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diffusione. Un contributo, quello coasiano, che si basa su ipotesi che
egli descrive - citando Joan Robinson – come ‘maneggevoli’ e
corrispondenti alla realtà degli scambi economici e dell’organizzazione
produttiva.
L’analisi coasiana è particolarmente ricca, al punto che l’approccio
coasiano è stato esteso ed applicato a tutte le organizzazioni
economiche, non solo a quelle riconducibili all’attività di impresa. Nei
paragrafi che seguono si ripercorrerà lo sviluppo logico della teoria
coasiana e delle questioni da essa poste all’analisi economica delle
istituzioni.
1.2 L’economia come scienza delle scelte
Coase (1988) afferma che l’attuale visione dominante dell’economia –
riconducibile al paradigma neoclassico della concorrenza perfetta – è
quella di una scienza che studia il comportamento umano nei termini di
una relazione tra risultati e mezzi scarsi passibili di usi alternativi,
quindi scienza delle scelte umane.
Di fatto, secondo Coase (1988), la maggior parte degli economisti
restringe la propria analisi ad un campo di scelte molto più ristretto di
quello che la visione teorica dominante suggerirebbe.
Gli economisti studiano come la scelta dei consumatori, nel decidere
l’acquisto di beni o servizi, sia determinata dal loro reddito e dai prezzi
ai quali i beni e i servizi possono essere acquistati. Essi poi studiano
come i produttori decidano quali fattori di produzione usare e quali beni
e servizi produrre e vendere, e in quale quantità dati i prezzi dei fattori,
la domanda del prodotto finale e la relazione tecnologica tra output e
ammontare di fattori impiegati.
In tale contesto, assume centralità l’ipotesi che i consumatori
massimizzino l’utilità e che i produttori abbiano come loro obbiettivo la
10
massimizzazione del profitto. Le decisioni dei produttori e dei
consumatori sono poi armonizzate dalla teoria dello scambio.
L’elaboratezza dell’analisi, prosegue Coase (1988), non dovrebbe
nascondere il suo carattere essenziale: è un’analisi delle scelte.
Questa attenzione, afferma Coase (1988), degli economisti per la
logica della scelta ha un effetto: il divorzio della teoria dal suo oggetto
di studio; infatti i soggetti, le cui decisioni gli economisti si impegnano
ad analizzare, non sono fatti materia di studio e di conseguenza
mancano di sostanza. Il consumatore non è un essere umano ma un
ordinamento coerente di preferenze, mentre l’impresa è definita da una
curva di costi e da una curva di domanda, e la teoria è semplicemente
la logica della determinazione del prezzo e della combinazione ottima
di input. Lo scambio ha luogo senza alcuna specificazione del suo
scenario istituzionale.
L’accettazione da parte degli economisti di una visione della natura
umana così deficitaria nei contenuti, osserva Coase (1988), è tutt’uno
con il loro modo di trattare quelle istituzioni che sono centrali per il loro
lavoro. Queste istituzioni sono l’impresa e il mercato che
congiuntamente formano la struttura istituzionale del sistema
economico. Nella teoria economica dominante si ipotizzano per la
maggior parte come dati l’impresa e il mercato e non sono fatti essi
stessi oggetto di ricerca. Risultato di ciò, come suggerisce Coase
(1988), è stato che il ruolo cruciale del diritto nel determinare le attività
condotte dalle imprese e nei mercati è stato largamente ignorato.
1.3 L’impresa
L’impresa, afferma Coase (1988), nella moderna teoria economica è
un’organizzazione che trasforma input in output. Essa è una figura
indistinta.
11
Per spiegare perché esistono le imprese e quali attività esse
intraprendono, Coase (1937) introduce un concetto che chiama,
nell’articolo The nature of the firm, “il costo dell’utilizzo del meccanismo
dei prezzi”, “il costo di concludere una transazione per mezzo di uno
scambio sul libero mercato”, o più semplicemente “il costo del
mercato”. Per esprimere la stessa idea nel suo articolo The problem of
social cost, Coase (1960) utilizza l’espressione “costi delle transazioni
di mercato”. Questi concetti sono diventati noti nella letteratura
economica come “costi di transazione”: al fine di concludere una
transazione di mercato è necessario scoprire la persona con la quale si
desidera trattare, informare la gente che si desidera trattare e su quali
termini, intraprendere una negoziazione che conduca all’affare,
scrivere il contratto, eseguire le ispezioni necessarie per essere sicuri
che vengano osservati i termini del contratto, e così via.
