L’impresa tra arte, creatività e cultura
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luoghi sacri hanno permesso lavoro a milioni di persone, sono state
mobilitatrici di capitali e, ancor oggi, volenti o nolenti, sono spesso centro di
nuclei di business; basta pensare al Vaticano, a Roma intera fatta di chiese
ed edifici che richiamano flussi turistici e interessi economici, a Venezia, a
Parigi, e gli esempi potrebbero continuare all’infinito.
Percorrendo i secoli troviamo l’arte vicino al potere, nelle corti e nelle chiese
in un reciproco scambio di vanto e sostenibilità che diede notevole impulso
alla cultura (Medioevo e Rinascimento italiano su tutti) e anch’essa, nella sua
forma soprattutto letteraria si è sempre trovata al bivio tra farsi promotrice
delle istanze sociali, di essere in qualche modo utile ed essere invece
distaccata, fuga in un mondo parallelo.
Per lungo tempo l’arte e la cultura, nelle sue manifestazioni più idealiste, fu
considerata totalmente separata dalle logiche economiche e a seguito della
rivoluzione industriale questa frattura si fece più forte: da un mondo l’estro e
l’incontinenza della passione artistica non quantificabile e non ascrivibile a
logiche scientifiche, dall’altro il mondo della produzione in cui tutto era
raziocinio e calcolo, ordine e numero; un mondo che vide nella produzione in
serie il suo dogma fondamentale, in cui la creatività era bollata come
fuorviante in quanto destabilizzanti per la rigida gerarchia fordista.
Nei sistemi sociali del passato come, ad esempio, quello aristocratico od
assolutistico antecedente la rivoluzione francese, l’intellettuale o faceva parte
dei ceti egemoni o era da essi cooptato come artigiano protetto. La sua
funzione era quella di elaborare l’ideologia dei gruppi dominanti e di mediare
il consenso verso il potere; dopo, con l’avvento del nuovo sistema borghese
l’uomo di cultura perde l’otium che era la prerogativa dell’intellettuale del
passato, viene declassato e ciò gli consente di perdere l’ottica dominante di
chi sta al potere per assumere un punto di vista estraniato, cosa che lo porta
a cogliere più acutamente le contraddizioni del suo tempo.
Il valore della bellezza lontana da logiche produttive, di cui si è fatto voce
l’artista, nelle epoche precedenti la rivoluzione industriale coincideva con i
valori della classe dominante, come la raffinatezza e il culto del superfluo
proprio della società aristocratica. Col susseguirsi dei secoli, invece, altri
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valori si sono fatti promotori della società, l’utile, il calcolo razionale, la
produttività, che sono la negoziazione del bello disinteressato: l’artista è stato
declassato come soggetto improduttivo fuori dalle logiche di incremento del
capitale.
Parallelamente, si rafforza il mercato dei prodotti intellettuali e l’opera d’arte
diviene una merce che si scambia sul mercato, con un prezzo e
un’organizzazione che, come nel caso del libro, presuppone una vera e propria
forma distrettuale (l’editoria moderna).
Questo rapporto col mercato non fa che accrescere la posizione conflittuale
dell’artista verso la società e il suo senso di estraneità. Il movimento
artistico-culturale che meglio interpreta tale realtà è il Romanticismo che si
presenta proprio come esplorazione dell’irrazionale, del soggettivismo
insofferente da ogni limite e costrizione, nell’ansia di superare le barriere del
reale per attingere ad una realtà più vera in cui l’Io si identifica con la
totalità e inneggia ad una tensione distruggente e purificatrice verso quella
natura tanto idealizzata e imitata dal Neoclassicismo precedente.
Nel momento in cui il movimento romantico giunge al suo culmine, tuttavia,
lo sviluppo dell’industria subisce un'accelerazione drammatica con l'avvento
della società industriale, da un lato, e la comparsa dei primi strumenti
tecnici di comunicazione e di rappresentazione dall'altro. Di fronte a questi
cambiamenti l'ideale della natura "assoluta" e "separata" dell'arte,
propugnata dai romantici, entra in crisi. In parte questa crisi è determinata
dalla urgenza di rappresentare la nuova realtà sociale, squassata da
profonde trasformazioni e da aspri conflitti; una realtà che si impone come
oggetto del fare artistico e letterario, dando inizio alla stagione del realismo.
