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Introduzione
SOMMARIO: 1. Il simbolismo religioso nel contesto multiculturale europeo: quadro
normativo dell’UE. - 2. La tutela dei diritti fondamentali dell’uomo nell’Unione
europea: due sistemi a confronto. - 3. Il percorso parallelo della Corte EDU e della
Corte di giustizia sui limiti del divieto di indossare simboli religiosi sul luogo di lavoro.
- 4. Limitazioni alla libertà religiosa: gli ultimi interventi della Corte di giustizia sulla
direttiva 2000/78/CE. -5. Obiettivi e piano del lavoro
1. Il simbolismo religioso nel contesto multiculturale europeo:
quadro normativo dell’UE
Nel quadro di un’Europa socialmente eterogenea e target di forti flussi
migratori, i popoli e gli Stati membri dell’Unione europea hanno
cristallizzato, nell’art. 2, co.1 del Trattato sull’Unione Europea (da qui in poi
TUE), i valori necessari a costituire il sostrato normativo di una comunità
volta all’integrazione: i valori di dignità umana, libertà, democrazia,
uguaglianza, stato di diritto, nonché il rispetto dei diritti umani, inclusi i diritti
delle persone appartenenti a minoranze. Tali valori sono, in base al secondo
comma del medesimo articolo, “comuni agli Stati membri in una società
caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza,
dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini.” L’art. 2
TUE, introdotto dal Trattato di Lisbona, esprime le radici e l’identità
dell’Unione europea ma soprattutto il contratto sociale su cui quest’ultima si
fonda
1
. Oltre ad essere una dichiarazione solenne
2
, costituisce il pilastro della
costruzione europea. È la stessa formulazione dell’art. 2 TUE a suggerire che
1
L. S. ROSSI, Il valore giuridico dei valori. L’Articolo 2 TUE: relazioni con altre
disposizioni del diritto primario dell'UE e rimedi giurisdizionali in federalismi.it, 2020, pp.
4-6
2
J. WOUTERS, Revisiting art. 2 TEU: a true union of values? In European papers, 2020,
pp. 255-277
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l’Unione europea si “fonda” su tali valori e il rispetto di questi ultimi è un
prerequisito per l’adesione all’UE in base all’art. 49 TUE e, in quanto norma
fondatrice, è rivolta sia alle istituzioni dell’Unione, sia agli Stati membri che
ne sono vincolati. Il vincolo è confermato dall’art. 7 TUE che prevede un
meccanismo per determinare l’esistenza, con l’eventuale sanzione, di
violazioni gravi e persistenti dei valori dell’UE da parte di uno Stato membro.
Dall’Europa del mercato si è giunti ad una comunità fondata sui valori, in
virtù di un processo che arricchisce, di volta in volta, il contenuto della fase
precedente. Questi principi configurano l’identità costituzionale dell’Unione
Europea in rapporto con le tradizioni degli Stati membri, un rapporto di mutuo
apprendimento che ha portato alla graduale convergenza di tradizioni
costituzionali inizialmente differenti in tradizioni divenute comuni. Un
quadro di valori, quindi, che va a costituire ciò che accomuna gli Stati membri
ma che sicuramente non può portare alla loro completa identità politico-
costituzionale che da sempre è espressione di una ineliminabile diversità.
Diversità culturale, politica, religiosa: diversità tutelata dal principio di non
discriminazione e manifestazione del più generale principio di eguaglianza.
Quest’ultimo principio è trattato, nello specifico, dall’art. 21 par. 1 della Carta
dei diritti fondamentali (da qui in poi Carta). Il par. 1 si ispira all’art. 13 del
trattato CE, sostituito oggi dall’art. 19 del Trattato sul funzionamento
dell’unione europea (da qui in poi TFUE), e riafferma quanto contenuto nel
più antico e scarno art. 14 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo
(da qui in poi CEDU). Secondo quanto riportato dalle Spiegazioni relative
alla Carta dei diritti fondamentali
3
non vi è contraddizione tra l’art. 21 par. 1
della Carta e l’art. 19 TFUE perché hanno campo d’applicazione e finalità
differenti: l’art. 19 conferisce all’Unione la facoltà di adottare atti legislativi,
compresa l’armonizzazione delle disposizioni legislative e regolamentari
degli Stati membri, per combattere alcune forme di discriminazione di cui
3
Spiegazioni relative alla carta dei diritti fondamentali (2007/C 303/02)
IX
l’articolo stesso riporta un elenco completo. La disposizione dell'articolo 21,
paragrafo 1, invece, non conferisce nessuna facoltà di emanare norme contro
la discriminazione né sancisce alcun divieto assoluto di discriminazione in
settori così ampi. Essa tratta soltanto le discriminazioni ad opera delle
istituzioni e degli organi dell’Unione stessi nell’esercizio delle competenze
conferite ai sensi dei trattati e ad opera degli Stati membri soltanto quando
danno attuazione al diritto dell’Unione. Il paragrafo 1 non altera quindi
l’ampiezza delle facoltà conferite a norma dell’articolo 19, né
l’interpretazione data a tale articolo. Gli sforzi europei per combattere i
trattamenti discriminatori, del resto, sono stati molteplici e anche la Corte di
giustizia conferisce il suo apporto affermando il divieto di discriminazione
come principio fondamentale in molteplici sentenze: “the prohibition of
discrimination is only a specific expression of the general principle of
equality in Community law, which requires that comparable situations must
not be treated differently and different situations must not be treated in the
same way unless such treatment is objectively justified
4
”.
