6
INTRODUZIONE
La legge costituzionale 3 del 2001 rappresenta il traguardo del
tormentato cammino di revisione costituzionale, svoltosi durante la
XIII legislatura. Sviluppato a t t r a v e r s o u n a p r i m a s e r i e d ’ interventi
legislativi finalizzati alla riforma amministrativa del sistema statale,
esso è poi culminato con le innovazioni costituzionali volte a
rafforzare la posizione istituzionale delle autonomie locali. Il risultato
di tale riforma è stato il riassetto del quadro di tali rapporti
istituzionali tra il potere centrale e gli enti territoriali.
Chiave di volta del riparto delle competenze tra i soggetti attori
dell’ordinamento è stata la sussidiarietà, introdotta, nel nostro sistema
giuridico, prima come fondamentale principio regolatore nei rapporti
con l’Unione europea, poi recepita, a livello di legislazione ordinaria,
dalla legge 59 del 1997, attuativa di una riforma c.d. “a costituzione
invariata” e, infine, espressament e costituzionalizzata dalla legge 3
del 2001.
Insistendo sui rapporti tra i diversi livelli di governo, la sussidiarietà si
atteggia a principio relazionale, i m p l i c a n t e u n a “ d e c i s i o n e d i
preferenza” in favore dell’ente territorialmente e funzionalmente più
prossimo agli amministrati. Esso non entra direttamente in gioco quale
criterio di riparto delle competenze legislative, ma viene indicato dal
legislatore costituzionale come canone di attribuzione delle funzioni
amministrative tra la molteplicità dei livelli di governo.
A più di dieci anni dalla sua entrata in vigore, la riforma del Titolo V
può contare su di una copiosa giurisprudenza costituzionale, che ha
svolto un ruolo ermeneutico fondamentale nella ricostruzione e nello
sviluppo degli aspetti di più difficile interpretazione.
7
Il presente lavoro si è concentrato sull’analisi dello strumento della
“chiamata in sussidiarietà” introdotto – appunto - dalla giurisprudenza
costituzionale al fine di ovviare all’eccessiva rigidità del sistema di
ripartizione delle competenze legislative delineato dalla Costituzione.
Si è quindi proceduto a illustrare gli ulteriori meccanismi adottati
dallo Stato, sia antecedentemente, sia a seguito della riforma del 2001,
per avocarsi le competenze di spettanza regionale, in deroga
all’attribuzione costituzionale delle potestà legislative.
8
CAPITOLO I
IL RIGIDO RIPARTO DELLE COMPETENZE NEL SISTEMA
PRECEDENTE LA LEGGE DI RIFORMA COSTITUZIONALE
3/2001 E I M E C C A N I S M I D I A V O C A Z I O N E S T A T A L E
DELLE ATTRIBUZIONI.
1. L’art. 117 e l’attribuzione delle competenze legislative allo Stato e
alle Regioni per materie
L’articolo 5 della Costituzione i t a l i a n a “ riconosce e promuove le
autonomie locali” e consacra, con questa formula, la scelta della
forma di Stato regionale. La norma contrappone, bilanciandole, due
istanze fondamentali sulle quali si fonda l’intero assetto delle
attribuzioni regionali: l’assegnazione alle Regioni d i s f e r e d i
autonomia costituzionalmente garantite e l’enucleazione d’interessi
unitari, dei quali è portatore lo Stato, in qualità di ente garante
dell’unità nazionale
1
.
Questa disposizione costituisce, quindi, la base di tutta la legislazione
in materia regionale. All’attuazione del decentramento, fine verso il
quale deve tendere l’ordinamento, è posto però il limite inderogabile
dell’unità e dell’indivisibilità della Repubblica.
L’art. 5 Cost. attribuisce al principio autonomistico il rango di
principio fondamentale dell’ordinamento costituzionale, stabilendo
che “la Repubblica, una e indivisibile” “riconosce e promuove” le
autonomie e il decentramento e si impegna, inoltre, ad “adeguare i
principi e i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia
1
ANTONIO D’ATENA, L'autonomia legislativa delle regioni, Bulzoni, Roma, 1974, 17 e ss.
