2
Nel concetto di deficienza rientrano “tutti gli stati di mancato sviluppo, di
sviluppo imperfetto e di inazione delle facoltà mentali, anche soltanto
transitoria, come nel sonnambulismo, che valgono ad escludere
l’imputabilità”. Il concetto di alterazione morbosa comprende “qualsiasi forma
di patologia mentale, permanente o accidentale, generale o parziale”. Con
l’espressione mente poi si intendono “tutte le facoltà psichiche dell’uomo,
dalla memoria alla coscienza, dalla intelligenza alla volontà, dal raziocinio al
senso morale”
5
.
Una volta accertato positivamente il presupposto biologico è però
necessario, secondo l’art. 47, compiere un nuovo giudizio, volto a verificare
la presenza del secondo presupposto, quello psicologico-normativo, in virtù
del quale la presenza della deficienza o della morbosa alterazione mentale,
per poter escludere l’imputabilità dell’autore del fatto, devono essere tali “da
togliergli la coscienza dei propri atti o la possibilità di operare altrimenti”,
ossia tale da escludere la capacità di intendere e di volere.
Tuttavia, sin dall’inizio, tale metodo apparve insoddisfacente e incapace di
realizzare proprio gli scopi per il raggiungimento dei quali fu concepito.
In particolare, il ricorso a una formula generale, senza alcuna indicazione
specifica delle cause di esclusione di imputabilità apparve troppo generica e
incapace di soddisfare le esigenze di trasparenza e certezza
nell’applicazione delle norme, anche in previsione di una costante evoluzione
nel tempo del concetto di malattia mentale. Di conseguenza si riconobbe già
allora la sua inidoneità a delimitare chiaramente gli spazi di operatività della
disciplina della non imputabilità per vizio di mente.
L’articolo 47 venne in seguito modificato da parte della Commissione
preposta alla revisione definitiva del progetto. La norma, nel testo definitivo
dell’articolo 46 dispone: “Non è punibile colui che, nel momento in cui ha
commesso il fatto, era in tale stato di infermità di mente da togliergli la
coscienza o la libertà dei propri atti”, ma l’utilizzo di nozioni “più sintetiche ma
specifiche
6
” non servì a fugare i dubbi e le perplessità della dottrina e della
prassi.
1.2 La semi-imputabilità
Nel nuovo codice Zanardelli trova accoglimento anche la disciplina della
semi-imputabilità. L’articolo 47 prevede, infatti, che: “Quando lo stato di
mente indicato nell’articolo precedente era tale da scemare grandemente la
imputabilità, senza escluderla, la pena stabilita per il reato commesso è
diminuita”.
Al secondo comma si riconosce al giudice la facoltà di ordinare che la pena
detentiva inflitta venga scontata in una casa di custodia, fino all’eventuale
revoca da parte dell’autorità competente.
Ben presto, però, anche tale norma ricevette spietate critiche da parte della
dottrina, che non mancò di sottolineare la “risibilità” della categoria della
semi-imputabilità, nonché, la sua totale inefficacia sotto il profilo della difesa
sociale. In realtà, almeno dal punto di vista sanzionatorio, questa “misura
ibrida di pena e di cura”
7
aveva il pregio di riservare al condannato semi-
5
Relazione, cit., 368 ss.
6
BERTOLINO M., op. cit., 367.
7
MUSCO E., La misura di sicurezza detentiva – Profili storici e costituzionali, Milano, 1978,
19 ss.
3
infermo un “trattamento speciale”
8
, evitando il cumulo di pena e misura di
sicurezza. Tuttavia, prevedendo una pena la cui durata era predeterminata,
tale misura venne criticata in quanto poteva consentire, a pena espiata, la
restituzione in libertà del condannato, quand’anche perdurasse la sua
pericolosità in relazione all’infermità mentale.
1.3 Le sanzioni
Per quanto concerne il trattamento da riservare ai soggetti riconosciuti non
imputabili per infermità di mente, inizialmente l’art. 47, comma 2, del progetto
del codice penale Zanardelli stabiliva che il giudice potesse “ordinare il
ricovero del soggetto prosciolto per infermità di mente in un manicomio
criminale o comune”, per rimanervi sino a che l’Autorità competente lo
giudicasse necessario.
