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INTRODUZIONE
Essendo sempre stata molto interessata sia all'industria agroalimentare che alla cultura
d'impresa, oltre che all'eccellenza italiana in tutte le sue forme e manifestazioni, con tutti
gli aspetti legati al suo appeal internazionale, questo lavoro tratta alcune aziende alimentari
storiche italiane, nate nel tardo XIX secolo e tutt'oggi operative, che hanno percorso un
sentiero di recupero e valorizzazione della propria memoria fondando archivi e musei
storici.
Questi nascono, ovviamente, come strumenti di marketing e, rappresentando anche un
costo e un impegno per l'azienda, la loro gestione è finalizzata alla promozione del marchio
e della sua immagine, ma diventano poi, inevitabilmente, anche delle finestre sulla storia.
L'attenzione è rivolta alle aziende che, per così dire, "sopravvivere", sono state acquisite
dalle multinazionali, nella maggior parte dei casi nel corso degli anni Ottanta e Novanta, e
che quindi da un lato diventano brands globali e dall'altro rafforzano la propria identità
locale con questi strumenti.
Ho ritenuto opportuno trattare prima di tutto la produzione alimentare italiana in generale e
sulla longue durée, creando una quadro ampio sulle diverse tipologie di prodotti, di
consumi e di realtà imprenditoriali, dall'artigianato di bottega ai grandi gruppi
internazionali, dalla vendita diretta alla distribuzione standardizzata mondiale. Il focus è
ovviamente sull'Italia, ma la comparatistica europea e internazionale è un filo che
accompagna il discorso senza soluzione di continuità non solo per gli anni recenti,
parlando del capitale straniero e delle acquisizioni dalle multinazionali, ma per tutto il
periodo storico considerato, poiché molte produzioni italiane anche di successo non sono
originariamente autoctone, e anche i prodotti di forte connotazione locale subiscono
l'influenza dei similari in altri paesi, e falliscono o spiccano anche a seconda della
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concorrenza o meno di certi prodotti esteri, non solo sui mercati internazionali, ma anche
su quelli interni.
Può stupire, infatti, la solo apparente contraddittorietà tra il titolo della tesi, sull'industria
alimentare italiana, e questo quadro che ho scelto di mettere in apertura, un olio su tela del
pittore svizzero Albert Samuel Anker, una delle tante nature morte dell'epoca con
l'elemento birra presente, conservato attualmente al Museo dell'Arte di Berna. Parlare della
storia alimentare italiana, dalla domanda sulle tavole all'offerta industriale, parlando di
birra, un prodotto centro-nordeuropeo per eccellenza, porta il discorso sulle pieghe
nascoste di un grande successo imprenditoriale e nei meandri forse meno esplorati della
storia dei consumi.
Dopo un'inquadratura storica generale, che è sicuramente deficitaria di molti aspetti poiché
non era il fulcro di questo lavoro di ricerca nel suo complesso, sono passata ad alcune
monografie aziendali, nei contesti produttivi ed economici dei loro periodi, parlando della
nascita e dell'evoluzione fino ai giorni nostri di alcuni - non tutti - grandi nomi del settore
food & drink, che emersi nel corso del XIX sec. hanno attraversato la storia italiana e la
storia dei consumi nel mondo, e che sono stati poi, appunto, acquisiti dalle multinazionali.
Un excursus su quest'ultime era quindi d'obbligo, per comprendere il fenomeno nella sua
globalità, oltre che ovviamente in particolare nel settore alimentare.
Alcune di queste grandi aziende hanno investito sulla propria immagine e sul proprio
marchio e sull'onda dello sviluppo di quella ormai disciplina autonoma che è la storia
d'impresa hanno rispolverato la propria memoria storica riqualificandola e valorizzandola,
sistematicamente, pragmaticamente e anche con un estro creativo e passionale, che
accompagna il metodo, creando degli archivi e dei musei sulla storia della propria
esperienza imprenditoriale. Questo si intreccia con l'archeologia industriale, che ha
rivalutato luoghi, strutture e beni immobili della storia del lavoro e della produzione,
convertendo e rivisitando senza distruggere, introducendo quindi il concetto di nuovo
utilizzo del vecchio, di passato come valore aggiunto per il futuro e non come peso.