9
e del decentramento”
2
. L’interpretazione di questa norma ruota quindi
attorno a due termini complementari: decentramento e autonomia. Il
primo sottintende una distribuzione dei poteri in senso verticale,
ammettendo la delega delle funzioni tra enti seguendo lo schema
centro-periferia, il secondo, invece, fa riferimento a una distribuzione
dei poteri e delle funzioni, a beneficio di altri soggetti o di altri enti
non direttamente identificabili nello Stato
3
.
Nella formulazione precedente alla legge di riforma costituzionale
3/2001, lo schema di ripartizione delle competenze tra Stato ed enti
territoriali era definito, nel Titolo V della Parte II della Costituzione,
secondo lo schema rigido del “separatismo duale”
4
.
La caratterizzazione garantistica del modello prescelto è resa evidente
sia dalla scelta delle fonti di produzione normativa della disciplina
dettata per le Regioni, sia dalla giustiziabilità di quest’ultima. Veniva
quindi affermato il principio di legalità costituzionale ed erano poi
predisposti gli strumenti giurisdizionali che permettevano d i
garantirne il rispetto. La scelta di demandare a fonti costituzionali (il
Titolo V della Costituzione, appunto, che stabiliva u n a d i s c i p l i n a
generale e gli Statuti delle Regioni ad autonomia speciale aventi il
rango di leggi costituzionali, in base al disposto dell’art.116 Cost.) la
fissazione dei limiti e del contenuto dei poteri attribuiti,
rispettivamente, a Stato e Regioni è un chiaro segno della volontà di
evitare eventuali ingerenze del legislatore statale ordinario e garantire,
così, il rispetto del riparto delle attribuzioni.
2
Art. 5 Cost: “La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua
nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi
ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento”.
3
NICOLE CUTRUFO, Il riparto delle competenze legislativa e amministrativa tra Stato e Regioni
nel campo delle politiche pubbliche di tutela dell’ambiente, in ambientediritto.it/dottrina.
4
ANTONIO D’ATENA, Interferenze ed intrecci tra materie e competenze legislative, in Regioni e
attività produttive. Rapporto sulla legislazione e sulla spesa: 2005-2007, Giuffrè, pag. 59-66.
10
La possibilità, concessa dalla Costituzione sia allo Stato sia alle
Regioni, di sottoporre alla Corte costituzionale gli atti considerati
lesivi del riparto di attribuzione delle competenze, è poi un ulteriore
segno della caratterizzazione garantistica della normativa dettata per le
Regioni
5
. L’art. 2 della legge costituzionale 1/1948
6
prevedeva, infatti,
che le Regioni potessero impugnare gli atti legislativi statali, che
consideravano lesivi della propria sfera di attribuzioni. Allo Stato, poi,
l’art. 127 della Costituzione attribuiva un potere ancora più ampio
contro gli atti ritenuti esorbitanti le competenze riservate alle Regioni.
Il Governo della Repubblica, infatti, poteva opporsi alla
promulgazione di una legge regionale considerata eccedente l e
attribuzioni della Regione o contrastante con gli interessi nazionali ,
rinviandola al Consiglio regionale. Se la legge fosse stata nuovamente
approvata dal Consiglio regionale a maggioranza assoluta, il Governo
della Repubblica aveva la facoltà di promuovere, nei quindici giorni
successivi alla comunicazione, la questione di legittimità davanti alla
Corte costituzionale, o quella di merito per contrasto d’interessi
davanti alle Camere
7
(per altro, mai effettuata). Com’è noto, quindi,
“la Corte interviene nell’esercizio di due distinte competenze: in sede
di giudizio di costituzionalità in via principale (o d’azione), se l’atto
statale o regionale impugnato è un atto legislativo; in sede di
5
ANTONIO D’ATENA, L’Italia verso il Federalismo. Taccuini di viaggio, Giuffrè, Milano, 2001,
72 e ss.