Tale scelta, che seguiva gli orientamenti della Scuola positiva, si giustificava
non come misura repressiva, bensì come strumento di prevenzione sociale
nonché di cura e assistenza del malato di mente.
Questa disposizione, però, non fu accolta dalle Commissioni parlamentari, in
quanto “avrebbe permesso al magistrato di decretare la reclusione, sia pure
in manicomio, e a tempo indeterminato, di un cittadino autore dei fatti più
insignificanti, affetto da infermità la più lieve ed innocua…nel quale il
disgraziato troverebbe sorte e trattamento più duri e più tristi di quelli del
carcere”
9
.
La norma, dunque, nella sua stesura definitiva dispose che “il giudice,
nondimeno, ove stimi pericolosa la liberazione dell’imputato prosciolto, ne
ordina la consegna all’autorità competente per i provvedimenti di legge”.
(art.46, cpv.).
Il generico affidamento all’autorità competente si sostanziava nel ricovero in
un manicomio comune, di competenza del giudice civile, sempre che il
giudice penale avesse ritenuto non solo pericoloso il soggetto, ma anche
bisognoso di un affidamento di tal genere. In caso contrario, il prosciolto
poteva anche essere affidato ai parenti o a privati che si assumessero
l’impegno di cura e di custodia del soggetto.
Tale disposizione dunque, scartando le istanze positivistiche, rispondeva
invece alle esigenze di rispetto dei fondamentali principi liberal-garantistici,
quali quello di umanità, di equità e di razionalità del diritto penale.
Il codice Zanardelli rappresenta, pertanto, la ”realizzazione del modello di
diritto penale teorizzato dalla scuola classica”
10
e, come vedremo in
seguito
11
, le scelte operate dal legislatore del 1889 troveranno conferma nei
recenti orientamenti di riforma della disciplina attuale sull’imputabilità.
8
BERTOLINO M., op. cit., 376.
9
Relazione, cit., 373 ss.
10
DOLCINI E., voce Codice penale, in Dig. Disc. Pen., Torino, 1989, 276.
11
V. postea, sub cap. 5.
4
2.1 Il codice Rocco. L’art. 85
I principi liberal-garantistici che ispirarono il codice Zanardelli dovettero,
tuttavia, far posto alle istanze repressive, tipiche degli Stati autoritari, e alle
idee proposte dalla Scuola positiva e dalla Scuola moderna, che portarono,
nel 1930, alla stesura di un nuovo codice penale, il codice Rocco.
Per quanto riguarda la disciplina relativa all’imputabilità, il legislatore del
1930 la colloca nel titolo IV del libro I, rubricato “Del reo e della persona
offesa”, distinguendola nettamente dalle altre componenti soggettive del
reato, e introduce all’art. 85 una definizione generale di soggetto imputabile:
“Nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato
se, al momento in cui lo ha commesso, non era imputabile. È imputabile
chi ha la capacità di intendere e di volere”.
L’imputabilità, secondo l’art.85, “è il requisito indefettibile per l’accertamento
della responsabilità penale e per il conseguente assoggettamento alla
pena
12
, e, come regola generale
13
, coincide con la capacità di intendere e di
volere.
2.2 La capacità di intendere e di volere
Una volta preso atto della estrema genericità della formula capacità di
intendere e di volere prevista dall’art. 85, e considerato che, “come accade in
generale per i concetti disposizionali, che… indicano non già i dati fisici del
mondo esterno percepibili con i sensi, bensì capacità, attitudini etc., anche il
concetto di imputabilità si precisa meglio attraverso il riferimento alle sue
condizioni d’uso nella prassi applicativa e, dunque, alle cause patologiche
che la escludono o diminuiscono”
14
, si discute se sia possibile distinguere
concettualmente la capacità d’intendere da quella di volere. Parte della
dottrina, facendo leva sulle più recenti acquisizioni della psicologia, nega tale
possibilità, in quanto “si tratterebbe di momenti coessenziali nella definizione
della psiche umana”
15
, la quale andrebbe considerata nella sua unità
sostanziale.
