6
lentamente mentre egli osserva il luogo dove forse la donna è ancora, sdraiata
nell’erba e senza vita. Oppure sta guardando verso il bosco, nel punto in cui la
donna è scomparsa alla sua vista, magari fuggendo da lui.
Antonioni sente che nel dubbio avrebbe dovuto almeno cercare di
inseguire quell’uomo o avvicinarsi alla scena per sincerarsi di ciò che fosse
effettivamente accaduto, e invece egli non ha potuto far altro che rimanere
immobile a fissare la radura anche dopo che l’uomo se n’era definitivamente
andato.
L’affinità tra questa scena e quella in cui Hemmings si reca al parco di
notte e vede il cadavere è rilevata dallo stesso regista:
succede anche di essere illuminati dalla luna senza che per questo
la scena diventi idillica. È una scena che mi ricorderebbe quella del
parco in Blow-Up se il tempo non avesse collocato i due eventi
all’inverso. Blow-Up allora era di là da venire. E comunque sarebbe
stata una notte illune, rischiarata da un’insegna al neon.
Antonioni scrive quindi che la scena gli avrebbe ricordato il film se non
fosse successa prima. È assai probabile, invece, che proprio il ricordo di
questa scena abbia in qualche modo influito sulla scelta del soggetto di Blow-
Up e sulla realizzazione delle scene del parco. La stessa reazione del regista è
inoltre rispecchiata da quella di Hemmings di fronte alle proprie scoperte. Il
fotografo nel film e il regista nella realtà, sconcertati, si accorgono
dell’inutilità della loro testimonianza, a causa dell’incertezza estrema di quello
cui hanno assistito. “Ricordo che un lampo venne a illuminare nel mio
cervello una certezza. Non c’era nessuna ragione al mondo perché noi fossimo
in quel posto a quell’ora. …d’istinto io mi ribellavo stando fermo.”
2
L’assassinio in Blow-Up avviene in un ‘buco’ della trama, non visto da
alcun personaggio della storia, né dallo spettatore, come nella suggestiva notte
raccontata da Antonioni e come molti degli eventi drammatici dei film di
Antonioni.
2
Ibidem, p. 128.
7
È l’effetto questo della caduta di varie regole della finzione scenica,
dell’ellissi sintattica e morfologica dell’immagine che provocano la
partecipazione intellettuale dello spettatore e non lo incalzano con emozioni
epidermiche. Nel cinema antonioniano, la narrazione cede il passo
completamente alla visione e Blow-Up in particolare è il centro di un discorso
che il cineasta svolge sullo sguardo, sul valore del cinema stesso, e quindi, più
in generale, sulla percezione umana del mondo.
Antonioni centra il suo lavoro di regista sull’aspetto visivo del film;
ogni sensazione è trasformata in immagine perché è lo sguardo il mezzo
principale attraverso il quale Antonioni decide di rapportarsi con il mondo.
Prova ne sia, tra l’altro, la rarefatta presenza dei dialoghi, conseguenza della
convinzione che le immagini bastano da sole a comunicare l’idea, mentre il
sonoro è spesso praticamente assente.
Lo spazio ha una netta rilevanza rispetto al tempo nel lavoro di
Antonioni e non a caso in tutti i suoi film uno degli aspetti fondamentali è
sempre lo spostamento, il viaggio, e molte sequenze ritraggono i protagonisti
in movimento, in automobile nel caso di Blow-Up o anche a piedi, senza
nemmeno che lo spostamento abbia una meta definita.
Ciò su cui si fonda la costruzione dei film di Antonioni non è il nesso
logico tra inquadratura e inquadratura, ma in realtà un principio estetico. In
quest’ottica di predilezione della visuale, del rapporto diretto con il dato reale,
si spiega la scrupolosa ricerca da parte del regista dei luoghi adatti nei quali
effettuare le riprese ed il costante rifiuto di riprese negli studi e di interventi
drastici in fase di montaggio.
Il dato visivo percepito non ha comunque per Antonioni valore
intrinseco univoco, ma è soggetto ad interpretazione da parte di chi lo
percepisce. Un oggetto non esiste in assoluto, ma in rapporto all’osservatore. E
quello che vi è oltre a questo dato è destinato sempre a rimanere velato di
incertezza.
