L’orzo maltato è la principale materia prima usata per la
fabbricazione della birra. L’orzo è una pianta robusta e di coltivazione pressoché universale, la sua
germinazione è facilmente controllabile, possiede un alto valore enzimatico e quindi si presta bene
alla fermentazione. Il suo chicco, ben protetto dalla scorza, sopporta con disinvoltura lunghi periodi
di inazione [8], cioè lunghe conservazioni, ed è quindi adattissimo per questo particolare impiego
[3]; infine la sua composizione chimica (amido 54%, altri carboidrati 12%, proteine 10%, fibra
grezza 5%, ceneri 2,5%) è la più adatta tra quelle disponibili in natura, a questo particolare impiego.
L’orzo influenza il colore, la pienezza e la schiuma e, meno direttamente, l’aroma, il sapore e la
leggerezza della nostra bevanda [8].
Ogni anno si producono circa 170/18.000 tonnellate d’orzo, un decimo delle quali è destinato
alla fabbricazione di birra [3]. L’orzo è una graminacea dal chicco oblungo, rigonfio, appuntito alle
due estremità e suddiviso longitudinalmente da un solco mediano. Ne esistono di due tipi:
l’Hordeum vulgare, con quattro o sei chicchi per ogni nodo della spiga, e l’Hordeum disticum, con
due soli chicchi per nodo; è quest’ultimo che interessa ai fini della birra[8]. Ad esso normalmente si
aggiungono anche altri cereali, come riso, mais o miglio, che conferiscono alla birra caratteristiche
peculiari regionali. Nella scelta dei cereali si prende in considerazione il prodotto dell'agricoltura
locale, per cui in Europa e in America si usa molto il mais, in Asia il riso e in Africa il sorgo (il
miglio). Per la birra si sceglie l'orzo migliore, quello che si semina in primavera, della varietà degli
orzi distici, cioè che formano due sole file di semi sulla spiga, per cui i singoli semi risultano più
turgidi, ricchi di amido e poveri di proteine.
9
L'orzo cresce in ogni regione, ad un'altezza che parte dal livello del mare fino ad oltre 1600
metri. Si presta molto bene quale coltivazione alternativa dove altri cereali danno rendimenti scarsi;
permette di ottenere maggior profitto anche quando la coltivazione non è estensiva, in pendenze
critiche per altri cereali e in terreni difficili. Anche in questi casi l'orzo assicura una produzione di
35-40 quintali per ettaro [1]. In Italia fino al 1920, l’orzo per la birra era tutto importato; oggi
almeno una parte del fabbisogno delle industrie italiane è coperto con orzo nostrano [8]. Nel nostro
Paese la coltivazione dell'orzo da birra negli ultimi due decenni si è talmente evoluta da superare
nella qualità gli orzi prodotti dai Paesi di più larga fama di produttori di birra. La coltivazione di
poche varietà altamente selezionate, sotto il rigido controllo dell'organizzazione birraria, non ha
permesso la speculazione della quantità prodotta a scapito della qualità. Le regioni più importanti
per la coltivazione di orzo da birra in Italia sono la Puglia, la Basilicata, il Lazio e la Toscana [1].
2.1.3 Il luppolo
Da mille anni a questa parte l’aromatizzazione della birra è affidata essenzialmente al luppolo,
ma soltanto dalla fine del XV secolo il luppolo si è conquistato, in questo settore, l’esclusiva,
sancita nel 1516 da Guglielmo IV di Baviera con l’editto sulla purezza [8]. Prima che i monaci
medioevali scoprissero la qualità del fiore di questa pianta, l’aromatizzazione della birra veniva
ottenuta in vari modi, utilizzando i più svariati tipi di erbe, in particolare rosmarino, alloro e mirica,
e poi spezie, bacche e misture vegetali, la più famosa delle quali era detta gruit [3].