Tutelare l’uguaglianza e quindi il rispetto di ogni cultura presente sul
territorio mira sicuramente a omogeneizzare il sostrato normativo delle
identità statali garantendo un nucleo di diritti fondamentali che deve
necessariamente essere il medesimo per ogni Stato membro. Questo va però
bilanciato con la necessità di garantire anche le diversità che per natura
appartengono agli individui e più in generale alle comunità, ed è proprio in
virtù di questo che l’art. 22 TUE dispone che “l'Unione rispetta la diversità
culturale, religiosa e linguistica”: la diversità è un aspetto fondante
dell’identità
5
. È infatti fondamentale sottolineare che sono rilevanti tutte
4
Sentenza della Corte di giustizia del 15 marzo 2007, causa n. C-35/05, Reemtsma
Cigarettenfabriken GmbH v Ministero delle Finanze, par. 44
5
A. FERNANDEZ, S. REGINA, La vita religiosa in un contesto di multiculturalità:
interrogativi sociologici sulle domande di identità, in Firenze University Press, 2007, p. 79-
91
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quelle garanzie volte a tutelare l’identità personale dell’individuo e tutto ciò
che è volto a garantirgli l’espressione delle proprie inclinazioni e dei propri
orientamenti. L’identità è quell’ “insieme dei riferimenti culturali con il quale
una persona, sola o in comune, si definisce, si costituisce, comunica e intende
essere riconosciuta nella sua dignità”
6
. Tra gli aspetti caratterizzanti l’identità
personale rientra certamente il credo religioso, soprattutto nei casi in cui
questo diventi aspetto totalizzante nella vita dell’individuo: è, ad esempio, il
caso della sharì‘a, la sacra legge dell’Islam, che si estende a ogni atto umano,
da quelli individuali e interiori, legati alla devozione e al culto, a quelli
esteriori, che comprendono tutte le attività connesse all’interazione sociale,
dalla sfera personale a quella comunitaria a quella politica
7
. La religione,
quindi, in molti casi, si estende anche alla necessità di indossare simboli
distintivi, esempi sono l’hijab (velo islamico), il crocifisso, la kippah.
I simboli e le pratiche religiose sono, però, divenuti anche “l’elemento
catalizzatore di conflitti generati dal nuovo ruolo giocato dalle religioni nello
spazio pubblico”
8
e questo anche a causa della visibilità crescente che hanno
assunto nel mondo contemporaneo grazie all’intensificazione dei flussi
migratori e alla rapidità degli spostamenti che offre l’attuale tecnologia dei
trasporti e delle comunicazioni, facendo sì che vi sia una più agevole
circolazione dei simboli e delle pratiche religiose. Questo ne accresce la
potenziale ambiguità, soprattutto per i simboli religiosi di natura personale
che possono assumere significati differenti e talora opposti nelle intenzioni
dei loro portatori e nella percezione dei soggetti già residenti in quel territorio.
Nel medesimo contesto, quindi, lo stesso simbolo potrebbe essere percepito
come libertà o oppressione (per esempio del genere femminile o di un’etnia),
6
Dichiarazione di Friburgo, art. 2
7
www.treccani.it
8
S. FERRARI, I simboli religiosi nello spazio pubblico, relazione introduttiva al convegno
State-sponsored religious displays in the U.S. and Europe, Roma, 22 giugno 2012, p. 2
XI
ed è necessario, quindi, che si tenga conto, anche e soprattutto nell’analisi
giuridica, oltre che delle intenzioni dei portatori dei simboli religiosi, dello
specifico contesto nazionale o locale nel quale questi sono esibiti e dal quale
traggono il loro significato più manifesto
9
. In altri termini, è necessario che si
tenga conto sia delle esigenze del portatore del simbolo religioso, sia di chi lo
percepisce all’esterno contestualizzandolo, magari, in un modo differente
rispetto alle intenzioni di chi lo indossa.
L’Europa è immensamente variegata in termini di diversità culturale, sociale,
linguistica e religiosa. È richiesto rispetto reciproco per far fronte alla
coesistenza di identità culturali e fedi religiose diverse, rispetto che potrebbe
essere stimolato da un approccio interculturale e interconfessionale alla
multiculturalità. Osteggiare la multiculturalità e di conseguenza il fenomeno
del pluralismo religioso espone al rischio di combattere ogni esteriorizzazione
del proprio credo alimentando un senso di chiusura verso tutte le confessioni
religiose
10
. L’Unione Europea ha conosciuto e conosce tuttora differenti
approcci normativi e giurisprudenziali alla questione dei simboli religiosi e
sarà oggetto di analisi in questo elaborato l’approfondimento del più generale
concetto di libertà religiosa, con sguardo mirato alla libertà di manifestare il
proprio credo nell’ambiente lavorativo. Si cercherà di vagliarne ogni aspetto
rilevante, ricercando i limiti che la libertà religiosa incontra dinanzi al diritto
del datore di lavoro a mantenere una politica “neutrale” nella sua
organizzazione lavorativa. Per comprendere tale bilanciamento di interessi è
necessaria un’analisi preliminare dei raccordi normativi tra i vari sistemi posti
a tutela dei diritti fondamentali dell’uomo, tra cui il diritto alla libertà
religiosa. Nell’ambito dell’Unione Europea, questi ultimi sono tutelati: dai
9
P. CAVANA, I simboli religiosi nello spazio pubblico nella recente esperienza europea in
Stato, Chiese e pluralismo confessionale, 2012, p. 2
10
L. ANELLO, Quale tutela delle libertà fondamentali per i simboli religiosi?
Considerazioni sulla decisione del Consiglio di Stato francese sul caso burkini in Stato,
Chiese e pluralismo confessionale, 2017, p. 10-12