8
I finali dei film sono caratterizzati da una sospensione del senso per
riflesso della scoperta, al termine della storia, che l’intento di scavare dietro
l’apparenza, produce la consapevolezza che il reale rimanga anche per lo
sguardo cinematografico indecifrabile.
In questo senso, i film di Antonioni sono sempre in qualche misura
metacinematografici; ma è in Blow-Up che tale discorso si radicalizza: lo
sguardo, oltre che ad essere elemento stilistico fondante e tema centrale è ora
anche nucleo dell’analisi prodotta dal film, che giunge ad investire
l’argomento della crisi semantica dell’arte e addirittura più ampi problemi di
ordine epistemologico.
Il fotografo protagonista del film costruisce il significato di ciò che
vede tramite il suo sguardo. Il significato dello stesso dato fotografato, infatti,
cambia in relazione al numero di ingrandimenti che se ne ottengono e
soprattutto con il numero delle volte che si cerca di scoprirne il significato.
Ogni sguardo infatti non è mai neutrale ma fuorviante, e allora la macchina da
presa diretta da Antonioni sottolinea in tutti i suoi film una certa distanza dal
materiale filmato. I suoi film non hanno valore cognitivo ma estetico, non
cercano di spiegare la realtà ma la descrivono: in questo senso Blow-Up aiuta
a comprendere tutta la filmografia antonioniana.
Riteniamo che la strabiliante modernità di Antonioni consista proprio
nel fatto di aver lasciato la superficie parlare per sé cogliendone l’estetica
autosufficienza, rendendo così la sua stessa arte più semplice e lasciando lo
spettatore libero di pensare, di allenare il suo occhio e la sua mente senza la
pretesa di consegnargli un significato precostituito.
Nel presente lavoro, il nostro sforzo sarà dapprima concentrato nell’illustrare
come l’opera di Antonioni in generale e come il singolo film Blow-Up siano
stati recepiti dalla critica nel tempo, individuando i diversi tipi di approccio
utilizzati. Vedremo come le opinioni espresse siano in vari modi contrastanti e
9
addirittura contraddittorie, per esempio nell’indicare il cinema di Antonioni
come un cinema impegnato socialmente o formalista, come esso esprima una
critica all’arte moderna o di questa condivida in pieno i tratti. Scopriremo le
diverse misure in cui si è parlato di Blow-Up come di un racconto morale; in
cosa consista secondo i critici la novità linguistica di Antonioni; se egli abbia
effettivamente qualcosa da insegnare con la sua arte e se la propria arte sia
investita da quella stessa crisi del significato che cerca di descrivere nella
società moderna, ancora, se in conseguenza di questa crisi di senso il regista
decida di rifugiarsi in un estetismo fine a se stesso. La fine del primo capitolo
sarà dedicata ad una breve rassegna delle differenti interpretazioni date della
scena finale di Blow-Up.
Passeremo quindi ad analizzare il ruolo dello spettatore di Blow-Up per
vedere come la difficoltà di visione di un film di Antonioni possa generare una
così vasta gamma di interpretazioni tra loro discordanti. Vedremo come, a ben
guardare, Blow-Up è in un certo senso la presentazione stessa del ruolo dello
spettatore, poiché la macchina da presa all’interno del film si comporta come
uno spettatore, apparentemente non raccontando una storia, ma assistendo ad
alcune situazioni; idea questa suscitata anche dalla particolare struttura e
tecnica di montaggio del film. Ed è poi soprattutto la scelta di un fotografo
come protagonista della vicenda che più chiaramente e direttamente illustra
come lo sguardo sulla realtà sia il tema fondamentale del film.
Il discorso sullo sguardo aiuta meglio a comprendere quella che è la
poetica di Antonioni, cui è dedicato il nostro terzo capitolo. L’arte di
Antonioni si presenta come estremamente innovativa e destabilizzante nei
confronti del cinema classico e della concezione morale imperante.
Illustreremo il concetto chiave di dedramatisation per comprenderne lo stile,
guidato da principi estetici più che da esigenze di narrazione, tanto da
avvicinare l’opera di Antonioni a quella di importanti personaggi delle arti
figurative contemporanee non solo per quanto concerne gli aspetti concettuali
del proprio lavoro, ma anche per la cura con cui egli realizza le sue
10
inquadrature quasi come se stesse elaborando immagini che abbiano dignità di
opere d’arte per se stesse. In questo senso si può parlare nel caso del regista di
un’arte senza messaggi precostituiti da comunicare e si vede la sua vicinanza
con il mondo mod descritto nel film. Arriveremo così a capire che il cinema di
Antonioni valorizza l’irrazionalità nell’arte, perché nulla vi è di certo nel
mondo.