Il luppolo è una pianta che si coltiva in grandi giardini, facendolo arrampicare su fili appesi a
strutture palificate di sei metri di altezza. È una pianta annuale che si sviluppa da un rizoma, spunta
in primavera e raggiunge la maturazione dei fiori in agosto-settembre, quando viene tagliata alla
base per staccarne i singoli fiori: operazione una volta eseguita a mano da schiere di donne, oggi
sostituite da appositi macchinari [1]. A differenza dell’orzo, il luppolo non è così facilmente
acclimatabile, per cui la sua coltivazione avviene soltanto in zone dal clima temperato fresco con
durata di luce superiore alle 14/15 ore nel periodo maggio/luglio (determinante per la crescita dei
tralci). Il luppolo è una pianta rampicante dioica della famiglia delle orticacee, la quale produce
fiori molto aromatici. I fiori maschili e femminili crescono su arbusti differenti, per cui si estirpano
sistematicamente quelli maschili affinché i fiori di quelli femminili, più fini e più profumati, non
vengano fecondati. Si evita così la produzione di semi, che farebbero perdere una parte del prezioso
polline. Questo conferisce alla birra un aroma particolare ed il tipico amaro, più o meno accentuato
a seconda del luppolo impiegato e della quantità di esso aggiunta [1]. Il luppolo contiene quella
giusta dose di tannini che coagulano le proteine e contribuiscono così alla chiarificazione naturale
della birra; inoltre, contiene sostanze, che hanno un'azione distensiva, che vengono usate
nell'industria farmaceutica.
Verso il XV secolo, un pò dovunque si vietò, per la fabbricazione della birra, l'uso di qualsiasi
altro ingrediente che non fossero i cereali, il luppolo e l'acqua, consuetudine rimasta fino ai giorni
nostri. Il luppolo si usa direttamente in fiore, in quantità che vanno da 100 a 500 grammi per
ettolitro di birra, a seconda del tipo di birra che si vuole ottenere. Oggi si producono anche luppoli
concentrati, in cubetti, e anche estratti di luppolo fluidi, che hanno il vantaggio della lunga
conservabilità e della possibilità di più omogeneo dosaggio delle sostanze attive in esse contenute.
Si può produrre birra anche con il luppolo selvatico, che cresce un po' dovunque, ma è bene prima
produrre con esso piccole quantità di prova per verificarne l'aroma e l'amaro trasmesso alla birra. Le
zone più famose per il luppolo sono Hallertau, Spalt, Hersbruck, Tettnang, in Germania, Saaz e
Auscha nella Repubblica Ceca, Paperinge in Belgio, Alsazia in Francia, Willamate (Oregon),
Yakima (Washington), Sacramento (California), Boise (Idaho) negli Stati Uniti, Stiria e Baka nella
ex-Iugoslavia e il Kent in Inghilterra, Ognuna di queste regioni produce naturalmente un luppolo
10
diverso dall’altro, per cui bisogna conoscere assai bene le caratteristiche chimiche e organolettiche
delle varie piante per dare l’aromatizzazione voluta al prodotto.
Due sono i componenti più importanti del luppolo ai fini dell’impiego birrario: gli oli e gli acidi
amari. Questi ultimi conferiscono alla birra l’inconfondibile sapore amarognolo che la
contraddistingue, per cui è evidente che maggiore sarà la luppolazione, più amaro risulterà il gusto
della birra. Inoltre questi acidi hanno il pregio di essere antisettici e conservanti, per cui la birra
grazie al luppolo è più stabile che con altre sostanze aromatizzanti. Le resine rendono invece
possibile la schiuma che si sviluppa nel prodotto all’atto della spillatura e del versamento. Oltre al
luppolo in fiore, nella fabbricazione della birra si usano oggi alcuni prodotti di trasformazione,
come polveri essiccate, polveri arricchite, estratti, estratti isomerizzati [8]. Il luppolo dà alla birra la
stabilità della schiuma e aiuta il processo di chiarificazione. Se il malto è il corpo, il luppolo è
l’anima della birra, l’elemento che dà alla birra la propria personalità. Spesso il luppolo è presente
nello sciroppo di malto in lattina [9].