Lo sviluppo tecnico, intanto, inizia ad investire anche i mezzi di produzione e
riproduzione della comunicazione e della rappresentazione, dando vita a
nuove forme di produzione e diffusione del lavoro intellettuale ed artistico.
La fotografia, l'industria editoriale, con la conseguente nascita della cultura
di massa, la riproduzione meccanica del suono, ne sono degli esempi tipici.
Ben presto si delineano le due risposte di fondo alla crisi avvertita in quegli
anni: alcuni artisti ed intellettuali esprimono uno sdegnoso rifiuto della
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tecnologia e dell'intera modernità, e scelgono la strada dell'irrazionalismo o
dell'idealismo. Altri invece, specialmente a partire dal primo decennio del
nostro secolo, ne sono profondamente attratti, assumendo la tecnologia
nell'immaginario artistico, e spingendosi in molti casi fino ad utilizzare le
macchine stesse nella sperimentazione di nuove forme di espressione (come i
futuristi).
Nel momento in cui un apparato tecnico si sostituisce alla mano dell'artista
nel produrre immagini, questa visione dell'arte viene però radicalmente
messa in dubbio. L'unico mezzo per riaffermarla sembra consistere nella
negazione dell'attributo di "arte" a queste nuove forme di rappresentazione.
Se esse però non sono assimilabili al concetto artistico e se, d'altra parte, la
sua diffusione sociale è inarrestabile, allora è l'arte stessa che pare essere
prossima all'estinzione. Volendo evitare ciò, in un primo momento Baudelaire
(1821-1867) cerca di riaffermare una visione romantica dell'arte, sostenendo
che la sostituzione della mano di un artista con uno strumento tecnologico di
rappresentazione avrebbe reso superflua la capacità creativa; ma poi,
rendendosi conto che la nuova società industriale e le nascenti tecnologie
della comunicazione sono il frutto di un processo di trasformazione profondo
ed ineluttabile, profetizza anch’egli la fine dell'arte.
Dobbiamo aspettare quasi un secolo perché questa posizione venga superata
definitivamente, grazie all'opera di Walter Benjamin (1892-1940) che, non a
caso, ha amato profondamente Baudelaire, e ne è stato uno dei più grandi
interpreti.
Il critico e filosofo tedesco ha consegnato le sue riflessioni su questo tema nel
saggio L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica, oltre che su
altri scritti. La tesi centrale di Benjamin è che la disponibilità di strumenti
tecnici che permettono di produrre e di riprodurre gli oggetti artistici porti
finalmente a compimento il superamento della concezione idealistica
dell'arte; quella concezione per cui l'arte è un'attività sacrale che l'artista,
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individuo eccezionale, pratica in piena solitudine; e di conseguenza l'opera
d'arte trae il suo valore dal suo essere hic et nunc.
1
La riproducibilità elimina “l'aura” dall'opera d'arte, ma non per questo ne
mina la funzione estetica; piuttosto, sostiene Benjamin, la ridefinisce in
relazione alle mutate condizioni storiche ed alla nascita della società di
massa. In questo nuovo contesto sociale la fruizione dell'opera d'arte diventa
tanto un'esigenza quanto un'opportunità collettiva. Per questo motivo, ad
avviso dell’autore, il fondamento dell'arte passa dalla sfera del sacro e del
rito a quella della politica e della comunicazione sociale.
Giovanni Getto (1981), illustre storico della letteratura italiana, ha affermato
che “la storia letteraria ed artistica si chiarisce in diversi momenti con la
storia economica, senza tuttavia risolversi in essa con la grossolana
conseguenza della trasposizione dei segni di valore, positivo o negativo, dal
piano economico a quello culturale”, la consapevolezza della modernità, che si
accompagna allo sviluppo economico fa si che anche in Italia cominci ad
avvertirsi l’esigenza di una cultura industriale. A farsene interprete sarà
D’Annunzio che in Maia (1903) innalza un inno alla macchina esaltando, più
in generale, i moderni valori dell’attivismo, del dinamismo, della velocità,
tutti valori raffigurati egregiamente nelle rappresentazioni artistiche dai
Futuristi come Boccioni e Balla con le loro forme spigolose e linee incisive
usate per trasmettere un senso di dinamismo proprio di quell’ epoca storica.
