dedicato a chi mi vuole bene…
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INDICE
Introduzione pag. 6
CAPITOLO 1
LE ECONOMIE DI SCALA NELL’INDUSTRIA
AUTOMOBILISTICA CINESE
1.1. L’importanza delle economie di scala nell’industria automobilistica pag. 8
1.2. La situazione in Cina pag. 12
1.3. Un confronto con la Corea del Sud pag. 17
1.3.1. Processo analitico pag. 19
1.3.2. Accentramento istituzionale e politiche CF2 pag. 21
CAPITOLO 2
IL TRASFERIMENTO TECNOLOGICO
NELL’INDUSTRIA AUTOMOBILISTICA CINESE
2.1. Introduzione pag. 26
2.2. L’influenza dei network source e recipient nel trasferimento tecnologico
nell’industria automobilistica cinese pag. 29
2.3. La cooperazione tecnologica all’interno delle Joint Ventures pag. 33
2.3.1 La protezione della proprietà intellettuale nell’industria automobilstica
cinese pag. 37
2.3.2 Debolezza contrattuale delle case produttrici cinesi pag. 41
2.3.4. Costosità del trasferimento delle “Collective Knowledges” pag. 43
2.3.5. Lock in tecnologico pag. 45
2.4. Conclusioni pag. 47
CAPITOLO 3
PRODUCT DEVELOPMENT NELL’INDUSTRIA
AUTOMOBILISTICA CINESE
3.1. L’architettura di prodotto pag. 49
3.2. L’architettura di prodotto nell’industria automobilistica e il concetto di quasi
open architecture pag. 53
3.3. Product Development in alcune categorie automobilistiche pag. 56
3
3.3.1. Mid sized Truck pag. 56
3.3.2. Small Truck pag. 57
3.3.3. Light Vehicle pag. 58
3.3.4. Passenger Car pag. 59
3.4. Conclusione pag. 68
CAPITOLO 4
LA STRUTTURA ATTUALE DEL MERCATO
AUTOMOBILISTICO CINESE
4.1. Caratteristiche generali del mercato post WTO pag. 70
4.2. Il mercato delle passenger car e i suoi attori principali pag. 75
4.3. I produttori pag. 79
4.3.1. La capacità produttiva utilizzata dai produttori pag. 85
4.4. La domanda pag. 87
4.4.1. Il comportamento d’acquisto pag. 88
4.4.2. Brand awareness pag. 90
CAPITOLO 5
LA SUPPLY CHAIN DELL’INDUSTRIA
AUTOMOBILISTICA CINESE
5.1. Introduzione pag. 95
5.2. Stato attuale dell’industria componentistica automobilstica pag. 96
5.3. Evoluzione del network di fornitura pag. 100
5.4. Le relazioni fornitore produtore in Cina pag. 104
5.5. Il settore distributivo pag. 106
5.5.1. Margini di miglioramento pag. 110
CAPITOLO 6
LO SVILUPPO SOSTENIBILE DELL’AUTO
IN CINA
6.1 Introduzione pag. 113
6.2 Inquinamento atmosferico pag. 115
6.3 Fabbisogno petrolifero pag. 117
6.4 Strategie di breve termine pag. 118
6.4.1 Inasprimento degli standard sulle emissioni pag. 118
4
6.4.2 Controllo delle emissioni sui veicoli in uso pag. 120
6.4.3 Politiche fiscali pag. 121
6.4.4 Sviluppo veicoli alternativi pag. 123
6.5 Traffico pag. 127
6.5.1 BRT in Cina pag. 128
6.6 Leapfrog energetico pag. 131
CAPITOLO 7
L’INDUSTRIA AUTOMOBILISTICA CINESE SI
PREPARA PER LO SBARCO NEGLI STATI UNITI
7.1 Introduzione pag. 136
7.2 L’esperienza giapponese e coreana negli Stati Uniti pag. 139
7.2.1 Aspetti in comune con il processo di internazionalizzazione del
Giappone e della Corea del Sud pag. 145
7.3 Strategie d’entrata dei produttori cinesi pag. 147
7.4 Conclusioni pag. 151
Conclusioni Tesi pag. 154
Elenco delle figure pag. 157
Bibliografia pag. 159
5
INTRODUZIONE
Con la seguente tesi mi sono proposto di analizzare il settore industriale
automobilistico della Cina, la quale dopo decenni di economia pianificata stà
muovendo i suoi primi passi in una economia di mercato, soprattutto dopo l’ingresso
al WTO.