Coase (1988) prosegue affermando che senza il concetto di costi di
transazione, che è ampiamente assente nella teoria economica
neoclassica, è impossibile capire il funzionamento del sistema
economico, analizzarne utilmente molti dei suoi problemi o avere un
criterio di scelta per la politica economica. L’esistenza dei costi di
transazione porterà coloro che desiderano entrare in un rapporto di
scambio a comportamenti che generano una riduzione di questi costi
ogni volta che la perdita comunque sofferta adottando questi
comportamenti sia minore dei costi di transazione evitati. Le persone
con cui si tratta, il tipo di contratti stipulati, il tipo di prodotto o servizio
offerto ne verranno influenzati. Però il più importante adattamento
all’esistenza dei costi di transazione è l’emergere dell’impresa.
Sebbene si possa produrre in modo completamente decentrato,
osserva Coase (1988), per mezzo dei contratti tra gli individui, il fatto
che si debba sostenere un costo per queste transazioni fa sì che delle
imprese emergano per organizzare ciò che altrimenti si sarebbe
12
ottenuto tramite transazioni di mercato ogni volta che il costo
dell’impresa sia minore del costo del mercato. Il limite alla dimensione
dell’impresa si ha quando i suoi costi per organizzare una transazione
diventano uguali ai costi imposti dal mercato per la stessa transazione.
Ciò determina cosa l’impresa compra, produce o vende.
1.4 Il mercato
Sebbene gli economisti affermino di studiare il funzionamento del
mercato, Coase (1988) osserva, che il mercato in sé nella moderna
teoria ha un ruolo ancora più in ombra di quello dell’impresa. Nei
moderni manuali ci si preoccupa della determinazione dei prezzi di
mercato, ma la discussione del mercato in sé è scomparsa
completamente.
Coase (1988) spiega la motivazione di questa scomparsa osservando
che i mercati sono istituzioni che esistono al fine di facilitare gli scambi,
cioè essi esistono per ridurre i costi di conclusione delle transazioni; e
per questo, in una teoria economica che ipotizza che i costi di
transazione non esistono, i mercati non hanno alcuna funzione da
svolgere, quindi non importa studiarli.
1.5 Il problema del costo sociale
L’influenza del diritto sul funzionamento del sistema economico viene
esaminata in The problem of social cost (1960).
Coase (1988) afferma che se il diritto di realizzare determinati atti
potesse essere comprato e venduto, esso tenderebbe a essere
acquistato da coloro che li ritengono di maggior valore per la
produzione o per il consumo. In questo processo i diritti verrebbero
acquistati, suddivisi e combinati in modo da consentire di realizzare
quelle azioni che causano quel risultato che ha il maggiore valore sul
mercato. Certamente, nel processo di acquisizione, suddivisione e
13
combinazione l’incremento in valore del risultato che un nuovo gruppo
di diritti permette dovrebbe essere confrontato con il costo di
concludere le transazioni necessarie per ottenere quel nuovo gruppo di
diritti; e una tale definizione di diritti verrebbe intrapresa solo se il costo
delle transazioni necessarie fosse minore dell’incremento di valore che
tale riallocazione rende possibile.
Coase (1988) quindi suggerisce la necessità di introdurre
esplicitamente dei costi di transazione positivi nell’analisi economica
cosicché si possa studiare il mondo effettivamente esistente.
1.6 La natura dell’impresa
Coase (1937) afferma che quando un economista neoclassico
concepisce il sistema economico come coordinato dal meccanismo dei
prezzi, la sua idea di società non è quella di una organizzazione, ma
quella di un organismo. Il sistema economico funziona da solo e si
autoalimenta. Ma come Coase (1937) osserva l’impresa è innanzitutto
una istituzione che nasce dalla sua capacità di ridurre i costi di
transazione; è una forma di organizzazione che si sostituisce al
meccanismo dei prezzi di mercato.