Sarà poi la volta dell’analisi del nucleo drammatico del film, incentrato
sull’idea dell’ingrandimento fotografico che genera, ad ogni ulteriore
ingrandimento dell’immagine iniziale e ad ogni successivo incontro del
personaggio con l’immagine risultante una sovrapposizione di significato.
Vedremo che Antonioni, descrivendo tale fenomeno, rende manifesto il fatto
che non esiste coerenza nella realtà, ma che è l’essere umano, spettatore degli
eventi a costruirne una, solitamente derivata dalla forma del pensare e dalle
convenzioni che si assimilano nel vivere sociale. È questo il senso anche
dell’ultima sequenza del film, che interpretata in questa maniera rivela tutto il
suo significato. Risulta facile a questo punto identificare il valore del discorso
portato avanti dal film di Antonioni e le implicazioni che esso ha per lo stesso
sguardo cinematografico.
L’ultimo capitolo sarà dedicato a delineare alcuni punti di contatto tra
Blow-Up ed il più alto sapere filosofico. In particolare cercheremo di definire
la misura in cui la visione espressa da Antonioni possa essere definita scettica,
la sua concezione della conoscenza come ‘circolo vizioso’; tenteremo poi
un’interpretazione della parabola emotiva del protagonista secondo il concetto
heideggeriano di ‘calma angoscia’, per concludere presentando l’approccio
fenomenologico di Antonioni alla realtà, che esprime con la sua arte il ‘ritorno
alle cose’ di Husserl.
11
Capitolo primo
Antonioni e Blow-Up nella critica
Blow-Up esce nel 1966, è il film ‘inglese’ di Antonioni e succede ad una serie
di film, quelli della ‘tetralogia dei sentimenti’, che, girati in pochi anni dal
1959 al 1965, l’hanno consacrato grande artista agli occhi della critica
internazionale. Il proprio lavoro, osannato in virtù di un linguaggio
completamente nuovo dai più, condannato da coloro che vi videro un
intellettualismo sprezzante ed un pessimismo compiaciuto, lo inseriva fino a
quel momento nel periodo che i critici definiscono di crisi del Neorealismo, in
cui le problematiche sociali erano affrontate in maniera più intima. Non erano
cioè le condizioni d’indigenza materiale ad interessare i registi, ma la miseria
interiore.
Per certi aspetti, Blow-Up non si discosta dalla produzione antonioniana
precedente; per esempio il film costituisce un ulteriore anello della catena del
tedium vitae, sulla difficoltà di accettare quello che la vita dà, che è un tema de
Il grido e de Le amiche oltre che della tetralogia. Vi si respira infatti una certa
aria di insoddisfazione nonostante l’ambiente effervescente nel quale è
ambientato e l’esuberante gioventù inglese in mezzo alla quale nasce la
vicenda.
Inoltre, le somiglianze con i film precedenti si estendono al motivo
dell’incomunicabilità, al grigiore dei toni e dell’atmosfera, nonostante esso in
Blow-Up sia abbondantemente contrastato dai colori brillanti del mondo pop,
la difficoltà dei protagonisti a rapportarsi con il mondo, la sospensione della
12
trama e l’estrema cura delle inquadrature, la raffinatezza delle immagini
filmate da Antonioni.
D’altra parte, tuttavia, l’interesse del regista viene a concentrarsi più sul
rapporto tra individuo e realtà che tra le relazioni tra diversi individui. Inoltre,
si esplicita in questo modo il discorso sulle possibilità conoscitive del mezzo
cinematografico. In questo senso, Blow-Up è sia una tappa cruciale del cinema
di Antonioni sia la cerniera tra il Neorealismo e le proprie indagini
metacinematografiche ed epistemologiche successive. “Parrà strano dirlo—
scrive Antonioni—ma Blow-Up era un po’ il mio film neorealista sul rapporto
tra l’individuo e la realtà, anche se aveva una sua componente metafisica
proprio per quell’astrazione dell’apparenza.”