L’analisi è strutturata attraverso l’approfondimento di diverse problematiche di
cui una parte sono piuttosto legate e normalmente riconducibili allo sviluppo di un
settore automobilistico in quanto tale, come già accaduto per altri paesi in passato,
mentre le rimanenti invece sono contestuali ad un mercato che, date le sue vaste
proporzioni, offre sia opportunità che minacce.
Nel capitolo primo viene introdotta la questione della mancanza delle economie
di scala negli stabilimenti dei produttori automobilistici cinesi, cercando di
individuarne le cause attraverso un confronto con la Corea del Sud che anni prima
invece, con quasi le stesse politiche industriali e commerciali, adottate poi anche dalla
Cina, è riuscita ad ottenere un mercato automobilistico domestico concentrato ed in
mano a poche case produttrici.
6
Nel secondo capitolo invece è stata affrontata la problematica del trasferimento
tecnologico, all’interno delle joint venture internazionali, analizzando soprattutto i
motivi che ne hanno ostacolato la piena attuazione determinando così lo sviluppo
limitato delle capacità e competenze dei produttori cinesi.
L’analisi dell’industria automobilistica cinese prosegue con il terzo capitolo
dedicato alla tematica del product development ed in particolare con quella strategia
di sviluppo del prodotto denominata quasi open architecture, adottata dalla casa
automobilistica Geely, e che prevede una ricombinazione, seppur in parte limitata, di
componenti imitate.
Nel quarto capitolo viene trattato il mercato sia dal punto di vista dell’offerta
analizzando i protagonisti del settore passenger car e le loro quote di mercato, che il
lato della domanda concentrandomi sul comportamento d’acquisto dei consumatori
cinesi e l’evoluzione della loro brand awareness nel tempo.
Il capitolo successivo è dedicato alla supply chain e viene presentata perciò una
panoramica del settore della componentistica automotive in Cina ed alle relazioni
instaurate tra fornitori e produttori. L’analisi prosegue scendendo lungo la filiera
prooduttiva occupandomi della situazione distributiva cinese e dei suoi margini di
miglioramento per il futuro immediato.
Nel sesto capitolo vengono trattate tutte quelle problematiche come
l’inquinamento atmosferico, la congestione stradale e il fabbisogno petrolifero
scaturite da una crescita esponenziale della motorizzazione del paese. In particolare
vengono elencate quelle contromisure che sia il governo che le autorità municipali
dovrebbero adottare nel breve periodo con un accenno ad un ipotetico scenario futuro
caratterizzato dall’uso dell’idrogeno come vettore energetico per il trasporto.
Nell’ultimo capitolo infine, vengono analizzate le strategie d’espansione delle
case automobilistiche cinesi nei mercati occidentali, in particolar modo quello
statunitense, facendo un confronto con l’esperienza delle case giapponesi e coreane al
loro ingresso proprio nel mercato americano.
7
CAPITOLO 1
LE ECONOMIE DI SCALA NELL’INDUSTRIA
AUTOMOBILISTICA CINESE
1.1 L’importanza delle economie di scala nell’industria automobilistica
La crescente considerazione nei metodi flessibili di produzione e di
organizzazione del lavoro, ritenuti sempre più fondamentali per il raggiungimento di
una competitività internazionale nel settore manifatturiero, sembra avere messo in
1
secondo piano l’importanza delle economie di scala.
