sull’analisi del livello di proporzionalità o non proporzionalità
3
che i singoli
sistemi determinano, trasformando i voti in seggi, influenzando quindi di
conseguenza il sistema partitico. Diversi autori
4
tendono a distinguere la
nozione di sistema elettorale da quella di formula elettorale. Secondo questa
impostazione la formula elettorale
5
riguarda sinteticamente il meccanismo di
traduzione dei voti in seggi: maggioritario semplice, maggioritario a doppio
turno, e le diverse varianti del proporzionale. Il sistema elettorale invece
può considerarsi come uno strumento composito, che riguarda anche
l’assetto delle circoscrizioni elettorali, l’esistenza della preferenze, la
presenza o meno delle primarie, la regolamentazione della propaganda
elettorale, le modalità di finanziamento dei partiti e i controlli sulle
campagne dei singoli candidati.
In questo lavoro seguiremo l’impostazione che tende a scindere il
concetto di formula da quello, più ampio, di sistema elettorale e quindi
concentreremo maggiormente l’attenzione sulla nozione di formula
elettorale, intesa appunto come meccanismo di traduzione di voti in seggi,
avendo a riguardo agli effetti che questa, nelle sue diverse variabili, può
produrre sul rapporto tra gli organi fondamentali dello Stato, con specifica
attenzione all’esperienza italiana.
3
Sul punto si veda in particolare A. Lijphart, Sul grado di proporzionalità di alcune
formule elettorali, in Rivista italiana di Scienza Politica, a XIII, n. 2, 1983. Qui l’autore
ripercorre analiticamente le ricerche compiute in materia.
4
A. Lijphart, nel suo “Le democrazie contemporanee”, Bologna, 2001, pag.164, descrive i
sistemi elettorali in termini di sette fondamentali attributi: dimensioni del collegio, soglia di
rappresentatività elettorale, ampiezza complessiva del corpo elettorale, influenza delle
elezioni presidenziali su quelle legislative, distorsioni della rappresentazioni e collegamenti
elettorali interpartitici e infine per l’appunto formula elettorale.
5
In relazione alle formule elettorali una approfondita analisi teorica, con attenzione anche
alle applicazioni pratiche, si trova nel testo di S. Rokkan, Cittadini, elezioni, partiti,
Bologna, 1982, da pag. 231 a pag. 261; si veda anche Lanchester, Sistemi elettorali e forma
di governo, Bologna, 1981.
2
Parlando di formule elettorali si suole distinguerle principalmente
in due grandi categorie: quella delle formule cosiddette maggioritarie e
quella delle formule cosiddette proporzionali
6
.
In linea molto generale può dirsi che le formule di tipo
proporzionale si basano sul principio della rappresentatività, tendono cioè a
garantire maggiormente la rappresentanza politica ai diversi interessi e alle
diverse sensibilità sociali e politiche presenti nella società. Al contrario le
formule maggioritarie tendono a privilegiare principalmente gli aspetti della
stabilità politica e dell’efficacia decisionale dei governi eletti con dette
formule. In sostanza le formule proporzionali, a seconda del loro maggiore o
minore grado di proporzionalità privilegiano una larga rappresentanza
politica alle diverse istanze che provengono dalla società, producendo al
contempo (in determinati casi) un minor grado di stabilità al sistema. Per
contro le formule maggioritarie tendono ad assicurare quella che, con un
termine abusato, viene definita la “governabilità” a scapito però di una larga
rappresentanza politica d’interessi esistenti ma minoritari del sistema; ma
queste, a ben vedere, possono considerarsi definizioni eccessivamente
semplificate. Del resto la realtà ha spesso dimostrato come non esista
probabilmente un sistema che si faccia preferire complessivamente ad un
altro e questo per l’incidenza di diversi fattori. In primo luogo le formule
elettorali utilizzate nella prassi tendono spesso a prevedere elementi
“correttivi” o nel senso maggioritario o nel senso proporzionale, cosicché in
molti casi è difficile parlare di maggioritario “puro” o di proporzionale
“puro”. In secondo luogo va sottolineato come, sui fattori (in astratto
contrapposti) della rappresentatività e della governabilità, incidono molto
spesso numerosi altri elementi, ulteriori rispetto alle sole formule elettorali.