Guardando allo sviluppo dell'attività artistica dal secondo dopoguerra, ci si
rende conto di come gli assunti basilari del suo pensiero siano tuttora validi.
Il nesso tra arte e tecnologie di comunicazione di massa e apparato
produttivo, per esempio, è divenuto l'asse centrale di gran parte della
1
“Ciò che vien meno è insomma quanto può essere riassunto con la nozione di «aura»; e si può
dire: ciò che vien meno nell'epoca della riproducibilità tecnica è l'«aura» dell'opera d'arte. Il
processo è sintomatico; il suo significato rimanda al di là dell'ambito artistico. La tecnica della
riproduzione, così si potrebbe riformulare la cosa, sottrae il riprodotto all'ambito della
tradizione. Moltiplicando la riproduzione, essa pone al posto di un evento unico una serie
quantitativa di eventi. E permettendo alla riproduzione di venire incontro a colui che ne fruisce
nella sua particolare situazione, attualizza il riprodotto. Entrambi i processi portano a un
violento rivolgimento che investe ciò che viene tramandato – a un rivolgimento della tradizione,
che è l'altra faccia della crisi attuale e dell'attuale rinnovamento dell'umanità. Essi sono
strettamente legati ai movimenti di massa dei nostri giorni.” Walter Benjamin L'opera d'arte
nell'epoca della sua riproducibilità tecnica, Torino, Einaudi, 1966
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sperimentazione artistica e il concetto di opera d'arte si è ulteriormente
desacralizzato, integrando al suo interno una serie di attività e fenomeni
comunicativi sempre più vasti; inoltre ogni nuovo strumento tecnico di
produzione e riproduzione è stato assunto nell'ambito dell'attività artistica,
portando con sé nuova capacità espressive e nuovi modi di vedere e
rappresentare, così come la fotografia ed il cinema avevano fatto a suo tempo.
Tutti questi processi, intersecandosi con il mutare delle condizioni storico
politiche hanno portato ad una socializzazione dell'attività estetica, sia sul
versante della fruizione sia su quello della produzione.
Fino a pochi anni fa, d'altronde, le applicazioni dei computer nell'ambito
della produzione e manipolazione di immagini erano assai rare e primitive.
Oggi, invece, anche i normali personal che ognuno di noi può avere in casa,
possono trasformarsi in veri e propri strumenti creativi, grazie ai tanti
programmi e strumenti per l'elaborazione grafica oggi disponibili.
Nasce allora la computer art, sintesi di innovazione tecnologica e sensibilità
artistica e una variegata serie di sperimentazioni (complessivamente
etichettate come arte interattiva o arte virtuale) vedono nell’opera d’arte un
progetto aperto, che prevede espressamente l'intervento del fruitore, e gli
conferiscono la facoltà di entrare in modo attivo nella costruzione
dell'esperienza artistica. Il fruitore, in questo caso, non solo è in grado di
contribuire alla formazione del senso di un'opera, ma anche alla costituzione
della sua forma significante (Capucci, 1996)
2
Il contesto attuale, nella sua continua ricerca di senso e di differenziazione
appagante, spinge comunque anche prodotti che all’apparenza sono distanti
dal mondo artistico e culturale ad assorbirne i valori e i rimandi. La
tecnologia, per esempio, campo da sempre esente da un certo gusto estetico,
si sta sempre più vestendo di connotati artistici e culturali per avvicinarsi ad
un pubblico che cerca appagamento estetico e valoriale. Il design sempre più
spesso è filo tra questi due mondi (ciò si evince dalla raffinatezza estetica di
2
Se si desidera avere una idea dei progetti che sono stati portati avanti in questo campo si
può consultare il sito del Prix Ars Electronica (http://web.aec.at), sito ufficiale dell'omonimo
prestigioso premio internazionale di arti digitali. Il concorso è diviso in varie sezioni dedicate
ad altrettante aree di ricerca artistica .
