21
1.2 Diagnosi, protesizzazione e riabilitazione
La sordità è una patologia che ha bisogno di una prevenzione primaria, una diagnosi
precoce e una immediata protesizzazione, parallelamente a un lungo percorso
riabilitativo. La fase diagnostica, con i dovuti accertamenti audiologici, permette
un’adeguata protesizzazione e un tempestivo e personalizzato iter di riabilitazione.
La diagnosi della sordità infantile è molto complessa e avviene già nei primi mesi
di vita del bambino. Prima di effettuare una diagnosi sono necessari numerosi esami
ed accertamenti, si tratta quindi di un percorso lungo e composto da alcune fasi
19
:
1) Screening audiologico. In questa fase iniziale si vanno ad individuare i
soggetti potenzialmente affetti da sordità. In Italia lo screening neonatale è
obbligatorio, ma non lo è quello audiologico neonatale, se non in alcune
regioni come la Lombardia e lo Toscana. Tuttavia, questo viene comunque
eseguito su tutti i neonati, non solo quelli a rischio, ma anche ai nati sani.
Questo permette di identificare precocemente i casi di ipoacusia. Lo
screening audiologico neonatale non è invasivo, è una procedura rapida e
molto affidabile. Nel caso si individuino neonati con ipoacusia congenita, si
procede a degli accertamenti che portano alla diagnosi entro i tre mesi di
vita del bambino. Una diagnosi precoce permette un rapido ripristino di una
normale stimolazione acustica, prevenendo quella che viene chiamata
“deprivazione acustica” e che può causare nel bambino un ritardo
linguistico e comunicativo.
2) Diagnosi audiologica. In questa fase il sospetto di ipoacusia deve essere
confermato o smentito mediante una serie di esami. Inoltre, qualora fosse
confermato il sospetto, si va ad indagare l’entità, la tipologia e l’andamento
della curva audiometrica. Si valuta di conseguenza quale programma
terapeutico e riabilitativo percorrere sulla base dei dati raccolti. Per
effettuare la diagnosi, vengono effettuati test simili per adulti e bambini.
Questi si distinguono in test di audiometria oggettiva e test di audiometria
19
Deltenre P, Van Maldergem L. Hearing loss and deafness in the pediatric population: causes,
diagnosis, and rehabilitation. Handbook of clinical neurology 2013; 113:1527-38.
22
soggettiva. I primi non richiedono la partecipazione del paziente, in quanto
forniscono dati relativi alla soglia dell’udito. I secondi, invece, vengono
chiamati anche test audiometrici comportamentali, infatti valutano la soglia
uditiva in base alla risposta del paziente agli stimoli acustici, dunque
richiedono che il soggetto collabori. Per questo vengono effettuati sui
bambini dopo i sei mesi di vita, in quanto prima non sarebbero considerati
sufficientemente affidabili. I risultati dei test oggettivi e soggettivi vanno
sempre confrontati, per procedere a una diagnosi più chiara e precisa.
3) Diagnosi medica. È l’ultimo step, in cui il medico definisce la diagnosi e
l’eziologia del disturbo, valutando nel contempo la presenza di eventuali
altre patologie concomitanti. Questa fase è molto importante perché
conoscere la tipologia di disturbo e la sua probabile causa può condurre
nella scelta di un percorso riabilitativo più valido ed efficace.
L’iter riabilitativo prevede la conferma della diagnosi tra i tre e i sei mesi. In questa
fase si procede a una prima protesizzazione. Se questa tempistica viene rispettata,
sarà possibile procedere a una valutazione dell’andamento della riabilitazione entro
gli 8-12 mesi di vita. Ogni visita deve testare il corretto funzionamento
dell’apparecchio e l’andamento dell’ipoacusia, ripetendo periodicamente i test.
Entro i 18 mesi di vita del bambino l’audiologo valuta ed eventualmente decide di
effettuare l’impianto cocleare.
I due principali metodi di intervento in caso si riscontri la presenza di un deficit
uditivo sono le protesi acustiche e l’impianto cocleare
20
.
Le protesi acustiche sono nate come dei semplici amplificatori di suoni, ma grazie
allo sviluppo tecnologico sono diventate dei “processatori” di segnali a bassa
frequenza, che permettono di amplificare gli stimoli uditivi, facilitando la
funzionalità cocleare residua. Le componenti di una protesi acustica sono
sostanzialmente: il microfono (che riceve le onde sonore e le trasforma in segnale
elettrico), un circuito di amplificazione ed elaborazione e un ricevitore, che serve
per convertire nuovamente il segnale elettrico in suono.
20
Ibi, pp. 1527-38.