Tuttavia, conformemente all’insegnamento tradizionale, si continua a
differenziare i due requisiti, e si definisce la capacità d’intendere come
“l’attitudine ad orientarsi nel mondo esterno secondo una percezione non
distorta della realtà, e quindi, come la capacità di comprendere il significato
del proprio comportamento e di valutarne le possibili ripercussioni positive o
negative sui terzi”
16
.
La capacità di intendere, dunque, non è solo l’attitudine del soggetto a
conoscere la realtà esterna, ma anche a rendersi conto del valore sociale
degli atti che egli compie, ossia, comprendere che essi contrastano con le
esigenze della vita in comune. Il non sentire il disvalore sociale di un fatto,
12
LATTANZI G. - LUPO E., Codice penale: rassegna di giurisprudenza e dottrina, vol. 3
0
,
libro 1
0
, Milano, 2000, 2. “L’imputabilità è, dunque, il presupposto della responsabilità per la
pena” (MANTOVANI F., Diritto penale, parte generale, Padova, 2001,665); per una
definizione esauriente del concetto di imputabilità nell’ambito di una sua collocazione
sistematica nella teoria generale del reato, v. postea, sub cap. 3.
13
“ L’art. 85… svolgerebbe una funzione programmatica, ponendo una regola generale che
trova alcune eccezioni in altre norme del capo I”. V. in proposito LATTANZI G. - LUPO E.,
op. cit., 2.
14
FIANDACA G. - MUSCO E., Diritto penale, parte generale, 4
a
ed., Bologna, 2001, 298.
15
LATTANZI G. - LUPO E., op. cit., 2.
16
FIANDACA G. - MUSCO E., op. cit., 297.
5
”che è nella sua essenza solo uno status psichico di incomunicabilità tra
individuo e società”
17
, diventa incapacità di intendere solo se deriva da
infermità di mente o da situazioni equiparate. “Tale capacità d’intendimento
dei fatti non ne presume, invece, necessariamente, né il sentimento morale
né tanto meno l’adesione morale. Chi è privo di sentimento (personalità
psicopatiche disaffettive; gli appartenenti a sottoculture per i quali certi fatti
sono sentiti come vincolanti sulla base di codici extratestuali: vendetta,
omicidio per causa d’onore, etc.) o chi dissente da certi valori (soggetti
devianti, rivoluzionari) non è perciò solo incapace d’intendere”
18
.
La capacità di volere, invece, consiste “nel potere di controllare gli impulsi
ad agire e di determinarsi secondo il motivo che appare più ragionevole o
preferibile in base a una concezione di valore: in altri termini, è l’attitudine a
scegliere in modo consapevole fra motivi antagonistici. Da questo punto di
vista la capacità di volere presuppone necessariamente la capacità di
intendere il significato dei propri atti: nihil volitum nisi praecognitum”
19
.
2.3 Presenza contemporanea
I due requisiti devono essere entrambi presenti nel soggetto affinché sia
imputabile agli effetti del diritto penale, e allora si ha “quella che
genericamente può essere definita normalità psichica. Ciò accade allorché
nel soggetto le tensioni determinate dai sentimenti, dai bisogni, dai desideri e
dagli interessi si svolgono senza particolari conflitti psichici e si traducono in
corrispondenti azioni, di cui costituiscono il motivo determinante, sulla base
di un parametro normale di comportamento che denota il possesso
dell’autonomia psichica, dell’esistenza di nozioni etiche e della facoltà di
autodeterminazione”
20
.
“La capacità d’intendere e di volere, secondo il concetto della legge, manca
in due categorie di individui: in quelli che non hanno un sufficiente sviluppo
intellettuale e in coloro che sono affetti da gravi anomalie psichiche. Il
contenuto sostanziale dell’imputabilità, pertanto, va ravvisato nella maturità
psichica e nella sanità mentale”
21
.
17
MANTOVANI F., op. cit., 667.
18
Ibidem.
19
FIANDACA G. – MUSCO E., op. cit., 297.
