Autore Ilaria Capra Introduzione
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Nella prima parte si affronter{ il tema dell’incontro con l’Altro considerando il viaggio nei paesi
africani in generale. Si definir{ l’etnocentrismo e come questo influenza la visione dell’Africa,
tramite le informazioni semplicistiche e banalizzanti che giungono agli italiani dai media, dal
marketing del turismo e dalla retorica umanitaria (MUSARÒ 2009) della cooperazione allo
sviluppo. Verranno esaminate le motivazioni che spingono al viaggio e le classificazioni di
viaggiatori. Si studier{ più nel concreto l’incontro con l’altro, gli effetti positivi e negativi che
questo può portare, l’impatto sulle popolazioni locali, anche in relazione a comportamenti
corretti o scorretti dei turisti. Infine, si prenderanno in considerazione gli etnocentrismi presenti
nella concezione dello sviluppo, del sottosviluppo e della cooperazione allo sviluppo.
Nella seconda parte si descrivono le tipologie di viaggio più comuni in Burkina Faso: turismo
sostenibile, scambi interculturali, campi di lavoro e solidarietà. Per ognuna di queste vengono
analizzate le motivazioni dei viaggiatori, facendo ricorso alla bibliografia e alle interviste
effettuate ad alcuni esperti del settore o a partecipanti alla categoria di viaggi presa in esame.
La terza parte riguarda il caso studio. Come hanno dimostrato illustri autori quali Freud, Marx e
Pareto, gli etnocentrismi non possono essere smascherati a partire da quello che i soggetti dicono
di se stessi. Quindi oltre alle interviste e ai questionari, è stato necessario svolgere anche una
ricerca sul campo in compagnia di alcuni giovani viaggiatori, al fine di poter effettuare un’analisi
dell’interazione in prima persona. Un’ottima occasione mi è stata fornita dall’ONG torinese CISV1
che mi ha permesso di partecipare, assieme ad altri giovani italiani, francesi, spagnoli, burkinabé,
beninesi e maliani, ad uno scambio internazionale co-finanziato dall’Unione Europea.
L’osservazione partecipante è avvenuta durante: la formazione a Torino, gli otto giorni a
Ouagadougou e il rimando post-viaggio di cinque giorni a Lione. È stato utile osservare come si
comportano i giovani europei in ambiente burkinabé, come vengono visti dagli africani, come
agiscono e come interpretano l’Altro, anche se la mia esperienza non può essere generalizzata
perché gli sviluppi delle interazioni non sono prevedibili: soggetti differenti reagiscono
diversamente in base alla situazione in cui vengono a relazionarsi.
Mi sono proposta di analizzare gli atteggiamenti etnocentrici cercando di “uscire dalla mia
cultura” mantenendo uno sguardo neutro, sebbene sia molto difficile liberarsi dall’inculturazione
ricevuta. Si possono avere atteggiamenti etnocentrici senza sviluppare comportamenti
etnocentrici, o viceversa tenere comportamenti etnocentrici pur pensando di aver superato gli
1
Comunità Impegno Servizio Volontariato è un'associazione di volontariato internazionale, riconosciuta
dal Ministero Affari Esteri, con sede a Torino
Autore Ilaria Capra Introduzione
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atteggiamenti etnocentrici. Prego dunque di scusarmi se il mio studio rimarrà viziato da questo
difetto.
Secondo Marc Augé e Jean-Paul Colleyn (2004), il quesito dell’antropologia è: “com’è concepita la
relazione tra gli uni e gli altri, dagli uni e dagli altri, in un dato luogo?” L’obiettivo di questo studio
è stato quindi scoprire come gli italiani e gli africani concepiscono la relazione tra di loro, nel
luogo “viaggio in Burkina Faso”. In particolare ho analizzato le motivazioni, i comportamenti e gli
atteggiamenti tenuti dai giovani viaggiatori italiani e quali conseguenze questi fattori possono
avere in termini di arricchimento personale per i partecipanti stessi e di impatto ambientale,
sociale, politico e culturale per la popolazione locale.
Autore Ilaria Capra L’incontro con l’Altro
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PARTE I – L’Incontro con l’Altro
La destinazione non è mai un posto, ma un nuovo modo di vedere le cose.