23
Inoltre, oggi vi sono protesi acustiche – che amplificano semplicemente i suoni – e
protesi digitali – che processano il suono in maniera migliore, ad esempio
migliorando la chiarezza sonora del parlato in contesti rumorosi. Le protesi più
utilizzate oggi sono le protesi digitali, mentre le protesi acustiche vengono in genere
usate per i casi di ipoacusia media o grave e nei bambini sordi, per procedere a un
tentativo di riabilitazione del deficit prima dell’eventuale impianto cocleare.
Figura 3: Protesi acustiche.
Fonte: https://www.cpaprotesiacustiche.com/chi-siamo
L’impianto cocleare è un dispositivo elettronico che viene impiantato mediante
un’operazione chirurgica. Questo serve per stimolare in modo diretto il nervo
acustico. Nell’impianto cocleare si ha una parte interna e una esterna. Quella interna
è formata da un ricevitore-stimolatore che serve per decodificare gli stimoli
provenienti dalla parte esterna e li trasmette a degli elettrodi che vanno a stimolare
direttamente il nervo acustico. L’impianto cocleare è utilizzato solo per i casi di
ipoacusia grave o profonda e di tipo percettivo. Nei bambini, l’impianto permette
un veloce recupero uditivo. L’udito di una persona con l’impianto cocleare non è
comunque paragonabile all’udito naturale, questo soprattutto perché la persona non
è in grado di discriminare i suoni. Inoltre l’impianto non permette il riconoscimento
della musica e delle diverse intonazioni del parlato. Dunque, in contesti in cui vi è
molta confusione (voci sovrapposte, musica e parole) i soggetti con impianto
24
cocleare non riescono a concentrarsi sull’ascolto di un solo suono, in quanto la
percezione uditiva appare confusa. Questa inoltre rappresenta la differenza più
grande tra la protesi acustica e l’impianto cocleare.
Figura 4: Impianto cocleare.
Fonte: https://www.medel.com/img/d93c91f445bed133145a9dbfc20e7df0.jpg
Per superare questi limiti sono state proposte alcune soluzioni: l’impianto cocleare
bilaterale oppure l’impianto cocleare unilaterale in unione alla protesi acustica
nell’orecchio opposto.
Il percorso riabilitativo dei bambini affetti da ipoacusia, essendo molto complesso,
richiede l’intervento in equipe multidisciplinare: audiologo, otorinolaringoiatra,
audioprotesista, audiometrica, logopedista, pediatra e neuropsichiatra infantile sono
le figure primarie in questo processo. Si tratta di un processo non solo complicato,
ma anche in perenne cambiamento, dinamico in quanto l’intervento, per essere
efficace, va rivalutato periodicamente.
25
I metodi riabilitativi linguistici generalmente diffusi in Italia sono cinque
21
:
1) L’uso della lingua dei segni (LIS). La LIS si fonda su una modalità visiva e
gestuale per comunicare, non quella acustica. Un bambino esposto fin da
piccolo alla lingua dei segni la imparerà in modo naturale, come avviene
con i bambini udenti per la propria madrelingua. La LIS infatti costituisce
una vera e propria lingua, con delle regole e una grammatica propria.
2) L’oralismo, consiste nell’insegnamento della lingua orale e scritta, mediante
educazione acustica e l’uso di ausili quali le protesi acustiche e l’impianto
cocleare. L’oralismo prevede la stimolazione delle capacità uditive residue
e utilizza strategie come la lettura del labiale per la comprensione degli altri.
3) L’educazione bilingue, prevede l’insegnamento contemporaneo sia della
LIS che della lingua orale, tenendo distinte e separate la sintassi e la
grammatica dell’una e dell’altra lingua.
4) Il metodo bimodale, prevede l’apprendimento di entrambe le lingue, ma in
questo caso i segni accompagnano il vocale seguendo la sintassi della
grammatica italiana.
5) La logogenia, si basa sull’insegnamento della lingua e delle regole
grammaticali basandosi sulle abilità di lettura e scrittura del soggetto.
In quanto all’efficacia dei trattamenti, alcune ricerche hanno mostrato come un
intervento precoce basato sul bilinguismo possa apportare a una riabilitazione
linguistica più rapida ed efficace, soprattutto in caso di bambini piccoli. Nonostante
ciò, l’oralismo resta il metodo più diffuso in Italia, sebbene non sia il più efficace.