11
[13]
12
2.1.4 L'acqua
La birra è fatta per il 90% circa di acqua, che ha quindi un’importanza decisiva sul prodotto
finale. L’acqua deve essere non soltanto potabile, ma anche perfettamente limpida, del tutto
inodore, batteriologicamente pura. La materia, in Italia, è regolata dal decreto del Presidente della
Repubblica 236 del 24 maggio 1988 [8].
L'acqua superficiale, ricca di sostanze organiche e di microrganismi, è poco adatta alla
fabbricazione della birra, per la quale è invece consigliata l'acqua di sorgente o di pozzo, pura e
potabile. Attraversando gli strati terrestri, l'acqua piovana, ricca di anidride carbonica, scioglie i
sali che trova e si arricchisce di carbonati di calcio e di magnesio, che rendono la birra meno
morbida di sapore, dato che la sua alcalinità riduce gli acidi organici apportati dal malto. Ma con i
minerali della terra l'acqua si arricchisce anche di altri sali, quali i solfati ed i cloruri, che
conferiscono alla birra un miglior sapore, caratteristico di ciascuna regione. Nel caso dei carbonati
si parla di "durezza temporanea", poiché con l'ebollizione questi sali si eliminano cristallizzandosi
sulla superficie del recipiente. Gli altri sali minerali costituiscono nell'acqua la "durezza
permanente", perché rimangono disciolti nell'acqua anche a temperatura di ebollizione. Le acque
più adatte alla produzione della birra sono quelle più povere di carbonati. Esse possono essere
suddivise, in base alla durezza
2
, in:
- dolci, fino a 10°/dt;
- medie, tra 10 e 20°/dt;
- dure, oltre 20°dt.
Alcune delle località più famose al mondo per la produzione di birra, come Pilsen, Monaco,
Dortmund e Burton-on-Trent, devono questo proprio alla particolarità della loro acqua, ed è stata
proprio l’acqua a determinare la tipologia di birra che le ha rese famose: l’acqua di Pilsen, povera di
sali e dunque dolce, è particolarmente indicata per le birre chiare, leggere, ben luppolate (tipo
Pilsen). L’acqua di Monaco, più dura, ricca di carbonati di calcio ma povera di cloruri e solfati,
consente di produrre birre scure, poco luppolate. Le birre di Dortmund si presentano chiare e
particolarmente secche in ragione dell’elevato tenore di solfati e cloruri. L’acqua di Burton-on-
Trent presenta un’elevata durezza, accompagnata da un alto tenore di solfati, che consente di
produrre le famose Pale Ale, a fermentazione alta e fortemente luppolate [8].
Oggi, se la natura di un'acqua non risponde a queste caratteristiche, può essere corretta con vari
sistemi: per diminuire i soli carbonati basta far bollire l'acqua, il che però, industrialmente richiede
un consumo di energia troppo elevato. Si ricorre perciò ad altri sistemi, quali l'aggiunta di calce
spenta o calce viva oppure l'uso di resine scambiatrici di ioni. Per diminuire il tasso degli altri sali
minerali, operazione che viene effettuata raramente, perché essi anche se presenti in quantità
notevoli, non sono dannose alla birra, bisogna ricorrere agli scambiatori ionici oppure all'osmosi
inversa
3
. Se invece si vuole arricchire l'acqua di durezza permanente, nel caso in cui si voglia
produrre una birra tipo "Dortmund" o "Burton-on-Trent" o anche "Monaco", si può aggiungere alle
acque di durezza media "il gesso per birrai" (solfato di calcio) oppure il cloruro di calcio, due sali
che possiedono i requisiti per essere impiegati per uso alimentare, la cui purezza deve essere
2
La durezza di un acqua può essere espressa in gradi, con differenti scale secondo i vari paesi. Generalmente 1 grado
di durezza ( °dt ) corrisponde a 10 mg CaO/litro.