Nel settore dell’industria automobilistica, nonostante l’indubitabile rilevanza
della flessibilità e di altri fattori come l’innovazione, le economie di scala rimangono
una determinante essenziale per una produzione efficiente e competitiva a livello
globale.
2
Le economie di scala sono un concetto economico di lungo periodo.
1
Questa sembra infatti la conclusione della ricerca condotta dall’International Motor Vehicle Program
(IMVP) (Altshuler et al. 1984) e quella della McKinsey Global (1993) le quali non citano le
economie di scala tra le determinanti della competitività nel settore automobilistico.
2
Si è in presenza di economie di scala quando si ha una diminuuzione dei costi medi unitari di
produzione all’aomentare della scala di produzione o della dimensione della attività di trasformazione,
ossia al crescere della potenzialità produttiva dell’unità economica considerata (impianto, impresa). In
altre parole si è in presenza di economie di scala allorchè il rendimento della funzione di produzione
cresce all’aumentare della scala o delle dimensioni dell’attività di trasformazione. (Volpato 1995)
8
Se infatti è data la quantità da produrre nel lungo periodo, allora la scelta cade
sull’impianto che in corrispondenza di quel volume produttivo, assicura il costo
3
unitario medio minimo.
La curva delle economie di scala consente di determinare la dimensione ottima
4
minima (DOM) di produzione al di là della quale i costi medi unitari cessano di
diminuire.
Nel momento in cui infatti, all’aumentare della scala produttiva i costi medi
unitari crescono, l’impianto in questione soffre di diseconomie di scala generalmente
dovute a inefficienze organizzative, management e di comunicazione interna.
Se invece non viene raggiunta la dimensione ottima minima (DOM), come nel
caso dell’industria automobilistica cinese come vedremo più avanti, si sostengono
forti inefficienze produttive che risultano molto costose per le imprese.
Ma quali sono i livelli di volume necessari per arrivare al punto di scala mimima
efficiente nel settore automobilistico?
Non c’è una quota universalmente valida, in realtà i livelli cambiano a seconda
del processo preso in considerazione.
Le stime devono essere prese in considerazione con la necessaria cautela poiché
variano a seconda degli anni e delle assunzioni fatte.
Un chiaro esempio della loro indispensabilità è fornito dalla produzione Ford del
modello T prima e dopo l’uso di una linea di assemblaggio nel 1914 quando
nell’arco di cinque anni si giunse a un risparmio del 50% dei costi all’aumentare della
5
scala produttiva.
Nella figura 1.1 vengono illustrati diverse stime per i livelli DOM per i maggiori
processi manifatturieri automobilistici. Consapevoli del fatto che i dati sono piuttosti
datati, ciò che salta agli occhi è la estrema variabilità per tutti i processi fatta
eccezione per quelli relativi all’assemblaggio finale.
3
Se è dato l’impianto, ossia nel breve periodo, si sceglierà di produrre compatibilmente con la
domanda, la quantità che assicura il costo unitario medio minimo corrispondente al grado di
saturazione ottimale per l’impianto dato.
4
La dimensione ottima minima (DOM) è conosciuta in letteratura anche come scala minima efficiente
(SME)
5
HUSAN R. [1997]
9
Fig. 1.1. Stime (unità in migliaia) della scala minima efficiente per le principali
attività di produzione
Assemblaggio
Fonte Anno Fusione/ForgiaturaStampaggioPowertrain
Finale
6
1958 * 1000 500 100
Maxcy e Silberston
78
1960 180/360 480-600 120-240 96/180
Toyota
1971 1000 500 250 300
Pratten
White 1971 "Variabile" 400 260 200-250
1972 200 2000 1000 200
Rhys
1973 2000 * * *
McGee
1974/75 2000 * * 300
Ford UK
CPRS 1975 100 * 500 250
1975 2000 2000 1000 250
Euroeconomics
Fonte HUSAN R. [1997]
Non si possono fare generalizzazioni senza rischiare delle imprecisioni, tuttavia date
queste premesse la tabella evidenzia due distinti trend:
1. C’è un graduale incremento dei livelli di MSE (Minimun Efficient Scale) con
il passare degli anni;
2. Il livello di MSE si abbassa più il processo in questione è a valle.
Il primo trend può essere attribuito al costante miglioramento della tecnologia e
dei metodi di organizzazione del lavoro che permettono di acquisire significative
economie di scala spostando la curva dei costi medi unitari di lungo periodo verso il
basso e provocando un aumento del livello di MSE (vedi figura 1.2, da MSE1 a
MSE2).