20
CARACCIOLI I., Manuale di diritto penale, parte generale, Padova, 1998, 558; per una
rassegna delle teorie psichiatriche e psicologiche intorno al concetto di normalità psichica, v.
meglio postea, sub cap. IV.
21
ANTOLISEI F., Manuale di diritto penale, parte generale, MILANO, 2000, 608.
6
3 Art. 88: il vizio totale di mente
Tra le cause di esclusione dell’imputabilità, il codice Rocco prevede il vizio di
mente, che viene scorporato in due forme: “totale” e “parziale”.
L’art. 88 stabilisce: “Non è imputabile chi, nel momento in cui ha
commesso il fatto, era, per infermità, in tale stato di mente da escludere
la capacità di intendere o di volere”.
In primo luogo, vediamo che, in base al testo legislativo, il vizio di mente è
uno stato di mente derivante da infermità, che esclude la capacità di
intendere e di volere.
L’infermità a cui fa riferimento l’art. 88 è innanzitutto quella psichica. Con
questo termine, il legislatore intese, come si legge nella Relazione, limitare la
rilevanza dell’incapacità ai soli disturbi su base organica e alle situazioni
patologiche clinicamente accertabili. Tuttavia, secondo la dottrina
maggioritaria, nel suo significato letterale, il concetto di infermità sarebbe più
ampio di quello di malattia, e ricomprenderebbe, perciò, al suo interno, non
più solo i quadri nosograficamente definiti, ma anche altre situazioni
morbose, anche se non definite clinicamente. Questa tesi, inoltre, sarebbe in
linea con la ratio sottesa alle norme sull’imputabilità: “ai fini del giudizio sulla
capacità di intendere e di volere, non interessa tanto che la condizione del
soggetto sia esattamente catalogabile nel novero delle malattie elencate nei
trattati di medicina, quanto che il suo disturbo abbia in concreto l’attitudine a
compromettere gravemente le facoltà intellettive e volitive
22
.
La giurisprudenza, a questo proposito, ha più volte affermato che il vizio di
mente, sia totale che parziale, presuppone l’esistenza di un’infermità, ossia di
un vero e proprio stato patologico, il quale però, può derivare tanto da una
malattia in senso stretto, quanto da un’anomalia psichica che, pur al di fuori
della classificazione medico psichiatrica, sia clinicamente accertabile e tale
da alterare notevolmente i processi dell’intelligenza e della volontà
23
,
secondo quanto impone il metodo misto, accolto anche dal codice Rocco
24
.
Vista la genericità del termine infermità, al suo interno va ricondotta non solo
l’infermità mentale, ma anche quella fisica.
Per infermità fisica si intende “una disfunzione di origine fisica ed
organica“
25
, ossia, un’infermità “di carattere non mentale che
momentaneamente turbi le funzioni psichiche”
26
. Si pensi a malattie come la
poliomielite, la sclerosi multipla, il diabete e il tumore, le quali, quando siano
di notevole gravità e in condizioni particolari, possono cagionare un vizio di
mente (es. delirio febbrile, disturbi mentali organici dovuti a squilibri
metabolici, ipoglicemia o vasculopatie).
22
FIANDACA G. – MUSCO E., op cit., 300; v.meglio postea, sub cap. IV, par. 4.2.
23
Cass., sez. I, 4 luglio 1996, in Rep. Foro it., 1996, voce Imputabilità, n. 3.
24
Per una disamina più approfondita delle infermità mentali idonee ad escludere
l’imputabilità, v. meglio postea, sub par. 4.
25
Relazione del Ministro della Giustizia alla Camera e al Senato del Regno, in LATTANZI G.
– LUPO E., op. cit., 21.
26
NUVOLONE P., Il sistema del diritto penale, 2
a
ed., Padova, 1982, 262.
