anche se riferita al codice di procedura penale, e la sua natura.
Vengono di seguito esaminate le cause che possono portare alla
dichiarazione e gli effetti che la pronuncia di inammissibilità può
portare per la parte ricorrente. Dopo un breve accenno alle figure che
sono paragonabili all’istituto in questione, e cioè l’improcedibilità e
l’irricevibilità (quest’ultima in riferimento alla giustizia
amministrativa), viene analizzato l’atto che introduce il processo
tributario, il ricorso tributario, disciplinato dall’art. 18. Del ricorso
della parte ricorrente, vengono analizzati sia gli elementi necessari che
questo deve contenere sia gli obblighi procedurali al quale il ricorrente
deve attenersi affinché il giudizio possa costituirsi. Viene fatto
riferimento anche all'appello dinanzi alla Commissione tributaria
regionale, con l’evidenziazione delle differenze che le due tipologie di
ricorso presentano. A conclusione della prima parte del lavoro,
vengono proposti alcuni accostamenti procedurali tra il nuovo
processo tributario e il codice di procedura civile, incentrando
l’attenzione sulle novità che sono state apportate dal decreto
legislativo, che viene completato con la previsione fatta dall’art. 1,
dove si richiama esplicitamente l’applicabilità delle norme del codice
di procedura civile nel caso in cui le norme del decreto non
dispongano e dove siano, con esso, compatibili.
Nel secondo capitolo del lavoro, viene spostata l’attenzione
sulle varie tipologie di inammissibilità riscontrabili nel decreto. In una
prima fase viene analizzata l’inammissibilità per difetto di
legittimazione da parte del proponente del ricorso. Categoria questa
che viene suddivisa, al suo interno, in due sottocategorie: la mancata
legittimazione da parte del titolare e la mancanza (o comunque la non
appropriata) sottoscrizione del ricorso. Per quanto riguarda la prima
sottocategoria suddetta, il dato normativo di riferimento, è la lettera b)
dell’art. 18, che distingue fra i ricorsi presentati da persone giuridiche
e persone fisiche considerando le situazioni straordinarie in cui la
parte ricorrente può venirsi a trovare (procedure concorsuali). Riferito
alla seconda sottocategoria menzionata, la norma di riferimento è il
comma 3° dell’art. 15 e i commi 3° o 5° e 6° dell’art. 12 a seconda che
sia necessaria rispettivamente l’assistenza tecnica da parte di un
difensore abilitato oppure il ricorrente possa stare personalmente in
giudizio. La seconda causa di inammissibilità analizzata è la
mancanza di un difensore abilitato a mente dell’art. 12 che richiede
l’assistenza da parte di una delle figure menzionate nel 2° comma del
medesimo articolo per le cause con un valore superiore ai 5 milioni
delle vecchie lire oppure nel caso in cui il presidente della
commissione o della sezione ordini espressamente di munirsi di
assistenza abilitata o nel caso dei ricorsi emessi contro i Centri di
Servizio, fissando anche il termine. Il terzo difetto che genera
l’inammissibilità riguarda i motivi del ricorso, disciplinati dalla lettera
e) del comma 2° dell’art. 18. I motivi del ricorso assumono per il
ricorrente un’importanza fondamentale perché delimitano la materia
del contendere sottoposta alla commissione tributaria, rappresentando,
quindi, le singole questioni sulle quali il giudice tributario è chiamato
a pronunciarsi. La quarta causa di inammissibilità analizzata nel
lavoro è la mancanza del rispetto dei termini per la presentazione del
ricorso che, come sancito dall’art. 21 al 1° comma, porta alla “pena di
inammissibilità”. Ho considerato opportuno anche esplicare,
all’interno dell’analisi, come il termine debba essere calcolato e quali
modifiche debbano essere fatte al fine di rispettarlo. Particolare
attenzione è stata data anche ai termini del ricorso contro il rifiuto
tacito dell’amministrazione, così come viene stabilito dal 2° comma
dell’art. 21, dove il termine che viene dato non sancisce la fine del
diritto per proporre il ricorso ma, al contrario, il momento iniziale in
cui il diritto stesso può essere esercitato. L’ultima ipotesi di
inammissibilità nel processo tributario presa in esame, è quella
presente nel 3° comma dell’art. 22 riguardante la non conformità tra
l’atto depositato nella segreteria della commissione e quello
consegnato o spedito alla parte nei confronti cui il ricorso viene
proposto. Particolare attenzione viene anche prestata al 2° comma del
medesimo articolo dove, accostandosi al 1° comma dell’art. 157 e al
3° comma dell’art. 156 del codice di procedura civile, viene ribadita la
possibilità di rilevare l’inammissibilità d’ufficio e la sua insanabilità
nonostante il raggiungimento dello scopo, ovvero la costituzione in
giudizio della parte resistente, secondo le regole dettate dall’art. 23.