6
Legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1: Norme sui giudizi di legittimità costituzionale e sulle
garanzie d'indipendenza della Corte costituzionale, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 43 del
20 febbraio 1948. Art. 2. “Quando una Regione ritenga che una legge od atto avente forza di legge
della Repubblica invada la sfera della competenza ad essa assegnata dalla Costituzione, può, con
deliberazione della Giunta regionale, promuovere l'azione di legittimità costituzionale davanti alla
Corte, nel termine di 30 giorni dalla pubblicazione della legge o dell'atto avente forza di legge.
Una legge d'una Regione può essere impugnata per illegittimità costituzionale, oltre che nei casi e
con le forme del precedente articolo e dell'art. 127 della Costituzione, anche da un'altra Regione,
che ritenga lesa da tale legge la propria competenza. L'azione è proposta su deliberazione della
Giunta regionale, entro 60 giorni dalla pubblicazione della legge”.
7
Art. 127, secondo comma, testo originario della Costituzione.
11
risoluzione di un conflitto d’attribuzioni (ovviamente intersoggettivo),
se si tratta di un atto di altra natura”
8
.
La tecnica scelta dal Costituente era stata quella di un’integrale
costituzionalizzazione del riparto delle competenze. La disciplina che
ne era derivata, quindi, determinava sia il contenuto dei poteri
attribuiti alle Regioni, sia i limiti di tali poteri, che erano coordinati
con quelli statali.
Per quanto riguarda il primo aspetto, le Regioni e r a n o e n t i a
competenze enumerate, con il potere di intervenire solo negli ambiti
loro tassativamente attribuiti da norme di rango costituzionale che, a
questo scopo, dettavano specifici elenchi di materie, all’intermo delle
quali le Regioni potevano operare. Il riparto delle competenze
legislative era disciplinato dagli art. 116
9
e 117
10
Cost. che, nella
formulazione precedente alla riforma del 2001, prevedevano una
8
ANTONIO D’ATENA, Diritto regionale, cit. pag. 61, nota 5.
9
Art.116 della Costituzione, testo originario: “Alla Sicilia, alla Sardegna, al Trentino-Alto Adige,
al Friuli-Venezia Giulia e alla Valle d'Aosta sono attribuite forme e condizioni particolari di
autonomia, secondo statuti speciali adottati con leggi costituzionali”.
10
Art.117 della Costituzione, testo originario: “La Regione emana per le seguenti materie norme
legislative nei limiti dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato, sempreché le norme
stesse non siano in contrasto con l'interesse nazionale e con quello di altre Regioni:
ordinamento degli uffici e degli enti amministrativi dipendenti dalla Regione;
circoscrizioni comunali;
polizia locale urbana e rurale;
fiere e mercati;
beneficenza pubblica ed assistenza sanitaria ed ospedaliere;
istruzione artigiana e professionale e assistenza scolastica;
musei e biblioteche di enti locali;
urbanistica;
turismo ed industria alberghiera;
tranvie e linee automobilistiche di interesse regionale;
viabilità, acquedotti e lavori pubblici di interesse regionale;
navigazione e porti lacuali;
acque minerali e termali;
cave e torbiere;
caccia;
pesca nelle acque interne;
agricoltura e foreste;
artigianato;
altre materie indicate da leggi costituzionali.Le leggi della Repubblica possono demandare alla
Regione il potere di emanare norme per la loro attuazione”.
12
potestà primaria che spettava alle sole Regioni ad autonomia speciale
(nelle materie elencate nei rispettivi Statuti) e una potestà concorrente
spettante a tutte le Regioni (a quelle ordinarie, nelle materie indicate
nel previgente testo dell’art.117 Cost. e a quelle a Statuto speciale
nelle materie indicate negli elenchi degli Statuti). Allo Stato, invece,
era attribuita una competenza generale che comprendeva tutti gli
ambiti che non ne fossero espressamente esclusi
11
.
Per le Regioni a statuto ordinario, quindi, il principio adottato dalla
Costituzione per il riparto delle competenze, era quello della
concorrenza, secondo il quale, nessuna delle materie di pertinenza
regionale era sottratta all’intervento legislativo dello Stato.
11
ANTONIO D’ATENA, op. cit., pag. 74.
13
2. L’attrazione delle competenze legislative nel sistema precedente
alla legge costituzionale 3 del 2001.