6
A prescindere da una tradizionale classificazione lineare, secondo una diversa prospettiva
i sistemi elettorali possono essere classificati, in base alle loro capacità manipolative, in
“forti” e “deboli”. Tale classificazione si fonda appunto sulla reale incidenza selettiva dei
concreti sistemi elettorali. Fra i sistemi elettorali “deboli” vengono catalogati i sistemi di
proporzionale pura o semi pura; tra i sistemi “forti” rientrano invece, oltre ai sistemi
maggioritari, anche i sistemi fortemente impuri di rappresentanza proporzionale. Sul punto
si veda, G. Sartori, Le leggi sulla influenza dei sistemi elettorali, in Rivista italiana di
Scienza Politica, 1984, pagg. 1 ss.
3
In questo senso basti pensare che la rappresentatività delle istanze sociali
non si realizza unicamente nell’elezione del Parlamento, ma può garantirsi
anche attraverso altri strumenti quali ad esempio gli istituti di democrazia
diretta.
L’adozione di una formula elettorale piuttosto che un’altra è
sempre il frutto delle diverse esigenze che il sistema politico vuole di volta
in volta valorizzare. Parlando di sistemi elettorali e analizzando i vantaggi e
gli svantaggi delle formule proporzionali e di quelle maggioritarie, deve
tenersi conto che le società mutano e con esse le istanze cui il sistema
politico deve in qualche modo fornire risposte. Esistono cosi periodi storici
in cui maggiore è l’esigenza di garantire il pluralismo degli interessi
esistenti, e periodi in cui maggiore è la richiesta di assicurare la stabilità del
sistema e la cosiddetta “governabilità”.
1a. Le formule maggioritarie
Il principio maggioritario si realizza quando la totalità dei seggi è
attribuita secondo la volontà della maggioranza degli elettori. L’attuazione
più o meno rigida del principio esposto dipende direttamente dall’ampiezza
del collegio
7
. Il principio maggioritario troverebbe la sua applicazione più
rigorosa se in astratto la totalità di un corpo elettorale fosse costituita in un
solo collegio. In questo caso, infatti, la maggioranza effettiva degli elettori
esprimerebbe la totalità dei membri di una Assemblea, con la conseguenza
che la minoranza (non importa quanto numericamente consistente) potrebbe
rimanere priva di alcuna forma di rappresentanza. Nel caso in cui invece il
corpo elettorale viene suddiviso in più collegi è evidente che si garantiscono
7
Il collegio corrisponde ad una prestabilita suddivisione territoriale, ai fini elettorali, di una
area geografica. La grandezza del collegio è data dal numero di candidati che devono essere
eletti nel collegio stesso e non può evidentemente essere confusa con la dimensione
geografica dell’area definita “collegio”, né con il numero di votanti aventi diritto nel
collegio in questione.
4
delle compensazioni dovute alla ovvia eterogeneità della distribuzione
geografica tra maggioranza e minoranza. Queste cosiddette compensazioni
aumentano quindi all’aumentare del numero dei collegi in cui il territorio
viene suddiviso.
Il principio maggioritario trova la sua più classica espressione nel
sistema del cosiddetto collegio uninominale. Si parla di collegio
uninominale quando, ripartendo il territorio in tanti collegi quanti sono i
rappresentanti da eleggere, si stabilisce che in ciascuno di essi verrà eletto
un solo candidato. In questo caso il candidato eletto sarà evidentemente
quello che ha ottenuto il maggior numero di voti. Perché si possa parlare
effettivamente di collegio uninominale
8
è dunque indispensabile che: il
territorio sia diviso in tante “parti” quanti sono i seggi da assegnare; che in
ogni collegio sia eletto un solo candidato; infine, che il candidato eletto
abbia ottenuto la maggioranza dei voti validi rispetto ai voti ottenuti dagli
altri candidati. Proprio in relazione alla maggioranza dei voti necessari per
essere eletti si nota che la formula maggioritaria può essere suddivisa in tre
classi più specifiche. La prima classe riguarda la formula maggioritaria a
maggioranza semplice (detta plurality): in ogni collegio viene eletto il
candidato che ottiene la maggioranza dei voti, sia essa assoluta o relativa.