Per Coase (1937) la ragione per cui è vantaggioso costituire una
impresa è che esiste un costo di uso del meccanismo di mercato: uno
di questi è la costituzione dei contratti. E’ vero che i contratti non sono
eliminati quando si ha una impresa, ma essi sono notevolmente ridotti
e hanno una natura regolatrice diversa. Un fattore di produzione (o il
suo proprietario) non deve concludere una serie di contratti con i fattori
con cui sta co-operando (notare il termine che poi verrà ripreso e
sviluppato con l’impresa nella teoria di Aoki (1984)) all’interno
dell’impresa, come invece sarebbe necessario, ovviamente, se questa
cooperazione fosse l’effetto diretto del funzionamento del meccanismo
dei prezzi. Un solo contratto viene sostituito ad un’intera serie di
14
contratti. La sostanza di questo contratto è che esso stabilisce
solamente limiti all’autorità esercitabile dall’imprenditore. All’interno di
questi limiti, osserva Coase (1937), egli può quindi dirigere gli altri
fattori di produzione. Ci sono tuttavia altri svantaggi (o costi) nell’usare
il meccanismo dei prezzi, quali la volontà a concludere un contratto a
lungo termine, per non doverne fare parecchi di periodi brevi o per
risolvere parzialmente le avversioni al rischio di alcuni degli agenti
coinvolti (anticipando la teoria dei contratti incompleti).
Quando la destinazione delle risorse (entro certi limiti di contratto)
dipende dal compratore nel modo che Coase (1937) ha descritto, si
ottiene quella relazione che Coase (1937) chiama “impresa”.
Certamente è di maggiore importanza il caso dei servizi (lavoro)
rispetto al caso dell’acquisto di merci, poiché per quest’ultime i punti
principali possono essere fissati in anticipo rimanendo in seguito solo
dettagli di minore rilevanza.
Quindi Coase (1937) riassume affermando che il funzionamento di un
mercato ha un costo e che, creando un’organizzazione e permettendo
a una certa autorità (l’imprenditore) di allocare le risorse, vengono
risparmiati i costi (di transazione) del mercato. L’imprenditore deve
svolgere la sua funzione ad un costo più basso di quello di mercato,
perché qualora non possa ottenere i fattori di produzione a un prezzo
minore, è sempre possibile fare ricorso al mercato.
Queste, dunque, sono le ragioni, che Coase (1937) evidenzia, per cui
organizzazioni come le imprese esistono in un’economia di scambio in
cui viene generalmente ipotizzato che la distribuzione delle risorse è
organizzata dal meccanismo di mercato. Un’impresa è costituita da un
sistema di relazioni che nascono quando la destinazione delle risorse
dipende da un imprenditore.
L’approccio che è stato appena disegnato a grandi linee, sembra offrire
un vantaggio, in quanto tramite questo Coase (1937) dà un significato
15
scientifico a cosa si intende dicendo che un’impresa si ingrandisce o si
riduce. Un’impresa diventa più grande (in termini di dimensioni) quando
ulteriori transazioni (che potrebbero essere coordinate dal meccanismo
dei prezzi) sono organizzate dall’imprenditore; ed essa diventa più
piccola quando l’imprenditore cessa di organizzare queste transazioni.
In altre parole, Coase (1937) afferma, che in certe circostanze
un’impresa tende ad essere più grande:
- quanto minori sono i costi di organizzazione e quanto più lentamente
questi costi crescono con un aumento delle transazioni organizzate;
- quanto meno è probabile che l’imprenditore commetta errori a quanto
minore è l’incremento negli errori con un aumento delle transazioni
organizzate;
- quanto maggiore è la diminuzione (o quanto minore è l’aumento) del
prezzo di offerta dei fattori di produzione per le imprese di grande
dimensione.
Una volta che il costo di condurre transazioni di mercato viene preso in
considerazione, Coase (1960) osserva che si darà luogo ad una
riallocazione dei diritti solo quando l’incremento nel valore della
produzione che ne deriva è maggiore dei costi sopportati nel
realizzarla. In presenza di costi di transazione, l’iniziale allocazione dei
diritti ha conseguenze sull’efficienza del sistema economico. E’
possibile che esista una specifica allocazione dei diritti cui è associato
un valore della produzione maggiore rispetto ad ogni altra allocazione;
ma a meno che questa allocazione non sia quella stabilita inizialmente
dal sistema giuridico, i costi per raggiungere lo stesso risultato
modificando l’allocazione dei diritti attraverso il mercato potrebbero
essere così alti che la definizione ottimale dei diritti, e il maggior valore
della produzione che essa comporta, potrebbero non essere mai
raggiunti.