6
Solo per “machining”
7
Solo per forgiatura
8
Solo per fabbricazione di auto
10
Fig. 1.2 Spostamento della curva dei costi medi unitari di lungo periodo
grazie al miglioramento della tecnologia impiegata
Fonte HUSAN R. [1997]
Il secondo trend si origina dai processi a monte (upstream) caratterizzati da un
9
maggiore investimento in capitale e materiale .
Perciò quest’ultimi richiedono alti livelli di output per garantire una minore
incidenza dei costi variabili e fissi, e tale caratteristica si rivela essere un grande
vantaggio per i grandi produttori e una forte barriera all’entrata per i potenziali
concorrenti.
Quei produttori capaci di soddisfare i livelli DOM per le operazioni upstream, ad
esempio più di due milioni per la fusione possono garantirsi dei notevoli risparmi a
livello unitario verso quelli che riescono solo per i processi di assemblaggio finale.
Quali sono i costi drivanti da una produzione al di sotto dei livelli di DOM?
Le stime anche in questo caso variano. Pratten, in uno studio delle industrie
britanniche sulla base di interviste e consultazioni sulla letteratura di settore, stimò
che per le passenger car la percentuale di incremento dei costi è del 6% per unità al
10
50% del livello di DOM.
Nella figura 1.3 che segue sono indicati i costi cui si va incontro per un livello di
saturazione produttivo non ottimale.
9
HUSAN R. [1997]
10
PRATTEN C. F.[1971]
11
Fig. 1.3 Stime costi derivanti da inefficienze dovute a scale produttive non
ottimali secondo White (1971) e Waverman/Murphy (1990)
Fonte White (1971)
Livello Produttivo
50.000 100.000 200.000 400.000 800.000
Costo Inefficienze % 20 10-15 3-5 0 -1
Fonte Waverman e Murphy (1990)
Scala dell'impianto
100 80 60 30 10
(MES %)
Costo Inefficienze% 0 3 6,8 19,5 34,5
Fonte HUSAN R. [1997]
Per i produttori che operano al di sotto del 50% di DOM i costi crescono
esponenzialmente. Le economie di scala esistono anche per i produttori di parti e
componenti automobilistici. Se tutti quest’ultimi operassero ai livelli di DOM, ceteris
paribus, i costi per gli assemblatori finali sarebbero ottimali. Se i fornitori sono o
meno in grado di raggiungere i livelli di scala minima efficiente dipende dal livello di
domanda dei produttori così come per quest’ultimi dalla domanda dei consumatori
finali.
1.2 La situazione in Cina
Quello automobilistico in Cina è un settore caratterizzato dalla quasi assenza di
economie di scala.
La figura sottostante mostra l’evoluzione del numero delle case assemblatrici in
Cina evidenziando come nel corso dei cinquant’anni di storia del settore di questo
paese si siano stabiliti una quantità spropositata di produttori fino ad arrivare al 2006
11
a contarne ben 117.
11
Sono inclusi oltre ai produttori di auto, anche quelli di bus e camion.
12
12
Fig. 1.4 Numero dei produttori automotive in Cina dal 1956-2006
140
120
100
80
60
40
20
0
1956 1960 1964 1968 1972 1976 1980 1984 1988 1992 1996 2000 2004 2006
Fonte MOAVENZADEH J., ROOS D., JIANXI L. [2006]
Se si considera che nel 2006 la produzione ammontava a 7,28 milioni di veicoli,
si giunge presto alla conclusione che la media d’output per ogni casa di produzione
era di sole 62.000 unità circa.
