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INTRODUZIONE
Con l’espressione “doppia diagnosi” si intende la presenza nella stessa persona di un
comportamento tossicomanico e di sintomatologia psichiatrica.
Nel 1995, infatti, la World Health Organization la definisce come “coesistenza nel
medesimo individuo di un disturbo dovuto al consumo di sostanze psicoattive e di un
altro disturbo psichiatrico”.
L’idea di questo elaborato è nata in seguito alle esperienze di tirocinio di primo e
secondo anno che ho svolto presso il Ser.D. di Riva del Garda.
Durante il percorso di tirocinio, che mi aiutato nella crescita personale e professionale,
ho preso parte a diversi colloqui con più soggetti, uomini e donne, giovani e adulti,
molti dei quali presentavano un quadro che andava oltre l’uso, l’abuso e la dipendenza
da sostanze stupefacenti.
Un quadro clinico complesso, in cui subentrava anche la psicopatologia.
La scissione tra i servizi, suddivisi in “Dipartimento di Salute Mentale” e “Dipartimento
per le Dipendenze” ha fatto in modo che per molto tempo tali pazienti venissero
considerati o meramente psichiatrici o meramente tossicodipendenti, senza pensare
all’eventualità della presenza, nel medesimo soggetto, di entrambi i disturbi.
Tale separazione appare inefficace, ingiusta e contestabile da tutti i punti di vista: la non
considerazione di una problematica psichiatrica concomitante alla tossicomania può
distorcere gravemente la programmazione del trattamento e la sua valutazione, oltre che
farlo fallire; può allungare i tempi di cura e fornire indicatori errati per la terapia.
E’ tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta che si evidenzia sempre più
l’insostenibilità di tale separatezza, ideologica e concettuale, tra i servizi psichiatrici e
quelli per le tossicodipendenze. Da allora la ricerca ha compiuto notevoli passi in
avanti: oggi la “doppia diagnosi” viene inclusa e riconosciuta dai più importanti sistemi
di classificazione delle malattie psichiatriche come il DSM e l’ICD-10.
Nonostante i notevoli miglioramenti a livello legislativo, giuridico e teorico, rimane
ancora forte, nella popolazione generale, la presenza di stereotipi e luoghi comuni, di
stigma sociale nei confronti delle persone tossicodipendenti o con malattia mentale.
Il mio elaborato è strutturato in tre parti:
1. La prima parte è dedicata all’importanza ricoperta dal servizio sociale e
dall’assistente sociale nel contesto della salute mentale e delle dipendenze;
2. la seconda parte si propone di dare una definizione di “doppia diagnosi”,
focalizzandosi sui motivi che hanno portato alla nascita di tale concetto, sull’importanza
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dei sistemi nosografici di riferimento (ICD-10 e DSM V), sulle principali ricerche
epidemiologiche per i pazienti doppia diagnosi, concludendo con l’esposizione del
principale modello di classificazione per i pazienti con comorbilità e all’importanza
ricoperta dalla Diagnosi.
3. la terza e ultima parte è invece dedicata all’importanza dell’integrazione tra il
Servizio di Salute Mentale e Servizio per le Dipendenze. Partendo con una breve
definizione di “integrazione socio – sanitaria” ho poi continuato il capitolo parlando di
una risorsa fondamentale nei Servizi ovvero il lavoro di equipe. La conclusione del
capitolo è stata dedicata all’integrazione delle professionalità nelle comunità
residenziali per pazienti Doppia Diagnosi con particolare riferimento alla Comunità
residenziale “Giano” di Trento.
Il primo capitolo è suddiviso in due grandi aree: l’area dedicata alla salute mentale e
l’area dedicata alle dipendenze in generale e alle tossicodipendenze in particolare.
Nella prima parte del capitolo ho voluto evidenziare le tappe principali che hanno
portato alla riforma Sanitaria (Legge 23 Dicembre 1978 n°833: “Istituzione del Servizio
Sanitario nazionale”), proseguendo con l’attuale definizione di Salute mentale proposta
dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e terminando con la storia del
servizio sociale italiano nell’area della salute mentale, i vari servizi per la salute mentale
e l’importanza che ricopre la figura dell’assistente sociale al loro interno.
La seconda parte del capitolo è invece dedicata alle dipendenze: partendo da una
definizione di dipendenza, il capitolo si focalizza sul concetto di tossicodipendenza,
sulle leggi maggiormente importanti in questo ambito e sull’importanza del ruolo
dell’assistente sociale all’interno dei Servizi per le Dipendenze (Ser.D.).
Il secondo capitolo, partendo da una definizione di Doppia diagnosi, mette in luce
l’errore nel considerare il Servizio per le Dipendenze e il Servizio per la Salute Mentale
come entità separate, un errore che oltre a non fornire aiuto all’utente, sfavorisce la
collaborazione tra gli operatori. Il capitolo continua con la descrizione dei due principali
sistemi nosografici di riferimento quando si parla di Doppia Diagnosi: l’ICD – 10 e il
DSM V. Sottolineando come nella cultura anglosassone la Doppia diagnosi sia
fortemente legata alla ricerca epidemiologica, vengono poi messe in luce le due
principali ricerche epidemiologiche condotte negli Stati Uniti tra gli anni ’80 e gli
anni ’90 del secolo scorso (Empidemiologic Catchament Area Survey (ECA) e National
Comorbidity Survey (NCS)).