Nella terza ed ultima sezione dell’elaborato, prima di alcune
considerazioni proposte, viene esaminato l’istituto dell’esame
preliminare del ricorso da parte del presidente della sezione alla quale
il ricorso viene assegnato dal presidente della commissione tributaria,
a norma dell’art. 27. Del tema, vengono prese in considerazione,
anche con l’ausilio di un caso pratico, le questioni più rilevanti
dell’argomento e che hanno dato origine ad accesi dibattiti.
Successivamente, secondo quanto statuito dall’art. 28, viene analizzata
la possibilità che le parti costituite in giudizio hanno di reclamare
contro i provvedimenti del presidente, richiamando termini e le
procedure da seguire affinché la decisione sia presa dalla commissione
nella sua forma collegiale. Per completare l’iter logico del ricorso
dichiarato inammissibile, vengono fatte alcune considerazioni sugli
effetti del ricorso dichiarato inammissibile, considerando che il D.
Lgs. 546/1992 non entra nel merito della questione. Viene analizzata
la possibilità di applicare l’art. 60, che disciplina la non riproponibilità
dell’appello dichiarato inammissibile, al ricorso di primo grado, con
alcune considerazioni della giurisprudenza sulla possibilità o meno di
tale rimando, con i problemi che da esso possono derivare, e sulla sua
effettiva realizzabilità.
Capitolo 1 - L'Istituto dell'inammissibilità
1.1 L'Inammissibilità
Il vigente decreto legislativo che disciplina lo svolgimento del
processo tributario fa un ampio uso del termine "inammissibilità" con
riferimento a molteplici categorie di atti processuali. Anche se, a
differenza di quello che avviene per la figura della nullità, manca una
regolamentazione organica dell'istituto, è innegabile che
l'inammissibilità si affianca alla nullità quale forma di sanzione
dell'atto processuale invalido, dando così vita ad una specie particolare
di invalidità dell'atto del processo tributario.
L'inammissibilità va considerata, allo stesso modo della nullità
(tipo di invalidità che si suddivide in più sottospecie), alla stregua di
una categoria dalle linee non univoche, comprensiva, come per
l'istituto nominato precedentemente, di parecchie subspecie di
invalidità.
Possiamo quindi dire che l'istituto dell'inammissibilità è una
specie del genus "invalidità dell'atto processuale".
1.1.1 Definizione di inammissibilità
Tullio Delogu
1
, primo ad affrontare una trattazione monografica
dell'istituto, giunse a definire l'inammissibilità come "la qualifica
giuridica di quella domanda di parte che non ha l'attitudine a vincolare
il giudice ad emettere una pronuncia sul merito di essa"; in questa
ottica, l'espressione "a pena di inammissibilità" altro non
1
T. Delogu, Contributo alla teoria dell’inammissibilità nel diritto processuale penale, Milano,
1938, 178.
rappresenterebbe che l'ellissi dell'espressione "a pena di
inammissibilità di una trattazione di merito".
Con il termine domanda, riallacciandosi ad una nota
classificazione di Betti
2
, si voleva designare l'atto con cui la parte
richiede un provvedimento al giudice, ponendolo nella giuridica
necessità di pronunciarsi sul merito, positivamente o negativamente.
Proporre una domanda vuol dire, in definitiva, esercitare un potere.
Osserva il Delogu che le domande, per ragioni di garanzia e di
economia processuale, debbono essere proposte entro determinati
termini e secondo determinate forme; ed ancora, ragioni identiche
impongono che non chiunque possa chiedere al giudice un
provvedimento, ma solo colui che abbia determinati requisiti per farlo.
Emerge, in questa concezione la nota teoria dei presupposti
processuali intesi come le condizioni necessarie perché possa aversi
una pronuncia, favorevole o sfavorevole, sul merito della domanda;
chiarito che il giudice, anche constatando la mancanza di tali
presupposti, ha pur sempre il dovere di emettere una decisione con cui
dichiarare per quali motivi non può decidere sul merito, si spiega il
fondamento della "pronuncia di inammissibilità", frequentemente
contrapposta, nel nostro codice di rito, al "rigetto", termine adoperato
per indicare la soluzione negativa per ragioni attinenti al merito della
domanda.
2
E. Betti, Per una classificazione degli atti di parte, in Rivista diritto procedura civile, 1932, 178.
L'Autore distingue: comunicazione dei fatti e produzione dei mezzi; valutazioni della verità con
effetto vincolante; affermazioni e deduzione; dichiarazioni dispositive; dichiarazioni
comminatorie, domande.