7
3.1 Momento di rilevanza
Per indirizzo costante dottrinale e giurisprudenziale si riconosce che la
capacità di intendere e di volere può essere esclusa non necessariamente da
un disturbo di carattere permanente, bensì anche da un’infermità transitoria,
purchè, naturalmente, sia in grado di far venir meno i presupposti
dell’imputabilità. Infatti, secondo il disposto degli artt. 85, 88 e 89, ai fini del
giudizio di imputabilità, l’alterazione mentale deve sussistere al momento
del fatto
27
. Così, l’imputabilità può essere esclusa nel caso di depressione
reattiva, “una malattia mentale consistente in uno squilibrio dell’umore che
arreca sofferenze incontrollabili e regredisce totalmente con la rimozione
della causa esterna che l’ha provocata”
28
.
Ancora, con riguardo alle malattie mentali con manifestazioni intervallate,
quale l’epilessia , ci si è posto il problema se sia imputabile il soggetto che
commette il fatto nei c.d. momenti di lucido intervallo
29
. Poiché l’epilettico,
anche se si trova in un momento di lucidità, resta comunque affetto da
malattia mentale durevole, “è a questa che deve guardarsi per vedere caso
per caso, se ed in che misura la sua incidenza sull’intera psiche influisca
sulla capacità di intendere e di volere”
30
. Pertanto, l’epilettico che delinque,
sarà imputabile solo se il reato è stato compiuto “in una fase intervallare
libera da disturbi di natura patologica, mentre sarà totalmente o parzialmente
inimputabile se il reato, pur se compiuto in fase intervallare, è espressivo di
alterazioni di tipo psichiatrico”
31
.
3.2 Nesso causale
Negli articoli 85, 88 e 89, come abbiamo visto, si richiede un collegamento di
natura cronologica tra malattia e fatto. Ci si chiede se tra questi due elementi
debba esserci anche un nesso di carattere eziologico, ossia un rapporto di
“coerenza tra causa del vizio di mente e tipo di illecito realizzato dal soggetto
non imputabile”
32
. La dottrina dominante, tenuto conto della lettera del
codice, risponde in senso negativo, propendendo per la soluzione più
favorevole all’autore del fatto, e ritiene, dunque, requisito necessario e
sufficiente ai fini dell’esclusione dell’imputabilità, che il fatto sia stato
27
“E la relativa indagine deve essere compiuta di volta in volta, poiché la malattia
precedentemente diagnosticata può essere al momento guarita, o attenuata o localizzata in
una determinata sfera di attività” (Cass., sez. III, 13 febbraio 1998, in Rep. Foro it., 1998,
voce Imputabilità, n. 15).
28
FIANDACA G. – MUSCO E., op. cit., 303.
29
Fermo restando che, durante la crisi epilettica, l’imputabilità è pacificamente esclusa, v.
postea, sub par. 4.
30
MANTOVANI F., op. cit., 707.
31
Ibidem; v. anche Cass., sez. I, 2 marzo 1992, in Rep. Foro it., 1992, voce Imputabilità, n.
5. Secondo Nuvolone, per quanto la puntualizzazione legislativa del momento del fatto
possa indurre ad una risposta favorevole all’affermazione dell’imputabilità, allorché l’azione
criminosa provenga da un soggetto non clinicamente guarito, (e talune malattie mentali non
possono mai considerarsi clinicamente guarite), il fatto che essa sia stata commessa in un
lucido intervallo non deve portare ad un’imputazione come se si trattasse di individuo capace
di intendere e di volere. “Il malato di mente, anche se si trova in un periodo di lucidità, è solo
apparentemente sano, e la sua azione criminosa non può non ritenersi manifestazione della
sua malattia”. (NUVOLONE P. op. cit., 263).
32
MARINI G., voce Imputabilità, in Dig. disc. pen., VI, Torino, 1992, 255.
8
commesso durante lo stato di infermità, senza dover stabilire se il reato
dipende o no dall’infermità stessa
33
.