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molte telefoni cellulari, di computer, proiettori e quant’ altro ma anche
l’incremento di corsi specializzanti in industrial design); molto spesso alcune
imprese sanno andare oltre, non arricchendo soltanto i prodotti di contenuti
estetici e culturali ma facendo diventare il prodotto stesso un opera artistica
(pensiamo per esempio alle tazzine d’artista di Illy caffè, ad alcune scarpe di
Salvatore Ferragamo o all’I-pod, oggetto in questi mesi, della rassegna iPOD
Ecosystems, mostra di dNASABb in esposizione presso lo Scope Art Fair di
New York).
L'introduzione delle nuove tecnologie (digitali e non), è stata di grande aiuto:
così come ha determinato una diffusione sociale della "facoltà di comunicare",
sta favorendo una "diffusione sociale della creatività". Mai come oggi sia gli
strumenti sia le competenze necessarie ad esplicare una attività creativa
sono state alla portata di una vasta massa di persone. Si potrà obiettare circa
il valore propriamente artistico di questa attività creativa; ma è un dato di
fatto difficilmente contestabile che il sistema della produzione culturale
risulterà notevolmente democratizzato, e che laddove esistano delle capacità
queste avranno maggiori possibilità di emergere e di autovalorizzarsi.
Insomma se l'artista continuerà a svolgere la sua funzione di produttore di
mondi, spazi ed immagini strettamente estetiche, i progettisti, i designer, gli
esperti di comunicazione, ma anche e soprattutto tutti coloro che si occupano
di produzione immateriale potranno e dovranno svolgere attività in cui le
componenti di creatività e di sperimentazione comunicativa avranno un ruolo
fondamentale.
Gli artisti della Pop Art e del Neorealismo avevano già capito durante gli
anni ‘60 che l’artista non è più un pittore o scultore ma un creatore di oggetti,
di prodotti e che si serve di tecniche e materiali del fabbricante commerciale.
Quando parliamo di creatività diffusa è necessario quindi riferirci alla
possibilità che sempre più persone avranno di introdurre elementi di
creatività anche in ambiti che tradizionalmente la escludevano.
Questo, molto velocemente, il rapporto tra affari economici e cultura, tra
impresa e arte, un rapporto spesso burrascoso, che per lungo tempo non ha
trovato dialogo o che, se dialogo c’era, era solo a livello superficiale: il mondo
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imprenditoriale, insomma, si limitava a compiacere e a sostenere i costi
economici del mondo culturale o ci entrava in collisione, lo screditava.
Oggi, però, a ben vedere, possiamo constatare che lo scenario, rispetto a
qualche anno fa, è notevolmente cambiato, il consumatore è cambiato e la
domanda alle imprese è cambiata: le grandi produzioni in serie, omologate e
banalizzate non attirano più, sia a causa della ricerca sempre crescente di
beni nuovi da parte delle persone sia per la saturazione quantitativa dei beni;
le forze centrifughe e centripete sull’individuo sono molte e sempre più forti,
le tensioni della società sono molteplici e la cultura, la ricercatezza estetica,
l’innovazione sono fattori che devono essere sempre più presenti nei prodotti
che ci si accinge ad offrire.
Il presente elaborato ha l’obiettivo di proporre una lettura dello sviluppo del
cammino dell’innovazione degli ultimi anni portando alla luce la crucialità
della cultura, fattore sempre più importante nell’economia odierna, e facendo
dell’arte e della creatività i volani attraverso cui presentarsi al mercato con
un’offerta differenziata e ricca di significati immateriali in linea con le
esigenze attuali della domanda, facendo attenzione ai principi dell’economia
della conoscenza.
In una prima parte sarà analizzato lo scenario macro nel quale le aziende
d’oggi si trovano a competere, i cambiamenti intervenuti nel contesto di
consumo e nel contesto di lavoro e la necessità di prendere atto della
centralità dell’individuo e dei suoi valori anche nel contesto economico.