3
Osmosi inversa, sistema di filtrazione sotto alta pressione attraverso una finissima membrana che trattiene le
molecole di sali; l'inverso di quanto succede nella natura, in cui l'acqua penetra una membrana "semipermeabile" per
diluire i sali contenuti all'interno delle cellule, fenomeno detto appunto "osmosi".
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conforme alla Farmacopea Ufficiale Italiana (F.U.). Il solfato di calcio dà birre più secche, il cloruro
di calcio birre più morbide di aroma.
L'acqua "giusta" è un fattore importante per un certo tipo di birra, ma di second'ordine rispetto
alla qualità delle materie prime, quali i cereali ed il lievito usato e, in special modo, alla tecnica
adottata, che deve difendere la birra da influenze esterne, come l'ossigeno e i microrganismi estranei
al lievito di coltura [1].
2.2 Produzione e tipi di malto
2.2.1 La produzione del malto
Alla base della preparazione di questa bevanda sta dal principio il malto ottenuto dall'orzo (e da
altri cereali detti succedanei). Con il termine malto si identifica un cereale avviato al processo di
germinazione (o tallitura). Questo processo di germinazione, si ottiene dapprima mettendolo a
macerare, per un periodo di 3 o 4 giorni, in vasche d'acqua a temperature tra 12 e 15 gradi e
successivamente, lasciandolo germinare in appositi spazi aerati. Grazie a questo processo detto
maltazione il contenuto di proteine e zuccheri del chicco diventa solubile in acqua e può venire così
estratto, dopo essere stato essiccato e torrefatto [3].
La maltatura, dunque, consente la formazione degli enzimi necessari alle successive
trasformazioni, solubilizza le sostanze di riserva del chicco e fraziona le proteine di riserva come
già detto, infine aromatizza il prodotto secondo il tipo di birra al quale è destinato. I malti scuri, per
esempio, sono più ricchi di proteine di quelli chiari (11/12 per cento contro 10/11) sono ottenuti con
una macerazione più spinta e una germinazione più lunga; di maggiore durata anche la torrefazione,
conclusa dal "colpo di fuoco" a 100/105 gradi per 3/5 ore. Alla fine del processo perciò conservano
un tasso di umidità che è la metà dei malti chiari. Altri malti vengono prodotti allo scopo di
conferire alla birra certe caratteristiche: è il caso del malto caramello, usato in ragione del 2/10%
del totale, rende la birra morbida, le dà sapore di caramello e migliora la schiuma; è il caso anche
del malto colorante, (2/3%), che determina il futuro aspetto della bevanda. Poche fabbriche di birra
hanno oggi una propria malteria. In Italia esistono due moderne malterie, a Pomezia e a Melfi e
sono collocate nei pressi delle coltivazioni delle zone dell'orzo.
Le caratteristiche del malto sono decisive per la produzione della birra: molte di esse sono
inerenti all'economia e al corretto svolgimento del processo di fabbricazione; riguardano più il
mastro birraio che il consumatore. Per quest'ultimo è particolarmente importante agli effetti del
prodotto finale, il contenuto in polifenoli del malto: quelli a basso peso molecolare (tannoidi)
conferiscono alla bevanda il suo sapore tipico, contribuiscono alla stabilità organolettica e
colloidale, affinano l'amarezza del luppolo, schiariscono il colore, proteggono dall'ossidazione;
quelli ad alto peso molecolare fanno precipitare le proteine, danno una nota di amarezza ruvida,
determinano una colorazione rossastra e sono causa di intorbidamenti quando polimerizzano sotto
l'azione dell'ossigeno [8].
Importazioni di malto 1997 (quintali):
• Malto torrefatto 11.880,89; (maggiore fornitore la Germania)
• Malto non torrefatto 902.484,89; (maggiore fornitore la Francia) [13].