3
Ad un allargamento dei confini tematici dell’opera antonioniana, si
affianca un deciso cambiamento dei ritmi e delle tecniche di ripresa. La
macchina da presa abbandona la visuale piatta ed astraente della tetralogia e
rinnova le proprie preoccupazioni per gli effetti di profondità, poiché l’intero
film è incentrato sul modo di cogliere con un mezzo bidimensionale la
profondità del reale.
Ma ciò che ha sconcertato il pubblico e la maggioranza della critica è
stata la singolare tecnica narrativa: il fatto che Antonioni abbia voluto
ricalcare l’impianto del poliziesco così da vicino, salvo poi scardinarne il
significato, il ritmo frenetico del montaggio, la grande vivacità derivante dalla
strutturazione delle sequenze ambientate nei luoghi più disparati,
contribuiscono a delineare uno stile che pochi si sarebbero aspettati dal regista
dei piani-sequenza e dell’intimismo della tetralogia dei sentimenti.
Blow-Up non poteva che sorprendere, ed in questo senso si spiega la
sconcertante varietà e contraddittorietà dei giudizi che la critica ha espresso,
oltre che riguardo l’attività cinematografica di Antonioni nel suo complesso,
intorno ad un singolo film come Blow-Up.
3
Antonioni, Michelangelo, Fare un film è per me vivere. Scritti sul cinema, a cura di Carlo di Carlo e
Giorgio Tinazzi, Marsilio, Venezia, 1994, p. XXIV.
13
1.1. Antonioni impegnato?
Negli anni ’50 e nei primi anni ’60 la figura di Antonioni è stata il centro di un
dibattito, a volte molto aspro, intorno all’importanza sociale del suo cinema.
Erano gli anni del Neorealismo, ovvero quelli della sua crisi, e la domanda che
i critici si sono più spesso posta è se i film di Antonioni potessero essere
celebrati o meno come un contributo significativo al movimento che ha
segnato uno dei più alti momenti di svolta della storia del cinema e se egli
potesse definirsi un artista socialmente impegnato.
Molti furono i critici che rigettarono il cinema di Antonioni come
espressione di un mondo borghese in crisi, come un cinema che si distraeva
dai problemi della condizione sociale per sviluppare temi intimistici e più
astratti e tacciarono spesso di calligrafismo la ricerca formale del regista.
Diametralmente opposto a questa opinione è il parere di coloro che videro in
Antonioni un ideologo di sinistra. Così Antonioni è stato accusato sia di essere
un marxista militante, sia di non esserlo.
4
C’è anche chi, come Sarris, definisce
Antonioni un ideologo e un manierista e scrive che il regista “has come out in
the open with a definitive description of his divided sensibility, half Mod, half
Marxist,” ma si definisce comunque soddisfatto che in Blow-Up non si trovi
l’ennui dei film precedenti.
5
Dopo la realizzazione di Deserto rosso la critica italiana, tranne alcuni
rari casi, tra i quali soprattutto quello di Lorenzo Cuccu, non è sembrata
interessarsi molto allo studio dei risultati estetici raggiunti dal cinema
antonioniano, quasi che con la tetralogia il regista ferrarese avesse raggiunto il
non plus ultra delle sue potenzialità espressive ed esaurito la sua vena artistica,
ed è dal mondo anglosassone che ci pare vengano i contributi più interessanti.
4
Strick, Philip, in Motion, n. 5, marzo 1963, e Aristarco, Giulio, ‘Il cinema italiano dopo Antonioni’,
in Quaderni del CUC di Milano, n. 6, 1962, citati in Fink, Guido, Giampaolo Bernagozzi, Gian Piero
Brunetta, Leonardo Quaresima, Giorgio De Vincenti, Michelangelo Antonioni. Identificazione di un
autore. Gli anni della formazione e la critica su Antonioni, Pratiche Editrice, Parma, 1983, pp. 121 e
103.
5
Sarris, Andrew, ‘No Antoniennui’, in Huss, Roy (ed.), Focus on Blow-Up, Prentice-Hall,
Englewood Cliffs, N.J., 1971, (pp. 31-35), pp. 32-34.
14
Fa notare Tassone che “il fatto che su Antonioni si sia scritto relativamente
pochissimo dopo l’ubriacatura degli anni Sessanta… ha fatto sì che il
vocabolario critico e i criteri di analisi e valutazione delle opere siano rimasti
quelli dei tempi de L’avventura.”