Si sottolinea quindi il passaggio da un’innovazione come atto singolo e isolato
ad una concentrata prima sulla tecnologia e poi sulla conoscenza e sulle
istanze partecipative delle persone e dalla loro volontà di trovare significati
alle azioni che svolgono, fattori cruciali nell’economia della creatività che
verrà analizzata e presa a riferimento per la tesi sostenuta.
Nella seconda parte si cercherà di mettere in luce, e argomentando, la
posizione secondo cui i tempi sono maturi per un incontro ricco e proficuo, in
ottica progettuale, tra mondo aziendale e mondo artistico – culturale. A
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questo proposito verranno studiati i livelli di coinvolgimento nell’impresa,
dell’arte e della cultura, fucine inesauribili di significato e agenti sinergici
che forniscono agli altri settori del sistema produttivo contenuti, strumenti,
pratiche creative, valore aggiunto in termini di valore simbolico ed
identitario.
Nell’ultima parte dell’elaborato verranno presi in esame casi di imprese
italiane eccellenti nei loro settori, che hanno fatto della dell’arte e della
cultura elementi forti del loro business. Senza alcuna pretesa di fornire un
teorema assodato, e si cercherà di identificare i patterns ricorrenti che
possono segnalare percorsi preferenziali di crescita per le aziende aperte al
mondo artistico – culturale, nella cornice dello scenario economico attuale,
patterns probabilmente adottabili anche ad altre realtà aziendali nel rispetto
della soggettività strategica di ciascuno.
Si tenterà quindi di presentare i contributi provenienti da questi settori come
una nuova dimensione della innovazione che tanto può fare per le imprese
italiane, chiamate a mettere a valore la ricchezza culturale che da sempre le
caratterizza riconoscendo l’importanza dell’artista come soggetto dotato di
particolare sensibilità in grado di anticipare tendenze e di agire come
coordinatore di una molteplicità di soggetti portatori di conoscenze variegate.
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CAPITOLO I
“Il mondo è eterno, ma le sue singole parti non sono sempre uguali”
L.A.Seneca
Una nuova prospettiva sull’innovazione
1.1 L’evoluzione del consumo
Molti economisti negli ultimi anni si sono trovati ad affrontare importanti
tematiche relative alla realtà in cui si trova oggi la nostra economia stretta tra
la corsa della globalizzazione e la necessità di rinnovarsi e di crescere.
E. Rullani, nella sua Fabbrica dell’Immateriale (2004) sottolinea quanto, nel
contesto in cui ci troviamo a vivere, sia impensabile una lotta al taglio dei costi
e alla ricerca dell’efficienza estrema, semplicemente perché altri, nel globo,
sono per condizioni sociali ed economiche, più bravi di noi in questo.
E’ bene evitare gli sprechi e la disorganizzazione, immaginare nuovi prodotti e
nuovi processi produttivi, esplorare nuovi mercati e formare le risorse umane,
ma tutto questo non può oggi avvenire se non in un contesto di condivisione di
un quadro valoriale minimo da parte di tutti gli stakeholders che
contribuiscono a definire l’universo dell’azienda.
Per raggiungere obiettivi ambiziosi bisogna insomma essere capaci di creare
valore per una vasta comunità di persone e saper rendere riconoscibile tale
valore mediando tra i propri interessi imprenditoriali e quelli di una
collettività più ampia.
Come evidenziato già da tempo anche dalla letteratura di Porter (1987), con il
progredire del modello di sviluppo economico, i sistemi produttivi si devono
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spostare da un modello competitivo basato sui costi ad uno basato sugli
investimenti ed infine ad uno basato sull’innovazione e questo è improbabile se
l’orientamento innovativo non è sostenuto da una parallela evoluzione della
cultura imprenditoriale, che serve in primo luogo ad aiutare l’imprenditore a
mantenere un’elevata elasticità mentale, una sensibilità precoce e intuitiva
verso i più importanti segnali di cambiamento, una capacità di immaginare le
evoluzioni del mercato e della domanda.
Ora guardiamo nel dettaglio le trasformazioni che hanno coinvolto i
consumatori negli ultimi tempi.