2.1 Il limite dei principi fondamentali dettati dalle leggi-cornice
Per quanto attiene al secondo aspetto, quello delle limitazioni al potere
regionale, il riparto verticale delle attribuzioni, stabiliva che lo Stato
dovesse emanare esclusivamente le leggi-cornice, o leggi-quadro,
nelle quali erano dettati solo i principi fondamentali della disciplina.
Per la fissazione di tali principi, inoltre, era prevista una riserva di
legge statale
12
. L’art 117 comma 1 Cost. stabiliva che le Regioni, nelle
materie loro riservate, fissassero la disciplina di dettaglio nell’ambito
“dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato”. Questi
ultimi, costituivano un limite alla potestà legislativa concorrente tanto
delle Regioni ordinarie, nelle singole materie di cui all’art.117, quanto
di quelle a Statuto speciale, nelle materie indicate nei singoli Statuti.
Per quanto riguarda l’individuazione di tali principi fondamentali,
un’indicazione era fornita dalla Corte costituzionale nella sentenza
177/1988. In questa importantissima pronuncia, il giudice delle leggi
ha analizzato sia i caratteri sostanziali sia quelli strutturali propri dei
“principi”, contrapponendoli a quelli delle norme di dettaglio.
I principi fondamentali, quindi, dovevano avere “ natura di norme
espressive di scelte politico-legislative fondamentali o, quantomeno,
di criteri o di modalità generali tali da costituire un saldo punto di
riferimento in grado di orientare l’esercizio del potere legislativo
regionale”
13
.
12
ANTONIO D’ATENA, op. cit. pag. 64.
13
Corte costituzionale, sentenza 1988 n. 177, punto 2.3.1 del Considerato in diritto.
14
Il carattere della generalità era i n v e c e d a e s c l u d e r e quando le
disposizioni contenessero “ una disciplina in sé compiuta e auto
applicativa, che, come tale, non lasciasse i l minimo spazio non solo
per un’ipotetica legiferazione ulteriore ma persino per una normazione
secondaria, di mera esecuzione”
14
.
Sempre secondo la Corte costituzionale, le norme di dettaglio,
contrariamente a quelle di principio, avevano il compito di fissare una
disciplina temporanea con carattere sostanzialmente provvedimentale.
Queste disposizioni, infatti, a causa della loro natura estremamente
specifica e d e l b a s s o livello di astrattezza che possedevano, non
necessitavano, ai fini della loro applicazione pratica, di sviluppi o
ulteriori svolgimenti, ma richiedevano solo un’attività di esecuzione
materiale
15
. In altri termini, allo Stato spettava una funzione direttiva,
finalizzata alla tutela d’interessi e valori generali, che dovevano
trovare applicazione in tutto il territorio nazionale, mentre le Regioni
avevano il compito di adeguare i criteri orientativi , contenuti nella
normazione di principio, alle specifiche necessità della propria realtà
territoriale
16
.
Uno dei problemi più complessi che si era presentato già a partire dai
lavori dell’Assemblea Costituente, era stato q u e l l o d i s t a b i l i r e s e
fossero necessarie leggi ad hoc p e r p r e d e t e r m i n a r e , i n c i a s c u n a
materia, i relativi principi fondamentali (leggi-cornice.)
17
.
14
Corte costituzionale, sentenza cit., punto 2.2 del Considerato in diritto.
15
Ibidem.
16
Corte costituzionale, sentenza n. 97 del 1974, punto 3 del Considerato in diritto.
17
FRANCESCO MARCELLI, VALERIA GIAMMUSSO, Il nuovo riparto delle competenze tra Stato e
Regione. La competenza legislativa concorrente, Vol. I, Dossier, 2001, in camera.it.
15
Un indizio della tendenziale preferenza verso questa scelta si rinviene,
ad esempio, nelle disposizioni transitorie e finali della Costituzione
18
.