Il fenomeno acquista rilevanza in ordine alle c.d. monomanie , ossia a quei
fenomeni patologici, quali la cleptomania, la piromania, l’erotomania, la
mitomania etc., in forza dei quali certi soggetti, perfettamente normali in tutti
gli altri settori della loro personalità, ”si presentano indifesi in un settore
particolare, nel quale non usufruiscono di adeguati freni inibitori”
34
. Cosa
succede, allora, se un monomane commette un reato del tutto al di fuori della
sua mania, ad esempio un cleptomane commette un reato sessuale o un
erotomane commette una truffa? La risposta è nel senso che, non
richiedendosi detto collegamento causale, il soggetto potrà essere
considerato inimputabile come se avesse compiuto un fatto dipendente dalla
sua infermità, sempre che, ovviamente, la patologia di cui soffre produca un
vizio di mente rilevante ex artt. 88 - 89. D’altronde, sotto il profilo della politica
criminale, sarebbe assurdo ed illogico applicare una pena a chi resta pur
sempre un soggetto malato, e come tale meritevole dell’intervento in
prevenzione speciale terapeutico della misura di sicurezza
35
.
4 Le infermità mentali che escludono la capacità di intendere e di
volere secondo la dottrina e la giurisprudenza
a) psicosi esogene od organiche
La dottrina e la giurisprudenza sono concordi nel ritenere che siano idonee a
escludere la capacità di intendere e di volere innanzi tutto le malattie
psichiatriche in senso stretto, quali le psicosi
36
,caratterizzate dalla perdita
dei nessi logici e/o del senso della realtà, nonché della coscienza della
malattia, e, in particolare, quelle esogene od organiche,
nelle quali i disturbi
psichici sono riconducibili ad un processo morboso che agisce
dimostrabilmente a livello anatomico-organico-cerebrale: psicosi
traumatiche da lesioni cerebrali; psicosi infettive che provocano una paralisi
progressiva; demenze presenili e senili, quali il morbo di Alzheimer o la
malattia di Pick; arteriosclerosi cerebrale e atrofia cerebrale; oligofrenie
33
Così CARACCIOLI I., op. cit., 566.
34
Ibidem, 565. V. però MANTOVANI, il quale aderisce alla teoria che ritiene erronea la
convinzione che tali malattie colpiscano un solo settore della personalità, lasciando inalterati
gli altri. Di conseguenza appare più corretta, per questo tipo di disturbi, la definizione di
deliri sistematizzati piuttosto che monomanie. (MANTOVANI F., op. cit., 708).
35
Così MARINI G., voce Imputabilità, in Dig. disc. pen., cit., 256; In senso contrario v.,
tuttavia, PAGLIARO A., Principi di diritto penale, parte generale, Milano, 2000, 634 e
CRESPI, il quale, correttamente, sottolinea che, anche in questa circostanza, valga la regola
generale in virtù della quale “caso per caso, abbia ad essere opportunamente esaminata
l’influenza che una determinata malattia può aver eventualmente spiegato su tutta la
funzionalità fisica e psichica dell’individuo, condizionandone concretamente la capacità di
intendere e di volere (CRESPI A., voce Imputabilità, (diritto penale), in Enc. dir., XX, Milano,
1970, 774); nello stesso senso v. Assise Perugia, 27 febbraio 1995, in Riv. pen., 1996, 209,
secondo cui “per escludere l’imputabilità è altresì necessario che il fatto commesso sia in
diretta connessione con la accertata infermità per cui la imputabilità va dichiarata ogni qual
volta essa non ha un’efficacia eziologia con l’evento”.
36
Nel DSM – III, il termine psicosi indica la presenza di uno o più dei seguenti sintomi:
allucinazioni, delirio, comportamento disorganizzato o catatonico e disturbi gravi
dell’ideazione quali incoerenza, ripetuta diminuzione o perdita dell’associazione, povertà di
pensiero o linguaggio marcatamente illogico.(CHURCHILL’S MEDICAL DICTIONARY,
Torino, 1994, 1556 ss).