La seconda classe è quella che richiede la maggioranza assoluta (majority):
si prevede cioè un secondo scrutinio tra i due candidati che al primo turno
abbiano conseguito il maggior numero dei voti nel caso in cui nessuno abbia
raggiunto la maggioranza assoluta dei voti al primo turno. Una particolare
formula maggioritaria è quella del voto alternativo, utilizzata in Australia:
gli elettori qui indicano i candidati prescelti secondo un ordine di
preferenza, se un candidato ottiene la maggioranza assoluta dei voti espressi
come prima preferenza viene eletto, altrimenti si elimina il candidato che ha
8
E’ necessario sottolineare la distinzione tra collegio uninominale e scrutinio uninominale.
Infatti ci si deve riferire allo scrutinio uninominale nel caso in cui l’elettore possa votare per
un solo nome. Mentre il collegio uninominale presuppone la presenza dello scrutinio
uninominale, al contrario si può avere lo scrutinio uninominale in presenza di collegi
plurinominali. Questo avviene nel caso in cui l’elettore può votare per un unico candidato,
ma l’elezione si svolge in presenza di collegi plurinominali.
5
ottenuto il minor numero di prime preferenze distribuendo le sue seconde
preferenze agli altri candidai rimasti in lizza. Se anche così nessun
candidato ottiene la maggioranza assoluta, vengono distribuite ai candidati
rimasti in lizza tutte le seconde preferenze del penultimo candidato e cosi
via, fin quando un candidato non ottenga la maggioranza assoluta.
Se è vero che, come si diceva, il principio maggioritario trova la
sua più logica espressione nella forma del collegio uninominale, è altrettanto
vero che il principio può attuarsi anche in presenza di collegi plurinominali
9
.
In generale, indipendentemente cioè dall’esistenza del principio
maggioritario o proporzionale, si parla di collegi plurinominali nel caso in
cui l’elettore, piuttosto che votare un solo candidato, ha la facoltà di
esprimere la preferenza per due o più nomi. In questi casi si vota per una
lista di nomi e si parla dunque di scrutinio di lista.
Con lo scrutinio di lista riferito ai sistemi maggioritari, l’elettore
vota una lista comprendente un numero di candidati pari al numero di
rappresentanti da eleggere nel singolo collegio. Il sistema in esame spesso
viene integrato dall’esistenza di correttivi come la previsione di minimi
necessari da raggiungere per poter essere eletti (quorum dei votanti o
quorum dei voi validi). In questi casi, qualora il quorum richiesto non sia
raggiunto e dunque restino vacanti uno o più seggi, si procede con elezioni
suppletive di ballottaggio
10
.
1b. Le formule proporzionali.
Passando ora ad analizzare la categoria delle formule proporzionali
va ricordato quanto si accennava in precedenza: i sistemi proporzionali
9
Collegi nei quali vengono eletti contemporaneamente più rappresentanti.
10
Per una analisi generale dei sistemi maggioritari cfr G. Schepis, I sistemi elettorali.
Teoria - Tecnica – Legislazioni positive, Empoli, 1955, da pag. 5 a pag. 30.
6
valorizzano il principio della rappresentatività, tendono cioè a fare in modo
che il corpo complessivo dei rappresentanti sia il più possibile fedele alle
diverse sensibilità politiche presenti nella società. Nella sua accezione pura
il principio proporzionale dovrebbe assicurare che l’Assemblea degli eletti
sia lo specchio dei rapporti di forza esistenti tra i rappresentati che l’hanno
espressa.
Compiere un’analisi eccessivamente generale del metodo
proporzionale risulta complicato a causa della notevole eterogeneità del
fenomeno. In effetti, ogni sistema proporzionale risulta dall’insieme di
numerosi elementi tecnici che si mischiano tra loro in diverse combinazioni,
producendo leggi elettorali in fondo diverse, che sono il frutto dei differenti
fattori storici o sociali che le hanno prodotte. E’ tuttavia possibile, seguendo
l’impostazione della maggioranza della dottrina, suddividere i sistemi
proporzionali in due grandi categorie
11
, che si distinguono principalmente
considerando verso chi è destinato il voto dell’elettore: ad una lista oppure
ad un singolo candidato. Spiegando meglio. La forma più ricorrente di
formula proporzionale adottata, è il sistema con scrutinio di lista; qui i
partiti formano delle liste di candidati in collegi plurinominali, i seggi
vengono poi distribuiti alle liste dei partiti in misura proporzionale al
numero di voti ottenuti. La seconda fondamentale formula di
rappresentanza proporzionale è il sistema del voto unico trasferibile. Questo
sistema diverge dal sistema di lista poiché gli elettori votano i singoli
candidati anziché per le liste di partito; la scheda di voto è composta dai
nomi dei candidati che gli elettori devono classificare secondo un ordine di
preferenza.