(Henry Miller)
Il viaggio, nelle sue diverse forme, è un movimento spaziale che ci porta ad incontrare l’Altro. Per
questo da alcuni anni è divenuto oggetto di studio antropologico.
L’antropologia ha iniziato ad interessarsi al turismo negli anni Settanta. Nel 1973 nacque
simbolicamente l’antropologia interpretativa. Geertz (1973), sostiene che la descrizione etnografica
deve muoversi tra i concetti di etico (vicino al punto di vista dell’osservatore) ed emico (vicino alle
teorie dell’osservato), per non rimanere bloccata sugli schemi concettuali della popolazione
studiata, ma neppure allontanarsene troppo diventando una descrizione fredda ed impersonale. La
cultura inizia ad essere così concepita come un sistema aperto, una negoziazione di significati.
Balandier (1973) prosegue il pensiero formulando i concetti di dinamica interna ed esterna. La
prima concerne la capacità di una società di cambiare, sulla spinta di dinamismi interni; la seconda
invece riguarda la modifica delle proprie strutture a causa di pressioni esterne.
Considerando le capacità come complessi attivi e in grado di modificarsi nel tempo, sistemi aperti e
interagenti con stimoli provenienti dall’esterno, si sono formate le condizioni per uno studio
antropologico del turismo, del viaggio e dell’incontro tra culture diverse.
Nel 1977 nasce l’Organizzazione Mondiale del Turismo2 e con essa le prime critiche al fenomeno, le
quali venivano principalmente da tre ambienti:
- i movimenti giovanili alternativi, che credevano nel pacifismo, nell’ambientalismo (in
contrapposizione al consumismo e al capitalismo) e volevano viaggiare in maniera
ecologicamente sostenibile e solidale verso le società di accoglienza
- le Chiese cristiane, che cercavano di coordinare le proteste anti-turistiche provenienti dagli
abitanti del “Terzo Mondo”
- gli studiosi antropologi, che denunciavano il turismo in quanto fonte di profitti per i soli
capitalisti occidentali, incentivo alla repressione poliziesca, alla prostituzione, alla
mendicit{, all’abbandono scolastico, alla commercializzazione dei rapporti sociali, con
conseguente deterioramento delle strutture e dei valori tradizionali e frustrazione da parte
degli abitanti locali. Nel 1977 Nash descrive il turismo come una forma d’imperialismo, cioè
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(OMT), con sede a Madrid. www.world-tourism.org
Autore Ilaria Capra L’incontro con l’Altro
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l’espansione oltre confine degli interessi, di qualsiasi tipo, di un gruppo sociale. Quindi le
nazioni che, grazie ad un’alta produttivit{, generano turisti, espandono i propri interessi nel
territorio di altre società dove si presentano caratteristiche atte a soddisfare i bisogni dei
viaggiatori.
L’INCONTRO CON L’ALTRO - ETNOCENTRISMI
L’occhio dello straniero vede solo quello che gi{ conosce.
(Proverbio africano)
Il problema di gestire la diversità culturale ha radici molto lontane. I primi contatti tra Europa e
Africa risalgono probabilmente fino all’epoca preistorica. Abbiamo prove di relazioni già al tempo
degli antichi greci e romani. (TURCO 2002) Ma lo shock culturale vero e proprio avvenne nel
periodo del congresso di Berlino (1878), nella seconda parte della colonizzazione, quando gli
europei non si accontentarono più di qualche avamposto commerciale in Africa, ma ebbero bisogno
di controllare più a fondo il territorio. (GRAÇA 2005).
Al giorno d’oggi la modalit{ più diffusa di contatto interculturale tra i due continenti è, dopo le
migrazioni, il turismo internazionale.