9
derivanti, per esempio, da malformazioni congenite
37
. Questa classificazione
della dottrina coincide con la definizione di malattie mentali in senso stretto
operata dalla giurisprudenza, che parla di “insufficienze cerebrali originarie e
di quelle derivanti da conseguenze stabilizzate di danni cerebrali di varia
natura”
38
, ossia, disturbi psichici su base organica che producono alterazioni
dell’organismo clinicamente accertabili mediante esami quali l’ EEG
(elettroencefalogramma), RX (radiografia del cranio), TAC e RMN (risonanza
magnetica).
b) psicosi endogene o funzionali
Nell’ambito delle malattie in senso stretto idonee a escludere l’imputabilità
penale rientrano, inoltre, le psicosi endogene o funzionali, disturbi psichici in
relazione ai quali non è stato ancora dimostrato dalla sperimentazione
psichiatrica che siano certamente dovuti ad alterazioni strutturali od
organiche, ma che si ritengono comunque legati a una predisposizione o a
un condizionamento biologico
39
. Anche queste ultime rientrano nelle
malattie in senso stretto o nei c.d. stati patologici che, secondo la
giurisprudenza prevalente, seppure non provvisti di sicura base organica,
sono idonee, per la loro intensità, a escludere totalmente o scemare
grandemente la capacità di intendere e di volere
40
.
Tra le psicosi endogene, ricordiamo la psicosi maniaco-depressiva
41
o
ciclotimia, detta anche “disturbo bipolare”, e la schizofrenia
42
. In particolare,
la schizofrenia paranoidea, è idonea ed escludere l’imputabilità quando sia
caratterizzata da profonda alterazione del rapporto con la realtà emergente
da una sintomatologia costituita da allucinazioni uditive e visive, delirio di
persecuzione , meccanismi ossessivi e simili
43
.
c) epilessia
Tra i disturbi organici che non rientrano propriamente nelle psicosi ma sono
comunque idonei a escludere la capacità di intendere e di volere, assume
rilievo l’epilessia. “Per quanto riguarda le azioni commesse durante l’accesso
epilettico, la non punibilità dell’agente è assolutamente pacifica”
44
. Nel
momento del raptus, infatti il malato è colto da una crisi che, provocando
37
ROMANO M. – GRASSO G., Commentario sistematico del codice penale, II, art. 85 – 149,
Milano, 1996, 33.
38
Cass., sez. VI, 28 ottobre 1993, in Rep. Foro it., 1994, voce Imputabilità, n. 7; Assise
Perugia, 27 febbraio 1995, cit.; Cass., sez. I, 20 ottobre 1997, in Rep. Foro .it., 1998, voce
Imputabilità, n. 13.
39
ROMANO M., GRASSO G., op. cit, 33; CHURCHILL’S MEDICAL DICTIONARY, cit,
1557; BERTOLINO M., op. cit, 398 ss.
40
Cass., sez. I, 25 febbraio 1991, in Rep. Foro it, 1992, voce Imputabilità, n. 4; Cass., sez. I,
4 luglio 1996, cit.
41
“Disordine affettivo che consiste in mutamenti dell’umore acuti, periodici, autolimitantesi,
con tendenza alla ripetizione. Gli episodi sono di natura maniacale o depressiva, o mostrano
una miscellanea di entrambe al tempo stesso”. (CHURCHILL’S MEDICAL DICTIONARY, cit,
1557). Per un caso di psicosi maniaco-depressiva ciclica, risolto nel senso del
riconoscimento della seminfermità, v. Ass. Napoli, 16 febbraio 1977, in Giur. Merito, 1978, n.
11.
42
“Con il termine schizofrenia s’intende un insieme di quadri clinici caratterizzati da
evoluzione cronica, deterioramento della personalità, sintomi psicotici (deliri, allucinazioni,
catatonia, disordini ideativi) almeno in alcune fasi del decorso”. (CASSANO G. B. [a cura di],
Manuale di psichiatria, Torino, 1994, 307).
43
G.i.p. T. Ragusa, 24 marzo 1993, in Rep. Foro it., 1994, voce Imputabilità, n. 10; T.
Avellino, 2 gennaio 2001, in Rep. Foro it., 2001, voce Imputabilità, n. 13.
44
LATTANZI G. – LUPO E., op. cit., 31 ss.