- Il consumatore centauro e il consumo identitario
Il contesto in cui si muovono le imprese è oggi complesso, mutevole e instabile
e la domanda è costituita da consumatori che esprimono esigenze assai
variegate e discontinue; da mercati sempre più globali in cui l’ipercompetizione
porta in breve tempo le marche a passare da fasi di grande successo a fasi di
crisi e da cambiamenti demografici, socio economici e culturali destabilizzanti
per le imprese tradizionali.
Il consumatore è diventato più esigente e selettivo ma soprattutto più eclettico,
meno legato a schemi rigidi, più attivo e protagonista; Fabris (1995) spiega
infatti che dentro uno stesso individuo si manifestano tante diverse identità
che danno luogo a scelte e tipologie di consumo non solo diverse, ma anche,
sulla base dei vecchi paradigmi, contrastanti.
Nell’acquisto il consumatore dà più spazio alle emozioni, alla sensorialità,
utilizza il consumo come mezzo di espressione della propria identità, cerca il
piacere e spesso abbina l’acquisto ad un momento ludico. A complicare il
quadro non va dimenticato che per molti mercati e per quote significative di
popolazione si verifica una saturazione quantitativa dei beni ( che comunque
non preclude improvvise impennate della domanda originate da mode o da
innovazioni tecnologiche); in numerosi casi, quindi, bisogna essere coscienti
che la domanda è sostenuta solo dalla sostituzione e dall’obsolescenza.
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Quando si parla di era postindustriale ci si riferisce ad un tipo di consumo che
non è più guidato dalla necessità di soddisfare i bisogni primari della
sopravvivenza, ma di un consumo che si propone invece di aiutare l’individuo a
costruire e definire la propria identità all’interno della società.
La letteratura di Yoram Wind (2002) definisce questo consumatore “centauro”
per la molteplicità di comportamenti che assume, per la sua bramosia di tutto
e per la sua strutturata infedeltà, un consumatore non più "prevedibile"
all’interno di cluster massificati ma soggetto pienamente autonomo, attore di
mercati atomizzati (al limite composti da un singolo individuo), in relazione
con l’azienda e con altri consumatori con modalità inattese, libere e molto
meno generalizzabili all’interno dei segmenti di mercato.
Pare importante sottolineare che il motore dello sviluppo post industriale,
come ci dice una vasta letteratura in merito (Wind, Rullani, Micelli) è divenuto
il capitale simbolico: l’acquisto non è più guidato dalle caratteristiche
merceologiche del prodotto, ma dalla capacità di trasferire all’individuo un
plusvalore identitario che lo aiuti a definire la propria consapevolezza di sé e
del mondo in cui questa si trasmette agli altri attraverso le interazioni sociali.
In particolare, negli ultimi anni l’accelerazione della competizione di merci,
marche, idee, valori rende ancora più composito ed articolato lo scenario.
Sono tuttavia presenti alcuni tratti diffusi, condivisi e relativamente durevoli
che danno alcune indicazioni a tutte quelle imprese che ambiscono ad essere
vincenti nella realtà attuale: è comune, per esempio, la propensione alla
qualità, al gusto estetico, al design, al servizio, all’attenzione alle valenze
comunicative dei prodotti e delle marche dato che i significati delle merci
devono trascendere il loro valore d’uso, ancora, alle forti istanze di
personalizzazione e di adattamento dei prodotti alle proprie specifiche
esigenze, alla ricerca di individualità, di espressione della propria personalità,
all’apprezzamento dei valori di eticità e di rispetto dell’ambiente, al bisogno di
radicamento e allo stesso tempo di cosmopolitismo; al polisensualismo che
postula un globale coinvolgimento di tutti i sensi dell’esperienza di consumo,
infine, l’aumento del tempo libero, hanno spinto il consumatore verso beni
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emotivamente più pregnanti, più ricchi; prodotti che, anche negli acquisti
quotidiani, qualificano non in termini di ricchezza o prestigio, ma di attualità
culturale.