In particolare occorre osservare che in passato, l’approccio dominante alla sordità
era di tipo medico. Secondo questo approccio, che tiene conto dell’epoca
dell’insorgenza e della risposta alle protesi, una integrazione vera dei sordi con la
comunità può verificarsi solo ed unicamente rendendoli udenti e facendo in modo
che possano imparare a comunicare mediante il linguaggio verbale. In tal modo,
essi imparano a comportarsi secondo le consuetudini e chi interagisce con loro
21
CASELLI, M. C., MARAGNA, S., PAGLIARI RAMPELLI, L., VOLTERRA, V. (1994).
Linguaggio e sordità. Parole e segni per l’educazione dei sordi. Firenze: La Nuova Italia; Cfr. (a
cura di), pp. 34-35.
26
“dimentica” il loro deficit e comunica normalmente. Infatti, tale approccio si occupa
di ripristinare il deficit uditivo, mediante protesi, impianto cocleare o altri interventi
riabilitativi. Tuttavia, considerando l’ipoacusia da un punto di vista culturale, si può
considerare la persona sorda come dotata da una propria cultura, diversa dal resto
della comunità. Infatti la cultura della persona affetta da ipoacusia si basa
principalmente sulle capacità visive, non su quelle uditive, e utilizza primariamente
la lingua dei segni per comunicare. In virtù di questo punto di vista, l’educazione
del sordo si basa sulle sue capacità visive sull’apprendimento della lingua dei segni,
considerata la loro “lingua naturale”. Imparare precocemente la lingua dei segni
permette al bambino sordo di dotarsi di una abilità linguistica a lui naturale e
immediata, spontanea per certi versi. Si tratta di una lingua che si adatta
perfettamente alle sue capacità, alla sua età e al suo grado di sviluppo cognitivo e
relazionale. Tale linguaggio stimola quindi i processi di concettualizzazione e di
astrazione e può comportare uno sviluppo del bambino più armonico. Nel caso in
cui vi sia una capacità uditiva residua, il bambino può comunque imparare la lingua
verbale, grazie al consolidamento della strategia di lettura labiale. La comprensione
della lingua parlata è infatti in ogni caso fondamentale per la persona affetta da
sordità, per potersi relazionare con più persone in diversi contesti, e quindi per una
migliore integrazione. L’acquisizione della lingua dei segni può inoltre agevolare il
bambino nell’apprendimento della lettura e della scrittura, dunque nella
comprensione e nella produzione scritta. In sostanza, l’uso esclusivo della lingua
verbale vocale può indurre le persone sorde a rimanere escluse e discriminate in
diverse circostanze e può implicare un apprendimento più lento e faticoso della
lingua. Invece, usare unicamente la lingua dei segni può condurre a emarginare e
discriminare il bambino o l’adulto sordo e a una mancata integrazione con la
società. Per questo, una educazione bilingue sarebbe sempre da preferirsi nella
riabilitazione del deficit uditivo
22
.
22
Ibi, pp. 41-43.
27
1.3 Comunicare con i sordi, capire e farsi capire
Il concetto di comunicazione è molto complesso e si è evoluto nel tempo.
Inizialmente si concepiva la comunicazione come la mera trasmissione di un
messaggio da un emittente a un ricevente. Il modello matematico di Shannon e
Weaver (1949) è stata la prima teoria importante sulla comunicazione. In questa
teoria la comunicazione è concepita come il trasferimento di un messaggio in forma
di segnale da una fonte a un destinatario, attraverso la mediazione di un emittente e
di un ricevente, che poteva essere disturbato da fenomeni intervenienti, detti rumori.
La fonte genera un messaggio, che un trasmettitore traduce in segnali. I segnali
vengono trasmessi grazie a un canale fisico, fino al ricettore, che li converte nel
messaggio che il destinatario riceve. Ostacolo al processo comunicativo è appunto
costituito dal rumore, cioè un disturbo lungo il canale che può portare a danneggiare
i segnali. Lo schema proposto dagli autori ha l’obiettivo di individuare sia la forma
generale di ogni processo comunicativo sia i fattori fondamentali che lo
costituiscono, e cioè che devono necessariamente essere presenti quando si verifica
un passaggio di informazione. Tale modello si ispira allo studio dei processi di
telecomunicazione, proponendo una concezione della comunicazione umana che
non tiene conto del versante culturale, dell’intenzione comunicativa nonché le
ambiguità della comunicazione. Il modello inoltre non tiene conto dei processi di
feedback che provengono dal destinatario e concepisce la comunicazione come un
processo statico e non dinamico
23
.
Successivamente, molti altri studiosi si sono occupati della comunicazione, fino a
giungere a modelli più completi, che tengono conto della complessità del fenomeno
comunicativo. Infatti, in un’accezione definitoria più complessa, per
comunicazione si intende o scambio interattivo tra due o più persone, dotato di
intenzionalità e di un certo livello di consapevolezza, in cui si condividono
significati sulla base di sistemi simbolici e convenzionali, secondo la cultura di
riferimento.