In seguito, il principio era stato fissato dalla legge 62 del 10 febbraio
1953 (c.d. legge “Scelba”)
19
. L’art 10 di tale legge, infatti, stabiliva
che le modifiche effettuate, sui principi fondamentali, ad opera delle
leggi statali, “abrogavano” automaticamente le norme regionali
contrastanti e inoltre fissava il limite -novanta giorni- entro il quale le
Regioni erano tenute ad uniformare le proprie leggi. L’art. 9 della
legge 62 del 1953 stabiliva anche c h e l ’ e s e r c i z i o d ella potestà
legislativa delle Regioni a statuto ordinario fosse subordinato alla
precedente emanazione delle leggi cornice da parte dello Stato
(comma 1). Facevano eccezione alcune materie, nell’ambito delle
quali le Regioni avrebbero potuto comunque legiferare, nonostante
l’eventuale inerzia dello Stato (comma 2)
20
.
L’atteggiamento autoritario nell’attuazione del sistema regionalistico,
che emergeva d a l d e t t a t o della legge Scelba, si era t r a d o t t o
inevitabilmente in un rapporto squilibrato tra Stato e Regioni. In
18
Diposizioni transitorie e finali della Costituzione: VIII. “Le elezioni dei Consigli regionali e
degli organi elettivi delle amministrazioni provinciali sono indette entro un anno dall'entrata in
vigore della Costituzione. Leggi della Repubblica regolano per ogni ramo della Pubblica
Amministrazione il passaggio delle funzioni statali attribuite alle Regioni. Fino a quando non sia
provveduto al riordinamento e alla distribuzione delle funzioni amministrative fra gli enti locali
restano alle Province ed ai Comuni le funzioni che esercitano attualmente e le altre di cui le
Regioni deleghino loro l'esercizio. Leggi della Repubblica regolano il passaggio alle Regioni di
funzionari e dipendenti dello Stato, anche delle amministrazioni centrali, che sia reso necessario
dal nuovo ordinamento. Per la formazione dei loro uffici le Regioni, devono tranne che in casi di
necessità, trarre il proprio personale da quello dello Stato e degli enti locali”. IX. “La Repubblica,
entro tre anni dall'entrata in vigore della Costituzione, adegua le sue leggi alle esigenze delle
autonomie locali e alla competenza legislativa attribuita alle Regioni”.
19
Legge 10 febbraio 1953, n. 62. “Costituzione e funzionamento degli organi regionali”.
20
Legge cit. Art. 9. (Condizioni per l’esercizio della potestà legislativa da parte della Regione). “Il
Consiglio regionale non può deliberare leggi sulle materie attribuite alla sua competenza dall'art.
117 della Costituzione se non sono state preventivamente emanate, ai sensi della disposizione
transitoria IX della Costituzione, le leggi della Repubblica contenenti, singolarmente per ciascuna
materia, i principi fondamentali cui deve attenersi la legislazione regionale. In materia di
circoscrizioni comunali, fiere e mercati, istruzione artigiana e professionale, musei e biblioteche di
enti locali, caccia e pesca nelle acque interne, il Consiglio può emettere leggi nei limiti dell'art.117
della Costituzione anche prima della emanazione delle leggi della Repubblica previste nel comma
precedente”.
16
primo luogo, l’esercizio d e l la potestà legislativa era inibita
dall’eventuale inerzia del legislatore statale nell’adottare leggi-cornice
e, inoltre, la normativa regionale di dettaglio veniva immediatamente
abrogata d a i n u o v i p r i n c ipi statali, quando le Regioni non
ottemperavano –entro il limite perentorio di novanta giorni-
all’obbligo di adeguamento.
La possibile paralisi del potere legislativo regionale, come
conseguenza della mancata emanazione di leggi cornice apposite, si
era present at a, concret ament e, al moment o del l a costituzione delle
Regioni a statuto ordinario. Questa realtà aveva spinto il legislatore a
rivedere l’orientamento iniziale, espresso nella legge Scelba. Con
l’art. 17 della successiva l egge 16 maggio 1970, n. 281
21
, era stato
sancito, infatti, che i “principi fondamentali” della legislazione statale
potevano derivare “dalle leggi che espressamente li stabilivano” (e
cioè le leggi-cornice), o potevano essere desunti dall’interprete “dalle
leggi vigenti”. Questa disposizione aveva reso possibile l’esercizio del
potere legislativo delle Regioni, a partire dal 1° aprile 1972, momento
nel quale erano entrati in vigore i decreti che trasferivano le funzioni
amministrative statali alle Regioni.
