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CAPITOLO I
L’INDEBITO NEL DIRITTO CIVILE
1. Brevi cenni all’evoluzione della disciplina dell’istituto dell’indebito
civilistico
L’istituto dell’indebito trova i suoi ascendenti nelle condictiones del
diritto romano classico, infatti varie fattispecie di prestazione indebita
trovavano la loro disciplina all’interno del libro XII dei Digesta: la
condictio ob data causa non secuta o condictio causa datorum,
concernente un’attribuzione patrimoniale fatta da una persona in vista
di un determinato risultato futuro che non viene però a prodursi; la
condictio ob turpem vel ingiusta causam, quando il risultato perseguito è
immorale o disonesto; la condictio indebiti, quando qualcuno paga per
errore un debito inesistente o che non toccava a lui pagare; la
condictio sine causa, quando non vi è dazione ma semplicemente
qualcuno fa una promessa priva di causa.
Nonostante tali fattispecie fossero costruite al fine di disciplinare
fattispecie tra loro differenti, le condictiones avevano un fondamento
comune: l’obbligazione restitutoria era posta a carico dell’accipiens
perché egli aveva acquistato la proprietà della cosa altrui in assenza di
una causa giuridica che ne legittimasse la ritenzione
1
.
Il pagamento dell’indebito rientra, nella sistematica dell’attuale
codice civile del 1942, tra gli << altri fatti >> idonei a produrre
obbligazioni in conformità dell’ordinamento giuridico, trovando il loro
titolo nell’art. 1173 c.c.: il fatto del pagamento, così come i fatti della
1
SANFILIPPO, Condictio indebiti, Milano, 1943, p. 52.
8
gestione degli affari altrui e dell’arricchimento senza causa, produce
obbligazione restitutoria: in particolare l’obbligazione dell’accipiens di
restituire l’indebito ricevuto al solvens.
Il codice civile del 1865 regolava l’istituto agli artt. 1145-1150, nella
sezione relativa ai quasi-contratti, a fianco della gestione degli affari. In
assenza di una norma che consacrasse un sistema delle fonti “aperto”,
come l’attuale art. 1173 c.c., ogni vincolo legalmente idoneo a
sovrapporsi alla volontà privata andava ricondotto ai due schemi
fondamentali del contratto e del delitto
2
.
Quando venne abbandonato lo schema del quasi-contratto, si
poté ricollegare la ripetizione dell’indebito alla mancata realizzazione
della causa solvendi
3
.
Nel diritto vigente la disciplina dell’indebito ha assunto una
maggiore omogeneità a seguito della riunione, nel titolo VII del Libro
delle obbligazioni (art. 2033-2040), di una materia prima dispersa tra le
sezioni dei <<quasi contratti>> e del <<pagamento in genere>>. In tal
modo, si è portato a compimento il processo di unificazione delle
condictiones giustinianee, che il codice abrogato aveva realizzato solo
parzialmente.
Oltre che negli artt. 1145-1150 del codice del 1865, l’istituto del
pagamento dell’indebito appariva nel capo dedicato ai modi di
estinzione delle obbligazioni, all’art. 1237.
Nell’attuale codice civile del 1942 oltre alla scomparsa della
categoria del quasi-contratto, si è assistito alla scomparsa della generale
formulazione, contenuta nel comma 1° dell’art. 1237 del vecchio
codice.
2
Sulla figura dei quasi-contratti C. PACCHIONI, Dei quasi contratti, Milano, 1938, p.1 ss.;
SCUTO C., Le fonti delle obbligazioni, Napoli, 1953.
3
P. RESCIGNO, op. loc. citt. Per una ricostruzione del pagamento dell’indebito
all’interno di una figura generale di contratto con causa solutoria cfr. C. SCUTO, Natura
giuridica e fondamento della ripetizione dell’indebito nel diritto civile italiano, in Riv. Dir.
Civ., 1917, p. 66.
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La struttura dell’indebito appare, nell’attuale sistema, così definita:
alla base della disciplina è posto l’art. 2033 c.c., con la funzione di
regolare l’indebito oggettivo ma anche di tracciare il principio cui si
ispira in generale il rimedio della ripetizione.
Stando alla lettera della legge, i presupposti della ripetizione, che
secondo l’impostazione tradizionale erano tre (l’esecuzione di un
pagamento; la non doverosità del pagamento; l’ignoranza da parte del
solvens dell’inesistenza dell’obbligo di pagare), ora sono ridotti ai primi
due. Il requisito dell’errore dell’autore del pagamento rimane invece per
il solo indebito soggettivo ex latere solventis, disciplinato dall’art. 2036
c.c.