16
E’ chiaro, come Coase (1960) afferma, che una forma organizzativa
economica che potesse raggiungere lo stesso risultato ad un costo
inferiore a quello del mercato permetterebbe un aumento del valore
della produzione (anche se di second best). Questa alternativa è
rappresentata dall’impresa (questa affermazione di Coase (1960)
testimonia peraltro la continuità dell’articolo del 1960 con quello del
1937). L’impresa acquisirebbe così i diritti di tutte le risorse coinvolte e
la riorganizzazione delle attività non deriverebbe da una riallocazione
contrattuale dei diritti, ma da una decisione di autorità su come i diritti
debbano essere combinati. Questa soluzione sarà adottata ogni volta
che i costi amministrativi dell’impresa sono inferiori ai costi delle
transazioni di mercato e i guadagni che risultano dalla riallocazione
delle attività sono maggiori dei costi di organizzazione dell’impresa.
Ma, osserva Coase (1960), l’impresa non è la sola possibile risposta a
questo problema. I costi amministrativi di organizzare le transazioni
all’interno dell’impresa potrebbero anche essere alti: ciò è
particolarmente vero quando molte diverse attività sono fatte
convergere sotto il controllo di una singola organizzazione. Una
soluzione alternativa, suggerita da Coase (1988), allora diventa la
regolazione governativa diretta. La regolazione diretta non darà
necessariamente risultati migliori di quelli ottenuti lasciando che sia
l’impresa o il mercato a risolvere il problema; ma non c’è ragione di
pensare che questa non possa portare in certi casi a incrementare
l’efficienza del sistema economico. Ciò sembra particolarmente
plausibile quando vengono coinvolte molte persone e quando i costi di
gestione del problema attraverso il mercato o l’impresa potrebbero
essere alti.
Esisterebbe poi, secondo Coase, un’ulteriore alternativa, che
potremmo definire di inerzia (Franzini e Nicita, 2003) che è quella di
non fare niente per risolvere il problema. E dato che i costi di una
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regolazione amministrativa saranno spesso elevati, i benefici di una
regolazione delle azioni che provocano effetti dannosi potranno essere
frequentemente minori dei costi della regolazione governativa, secondo
la tradizionale impostazione della cd. scuola di Chicago.
Per Coase (1960) il problema della minimizzazione dei costi di
transazione consiste allora nello scegliere, di volta in volta, le soluzioni
socialmente più appropriate per risolvere le esternalità generate dallo
scambio di mercato.
Ne deriva che quando un economista deve confrontare organizzazioni
sociali alternative, la procedura corretta è quella di confrontare il
prodotto sociale aggregato generato da questi differenti organizzazioni.
Il confronto tra prodotto sociale e prodotto privato, di ispirazione
pigouviana, non ha alcuna importanza, in quanto ciò che rileva è la
minimizzazione complessiva dei costi di transazione.
Ciò di cui si ha bisogno, per Coase (1960), è dunque un cambiamento
di approccio rispetto alla tradizione pigouviana. Gli economisti che
studiano i problemi dell’impresa nell’ambito dell’approccio neoclassico
impiegano invece il concetto del costo-opportunità e confrontano gli
introiti ottenuti da una data combinazione dei fattori con organizzazioni
alternative dell’impresa.
Per Coase (1960), invece, è desiderabile utilizzare l’approccio basato
sui costi di transazione anche per esaminare le questioni di politica
economica, confrontando il prodotto complessivo che sarebbe
generato da accordi sociali alternativi.
18
1.7 Il confronto tra Coase (1937) e Barnard (1938) nell’analisi di H.
Simon (1979)3
Il contributo di Coase del 1937 contiene anche, in nuce, una teoria
della razionalità limitata, basata sugli scritti di Knight e
successivamente rielaborata da Simon.
Simon (1979) inizia il suo scritto citando le prime parole dei Principles
di Alfred Marshall dove si definisce l’economia una scienza psicologica:
“l’Economia Politica o l’Economia è uno studio del genere umano nei
suoi affari quotidiani della vita; essa esamina che gli individui e le
azioni sociali sono connesse con le aspirazioni e con l’uso dei beni
richiesti per il benessere. Quindi da una parte è lo studio del benessere
e dall’altra, che è la parte più importante, studia l’uomo”.
Negli attuali sviluppi, comunque, la scienza economica, prosegue
Simon (1979), ha focalizzato la sua attenzione su un aspetto
dell’uomo, la sua razionalità, e particolarmente sulle applicazioni di
questa razionalità per i problemi di allocazione di beni scarsi.