1.1.2 Natura dell'inammissibilità
L'atto processuale carente dei requisiti che la legge impone a
pena di inammissibilità a causa della difformità dal modello
normativo, non è idoneo a produrre gli effetti cui sarebbe stato in
astratto preordinato, in ciò sostanziandosi il fenomeno dell'invalidità
dell'atto processuale.
Per cogliere la natura dell'inammissibilità è necessario fermare
l'attenzione sugli atti che possono essere colpiti. Si tratta, in ogni caso,
di atti proposti dalla parte e non di atti del giudice. Ma non basta
questa differenziazione per individuare la tipologia di atti interessati
dall'istituto in questione. In prevalenza si tratta di atti introduttivi di
una fase eventuale del processo (impugnazione) o di un procedimento
incidentale o di rapporto accessorio.
Sotto il profilo della natura giuridica l'inammissibilità può
essere riconducibile, come per l'istituto della nullità, al concetto di
invalidità.
Poiché i requisiti di ammissibilità attengono sempre l'atto
introduttivo del procedimento e questo è presupposto di tutti gli atti
successivi, è evidente che l'invalidità si riverbera necessariamente su
di essi per il fenomeno dell'invalidità derivata.
Questo spiega perché parte della dottrina riferisca
l'inammissibilità non a singoli atti processuali, ma al rapporto
processuale o ad una sua fase oppure al procedimento. Ciò è utile per
esprimere la particolare forza diffusiva di tale tipo di
invalidità,tenendo presente che il rapporto processuale risulta invalido
perché è invalido il suo atto introduttivo e, quindi, che
l'inammissibilità si riferisce a singoli atti processuali, così come
avviene per la nullità.
1.1.3 Cause generali di inammissibilità
Tutti gli atti soggetti a valutazione di inammissibilità, dunque,
sono caratterizzati da una situazione di potere della parte rispetto al
giudice, che può essere posto nella giuridica necessità di provvedere
sulla domanda (accogliendola o rigettandola). Nell'erroneo esercizio
del potere, dal quale consegue per il giudice il dovere di astenersi dal
provvedere, trova proprio fondamento l'inammissibilità.
Partendo da questa considerazione, ci sembra indubitabile che,
al di fuori di espressa previsione "a pena di", debba sempre
considerarsi inammissibile l'atto posto in essere dal soggetto diverso
da quello a cui la legge attribuisce il relativo potere; difatti, la parte
alla quale non sia stato attribuito il potere agisce in una situazione di
carenza legislativa.
D'altro canto, è del tutto evidente che debba essere dichiarato
inammissibile l'atto posto in essere da una parte originariamente
provvista del relativo potere, dopo che si sia consumato un termine
previsto a pena di decadenza: essendosi verificata tale vicenda
estintiva del processo, la parte agisce in una situazione di carenza
(salva rimmessione dei termini) e non può quindi porre il giudice nella
necessità di provvedere.
Dobbiamo giungere ad una identica conclusione quando si sia
agito senza mai averne avuto il potere.
Inoltre, vi sono casi nei quali, anche mancando un’esplicita
previsione "a pena di decadenza", si deduce, senza il minimo dubbio,
che un certo atto debba, a causa della sua natura e funzione nello
svolgimento del processo, essere necessariamente compiuto entro un
determinato termine.
Ad una soluzione in senso opposto, deve pervenirsi per quanto
riguarda le disposizioni che impongono l'uso di determinate forme
(riferito anche al contenuto) al soggetto che pone in essere un
determinato atto processuale. Mancando una espressa sanzione di
inammissibilità, il requisito richiesto deve intendersi come semplice
condizione di regolarità dell'atto, la cui assenza non incide sugli effetti
e quindi sulla validità del medesimo. Vista la presenza del potere di
porre in essere un certo atto, sarebbe del tutto arbitrario presumere che
la forma dettata per il suo compimento debba automaticamente
intendersi prevista sotto pena di inammissibilità. Nulla autorizza una
tale interpretazione.
La rassegna delle varie cause di inammissibilità pone in rilievo
come esse siano assai eterogenee.
In alcuni casi, si tratta di difetti inerenti alla forma in senso
stretto ed ai requisiti di contenuto di un atto, altre volte di
inosservanza del termine per il compimento dell'atto, talvolta di
mancati adempimenti contestuali o successivi al compimento dell'atto.
In tutti questi casi l'inammissibilità consegue al mancato
assolvimento di un onere da parte del soggetto che compie l'atto. Non
si tratta però di un dato costante poiché l'inammissibilità può anche
derivare dall'assenza di requisiti la cui realizzazione non dipende dalla
volontà del soggetto agente (si pensi alla non titolarità del diritto
d'impugnazione, all'obbiettiva inoppugnibilità del provvedimento od
alla mancanza di interesse).
Non pare quindi possibile caratterizzare l'inammissibilità dal
punto di vista delle cause che le danno origine.