2. Rapporto tra l’azione di ripetizione dell’indebito ed il divieto generale
di arricchimenti ingiustificati
Vigente il codice del 1865 fu largamente prevalente tra gli studiosi
italiani e stranieri l’orientamento che faceva rientrare il pagamento
dell’indebito in un più generale principio, quello dell’arricchimento senza
causa.
Dal lato pratico, sostenere l’esistenza del principio generale contro
gli arricchimenti ingiustificati permetteva di colmare una lacuna della
stessa disciplina dell’indebito, la quale impiegando l’espressione
<<pagamento>> aveva indotto gli interpreti a ritenere applicabile
l’istituto esclusivamente alle prestazioni indebite di dare. La ricerca di
un’azione di arricchimento quale azione più ampia e onnicomprensiva
era stimolata, pertanto, anche dall’esigenza di offrire una tutela
altrimenti mancante nelle ipotesi di prestazioni di fare e di non fare.
A seguito, tuttavia della codificazione dell’azione di arricchimento e
della nuova sistemazione del pagamento dell’indebito nel codice del
10
’42, l’opinione che vuole quest’ultimo ricompreso nel primo ha dovuto
fare i conti, innanzitutto, con la collocazione dei due istituti che si scontra
nettamente con quella visione
4
.
Anche presso la nostra giurisprudenza sono state ravvisate
frequenti commistioni tra azione di ripetizione dell’indebito e divieto
generale degli arricchimenti ingiustificati. Tale commistione ha
caratterizzato anche la giurisprudenza tributaria:
“Il principio generale che vieta l’indebito arricchimento trova
applicazione anche nei confronti dell’amministrazione finanziaria;
pertanto, il contribuente ha diritto alla ripetizione del tributo
indebitamente pagato quale ritenuta d’acconto, anche se si sia
pervenuti alla definizione delle pendenze con il fisco ai sensi della legge
sul condono 19 dicembre 1973, n. 823, perché tale procedura non
importa alcuna deroga al generale precetto della ripetizione
dell’indebito”
5
.
Soprattutto in passato, era facile riscontrare decisioni che,
partendo dalla convinzione che l’indebito sia applicazione del principio
dell’arricchimento senza causa, operavano improprie commistioni tra i
requisiti richiesti per l’applicazione dei due istituti, in particolare ritenendo
che elemento necessario per agire in ripetizione fosse l’impoverimento
del solvens: così, è stata attribuita la legittimazione a ripetere la tassa di
successione che l’erede apparente aveva indebitamente pagato, non
allo stesso erede apparente, bensì all’erede effettivo, considerando che
egli era il soggetto depauperato, essendo stato effettuato il pagamento
con denaro dell’eredità
6
. Ma la disciplina dell’indebito non contempla il
requisito del depauperamento, sicché la legittimazione a ripetere
spettava al vero solvens, ossia all’erede apparente.
4
A. ALBANESE, Il pagamento dell’indebito, Padova, 2004, p. 10 ss.
5
Comm. centrale imposte, sez. X, 8 settembre 1981, n. 4736, in Commiss. trib. centr.,
1981, I, p. 618.
6
Cass., 4 marzo 1943, n. 500, in Riv. Fisc., 1943, p. 268.
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A livello teorico, non v’è dubbio alcuno che il rimedio ex art. 2041
c.c. possa essere sperito solamente quando non trovi spazio l’azione di
ripetizione.
“Qualora venga acclarata la mancanza di una causa acquirenti –
tanto nel caso di nullità, annullamento, risoluzione o rescissione di un
contratto, quanto in quello di qualsiasi altra causa che faccia venir
meno un vincolo originariamente esistente - l’azione accordata dalla
legge per ottenere la restituzione di quanto prestato in esecuzione del
contratto stesso è quella di ripetizione dell’indebito oggettivo, ancorché
la prestazione si sia concretizzata in un facere, se questo è ragguagliato
dalle parti ad una determinata somma di danaro. Non è, pertanto, nella
suddetta situazione, esperibile l’azione di arricchimento senza causa,
che ha carattere sussidiario e non può essere utilizzata allorché
dall’ordinamento sia apprestata altra specifica azione”
7
.