Per Simon (1979) le moderne definizioni di economia si concentrano o
sull’allocazione di risorse scarse o sul processo di decision-making
razionale.
Simon (1979) osserva che in anni recenti ci sono state considerevoli
esplorazioni dell’economia in campi quali la scienza politica, la
3
Il nucleo sono i seguenti riferimenti:
Barnard, Chester (1938), The Functions of the Executive, Harvard University Press;
Coase, Ronald (1937), The Nature of the Firm, Economica 4;
Simon, Herbet A. (1979), Rational Decision – Making in Business Organizations, The
American economic review, n.4, vol 69, Settembre (lettura Nobel)
Ceccanti, Gastone (2002), Appunti di Organizzazione Aziendale, Università degli
Studi di Siena.
19
sociologia, la psicologia, delineando nuovi e più ampi confini della
scienza economica.
Simon (1979) prosegue affermando che le colonie degli economisti
oltre l’impero della scienza economica sono molto irregolari. Il “cuore”
economico, come lo definisce Simon (1979), è lo studio normativo
dell’economia nazionale e internazionale e i loro mercati, con un triplo
obiettivo: il pieno impiego delle risorse, l’allocazione efficiente delle
risorse e l’equità nella distribuzione del prodotto economico. Invece
dell’ambiguo e generale termine di economia, Simon (1979) userà
“politica economica” per intendere questo “cuore”, e scienza
economica per denotare tutto l’impero comprensivo delle colonie. La
teoria delle decisioni è una delle colonie.
Simon (1979) osserva che esistono una serie di teorie che hanno una
bellezza matematica che è confrontabile alle scienze fisiche. Esempi
sono la teoria dell’equilibrio generale di Walras e alcuni suoi moderni
proseguitori nei lavori di Schultz, Samuelson, Hicks e altri; o altre teorie
che mostrano l’equivalenza tra l’equilibrio concorrenziale e il concetto
di Pareto ottimalità create da Arrow, Hurwicz, Debreu, Malinvaud.
Ma tutti questi lavori mostrano, afferma Simon (1979), quanto lo studio
economico fosse distaccato dalla realtà, anche se spesso la politica
economica era chiamata a consigliare politiche per il mondo reale. La
causa, secondo Simon (1979), è stata di non perseguire quelle
domande fondamentali che avevano un riscontro immediato nel mondo
reale.
Simon (1979) pensa al marginalismo nel quale si supponeva che i
fenomeni aggregati fossero irrilevanti per la teoria delle decisioni. La
teoria classica, prosegue Simon (1979), di razionalità perfetta è
semplice e stilisticamente bella. Essa predice il comportamento umano
senza studiare che cosa il comportamento umano sia, tanto da
affermare che gli agenti eguagliassero al margine i costi e i benefici.
20
Non esistono evidenze empiriche che dimostrano che il consumatore
massimizzi la propria utilità, oppure che la funzione di produzione sia
omogenea di primo grado come la funzione Cobb-Douglas vuole
assumere, oppure evidenze empiriche sulla forma ad U della curva dei
costi di lungo periodo. Molti sono, per Simon (1979), i dubbi di riscontro
con la realtà che la teoria classica tralascia.
Osserva Simon (1979) che il principale precursore della teoria del
comportamento dell’impresa è l’Istituzionalismo. Non è una vera e
propria scuola, ma i diversi autori hanno alcune caratteristiche in
comune. Essi ritenevano che la teoria economica andasse riformulata
per studiare le strutture legali e sociali che le transazioni di mercato
portavano con sé. Tra i principali nomi ricordiamo John R. Commons
che usò la transazione come unità base del comportamento.
Commons, prosegue Simon (1979), influenzò anche il pensiero di
Chester I. Barnard, un curioso manager che trovava spunto
dall’esperienza come presidente della New Jersey Bell Telephone
Company; Barnard (1938) propose innovative idee sullo studio
dell’economia degli incentivi.
Simon (1979) osserva che dal 1950 una teoria della razionalità limitata
è stata proposta come alternativa alla razionalità perfetta classica. Un
significativo numero di studi empirici ha mostrato che il processo di
decision-making manageriale assume che le scelte siano prese con
ragionevolezza data la razionalità limitata, e non con l’assunzione di
perfetta razionalità. Le componenti chiave della teoria della razionalità
limitata sono :
- la natura del rapporto autorità-lavoratore;
- l’equilibrio organizzativo e il meccanismo di ricerca e
soddisfazione (satisfycing);
Queste componenti sono state affrontate formalmente.