11
Come si accennava in precedenza sono frequenti nelle legislazioni positive i casi di
formule elettorali cosiddette “miste”. In relazione al sistema proporzionale si ricorda la
formula “mista proporzionale”: una parte dei seggi viene assegnata con collegi uninominali
e formula plurality, mentre i restanti seggi sono attribuiti con il sistema proporzionale di
lista.
7
Considerando in prima istanza il sistema con scrutinio di lista, si
può dire che questo generalmente ha dato luogo a tre tipi diversi di lista: la
lista rigida; la lista cosiddetta del modello belga; la lista cosiddetta svizzera.
La lista rigida presuppone che l’ordine di precedenza ai fini dell’elezione,
tra i candidati compresi nella lista, sia fissato a priori dai partiti che hanno
presentato la lista. In sostanza l’elettore con il suo voto non ha possibilità di
modificare la lista così com’è stata presentata e accetta per intero la
graduatoria imposta in partenza.
Con la lista di tipo belga, l’elettore esprimendo il suo voto può
aderire all’ordine di presentazione dei candidati contenuti nella lista dando il
cosiddetto “voto in testa” che corrisponde al voto di lista dato senza
esprimere alcuna preferenza. Ma l’elettore può anche decidere di preferire
uno dei candidati dando cioè un voto nominativo al candidato prescelto. In
questo caso il suo voto conterà due volte: come voto riferito alla lista e
come preferenza individuale accordata al candidato. L’ultima tipologia è la
lista di tipo svizzero. Questo modello è inspirato alla massima libertà
possibile accordata all’elettore. Infatti con questo metodo è possibile sia
votare una scheda ove sia già stampato l’elenco dei candidati che fanno
parte della lista scelta; ma è altresì possibile votare su una scheda bianca
riempiendola con i nomi dei candidati che sono presenti in una delle liste
presentate. Infine è addirittura possibile che sulla lista prestampata l’elettore
apporti tutte le variazioni che ritiene opportune
12
.
A prescindere dalla tipologia di lista utilizzata il procedimento per
l’attribuzione dei seggi si articola per lo più attraverso i seguenti passaggi.
12
Sono poi possibili tutta una gamma di sistemi intermedi o correttivi ai modelli della lista
belga e svizzera. Va citato ad esempio il cosiddetto voto “aggiunto” . L’elettore che vota
una lista ha la possibilità di aggiungere un nome di un candidato compreso in una lista altra
da quella prescelta sempre che la lista prescelta risulti incompleta. Questo sistema fu
adottato in Italia con la legge elettorale del 1919. Altra variazione possibile è la facoltà
accordata all’elettore di esprimere più di un voto di preferenza tra i candidati di una lista
prescelta. Il meccanismo delle multiple preferenze (doppia, tripla talvolta fino a cinque
preferenze possibili) è stato per diversi anni adottato in Italia si per l’elezione della Camera
dei Deputati sia per le elezioni dei consigli comunali e regionali.
8
In primo luogo si considera il numero dei voti validamente espressi nella
circoscrizione considerata: tale numero viene definito cifra elettorale
circoscrizionale. La cifra elettorale viene divisa poi per il numero dei seggi
da ricoprire ottenendo cosi il quoziente elettorale, che rappresenta il
cosiddetto titolo quantitativo per conseguire un seggio. A questo punto si
determina la cifra elettorale di lista, ossia il numero di voti ottenuti da ogni
lista. Infine, con tecniche che possono essere diverse, si verifica quante
volte il quoziente elettorale si rapporta alla cifra elettorale. Possono, da
ultimo, essere eventualmente utilizzati i cosiddetti resti, ossia i voti non
risultati utili per la conquista di un seggio.