In particolare, il mio caso di studio è stato la Società Birra Peroni, alla quale ho dedicato
l'ultimo capitolo ripercorrendone tutta la storia, dagli albori nel Regno Sabaudo ad oggi,
passando per l'arrivo a Roma, le ripercussioni economiche ed urbanistiche, la creazione
dell'archivio e del museo, le nuove strategie di heritage marketing, le evoluzioni tecnico-
produttive e manageriali, la pubblicità e la comunicazione, fino all'acquisizione da parte
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del gruppo SABMiller di dieci anni fa, costruendo il discorso sulla base delle monografie
aziendali, della bibliografia sulla famiglia, dei vari articoli delle riviste storiche di settore e
delle fonti documentarie dell'Archivio Storico Peroni, presso l'attuale stabilimento
produttivo di Roma.
Nel capitolo centrale, una breve descrizione dei contenuti dell’Archivio era necessaria alla
comprensione della sua ricchezza e importanza documentaria e allo stesso tempo aiuta
nella percezione della sua eccezionalità nel quadro degli archivi degli enti economici in
Italia.
Le ragioni di tale eccezionalità risiedono principalmente nella natura dell’ente produttore
delle carte e nel suo contesto operativo. Nel quadro romano e laziale l’Archivio Storico
della Birra Peroni si distingue, infatti, in quanto archivio di un’impresa privata, produttrice
di beni di consumo di massa, operativa continuativamente a Roma, l’"improduttiva
Capitale", dal 1864. Le sue carte illuminano pertanto un aspetto poco noto della vita
economica romana e possono aiutare a combattere alcuni luoghi comuni storiografici.
L’Archivio Peroni è, inoltre, tra gli archivi di imprese italiane, l’unico di una società
produttrice di birra, leader di settore dall’inizio del Novecento. A ciò si aggiunga
l’eccezionalità della realtà imprenditoriale Peroni, azienda italiana a carattere familiare, nel
comparto industriale birrario, terra di conquista di multinazionali straniere.
La peculiarità economica dell'area romano-laziale non ha, d'altronde, facilitato l'approccio
alla storia del progresso tecnologico. La storia dell'industria non è passata per Roma, o ne
ha lambito appena il territorio. È normale, di conseguenza, che la ricerca si sia indirizzata
verso aree e settori di maggiore pregnanza e rilevanza per lo sviluppo economico italiano.
La quasi assenza di industrie, nella Roma papalina prima, in quella amministrativa e
politica poi, ha reso ardua l'operazione del reperimento di fonti. Le poche aziende ancora in
vita, che hanno costituito l'eccezione in tale quadro, raramente sono dotate di archivi
consultabili. Quelle, poi, che hanno interrotto la propria attività, nella maggior parte dei
casi, hanno smarrito ogni memoria di se stesse. La stessa sorte ha seguito il materiale
d'archivio di ditte che hanno trasferito di frequente la propria sede.
Un accenno merita, infine, una componente dell’Archivio Peroni che lo differenzia
profondamente da altri archivi di enti economici, il cui scopo è la conservazione di sola
documentazione cartacea: per esplicita volontà aziendale vengono infatti conservati i
materiali promozionali, pubblicitari, di servizio e le confezioni stesse di birra. Tale
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apparente anomalia archivistica è in realtà un fattore estremamente coerente con l’identità
e la natura dell’ente produttore della documentazione, un’impresa produttrice di beni di
consumo, interessata, prima d’ogni altra cosa, alla memoria del suo stesso prodotto.
Ciò pone problemi di ordine museale in termini sia di conservazione fisica sia di
catalogazione degli oggetti e offre ulteriori elementi di riflessione sull’atipicità e originalità
degli archivi d’impresa nel quadro degli archivi della società contemporanea.
