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CAPITOLO I
L’ELETTORATO PASSIVO
1. La capacità elettorale passiva
L’elettorato passivo consiste nella capacità di essere eletti. Più precisamente si può definire la
capacità elettorale passiva come la capacità giuridica di divenire titolare passivo del rapporto
elettorale.
Il diritto di elettorato passivo va considerato come un diritto individuale, ossia il diritto del
singolo a ricoprire cariche pubbliche elettive nei vari livelli di governo. E’ un diritto garantito
dall’articolo 51 della Costituzione: “tutti i cittadini dell’uno o dell’altro sesso possono accedere
agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti
stabiliti dalla legge”.
Dunque il principio generale è quello dell’eleggibilità di tutti gli elettori, salvo le restrizioni
introdotte dal legislatore ordinario, a cui è stata lasciata ampia discrezionalità nella definizione
dei limiti all’elettorato passivo, sempre nel rispetto dei principi costituzionali.
Poiché quindi non tutti gli elettori sono eleggibili, l’elettorato passivo non può combaciare con
l’elettorato attivo, inteso come capacità di votare. Elettorato attivo ed elettorato passivo sono
connessi ma ben distinti, non esiste un diritto ad essere eletto corrispondente al diritto ad
eleggere.
Mentre l’elettorato attivo si esaurisce al momento della formazione della decisione elettorale,
azione subordinata tra l’altro alla selezione della candidatura, l’elettorato passivo si manifesta
sia prima che in seguito all’elezione.
Infatti esso è composto da elementi oggettivi inerenti la presentazione della candidatura come
ad esempio l’obbligo di raccogliere un determinato numero di firme o l’obbligo di un numero
minimo di candidati per la presentazione della lista e da elementi soggettivi. Dal punto di vista
soggettivo si articola in tre diversi aspetti: il diritto ad essere candidato, il diritto ad essere
proclamato eletto in seguito all’esito favorevole dell’ elezione, il diritto ad esercitare il
mandato. Nel primo caso si instaura un rapporto tra il singolo e la struttura preposta alla
selezione delle candidature, presupposto per il momento successivo in cui si sviluppa il
rapporto tra il singolo e il corpo elettorale, o meglio la parte degli elettori che lo ha votato e che
termina con la proclamazione dell’ elezione. A questo punto il candidato proclamato eletto
esercita il diritto di svolgere le funzioni derivanti dall’incarico elettivo nell’ambito dell’ente
all’interno del quale è stato eletto.
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2. Il diritto di elettorato passivo: requisiti positivi e cause ostative
2.1 I requisiti positivi
Un soggetto per godere della capacità elettorale passiva deve possedere determinati requisiti
positivi previsti dall’ordinamento giuridico italiano:
- l’età che varia nei due rami del Parlamento, per essere eletti alla Camera dei Deputati è
necessario aver compiuto il giorno delle elezioni venticinque anni d’età (Articolo 56 Cost.,
secondo comma) mentre possono accedere al Senato della Repubblica solo coloro che abbiano
compiuto il quarantesimo anno di età (Articolo 58 Cost., secondo comma);
- l’alfabetismo, che si rileva attraverso l’atto di accettazione della candidatura;
- l’elettorato attivo.
In merito all’ultima qualità richiesta anzitutto per elettorato attivo si intende la capacità di
eleggere i componenti delle assemblee rappresentative a tutti i livelli di governo. La
Costituzione (Articolo 48) sancisce che la capacità di esercitare il diritto di voto è subordinata
al possesso di due elementi: la cittadinanza italiana e il compimento della maggiore età.
La cittadinanza è una condizione che non può venir meno ma è prevista un’eccezione per i
cittadini di uno Stato membro dell’Unione Europea, ai quali è consentito di esercitare il diritto
di voto per l’elezione del sindaco, del consiglio del comune e della circoscrizione nelle cui liste
sono iscritti. (Art. 1, quinto comma, D.lgs. n. 197/1996).
In merito al requisito della maggiore età vi è un riferimento alla normativa civilistica che fa
derivare dal compimento del diciottesimo anno di età l’acquisto della capacità d’agire. (Art. 2,
Titolo I, Libro Primo). La Costituzione prescrive un’età più elevata per l’elezione del Senato,
“i senatori sono eletti a suffragio universale e diretto dagli elettori che hanno superato il
venticinquesimo anno di età” (Art. 58).
Tutti i cittadini che posseggono i requisiti per esercitare il diritto di voto vengono iscritti
d’ufficio nelle liste elettorali del comune di residenza.
La perdita della qualità di elettore può avvenire, ai sensi dell’ Art. 48.4 Cost., per cause di
incapacità civile, per effetto di sentenze penali irrevocabili, per cause di indegnità morale.
L’incapacità civile deriva dalla perdita della capacità d’agire per infermità mentale. Secondo il
diritto privato italiano incapaci civilmente sono i minori e gli interdetti, mentre parzialmente
capaci sono gli inabilitati, ma il legislatore – con la legge 13 maggio 1978, n.180, art.1, primo
comma – ha riconosciuto la capacità elettorale ai ricoverati in ospedali psichiatrici, agli
interdetti ed agli inabilitati, abrogando le precedenti disposizioni che includevano gli interdetti
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e gli inabilitati per infermità di mente tra i non elettori e avevano sospeso il diritto di voto per i
ricoverati negli ospedali psichiatrici.