21
Sulla relazione di subordinazione lavorativa Simon (1979) si chiede
sotto quali condizioni una relazione è preferita ad un’altra come
accordo per garantire le migliori performance lavorative; ovvero qual è
la relazione tra la teoria classica dell’impresa e le teorie dell’equilibrio
organizzativo proposte per primo da Barnard (1938). Per analizzare ciò
Simon (1979) afferma che una caratteristica fondamentale delle
moderne società industriali è che il lavoro non è svolto né da individui
che producono per vendere né da contraenti individuali, ma da persone
che hanno accettato l’impiego in una impresa e da relazioni di autorità.
Quindi è l’accettazione di un contratto l’elemento costitutivo del
rapporto di lavoro e Simon (1979) si chiede quali siano le ragioni
economiche di tale forma di relazione. Secondo Simon, la ragione
consiste nel fatto che vi è incertezza sul futuro e che la relazione di
subordinazione o di autorità permette di posporre le eventuali
incertezze a momenti in cui tale incertezza è risolta.
L’equilibrio organizzativo, osserva Simon (1979), è stato descritto da
Barnard (1938) come sopravvivenza delle organizzazioni in termini di
motivazioni conferite ai partecipanti (lavoratori, investitori, consumatori,
fornitori) per farli rimanere nel sistema. Una formalizzazione di questa
teoria è simile a quella della teoria dell’impresa neo-classica, ma con
importanti differenze. Osserva Simon (1979) che per entrambe le teorie
la sopravvivenza è determinata dai profitti positivi; ma mentre la teoria
classica dell’impresa assume che i profitti debbano essere dati a un
partecipante, il proprietario, la teoria dell’equilibrio organizzativo non
predice come questo verrà distribuito. Infatti la teoria organizzativa
lascia la possibilità, sotto condizioni di monopolio e imperfetta
concorrenza, alla contrattazione tra i partecipanti per la suddivisione
del surplus.
La teoria classica, in tale ambito, ricerca la massimizzazione dei profitti
in condizione di perfetta razionalità, mentre la teoria organizzativa
22
assume la razionalità limitata. Due concetti sono fondamentali per la
caratterizzazione della razionalità limitata: la ricerca e la soddisfazione
(satisfycing behaviour). Se le alternative di scelta non sono date
inizialmente al decision-maker egli dovrà ricercarle. Quindi una teoria
della razionalità limitata deve incorporare una teoria della ricerca
(search theory). Al contrario, la teoria della scelta non appare
fondamentale, se si suppone che il decision-maker possa formulare
delle aspirazioni in base al valore delle alternative che egli riesce a
trovare. Quando una data alternativa rientra nel suo intervallo di
aspirazione, egli smetterà di cercare e sceglierà quell’alternativa.
Questo modo di selezione Simon (1979) lo chiama soddisfazione
(satisfycing behaviour).
Nel lungo periodo le scelte prese tramite l’aspirazione adattiva
dovrebbero, secondo Simon (1979), essere equivalenti alla scelta
ottima. Ma l’importanza, osserva Simon (1979), della teoria della scelta
e della soddisfazione sta nel mostrare come si possano prendere delle
scelte con ragionevoli calcoli, usando incompletezza informativa, senza
inevitabilmente concludersi nell’incompletezza contrattuale assoluta.
Come Simon (1979) osserva, parallelamente alla teoria della
razionalità limitata si andò verso una vigorosa difesa della teoria
neoclassica, soprattutto grazie ad uno sviluppo degli strumenti
matematici, combinati con teorie statistiche della decisione e la teoria
dei giochi, che davano un peso di sofisticazione ed eleganza, tale da
estendersi fino ai campi dell’incertezza e delle informazioni imperfette.
A questa difesa e rinascita danno il loro fondamentale apporto due
generazioni di economisti: quelli che studiano la ricerca (search option)
e il trasferimento delle informazioni e i teorici delle aspettative razionali.
Simon (1979) conclude sottolineando che è necessario studiare un
mondo approssimabile il più possibile alla realtà e non si può aspettare
che una formula possa contenere tutta la complessità del reale. Oggi si