Dalle carte, la valorizzazione della memoria storica aziendale è infatti coerentemente
passata agli oggetti del lavoro, della comunicazione, della commercializzazione del
prodotto: la realizzazione dell’Archivio Storico, obiettivo inizialmente ritenuto come il
massimo auspicabile, ha invece provocato l’insorgere di ulteriori esigenze di
rappresentazione e di comunicazione che hanno trovato naturale sbocco nell'allestimento
del Museo Storico Peroni, concepito in modo tale da raccontare i punti salienti della storia
aziendale nei suoi aspetti industriali e commerciali e nei suoi nessi con la storia del
territorio e della società.
L’occasione celebrativa del centocinquantesimo anno di vita della Società Peroni, nel
1996, diede avvio, come spesso accade, al censimento della documentazione storica
interna, che venne reperita presso tutti gli stabilimenti del Gruppo Peroni, per poter
ricostruire l’intera vicenda societari. Il passo successivo fu la dichiarazione di notevole
interesse storico delle carte, compiuta dalla Soprintendenza Archivistica per il Lazio nel
1996. L’Archivio fu dunque riordinato e inventariato analiticamente, ai fini della sua
apertura al pubblico, che avvenne nel 2000, insieme all'inaugurazione del Museo.
L’iter seguito nell’elaborazione di tale progetto e le sue motivazioni possono fornire uno
dei modelli possibili di responsabilizzazione culturale dell’impresa.
Infine, ho voluto dedicare le ultime pagine alla storia di un importante polo industriale,
recuperato e convertito in un nuovo spazio museale, ripercorrendo le fasi salienti di uno dei
maggiori interventi di restauro archeologico industriale e recupero edilizio della Capitale,
secondo gli sviluppi degli strumenti urbanistici e le varianti dei piani regolatori, quello cioè
dell'ex opificio Peroni di Porta Pia, nel quartiere Nomentano - Salario di Roma, che oggi
ospita una delle due sedi del Museo di Arte Contemporanea Macro.
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CAPITOLO I
L'INDUSTRIA ALIMENTARE ITALIANA E LE MULTINAZIONALI
Il primo genere di imprese ad apparire in Italia è quella che sorge prima della grande
differenziazione sociale ottocentesca. Si tratta dell’impresa patrimoniale, tipica del
capitalismo preindustriale e della transizione tra feudalesimo e capitalismo. Al centro di
questo insieme di imprese c’è la famiglia, che crea tale associazione economica per
massimizzare il rendimento dei capitali investiti, grazie a operazioni speculative sui
pacchetti di azioni di controllo di diverse società e sulla negoziazione continua di utili che
si traggono dalle transazioni a lungo termine di beni e di monete.
Da questo costrutto sociale emerge, per via della differenziazione e della implementazione
creditizia che avviene su larga scala per la nascita del capitalismo industriale, la grande
impresa finanziaria, il cui prototipo è la banca mista. Essa si caratterizza per il potere
gerarchico che esercita sulle decisioni di investimento delle imprese di qualsivoglia natura
da essa controllate in più o meno rilevante misura, dando vita al capitalismo finanziario,
ossia al nesso inscindibile tra banca e industria, protese entrambe al controllo
oligopolistico dei mercati. Con lo Stato moderno tale capitale finanziario si è costituito
come il fattore più rilevante della crescita industriale e commerciale europea continentale e
asiatica, dalla seconda metà dell’Ottocento al termine degli anni Ottanta del Novecento.
Dopo questo decennio tutto inizia a mutare per le trasformazioni nel sistema politico e
militare mondiale.
Laddove l’impresa finanziaria si sviluppa su larga scala si riscontra una bassa crescita del
mercato dei capitali e dei diritti di proprietà promosso dallo scambio azionario borsistico.
Non a caso quest’ultimo prevale soltanto negli USA e nel Regno Unito, che fanno