Anche i detenuti che non siano incorsi in una causa di incapacità elettorale, sono ammessi a
votare nel luogo di detenzione, mentre i malati possono votare negli ospedali e nelle case di
cura.
In merito alle sentenze penali irrevocabili determinanti la perdita del diritto di voto si trattava
di sentenze pronunciate per reati inerenti lo svolgimento di attività fasciste, inoltre la legge
individuava una serie di sentenze riguardanti un numero considerevole di delitti e
contravvenzioni che determinavano la sospensione del diritto di voto per cinque anni, ai sensi
del d.P.R. 20 marzo 1967, n.223. Però attualmente tali disposizioni non sono più in vigore,
sono state infatti abrogate da successive leggi.
La legge ha individuato i casi di indegnità morale che producono la temporanea perdita
dell’elettorato attivo:
a) i cittadini sottoposti, in forza di provvedimenti definitivi, a misure di sicurezza detentive o
libertà vigilata o divieto di soggiorno in uno o più comuni o in una o più province, a norma
dell’ art. 215 Codice Penale, finché durano gli effetti dei provvedimenti stessi (Art. 2, d.P.R. 20
marzo 1967, n. 223, lettera c);
b) i cittadini sottoposti all’interdizione temporanea dai pubblici uffici.
I cittadini condannati a pena che comporta l’interdizione perpetua dai pubblici uffici invece
sono esclusi dall’elettorato attivo in via definitiva (Art. 2, d. P.R. 20 marzo 1967, n. 223, lettera
d).
In passato anche al commerciante fallito era proibito esercitare il diritto di voto per tutta la
durata dello stato di fallimento, ma il decreto legislativo 9 gennaio 2006, n.5 ha abolito la
lettera “a” dell’ art. 2 del d.P.R 223/1967 che lo sanciva.
2.1 Cause ostative all’eleggibilità
Per godere della capacità elettorale passiva oltre alla presenza di requisiti soggettivi positivi
(Età, alfabetismo, elettorato attivo) occorre l’assenza di altri requisiti negativi che la legge ha
valutato come ostativi all’assunzione della carica elettiva.
Tali condizioni negative, la cui sussistenza impedisce l’esercizio del diritto di elettorato
passivo, si distinguono in cause di ineleggibilità, incompatibilità ed incandidabilità. Spetta al
legislatore ordinario indicare quali situazioni ostative rientrino nell’una o nell’altra fattispecie.
L’articolo 65 della Costituzione stabilisce che è “la legge a determinare i casi di ineleggibilità
ed incompatibilità con l’ufficio di deputato o di senatore”.
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Il legislatore però nella definizione delle cause ostative all’accesso negli organi elettivi non è
completamente libero poiché deve stare attento a non ledere quei diritti fondamentali su cui si
regge l’ordinamento democratico. A tal fine nella sua azione di classificazione è tenuto a
seguire il principio di ragionevolezza secondo cui la legge può privare del diritto di elettorato
passivo determinati cittadini solo se necessario per il perseguimento di altri fini istituzionali più
meritevoli di tutela.
Nell’ordinamento italiano l’eleggibilità è la regola, l’ineleggibilità è l’eccezione
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, quest’ultima
può essere giustificata solo qualora sussistano adeguati e ragionevoli motivi.
Un principio degno di tutela è sicuramente quello di uguaglianza sancito dall’articolo 3 della
Costituzione. Sarebbe incostituzionale una norma che dichiarasse ineleggibili gli appartenenti
ad una certa razza o che prescrivesse particolari qualità personali o culturali come requisiti
necessari per l’accesso alle cariche elettive.
Ancora il legislatore può porre ulteriori limiti all’elettorato passivo per garantire un altro
principio fondamentale ossia “il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione”
(Articolo 97).
E’ proprio a seconda dei principi da tutelare che si può iniziare a distinguere i vari istituti
previsti per circoscrivere il diritto ad essere eletti.
L’ineleggibilità si caratterizza come un impedimento giuridico, antecedente all’elezione, ad
essere validamente eletto per coloro che si trovano in una delle condizioni considerate dalla
legge ostative. Dunque comporta l’esclusione dalla rappresentanza politica di coloro, che a
causa degli incarichi che ricoprocono o di particolari rapporti giuridici che intrattengono,
possano nel periodo precedente alle elezioni esercitare un’indebita influenza sulla scelta degli
elettori, mettendo così a rischio l’autenticità della competizione elettorale. La prescrizione
delle cause di ineleggibilità è volta ad assicurare che nessun candidato, per le funzioni svolte ,
si trovi in una condizione di privilegio rispetto agli altri consentendogli di turbare la libera
espressione della volontà dell’elettorato.
L’incompatibilità invece si manifesta come una situazione giuridica in cui il soggetto,
validamente eletto, non può cumulare nello stesso tempo la funzione di parlamentare con altra
carica. Dunque con incompatibilità si intendono quei limiti posti dal legislatore alla titolarità,
da parte di un medesimo soggetto, di più uffici pubblici al fine di garantire il buon andamento e
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Sentenza Corte Costituzionale 20 marzo 1969, n.46