14
Unità produttive, occupazione e produzione italiana di malto.
[12]
15
2.2.3 Tipi di malto
- Malto chiaro
Per una giusta germogliazione si controlla sia lo sviluppo delle radichette, che si formano alla
base del chicco e che devono raggiungere una lunghezza pari ad una volta e mezza (o due volte)
quella del chicco stesso, sia lo sviluppo della "piumetta", che si svolge sotto la scorza del dorso del
chicco. Questa deve raggiungere per il malto chiaro, da una metà ai due terzi della lunghezza del
chicco e per il malto scuro, da due terzi ad un intero. Per non perdere troppa sostanza del cereale, si
deve evitare che la piumetta fuoriesca dalla cariosside, formando gli "ussari". Durante la
germogliazione, la temperatura può salire fino a 18-20°C, evitando temperature più alte che
conferirebbero al malto e poi alla birra un aroma meno fine. Il chicco di malto ha raggiunto il giusto
grado di "disgregazione" quando, spiegato sull'unghia, non si spezza più e quando il suo corpo
farinoso, spalmato sull'unghia, assume l'aspetto del gesso. Si chiama allora " malto verde" e deve
essere essiccato per interrompere la germogliazione, poiché il contenuto del chicco è reso già
solubile in acqua, grazie agli enzimi che l'embrione ha prodotto.
Questi enzimi continuano la loro opera in sala di cottura, dove avviene "la saccarificazione" che
consiste nella trasformazione di tutte le sostanze amidacee in zuccheri solubili in acque. Essi
rappresentano la parte più importante del mosto. Gli enzimi sono sensibili al calore, specialmente se
il contenuto d'umidità è elevato. Perciò, per ottenere un buon malto, è indispensabile procedere ad
un essiccamento molto prudente, a temperature intorno ai 30-40°C durante le prime 12 ore, in un
forno ben aerato, per poi salire durante le prossime 12-18 ore a temperature intorno ai 60-70°C ed
essiccando infine per altre 6-12 ore a 80°C, temperature alle quali in ambiente secco gli enzimi non
vengono indeboliti ed alle quali la colorazione del malto è ancora molto chiara. Così si produce il
malto chiaro, tipo "Pilsen"[1].
- Malto scuro
Se si vuole ottenere un malto per birre scure, la temperatura finale dovrà essere elevata a valori
tanto più alti quanto maggiore si vorrà la colorazione della birra. Oltre i 110°C, il malto conferisce
alla birra un sapore di bruciato. Il malto essiccato, chiaro o scuro che sia, si lascia poi raffreddare e
subito si procede con mezzi meccanici all'eliminazione delle radichette, che darebbero alla birra un
sapore meno fine e che danneggerebbero la schiuma. Per la loro eliminazione si lavora
energicamente il malto con mezzi meccanici setacciandone poi le radichette attraverso un vaglio
adeguato, dalla maglia appena più piccola del chicco del cereale. Il malto è allora stabile e si può
tenere al secco per molti mesi. Il suo contenuto d'umidità è di 4,5% in media ed è vantaggioso
lasciarlo "riposare" per un mese prima di farne della birra[1].
- Malto colorante
Esso serve per aumentare la colorazione della birra e si aggiunge in proporzione del 2-3%,
calcolate sul cereale totale impiegato, secondo la colorazione che si vuole ottenere. Si ottiene dal
malto chiaro, ancora ricco di enzimi e si mette a bagno per 5 o 6 ore, con mezzo litro di acqua per
chilo di malto, rivoltandolo di tempo in tempo. Il malto così inumidito viene dapprima portato a
70°C e tenuto a questa temperatura per un'ora, per ottenere una certa saccarificazione del contenuto
del chicco. Poi si porta la temperatura lentamente a 200°C. e si controlla la colorazione dimezzando
un chicco: il corpo farinoso deve raggiungere una leggera colorazione ombrata, ma non deve
diventare nero [1].