Si tratta della rivincita dei contenuti valoriali, dei processi culturali realizzati
all’interno di condizioni che segnano esperienze autentiche che precedono il
raggiungimento di qualsiasi obiettivo, logiche molto lontane dalle tecniche di
persuasione e penetrazione dei mercati tanto usate dal marketing di prima
generazione.
I consumatori ridiventano persone che selezionano le proprie scelte sulla base
delle loro convinzioni continuando ad esercitare la propria libertà di scelta al
di là dai modelli apparentemente imposti dai media anche perché i media,
molteplici e invasivi, non sono quasi più credibili.
- Nuovi acquisti, antichi valori
A dispetto di quanto ipotizzato dagli studiosi di fine secolo che pensavano ad
un consumatore universale e a prodotti globali, il consumatore attuale, della
seconda modernità, accoglie la cultura e le differenze culturali dentro una
ragione divenuta complessa, che mette in comunicazione le differenze culturali
tra loro, un consumatore che vuole avere la rassicurazione della tradizione ma
sperimentare il nuovo e l’inatteso (Morace, 2004).
Le relazioni che coinvolgono i soggetti che si confrontano attraverso i mercati e
le istituzioni diventano meno impersonali e meno individualistiche:
l’impersonalità diminuisce perché le persone si affidano meno agli
automatismi delle macchine od organizzativi (gerarchia rigida) e riscoprono la
necessità di essere direttamente coinvolti nelle scelte con la loro voglia di
esplorare e progettare, lasciando il ruolo degli individui per tornare persone
con un proprio bagaglio di affetti e necessità relazionali.
I cittadini hanno imparato a confrontarsi tra loro riscoprendo il piacere
dell’acquisto condiviso, creando gruppi di acquisto e facendo molta attenzione
alla qualità, riscoprono il baratto, lo scambio e il dono, forme di socialità pre
moderne ma che in questi ultimi tempi hanno ripreso vigore probabilmente
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anche a causa delle paure collettive che invadono il mondo moderno
(terrorismo, inquinamento, guerre…).
Il consumatore sta insomma cercando di ricreare quei legami persi con la
globabilizzazione omologante e nello stesso tempo atomizzante degli ultimi
secoli, sta cercando di riacquisire un ruolo attivo nel consumo.
A livello dell’immaginario collettivo, si può constatare che le grandi utopie
(illuminismo, comunismo, pacifismo) sono tramontate. Una conseguenza di ciò
è quindi la ricerca nostalgica dell’autenticità, ossia l’idealizzazione del tempo
trascorso.
Preso atto di ciò, il sociologo Bernard Cova (2001), ha parlato della necessità
dell’avvento di un marketing nuovo, "postmoderno", come risposta a due
necessità delle aziende. La prima è quella di approcciare non tanto i singoli
individui, quanto piuttosto i gruppi di persone o "tribù" che collettivamente
adottano determinati atteggiamenti di consumo; in questo senso non è più il
rapporto fra impresa e cliente a interessare il marketing, ma la relazione di
interdipendenza che sussiste tra cliente e cliente. Una tribù nel senso
postmoderno, per l’autore, è rappresentata da un insieme di individui con
caratteristiche socio-demografiche non necessariamente uguali ma che siano in
qualche modo collegati da una stessa soggettività, passione, esperienza e che
siano capaci di azioni collettive vissute intensamente benché effimere, il tutto
in modo fortemente ritualizzato.
La seconda necessità, cruciale per le nostre aziende, è quella di conciliare
l’innovazione tecnologica con le origini culturali e storiche, nell’ottica del
cosiddetto "retromarketing". L’idea è che i nuovi prodotti debbano integrarsi
con il passato, nella ricerca dell’autenticità, evitando rotture con le proprie
radici. Del resto, ha spiegato Cova, finite le grandi utopie, si registra da parte
dei consumatori una nuova idealizzazione del tempo passato, del quale tutte le
aziende debbono tenere conto.
E’ necessario allora pensare ad un marketing che punta alla nostalgia con la
tradizione e cerca, con tutti i possibili mezzi di comunicazione di legittimare
quei prodotti dalle marche storiche o quelli che da essi prendono spunto.