6
Interessante da questo punto di vista, dopo le censure subite da
L’avventura e Il grido, anche la vicenda di Blow-Up: “Prima mondiale a New
York e Los Angeles, il 18 dicembre e l’anno dopo Palma d’oro a Cannes. In
Italia il film, sequestrato in ottobre, poco dopo l’uscita, torna in circolazione
senza censure ottenendo il quinto posto negli incassi stagionali.”
7
Dalla metà degli anni ’60 comunque, per quasi tutti i critici diventò
chiaro che Antonioni era un artista impegnato, si chiarì il suo atteggiamento
laico e antimoralista, e anche grazie all’intervento nel dibattito di studiosi
quali Eco e Fink l’attenzione dai temi sociali toccati dall’opera di Antonioni si
spostò verso una lettura semiologica dei suoi film.
Eco reimpostò problema dell’impegno sociale di Antonioni in termini
di semiotica. Secondo lo studioso il regista esprime un modo di vedere ed il
suo cinema va considerato come ‘montaggio critico degli eventi’, ossia
intervento cosciente sulla realtà, che si oppone alla visione ‘angusta,
crepuscolarmente soggettiva, lirico-melanconica’ che la critica sembrava
scorgere nei suoi film.
Le cose sono lì. Ma non nel senso di una facile fenomenologia
travisata metafisicamente. Le cose di Antonioni sono sempre cose
precise, cariche di implicazioni sociali: nuove costruzioni, oggetti
tecnici, cantieri, lampioni, aeroporti. Sono quelle, e non altre cose.
E poche pagine dopo: “Un’opera d’arte che porti a situazione di
coscienza la natura dei nostri rapporti con gli altri e con le cose,
6
Tassone, Aldo, citato in Gianetti, David, Invito al cinema di Michelangelo Antonioni, Mursia,
Milano, 1999, p. 185.
7
Gianetti, David, op. cit., Milano, 1999, p. 34.
15
smascherandone le superfici ingannevoli, mettendo a nudo certe strutture
portanti, proprio e solo questa vorrei chiamare un’opera impegnata.”
8
Per Fink l’impegno di Antonioni si esplica attraverso una ricerca che
parte da un fatto apparentemente gratuito e incomprensibile e che è indagine,
tentativo di capire, di “spiegare l’assurdo: la ‘camera’ si fa strumento di una
commovente lotta contro gli infingimenti della realtà superficiale e stratificata,
per trovarsi faccia a faccia, senza più miti e paure, con la vera realtà: anche la
più squallida.” Fink esprime una visione ottimista riguardo il risultato delle
indagini antonioniane: i misteri intorno al quale i film si dibattono sono
finalmente chiariti.
9
Lo stesso atteggiamento assume Samuels, il quale vede in Blow-Up la
critica mossa da Antonioni a tutti coloro che non riescono a stringere, per così
dire, un legame significativo con la realtà, che non riescono a carpirne il senso,
come il personaggio di Hemmings, protagonista del film. Egli è per Samuels
un inconcludente che Antonioni ha scelto di rappresentare ad emblema della
paralisi che attanaglia il mondo moderno. A suggello della sua visione, che
potremmo definire empirista, Samuels afferma: “Because the body vanishes,
and because the photographer ultimately hears a tennis ball that doesn’t exist,
some people have thought that Antonioni means us to question the existence
of the corpse.”
10
Lotman è un altro importante critico che ha svolto un ruolo
fondamentale nel riconoscere in Antonioni il grande spessore morale dello
sguardo. Secondo il semiologo russo Antonioni tenta in Blow-Up di
dimostrare la necessità di ricercare l’autentico, che non basta riprodurre la vita
ma che occorre decifrarla. Lotman distingue nel film un episodio centrale,
costituito dalle sequenze delle fotografie scattate nel parco, quella dello
8
Eco, Umberto, Antonioni impegnato, citato in Fink, Guido, Giampaolo Bernagozzi, Gian Piero
Brunetta, Leonardo Quaresima, Giorgio De Vincenti, Michelangelo Antonioni. Identificazione di un
autore. Gli anni della formazione e la critica su Antonioni, Pratiche Editrice, Parma, 1983, pp. 76-77.
9
Fink, Guido, ‘Tre registi fra ‘lettera’ e ‘spirito’, in Documenti del Centro Universitario
Cinematografico di Trieste, n. 5, 1965, p. 7, citato in Fink, op. cit., pp. 78-79.