Anche la giurisprudenza della Corte costituzionale ha mostrato di
aderire a quest’orientamento. Nella sentenza 39/1971, infatti, è stato
criticato il meccanismo disciplinato dall’oramai abrogato art. 9 della
legge 62 del 1953, il quale, com’è già stato rilevato, non ave ndo
fissato alcun termine per l’adozione delle leggi cornice, indispensabili
per fissare i confini entro i quali la legislazione regionale poteva
operare, rimetteva sostanzialmente alla discrezionalità dello Stato il
21
Legge 281 del 16 Maggio 1970, “ Provvedimenti finanziari per l’attuazione delle regioni a
statuto ordinario”. G.U. 22 Maggio 1970, n. 127
17
possibile esercizio delle potestà legislative regionali, le quali, in caso
d’inerzia del potere centrale, sarebbero state procrastinate sine die
22
.
Mostrando il suo favore per il sistema accolto dalla nuova legge 281
del 1970, la Corte sottolineava come “ la situazione appare, sotto
questo profilo, nettamente diversa. (…) La norma dell’art. 17 tende,
insomma, a contemperare il rispetto dovuto all’autonomia regionale
con le esigenze unitarie che trovano formale e solenne riconoscimento
nell’art. 5 della Costituzione…”
23
.
Con il meccanismo introdotto dalla nuova legge, quindi, le Regioni,
entro due anni, potevano c o m i n c i a r e a e s e r c i t a r e l a l o r o p o t e s t à
legislativa a seguito della promulgazione de i decreti sul passaggio
delle funzioni. Trascorso il biennio, poi, anche in mancanza di questi
ultimi erano l i b e r e d i legiferare
24
, i nterpretando le leggi statali e
desumendo autonomamente i principi ai quali dovevano attenersi. I
principi fondamentali, quindi, dovevano emergere da leggi-cornice ad
hoc
25
o, in mancanza, potevano essere tratti dalla legislazione statale
vigente
26
.
22
Sentenza del la Corte Costituzionale 39/1971, punto 4 del Considerato in diritto: “…nessun
termine essendo prefissato all'adozione delle leggi-cornice e non essendo neanche prevista la
possibilità per le regioni di legiferare senza di queste, sia pure dopo decorso un certo lasso di
tempo, l'esercizio delle potestà legislative regionali rischiava di essere procrastinato sine die, ed
era comunque praticamente rimesso alla mera discrezione del legislatore statale.”
23
Ibidem.
24
Ibidem.
25
Ad esempio, con riferimento all'istituzione di parchi e riserve naturali, è stato riconosciuto nella
legge 394/91 il principio fondamentale del divieto di caccia nelle aree protette (sent. 20/00 e
389/99). Inoltre è stato riconosciuto il valore di principi fondamentali alle norme contenute nella
L.97/94 in materia di salvaguardia e valorizzazione delle zone montane (sent. 345/1997) e a quelle
contenute nella L.157/92 di riforma della caccia (sent.135/2001). Esempi tratti da FRANCESCO
MARCELLI, VALERIA GIAMMUSSO, Il nuovo riparto delle competenze tra Stato e Regione. La
competenza legislativa concorrente, cit.
26
Ad esempio, in tema acque minerali e termali, la Corte ha desunto dalla legislazione vigente, in
assenza di apposita legge-cornice, il principio fondamentale della proporzionalità del canone della
concessione di coltivazione delle acque minerali all'effettiva entità dello sfruttamento delle risorse
pubbliche, che la concessione stessa comporta, e all'utilità che il concessionario ne ricava (sent.
65/2001). Esempio tratto da camera.it.