23
ANOLLI, L. (2006). Psicologia della comunicazione. Il Mulino, pp. 59-61.
28
La comunicazione è una dimensione costitutiva dell’essere umano e costituisce
un’attività molto complessa e strettamente connessa all’azione. La comunicazione
infatti si realizza all’interno di un gruppo (natura sociale), costituendone la base
dell’interazione e delle relazioni interpersonali (natura relazionale), prevedendo la
condivisione di significati e l’accordo sulle regole sottese ad ogni scambio (natura
culturale e convenzionale) e rappresentando un’attività cognitiva in stretta
connessione con il pensiero ed i processi mentali superiori. Le competenze
comunicative sono innate e derivano da un’esigenza naturale, il cui principale
veicolo nell’uomo è rappresentato dal linguaggio.
La comunicazione può essere distinta in verbale (numerica), ovvero costituita da
suoni, parole e frasi, oppure non verbale (o analogica), che sostiene e completa la
comunicazione verbale ed è veicolo di significati profondi
24
.
La Scuola Sistemico-Relazionale, nata negli anni Sessanta grazie alle idee di Von
Bertalanffy e Gregory Bateson ha teorizzato una prospettiva sistemica fondata
sull’interazione: il comportamento individuale diviene comprensibile se riferito non
a mere logiche soggettive e inter-psichiche ma solo all’interno delle configurazioni
relazionali stabili, denominati appunti sistemi. Ogni intervento avviene quindi in
chiave complessa e circolare, non quindi in maniera unidirezionale. Secondo questo
approccio tutto è comunicazione, in quanto risulta impossibile per gli esseri umani
non comunicare. La comunicazione, in tale cornice teorica, è intesa come scambio
di informazioni in grado di produrre un cambiamento, un processo interattivo in cui
il comportamento dell’emittente influenza ed è influenzato dal comportamento del
ricevente in una prospettiva di causalità circolare. Il contributo di questa scuola si
inserisce all’interno di una prospettiva pragmatica della comunicazione, che
considera l’influenza della comunicazione sul comportamento individuale e sociale.
In particolare, la pragmatica è la disciplina che si occupa dei fatti non verbali e del
linguaggio del corpo. Oltre al comportamento dell’individuo, questa disciplina
studia i segni comunicativi che provengono dal contesto in cui si verifica la
comunicazione. Si comprende così che la comunicazione non si riferisce soltanto
24
Ibi, p. 65.
29
al discorso, ma al comportamento intero dei parlanti: tutto il comportamento è
comunicazione e tutta la comunicazione influenza il comportamento.
Watzlawick, Beavin e Jackson propongono cinque assiomi su cui si fonda la
comunicazione umana
25
:
1. Non si può non comunicare: anche il silenzio, costituisce un messaggio, con
una peculiarità semantica. Il fatto che non si parli, quindi, non vuol dire che
non si sta comunicando poiché la parola non è l’unico strumento di
interazione con l’altro. La comunicazione, inoltre, è tale anche quando è non
intenzionale o non conscia.
2. Ogni comunicazione ha un aspetto di Contenuto e uno di Relazione:
L’aspetto di Contenuto trasmette i dati della comunicazione, mentre quello
di Relazione classifica quello di Contenuto, definendo il modo in cui si deve
assumere tale comunicazione (si tratta quindi di metacomunicare). La
capacità di metacomunicazione non produce solo efficacia dei messaggi, ma
è anche legata alla consapevolezza di sé e degli altri. Comunicando gli
individui definiscono la relazione e implicitamente se stessi.
3. La natura di una relazione è correlata alla punteggiatura della sequenza degli
scambi nella comunicazione tra i comunicanti: gli scambi comunicativi sono
organizzati in base a una punteggiatura, stabilita dai partecipanti.
4. La comunicazione include una componente digitale, che sfrutta le parole, e
una analogica, che riguarda tutta la comunicazione non verbale. Il modulo
digitale è più adatto a veicolare il contenuto, mentre quello analogico è più
idoneo a trasmettere l’aspetto di relazione. L’uomo ha la necessità, quindi,
di combinare questi due linguaggi e deve continuamente operare difficili
traduzioni dall’uno all’altro, che inevitabilmente comportano una perdita di
informazione.
5. Tutti gli scambi di comunicazione sono classificati come simmetrici o
complementari, a seconda che si basino sull’uguaglianza o sulla differenza.
25
P. WATZLAWICK, H. BEAVIN, D.D. JACKSON, La pragmatica della comunicazione, Roma,
Astrolabio, 1971, pp. 47-56