La determinazione del quoziente elettorale, il modo come
rapportare il quoziente elettorale, la cifra elettorale alla lista e infine la
distribuzione dei resti costituiscono l’operazione di distribuzione dei seggi.
Tale operazione può compiersi secondo diverse formule, ciascuna con
caratteristiche specifiche e specifiche conseguenze. Il metodo più
conosciuto è il cosiddetto metodo d’Hondt. La formula d’Hondt fu
introdotta per la prima volta in Belgio alla fine dello scorso secolo. La
ripartizione dei seggi si ottiene dividendo la cifra elettorale di ciascun
partito (o lista) per 1,2, 3, …fino al numero di seggi da assegnare e si
seleziona un pari numero di quozienti graduati dal maggiore al minore. Ai
quozienti più elevati spetteranno i seggi da assegnare mentre l’ultimo
quoziente serve di divisore elettorale. La ripartizione tra le liste si effettua
attribuendo a ciascuna il numero di seggi pari al numero di volte che la cifra
elettorale di lista contiene il divisore elettorale. A parità di quoziente
prevarrà la minore cifra elettorale. In Italia il metodo d’Hondt veniva
applicato per l’elezione del Senato con la legge elettorale proporzionale in
vigore fino al 1993, mentre la Camera dei Deputati veniva eletta con una
diversa formula: la formula dei resti più alti con correttivo cosiddetto
Imperiali. La formula proporzionale della Camera dei deputati apparteneva,
infatti, alla categoria dei “resti più alti” ma a differenza della formula pura
adottata per l’elezione del Parlamento Israeliano tra 1951 e il 1973, la
9
formula italiana prevedeva un diverso modo di calcolo del quoziente: in
ciascuna circoscrizione il quoziente veniva calcolato dividendo il numero di
voti espressi per numero di seggi disponibili + 2. Da qui la definizione di
“formula Imperiali dei resti più alti”
13
.
Passiamo ad analizzare rapidamente l’altra grande categoria delle
formule proporzionali, quella del voto trasferibile. In questi sistemi
l’elettore da un voto ad un candidato e contemporaneamente indica a quale
altro candidato debba essere “trasferito” il suo voto nel caso in cui il voto
precedentemente espresso risulti inefficiente. Il meccanismo del
trasferimento opera anche per i successivi candidati indicati dall’elettore.
Questo sistema di formula proporzionale è noto come formula Hare del voto
singolo trasferibile. Nella sua impostazione originaria e teorica il sistema si
impernia su tre elementi: l’esistenza del collegio unico nazionale; il
quoziente; il voto trasferibile. Il quoziente rappresenta la quantità necessaria
e sufficiente di voti che un candidato deve ottenere per esser eletto. Nei
progetti di Hare la proporzionalità integrale può realizzarsi solamente
quando si abbia un unico quoziente e dunque quando tutto il territorio di uno
Stato formi un’unica circoscrizione. Vero è che successivamente lo stesso
Hare si accorse delle notevoli difficoltà esistenti nel caso in cui un unico
Stato fosse costituito in un solo collegio e dunque egli stesso nel suo
progetto che era riferito al Regno Unito pensò alla creazione di tre grandi
circoscrizioni. Abbandonando l’ipotesi del collegio unico nazionale ci si
allontana necessariamente dalla realizzazione di una proporzionalità pura
14
.
Del resto le legislazioni più recenti cha hanno applicato il metodo Hare,
hanno previsto la creazione di molte piccole circoscrizioni con pochi seggi.
13
Si veda il capitolo 2, paragrafo 2a.
14
Il concetto di collegio unico però non è strettamente collegato a quello della
proporzionale cosiddetta “pura”. E’ possibile in taluni casi avere l’uno senza l’altra e
viceversa. Il concetto di proporzionale pura si base sul principio della pari efficienza
rappresentativa di tutti i voti validamente espressi. Questo principio è realizzabile sia
prevedendo il collegio unico, sia prevedendo una rete di collegi plurinominali. La massima
proporzionalità tra voti espressi ed eletti è da sempre considerata come il confine cui
devono tendere i sistemi di tipo proporzionale. Le legislazioni positive hanno mostrato
come non si sia praticamente mai realizzata una ipotesi di proporzionalità effettivamente
integrale.
10