Quando viaggiamo, è difficile liberarsi dai condizionamenti che inconsciamente abbiamo
accumulato nel corso della nostra vita. Fin dalle scuole elementari siamo abituati a leggere nei libri
di testo “Paesi del Terzo Mondo” (quindi Europa e America del nord sono il Primo, l’ex Unione
Sovietica il Secondo), o “Paesi in Via di Sviluppo” (quindi prima o poi seguiranno il nostro
sviluppo), o ancora peggio “Sottosviluppati” o “Poveri” (di cosa? Secondo quali criteri?). Questi
etnocentrismi sono inculcati così profondamente che anche chi parte con il proposito di conoscere,
fatica o non riesce a vedere davvero, a “sentire” i luoghi visitati. Questo apprendimento, chiamato di
routine, provoca abitudini di comportamento semi-inconscie che si adattano a quanto è
considerato adeguato nella società in cui siamo cresciuti, senza bisogno di riflettere e prendere
decisioni. (AUGÉ e COLLEYN 2004) Questo naturalmente può avere conseguenze negative.
L’etnocentrismo3 è quel fenomeno per il quale un soggetto, nel relazionarsi con “l’Altro”, presenta
alcuni di questi comportamenti: giudica “l’Altro” solo in base alle credenze, usi e costumi, stili di
3
È importante distinguere il termine etnocentrismo dalle parole xenofobia o razzismo, a volte usate quasi
come sinonimi. Per xenofobia si intende un atteggiamento ostile ed aggressivo verso lo straniero. Si parla di
razzismo invece quando si pensa che vi sia nel gruppo verso il quale si mostra ostilità una comune
Autore Ilaria Capra L’incontro con l’Altro
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vita e concezioni del proprio gruppo, che ritiene superiori; universalizza i propri valori e stili di
vita, considerandoli gli unici naturali; non è interessato alle informazioni sull’Altro e non ne
considera il punto di vista in occasione di un contatto; generalizza le proprie esperienze, preferenze
ed opinioni - crede cioè che siano condivise da tutto il gruppo, che considera come un “Noi”
contrapposto agli “Altri”. (BARBÉ 2007)
La parola etnocentrismo è stata usata per primo da Sumner (1906), che intendeva parlare del senso
di superiorità sentito verso gli esterni dai membri di un gruppo molto solidale e coeso al suo
interno. Secondo i socio-biologi l’etnocentrismo deriva dal senso di territorialit{ - e di fedeltà
assoluta alla parentela e al proprio gruppo - provato dalle tribù preistoriche nei confronti degli
esterni, legato anche alla scarsit{ delle risorse. Gli “Altri” erano nemici e perciò venivano descritti
nel peggiore dei modi. Freud lo spiegò con il narcisismo e il bisogno di autoaffermazione,
minacciato dai vicini appartenenti ad un altro gruppo, il che chiarisce i “campanilismi” sempre
presenti tra città o nazioni contigue. Infine vi è la spiegazione culturalistica: l’etnocentrismo deriva
dal bagaglio di valori inculcato fin dalla nascita, conosciuto come l’unico o il migliore possibile, il
che porta a giudicare gli altri in base ai principi della propria società. Secondo questa teoria una
piccola dose di etnocentrismo è funzionale al buon andamento della società.
Nel 1893 però Durkheim teorizza il relativismo culturale e la pari dignità di ogni cultura. Il
contenuto degli stereotipi sugli Altri non è spontaneo, ma socialmente costruito. Una prova: dopo la
creazione dell’Unione Europea preconcetti negativi su abitanti di altri paesi europei sono diminuiti.
Molte volte l’etnocentrismo è infatti una copertura molto utile per gli interessi della cultura
dominante. È comodo ignorare, per esempio, le vere condizioni di vita dell’80% degli abitanti di
questo pianeta che posseggono solo il 20% del reddito totale; o che spesso gli aiuti internazionali
sono in realtà dei prestiti la cui restituzione con gli interessi strangola poi gli Stati riceventi.
Nel corso della storia comportamenti etnocentrici hanno causato molti problemi. Barbé porta
alcuni esempi: gli indigeni americani sterminati non solo dalle armi, ma anche dalla convinzione
che costoro dovessero mangiare gli stessi cibi e tenere gli stessi comportamenti dei “civilizzati”
europei; Max Weber che afferma la superiorità della scienza europea, senza far cenno alle scoperte
di altri popoli che sono state fondamentali per arrivare a tale sviluppo; la visione delle migrazioni
attuali come uni-direzionali Sud-Nord, mentre in realtà la maggior parte si svolgono tra paesi del
Sud del mondo.