Dalla massima si evince che il Collegio ha abbracciato la
concezione onnicomprensiva della disciplina della normativa
dell’indebito oggettivo, vale a dire la concezione che estende la
disciplina dell’indebito anche alle prestazioni di fare. Dalla
sovrapposizione del campo applicativo dell’azione di ripetizione a quello
dell’azione di arricchimento, ha tratto la logica conseguenza che la
seconda possa essere esperita solamente nei casi in cui non sussistano i
presupposti specifici richiesti dalla legge per l’applicazione degli artt.
2033 ss. c.c.
Ancora, e soprattutto, la disciplina dell’azione di ripetizione
prescinde, di massima, da ogni valutazione dell’arricchimento
effettivamente conseguito dal convenuto. Pertanto la disciplina
dell’indebito oggettivo non opera il dosaggio tra reciproci pregiudizi e
vantaggi patrimoniali caratterizzante invece la materia
dell’arricchimento. Nell’indebito, la circostanza che lo spostamento
patrimoniale privo di causa abbia effettivamente incrementato il
7
Cass., 24 novembre 1981, n. 6245, in. Mass. Giust. Civ., 1981, fasc. 11.
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patrimonio dell’accipiens, è considerata unicamente nel caso in cui
questo sia un incapace.
3 . La disciplina giuridica vigente
3.1. La natura giuridica dell’indebito
Il nostro ordinamento richiede che ogni spostamento patrimoniale
sia opportunamente giustificato: per esempio, se Tizio corrisponde una
misura di denaro a Caio, tale pagamento dovrà trovare
necessariamente una giustificazione che potrà essere ravvisata nello
spirito di liberalità di Tizio (il pagamento è quindi eseguito a titolo di
donazione) o nell’acquisto da parte di Tizio della proprietà di un bene di
Caio (si tratterà allora di un contratto di vendita) o ancora nella
prestazione di un servizio da parte di Caio ecc.
In altre parole, è necessario che possa essere individuata la
ragione del profitto o del vantaggio conseguiti. Se manca la
motivazione, quanto percepito è privo di causa e deve pertanto essere
restituito da parte di chi ne ha beneficiato. Al riguardo la legge
disciplina due ipotesi importanti: il pagamento dell’indebito, che
rappresenta il nostro oggetto di studio e ricorre in ipotesi particolari, e
l’ingiustificato arricchimento, fattispecie che ha, invece, carattere
generale e suppletivo, trovando applicazione nei residui casi di
“vantaggi non giustificati” privi di una specifica disciplina legislativa.
Con l’espressione “pagamento dell’indebito” ci si riferisce
all’esecuzione di una prestazione (per esempio, il pagamento di una
somma di denaro o la consegna di una cosa ecc.) non dovuta: il fatto
che quest’ultima risulti priva di giustificazione obbliga colui che l’ha
ricevuta a restituirla al suo autore.
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Il soggetto che esegue un pagamento non dovuto è denominato
solvens; colui che riceve la prestazione indebita è denominato
accipiens.
Ai sensi della legge, il pagamento (inteso come prestazione di
denaro o di cose fungibili) si considera non dovuto (quindi, indebito) in
due ipotesi distinte.
Si ha indebito oggettivo quando manchi un’originaria causa
contrattuale giustificativa di un pagamento (condictio indebiti sine
causa), o quando la causa del rapporto, originariamente esistente, è poi
venuta meno in virtù di eventi successivi che hanno messo nel nulla o
reso inefficace il rapporto medesimo (condictio ob causa finitam).
“Il termine <<pagamento>> non è riferibile soltanto ad una somma
di denaro, bensì è comprensivo dell’effettuazione di ogni prestazione
derivante da un vincolo obbligatorio, che risulti a posteriori non dovuta,
abbia essa ad oggetto un dare o un facere, e ciò sia alla luce della
disciplina dell’istituto, chiaramente concernente anche cose
determinate diverse dal denaro, sia in base alla ratio degli artt. 2033 ss.
c.c., diretti ad apprestare un rimedio giuridico completo per tutte le
situazioni in cui un’attribuzione patrimoniale a favore di taluno sia stata
eseguita senza una giustificata ragione giuridica”
8
.
I fatti costitutivi dell’indebito oggettivo sono non soltanto
l’effettuazione di un pagamento e l’insussistenza di un determinato
rapporto obbligatorio tra il solvens e l’accipiens, ma anche il
collegamento eziologico tra detti elementi, e cioè l’effettuazione del
pagamento in adempimento di quell’insussistente rapporto, con la
conseguente esclusione di tutela del solvens sulla base della ipotizzata
inesistenza di un qualsiasi debito, essendo invece indispensabile che egli
precisi il rapporto giuridico che abbia indotto al pagamento privo di
causa debendi.