18
La Corte costituzionale, già a partire dagli anni ’60, aveva sostenuto
che i principi, espressione di “interessi generali ai quali si conforma la
legislazione dello Stato”, dovevano “essere desunti dall’insieme delle
norme ispirate a comuni esigenze o a un medesimo indirizzo
legislativo”
27
. P a r a l l e l a m e n t e , i n c a s o d ’ i n e r z i a d e l l e g i s l a t o r e
regionale, per evitare vuoti legislativi conseguenti all’omissione o al
ritardo nell’adozione di nuove norme di dettaglio, un orientamento
consolidato della Corte consentiva allo Stato di intervenire con norme
di dettaglio a efficacia cedevole.
Il principio del riparto delle competenze, non era quindi interpretato
dalla Corte in accezione rigida e assoluta, ma in modo flessibile,
consentendo alle leggi statali -sulle materie di cui all'art. 117- d i
contenere anche norme di dettaglio, transitoriamente efficaci fino a
che la regione non avesse adeguato la propria normativa ai nuovi
principi
28
. Nella sentenza 214/1985
29
, infatti, la Corte aveva negato
che emanando norme di dettaglio lo Stato invadesse la competenza
regionale. Le norme statali avrebbero a v u t o , infatti, “carattere
recessivo” essendo destinate a essere sostituite da quelle regionali di
dettaglio, una volta che queste fossero intervenute. Nella motivazione
di tale pronuncia, inoltre, la Corte aveva evidenziato c o m e le
competenze statali a legiferare in ambiti normalmente attribuiti alle
Regioni, non fossero p recluse dalla circostanza che l’ ente regionale
avesse e f f e t t i v a m e n t e e m a n a t o u n a l e g i s l a z i o n e d i d e t t a g l i o , m a
27
Corte costituzionale, sentenza 46/1968, punto 3 del Considerato in diritto.
28
FRANCESCO MARCELLI, VALERIA GIAMMUSSO, op. cit.
29
Corte costituzionale, sentenza 214/1985, punto 4 del Considerato in diritto: “…Né la legge dello
Stato deve essere necessariamente limitata a disposizioni di principio, essendo invece consentito
l'inserimento anche di norme puntuali di dettaglio, le quali sono efficaci soltanto per il tempo in
cui la regione non abbia provveduto ad adeguare la normativa di sua competenza ai nuovi principi
dettati dal Parlamento..”.
19
potessero trovare ulteriore sviluppo nel caso in cui l’emersione di
differenti esigenze di politica legislativa lo avessero richiesto.
La precedente disciplina regionale, quindi, non impediva allo Stato di
integrare la legislazione di principio con quella di dettaglio, poiché,
ragionando diversamente, si sarebbe pervenuti “all’assurdo risultato”
che la preesistente normativa regionale, in mancanza del necessario
adeguamento a quella statale successiva, avrebbe in realtà vanificato
l’operatività di q u e s t ’ ultima, lasciando i rinnovati p r i n c i p i senza
effettiva applicazione, compromettendo così l’intera regolamentazione
della materia
30
. Il legislatore statale, quindi, poteva introdurre i n
ambito regionale la sua disciplina di dettaglio basandosi sull’ipotesi
che la previgente legislazione regionale fosse stata abrogata dai nuovi
principi della materia
31
.
Questa cedevolezza della legislazione regionale, però, si è tradotta in
un’espansione delle funzioni statali e quindi nell’attrazione, sia pur
temporanea, delle corrispondenti funzioni attribuite alle Regioni.
Con il passare del tempo, però, questa situazione si è consolidata. E’
mancato, innanzi tutto, un intervento del legislatore statale, che
riesaminasse la propria disciplina indicando quali fossero le norme di
principio e quali, invece, fossero destinate a cedere. Questa mancanza
d’indicazioni circa l’ambito d’azione ha, conseguentemente, impedito
l’intervento del legislatore regionale.
30
Sentenza cit.
31
Sul tema si vedano: RENZO TOSI, Leggi di principio corredate di disposizioni di dettaglio:
un’estensione della competenza statale senza sacrificio dell’autonomia regionale, in
Giurisprudenza Costituzionale, I, 1985, 2678-2679. ANNA MOSCARINI, Competenza e
sussidiarietà nel sistema delle fonti, Cedam, Padova, 2003, pag. 256. FULVIO COSTANTINO, La
proiezione ascendente del principio di sussidiarietà verticale Roma, Aracne, 2008, pag.166-167.