Per quanto riguarda specificatamente il settore passenger car, si scopre che mentre
le joint venture internazionali alla fine del 2006 occupavano il 74% del mercato
riuscendo ad ottenere anche discreti livelli produttivi, almeno per le più importanti, il
rimanente 26% era in mano a più di 34 produttori cinesi di cui 24 non riescono
nemmeno a superare l’1% di share.
Ciò significa che l’output produttivo medio annuale per le case cinesi di passenger
car è poco più di 32.000 automobili, ben lontano quindi dalle 250/300 mila unità
identificate come soglia minima per la scala minima efficiente del settore in questione
12
La fonte per i dati del 2006 sono stati presi Huehong J.[2007]
13
Il numero dei produttori automobilistici in Cina è aumentato attraverso diverse
ondate di nuove case assemblatrici che si sono susseguite lungo tutto il percorso
storico di sviluppo del settore fino ai nostri giorni.
Se si esclude la nascita delle prime case automobilistiche intorno agli anni ’50,
come la FAW, SAIC, BAIC si possono identificare tre fasi temporali in cui l’afflusso
di nuovi operatori è più visibile che in altri momenti storici.
La prima di queste è riscontrabile quando sorsero numerosi impianti per
soddisfare l’aumento della domanda militare in concomitanza della guerra fredda con
l’URSS e i conflitti militari con l’India nei confini occidentali e con il supporto al
Vietnam del Nord contro gli americani. Ad esempio la Second Automobile Works
(ora Dongfeng), la Sichuan Automobile Works, la Shanxi Automobile Works si
stabilirono nel 1960 principalmente per produrre camion militari in zone remote del
paese per motivi di sicurezza. La seconda fase giunse intorno metà degli anni ’80 con
il sopraggiungere della riforma economica quando vennero aperti i confini alle
imprese straniere per attuare il trasferimento tecnologico e numerose imprese locali
13
entrarono nel business attratte dall’alta remuneratività del mercato.
La terza ondata è concomitante con l’ingresso al WTO, quando cioè il governo
dovette allentare le barriere all’entrata istituite poco tempo prima per fronteggiare
l’alto numero di produttori e non potè far altro che assistere all’ingresso di tutte quelle
case che non si erano insediate precedentemente.
Nella tabella che segue si può notare come solo 12 imprese, per lo più joint venture
internazionali, riuscissero nel 2004 a produrre più di 100.000 veicoli mentre la
stragrande maggioranza era caratterizzata da una capacità produttiva inferiore alle
10.000 unità.
13
Questa caratteristica del mercato verrà approfondita più avanti in questo capitolo.
14
Fig. 1.5 Numero di case automobilistiche classificate per output in Cina
<100
100-500
500-1.000
1.000-2.000
2.000-5.000
5.000-10.000
10.000-50.000
50.000-100.000
>100.000
0510152025
Num e r o im pr e s e
Fonte MOAVENZADEH J., ROOS D., JIANXI L. [2006]
Yasheng Huang, nel suo libro Selling China, ha effettuato un interessante
analisi di benchmarking tra la Cina e altri tre paesi (Brasile, Corea del Sud e
Giappone) mettendo a confronto la concentrazione industriale nel mercato
automobilistico in diversi periodi del loro sviluppo storico.
Questi paesi proprio come la Cina, partendo dal nulla o quasi, sono riusciti a
ritagliarsi chi con risultati eccezionali (vedi Giappone) chi a livelli discreti (Brasile),
un ruolo nel settore automobilistico globale dove già operavano multinazionali ben
affermate.
L’esperienza del loro sviluppo suggerisce che sebbene le economie di scala non
siano una condizione sufficiente, sono necessarie alle imprese più recenti per potersi
imporre o competere con quelle affermate.
Nella figura 1.6 sottostante vengono presentate le concentrazioni cumulate nei
rispettivi paesi delle tre più grandi imprese automobilistiche.
15
Unità prodotte