10
movimenti e spasmi incontrollabili, può determinare movimenti degli arti e del
corpo di cui il malato, in quel momento, non può rendersi conto
45
.
d) abnormità psichiche
Le personalità abnormi, o border-line, “appartengono, dal punto di vista
psichiatrico, a quella vasta zona che occupa lo spazio intermedio tra
normalità ed anormalità, potendo secondo la varietà e l’intensità
dell’anomalia psichica, accostarsi all’una o all’altra delle linee di confine”
46
. In
questa definizione si fanno rientrare, in genere, tutti quei disturbi del
carattere, della personalità, del comportamento e del sentimento che, pur
provocando delle reazioni abnormi o dei disturbi nell’elaborazione della
realtà che influiscono sui processi di determinazione o di inibizione di
un soggetto, non sono tali da alterare, in senso esclusivo o riduttivo, la
capacità di intendere e di volere, in quanto, a differenza delle psicosi, “non
comportano, di per sé, una perdita del senso della realtà e le loro
manifestazioni si muovono ancora nell’ambito di una certa comprensibilità o
non totale assurdità della reazione psichica”
47
.
Così, secondo la giurisprudenza dominante,non determinano un infermità di
mente rilevante ai fini dell’esclusione dell’imputabilità le nevrosi (o neurosi) e
le psicopatie, in quanto, per i motivi suddetti, non integrano il concetto di
infermità richiesto dagli artt. 88 e 89
48
, o, comunque, pur integrando il
concetto di infermità, non sono sufficienti “per integrare un vizio parziale o
totale di mente, i quali sono legati a una condizione di incapacità dovuta a
infermità, e non all’infermità di per sé stessa considerata”.
49
Tali anomalie “possono elevarsi a causa che incide sull’imputabilità solo
quando su di esse si innesti o si sovrapponga uno stato patologico”
50
, ossia,
quando “queste si manifestino con elevato grado di intensità e con forme più
complesse tanto da integrare gli estremi di una vera e propria psicosi”
51
.
Tra le abnormità psichiche rientrano, secondo un orientamento consolidato:
d
1
) le degenerazioni dell’istinto sessuale, compresa la pedofilia
52
, salvo che
siano il sintomo di uno stato patologico vero e proprio
53
, ossia, di una
manifestazione morbosa rivelatrice della mancanza, totale o parziale, della
facoltà intellettiva o volitiva;
d
2
) la sindrome ansiosa depressiva, in quanto, innestandosi in una
iperemotiva personalità di base “determinata da un’esasperazione del
45
Cass., sez. I, 2 marzo 1992, cit.; Cass., sez. I, 26 giugno 1992, in Rep. Foro it., voce
Imputabilità, 1993, n. 10; Cass., sez. VI, 19 gennaio 1993, in Rep. Foro it., 1994, voce
Imputabilità, n. 9.
46
LATTANZI G. - LUPO E., op. cit, 27.
47
ROMANO M. - GRASSO G., op. cit, 33; “Per psicosi si intende un disturbo generalmente
grave, con perdita di contatto con la realtà, sintomi inconsueti in soggetti normali (es. deliri,
allucinazioni), scarsa coscienza di malattia; per nevrosi si intende un disturbo in genere
meno grave, con conservazione del contatto con la realtà, sintomi che in proporzione ridotta
possono trovarsi in chiunque (es. ansia, ossessioni), buona coscienza di malattia”.
(CASSANO G. B. [a cura di], op. cit., 9).
48
Cass., sez. V, 19 novembre 1997, in Rep. Foro it., 1999, voce Imputabilità, n. 10; Cass.,
sez. I, 20 ottobre 1997, cit.
49
Cass., sez. V, 27 ottobre 1999, in Rep. Foro it., 2000, voce Imputabilità, n. 13;
50
Cass., sez. VI, 17 aprile 1997, in Rep. Foro it., 1998, voce Imputabilità, n. 14.
51
Cass., sez. I, 4 marzo 1997, in Rep. Foro it., 1998, voce Imputabilità, n. 10.
52
T. Firenze, 19 luglio 1998, in Rep. Foro it., 2000, voce Imputabilità, n. 15.
53
Assise A. Trento, 29 novembre 1994, in Rep. Foro it., 1996, voce Imputabilità, n. 6; Assise
Perugia, 27 febbraio 1995, cit.