8
Cass. Civ., sez. III, 2 aprile 1982, n. 2029, in Mass. Giust. Civ., 1982, fasc. 4.
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A norma dell’art. 2033 c.c., il diritto del solvens di ripetere quanto
pagato per estinguere un debito inesistente prescinde del tutto, a
differenza dell’indebito soggettivo (art. 2036 c.c.), dalla “scusabilità
dell’errore” – relativo, eventualmente, all’interpretazione di una norma
giuridica – in base al quale il pagamento è stato effettuato, essendo
sufficiente l’inesistenza (originaria o sopravvenuta) di una legittima
causa solvendi.
In caso di indebito oggettivo, quindi, non esiste il credito che
giustificherebbe il pagamento eseguito (è denominato oggettivo
appunto perché è inesistente l’oggetto del pagamento).
Per esempio, Tizio paga una somma a Caio credendo di dovergli
corrispondere una somma per la prestazione eseguita da Caio, somma
che invece è stata saldata: in tal caso è evidente l’assenza del credito.
L’art. 2033 c.c. disciplina, inoltre, un altro tipo di indebito noto col
termine di indebito soggettivo ex latere eccipientis, che si ha nel caso in
cui il debitore adempie nei confronti di un soggetto diverso dal creditore
(per esempio, Tizio, debitore di Caio, paga Sempronio), in tale ipotesi
l’inesistenza del credito è configurabile in capo a Sempronio.
“Il pagamento di un debito oggettivamente esistente, ma a
persona diversa dal creditore dà luogo a una specie di indebito da
assimilarsi a quella del cosiddetto “indebito oggettivo”, con la
conseguenza per cui si rendono anche in un tal caso applicabili le
regole di cui all’art. 2033 c.c.”
9
.
Il pagamento dell’indebito non produce effetti traslativi. In base al
principio consensualistico, infatti, la titolarità di un diritto si trasferisce con
il solo consenso delle parti legittimamente manifestato: la consegna di
una cosa a titolo di adempimento (causa solvendi) non è idonea a
produrre, in sé considerata, l’acquisto della proprietà da parte
dell’accipiens. Poiché il pagamento dell’indebito non produce effetti
traslativi, la correlativa azione di ripetizione non determina il
9
Cass. Civ., sez. I, 12 maggio 1998, n. 4760, in Mass. Giust. Civ., 1998, 1002.
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ritrasferimento di un diritto dall’accipiens alla prestazione eseguita
(ovvero, qualora ciò non sia possibile, del suo valore oggettivo). Si può
dire quindi che essa ha natura esclusivamente recuperatoria.
Si ha indebito soggettivo (ex latere solventis) quando esiste il
credito, ma il pagamento è stato eseguito da chi non era debitore (è
definito indebito soggettivo perché, sebbene esista l’oggetto della
prestazione – ossia il credito – la stessa è stata eseguita per errore da un
soggetto diverso da quello tenuto ad adempiere).
3.2. Restituzione di cosa determinata e relativa impossibilità
Ai sensi dell’art. 2037 c.c., valevole per l’indebito oggettivo e
soggettivo, chi ha ricevuto indebitamente una cosa determinata è
tenuto a restituirla.
Se la cosa è perita, anche per caso fortuito, chi l’ha ricevuta in
mala fede è tenuto a corrisponderne il valore; se la cosa è soltanto
deteriorata, colui che l’ha data può chiederne l’equivalente, oppure la
restituzione e un’indennità per la diminuzione del valore.
Chi ha ricevuto la cosa in buona fede (ossia nell’indebito
oggettivo ignorando l’esistenza o la non persistenza del debito; ed in
quello soggettivo senza avere riconosciuto l’errore del solvens) non
risponde del perimento o del deterioramento di essa, ancorché dipenda
da fatto proprio, se non nei limiti del suo arricchimento.
La disciplina che distingue gli obblighi a seconda della buona o
mala fede è applicazione del principio della mora debitoria, dovendosi
ritenere automaticamente in mora il soggetto che accetta l’indebito in
mala fede: di qui l’applicazione del principio per cui l’impossibilità
sopravvenuta della prestazione non libera il debitore (ex art. 1221,
comma 1, c.c.).