In Italia il caso classico in cui si mettono in moto interazioni etnocentriche sono le migrazioni: le
visioni degli autoctoni, che vedono tutti gli extracomunitari simili tra loro e tutti potenziali
criminali, si contrappongono a quelle degli immigrati, che propongono lo stereotipo dell’italiano
razzista e mafioso. (BARBÉ 2007) Ci troviamo potenzialmente nella stessa situazione durante il
conformazione biologica diversa dalla propria, oppure anche caratteristiche “naturali” omogenee, non
modificabili perché congenite. (BARBÉ 2007)
Autore Ilaria Capra L’incontro con l’Altro
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viaggio. È facile che i turisti si sentano insicuri e temano che i loro oggetti di valore vengano rubati,
specialmente se nei paesi in cui si recano i salari medi della popolazione sono di gran lunga
inferiori. D’altra parte anche gli autoctoni possono sentirsi minacciati dai viaggiatori che
sconvolgono i loro ritmi, hanno abitudini diverse e spesso incomprensibili, convinzioni e pretese
inspiegabili. E capita molto sovente che gli italiani in viaggio si sentano etichettare con gli stereotipi
menzionati sopra (e molti altri), ancor più se ci si inoltra in paesi lontani, dove si aggiungono quelli
sui bianchi o sugli europei in generale.
Una corretta (in-)formazione rende i futuri viaggiatori in grado di comprendere la realtà sociale
che andranno a visitare, e di relazionarsi correttamente con essa; infatti è difficile instaurare una
relazione proficua se si ha una conoscenza generica e stereotipata degli attori con cui si interagisce.
Al contrario, i media, l’industria turistica e a volte persino le associazioni di cooperazione e i
viaggiatori stessi, contribuiscono in maniera etnocentrica alla creazione di un’immagine distorta
della realt{ politica, sociale, economica e culturale del continente africano riducendolo ad un’unica
realtà omologata, che conferma il concetto secondo il quale l’Africa nel suo complesso abbia
bisogno dell’intervento di sviluppo occidentale. (LUCIA 2007)
Le origini del “discorso”4 (FOUCAULT 1972) sull’Africa come “continente bambino” - ingenuo,
selvaggio, primordiale, di animo e costumi semplici, religiosità infantile, gioioso, spensierato e
incapace di risolvere i propri problemi senza l’intervento dell’occidente - deriva dall’epoca
coloniale, addirittura dalla rappresentazione che ne veniva fatta nelle esposizioni universali5.
(HALL 1997)
I media tendono a dare rilievo solo agli aspetti negativi, ai problemi dell’Africa: fame, carestia,
conflitti armati, corruzione, instabilità politica, difficoltà economiche, debito, miseria, barbarie,
arretratezza, ecc. Solitamente non vengono citate le storie di successo e gli elementi positivi:
manifestazioni artistiche e culturali importanti, salvaguardia delle tradizioni, dei valori della
famiglia, del rispetto degli anziani - i quali restano “utili” fino al termine della loro vita -, la gioia di
vivere, il multiculturalismo, le relazioni panafricane, la convivenza interreligiosa pacifica e proficua,
la creativit{, l’imprenditoria, l’ingegnosit{ e la ricerca scientifica, il riutilizzo di prodotti di scarto,
ecc. (MEZZANA 2007) Nel mondo giornalistico le immagini e le informazioni sono ordinate secondo
il criterio della notiziabilità, perciò troviamo informazioni scarse e banalizzanti se il Paese non
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Secondo Foucault la formazione discorsiva è il discorso comune che passa attraverso tutti i prodotti di una
societ{: dall’architettura alla struttura socio-economico-politica, dalle arti agli individui. Il discorso definisce
quello che è verità, e questa non esiste senza il potere. Ogni società ha il proprio regime di verità, che
definisce anche il comportamento, cosa è giusto e cosa è sbagliato e come si devono considerare gli Altri
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Le esposizioni universali in quel periodo storico erano occasione di legittimazione del discorso coloniale. Le
madrepatrie degli imperi mostravano tutte le loro conquiste, e spesso ricostruivano villaggi tradizionali e
obbligavano “indigeni” a far finta di vivervi dentro perché i visitatori potessero guardarli, come si fa allo zoo