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Grande attenzione è poi stata data al più innovativo modello di classificazione per i
pazienti Doppia diagnosi ideato dagli autori First e Gladis nel 1993.
Gli autori hanno individuato tre classi di pazienti: pazienti con disturbo psichiatrico
primario e dipendenza secondaria, pazienti con tossicomania primaria e disturbi
psichiatrici secondari e pazienti con disturbi psichiatrici e tossicodipendenza entrambi
primari. A conclusione del capitolo ho voluto evidenziare le problematicità ed allo
stesso tempo il valore che la diagnosi ricopre nel campo della comorbilità
Il terzo ed ultimo capitolo è focalizzato principalmente sull’importanza
dell’integrazione tra i Servizi per le Dipendenze e Servizi per la Salute Mentale,
sottolineando come per anni essi siano stati caratterizzati da frammentarietà.
L’integrazione degli interventi attuati dai due Servizi è fondamentale in quanto le
patologie gravi, sottolinea Cancrini, necessitano sempre che il processo di cura sia
inserito in una chiara cornice istituzionale, a garanzia della continuità di progetti
terapeutici che si sviluppano nel tempo, quasi sempre un tempo lungo. Quando si parla
di integrazione non si può non parlare del lavoro di equipe. L’equipe, come ho
sottolineato nel capitolo, rappresenta una vera e propria risorsa. La frase di Michael
Jordan “Il talento ti fa vincere la partita, ma il gioco di squadra ti permette di vincere il
campionato” descrive al meglio la rilevanza che assume l’equipe nel lavoro sociale.
D’accordo con la psicologia della Gestalt, ritengo infatti che “il tutto è più della somma
delle singole parti”. Questo motto è attuabile solo se c’è accettazione reciproca,
riconoscimento della professionalità e personalità dell’altro nonché predisposizione al
confronto e all’interdipendenza.
Dall’importanza che ricompre l’integrazione tra i Servizi ho voluto poi parlare
dell’integrazione socio – sanitaria, riconosciuta a livello istituzionale dalla Legge
833/1978 (Istituzione del Servizio Sanitario Nazionale) e dalla Legge 328/2000 (Legge
quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali). Avendo
svolto il tirocinio di primo e secondo anno presso il Ser.D. di Riva del Garda e vivendo
in Trentino, ho riservato uno spazio di riflessione all’importanza che l’integrazione
socio-sanitaria ricopre nella Provincia Autonoma di Trento.
Ho infine parlato del valore che assumono l’integrazione e il lavoro di equipe nelle
Comunità residenziali per i pazienti Doppia Diagnosi, concludendo il capitolo con una
proposta di intervento Comunitario per i pazienti Doppia Diagnosi nella Provincia
Autonoma di Trento, ovvero la Comunità terapeutica “Casa di Giano”.
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CAPITOLO 1
IL SERVIZIO SOCIALE NEL CONTESTO DELLA SALUTE MENTALE E
DELLE DIPENDENZE
Quando una persona attraversa l'esperienza del disturbo mentale è elevato il rischio
della perdita di fondamentali diritti personali e sociali. Perciò è opportuno che le
persone che soffrono di disturbi mentali, i loro familiari e tutti coloro che in diversi
modi sono coinvolti e partecipano, direttamente e indirettamente, alla promozione della
salute, conoscano le disposizioni attuali che regolamentano la cura e i trattamenti della
persona.
1.1. Il cammino della riforma sanitaria in Italia
Per iniziare credo sia importante mettere in luce come il destino dell’organizzazione
sanitaria e della sua riforma in Italia, sia strettamente legato alle vicende politiche e
sociali nel nostro popolo; questo fatto non toglie importanza agli aspetti tecnici della
riforma, ma mette in rilievo la loro connessione con quelli economici e politici.
La prima legge nazionale sull'assistenza psichiatrica, intitolata "Disposizioni e
regolamenti sui manicomi e sugli alienati", venne promulgata nel 1904 dal governo
Giolitti e completata nel 1909 da un regolamento di esecuzione.
In quanto legge di ordine pubblico essa metteva in primo piano il bisogno di protezione
della società dai malati di mente, subordinando la "cura" alla "custodia".
L'internamento manicomiale così veniva motivato: "Debbono essere custodite e curate
nei manicomi le persone affette da qualsiasi causa d'alienazione mentale quando siano
pericolose a sé o agli altri o riescano di pubblico scandalo" (L. n. 36/1904).
Il ricovero avveniva con la certificazione di un medico e l'ordinanza del questore. Entro
15 giorni (tempo d'osservazione) il direttore del manicomio doveva trasmettere al
procuratore della Repubblica una relazione scritta; entro 30 giorni la persona veniva o
dimessa o sottoposta a "ricovero definitivo". Veniva nominato un tutore, la persona
veniva così interdetta e privata dei suoi diritti civili: il diritto a ereditare, a sposare, a
comprare e a vendere, ad amministrare il proprio patrimonio, a votare, ad essere
genitore. L'eventuale cessazione del ricovero definitivo era vincolata a una
certificazione di guarigione. La dimissione, rarissima, avveniva sotto la diretta