16
sviluppo, dell’ingrandimento e della loro analisi, inserito in un contesto
narrativo che fornisce una descrizione del mondo del protagonista: “un mondo
di fantasmi” e di immoralità nel quale Hemmings non riesce più a distinguere
tra realtà e fantasia: “in principio non si accorge di quello che succede, alla
fine sente quello che non c’è.” L’episodio centrale racchiude il senso più
profondo del film: la contrapposizione di un cinema per così dire esplicativo,
che si pone il problema dell’interpretazione, della decifrazione del reale, a un
cinema che privilegia la pura registrazione dei fatti, la cronaca. “Fatto ancora
più sorprendente—afferma Lotman—se si ricorda che in passato Antonioni
era piuttosto vicino alle posizioni di chi sosteneva la validità dello stile
documentaristico e delle riprese ‘casuali’.” In sostanza, il regista ferrarese
“dall’idea di ‘cinepresa itinerante’… è passato a quella di film di analisi,”
recuperando la tradizione di Ejzenštein di un cinema intellettuale che era stata
abbandonata dal dopoguerra.
11
Ma se per Lotman il fotografo rimane prigioniero del suo mondo,
Fernandez ritiene che alla fine egli abbia compreso a distinguere tra arte e
realtà, non soffre più del fatto di doversi relazionare ad entità che, come nel
caso della palla da tennis che finge di raccogliere e lanciare, non può vedere
né fotografare: Hemmings ha imparato a superare i limiti imposti dal suo
medium artistico e può finalmente muoversi in un mondo più vasto di quello
della sua macchina fotografica può comprendere.
12
10
Samuels, Charles Thomas, ‘The Blow-Up: Sorting Things Out’, in Huss, op. cit., (pp. 13-28), pp.
18-19.
11
Lotman, Jurij M., Semiotica del cinema. Problemi di estetica cinematografica, traduzione di Gloria
Beltrame, Eidzioni del Prisma, Catania, 1994, pp. 167-71.
12
Fernandez, Henry, ‘From Cortàzar to Antonioni: Study of an Adaption’, in Huss, op. cit., (pp.163-
67), p. 167.
17
1.2. Realtà o finzione: il discorso sull’arte
Anche per Adelio Ferrero l’impegno e la moralità dello sguardo di Antonioni
si esplicano nella scelta che Hemmings si trova a compiere tra vita e
finzione.
13
John Freccero esprime questo stesso concetto contrapponendo
Antonioni a Fellini, quelli che nella sua visione sono il maestro, se non della
verità, almeno del disinganno e il maestro della finzione. Scrive infatti
Freccero: “Blow-Up is the dramatic refutation of Fellini’s make-believe and its
bleakness consists in the fact that the only alternatives it offers to the lie are
the search or silence.”
14
Blow-Up è un film che si interroga sul confine tra arte
e illusione, e Freccero individua il punto di contatto tra le due sfere nel corpo
inanimato che Hemmings tocca nel parco e che poco dopo scompare senza
lasciare nessuna traccia di sé. Quale sia il limite tra arte e illusione è allora un
dilemma dal quale si può uscire solamente attraverso due strade: “either to
deny any point of tangency between illusion and reality and embrace the lie
with full creative awareness, as does Fellini, or to dramatize the dilemma with
a surrogate in search of a conclusion, a film about its own impossibility, like
the dead body which Thomas no sooner touches than it disappears.”
15
Il discorso di Antonioni è riflessione sulle possibilità dell’arte pure
secondo Kinder e Clear, che ravvisano in Blow-Up un distacco del regista
dall’arte contemporanea. Jean Clair sostiene che in Blow-Up l’arte sia
mistificazione della realtà, in un mondo dove tutto è incerto l’arte costruisce
ed amplifica le illusioni:
Given an absolute indeterminacy of what is real, the only possible
way to act is to multiply illusion by illusion and willingly to accept
appearance as reality. The work of art is both the tree that hides the
forest of reality from us and the screen that shelters us from the
void of reality.
16
13
Ferrero, Adelio, Lo sguardo di Antonioni, a cura di Nuccio Lodato, Azienda Teatrale Alessandrina,
1995.
14
Freccero, John, ‘Blow-Up: from the Word to the Image’, in Huss, op. cit., (pp. 116-128), p. 120.
15
Ibidem, p. 122.
16
Clair, Jean, ‘The Road to Damascus: Blow-Up’, in Huss, op. cit., (pp. 53-57), p. 56.