Prefazione.
3
Non posso dimenticare il mio relatore, Prof. Salvatore d’Albergo, che mi
ha sempre dimostrato umanità e disponibilità, ben al di là del ruolo che il
rapporto tesista-relatore impone.
Naturalmente, Carmen, Margherita e Michele per i quali ogni parola di
specifico ringraziamento è inadatta a descrivere cosa hanno significato e i
sacrifici che per me hanno sopportato e Marta, che crede di non avere fatto
nulla, ma, in realtà, ha fatto moltissimo.
4
PREMESSA.
Con la presente indagine si è cercato di inquadrare lo sviluppo del
fenomeno rinnovantesi dell’azionariato di Stato, come elemento centrale
dell’evoluzione delle forme di intervento pubblico nell’economia nell’ambito
delle vicende relative ai principi delle forme di Stato contemporaneo.
La ricostruzione proposta si basa su di un’analisi non solo, ma
prevalentemente, cronologica: il filo che si è scelto di seguire si basa sugli
apporti storici, storico-economici e storico-giuridici, di Candeloro
1
Procacci
2
e
T. Fanfani
3
, di Grifone
4
e Guarneri
5
, di Allegretti
6
; all’interno di tale tracciato
storico, si sono analizzati prima i contributi inerenti alla crisi dello Stato
liberale, poi quelli inerenti all’impatto dello Stato corporativo e alle sue
contraddizioni, infine, quelli riguardanti l’instaurazione e la dinamica delle
istituzioni dello Stato democratico sociale.
La Prima Parte, partendo dalla situazione esistente nello stato liberale
autoritario, descrive l’avvio degli interventi statali nel campo economico
attraverso la creazione delle prime imprese pubbliche in funzione di sostegno
al debole capitalismo italiano, facendo così concorrere lo Stato alla formazione
del capitalismo monopolistico e finanziario, anche attraverso salvataggi di
banche e imprese in crisi. Con la deflagrazione delle contraddizioni presenti
nello Stato liberale a cavallo del primo ventennio di questo secolo, si passa alla
1
G. Candeloro, Storia dell’Italia moderna, volume settimo, volume ottavo, volume nono
Milano, Feltrinelli.
2
G. Procacci, Storia degli italiani - volume secondo, Bari, Laterza, 1971..
3
T. Fanfani, Scelte politiche e fatti economici in Italia nel quarantennio repubblicano dal
secondo dopoguerra ai nostri giorni. Cinquant’anni di storia italiana, Torino, Giappichelli,
1996.
4
P. Grifone, Il capitale finanziario in Italia – La politica economica del fascismo, Einaudi,
Torino, 1971.
5
F. Guarneri, Battaglie economiche fra le due guerre, Bologna, il Mulino, 1988.
6
U. Allegretti, Profilo di storia costituzionale italiana, Bologna, il Mulino, 1989.
Premessa.
5
creazione di strutture statali che tengono conto dei fenomeni sociali presenti
nella società, sia nella visione di liberalismo sociale proposta dalla
Costituzione di Weimar, sia nella visione totalitaria presentata dal legislatore
fascista.
Parallelamente a tali accenni, viene proposta l’articolazione dell’apparato
di regolazione dell’economia nello sviluppo storico dello Stato totalitario
italiano, a partire dagli anni venti, attraverso l’analisi della Carta del Lavoro e
dell’ordinamento corporativo, passando per la crisi degli anni trenta, attraverso
la legge istitutiva dell’IRI, la legge bancaria ed il connesso ordinamento
sezionale, per arrivare agli anni quaranta, attraverso la riforma del codice civile
e la concezione dell’impresa come istituzione con il ruolo dello Stato, che
diviene il centro dello sviluppo economico, funzionalmente al quale si vengono
a porre le istituzioni pubbliche. Tuttavia, nello sviluppo reale del sistema di
intervento pubblico dell’economia si registra un modus operandi autonomo e
non congruente con le istituzioni corporative, con una disciplina
amministrativa funzionale al capitalismo privato, e, a partire dalla seconda
metà degli anni trenta, in connessione con scopi autarchici e bellici del regime.
Nella Seconda Parte, si mette in evidenza l’apporto profondamente
innovativo dell’ordinamento che si ha attraverso l’elaborazione della
Costituzione-programma del 1948, nella configurazione della proposta di
democrazia sociale, partecipativa e quindi sostanziale oltre che nella
Repubblica delle autonomie fondata sulla centralità del fenomeno lavorativo;
alla luce dei dettami della carta costituzionale, si riscontrano le caratteristiche
peculiari del modello costituzionale in quella parte del dettato inerente ai
rapporti sociali ed economici, nella consapevolezza, da un lato,
dell’inscindibilità del fenomeno economico da quello politico e sociale, e
dall’altro, della precedenza e della prevalenza dei secondi sul primo.
Si analizza lo sviluppo degli obiettivi e delle strutture di governo
dell’economia ereditate dal precedente regime rispetto al modello
Premessa.
6
costituzionale, rilevando, almeno nei primi anni del secondo dopoguerra, la
presenza di politiche di stampo neoliberista, almeno in linea di principio
incoerenti con il modello costituzionale: in questo senso si guarda al precipitato
del dibattito sul consolidamento e sui compiti dell’IRI, a partire dalle ipotesi di
soppressione, fatta al Ministero della Costituente, per arrivare, attraverso la
relazione La Malfa e la mozione Pastore, al distacco delle imprese a
partecipazione IRI dalla Confindustria, attuatasi attraverso la legge istitutiva
del Ministero delle Partecipazioni statali.
Si analizza la legge istitutiva del predetto Ministero attraverso gli strumenti
di coordinamento e direzione da esso inseriti al fine di ottenere una più
organica gestione delle partecipazioni in un’articolazione che segna un
ulteriore passo per il superamento definitivo del protezionismo liberista in vista
di più ampi margini di democratizzazione del momento pubblico
dell’economia.
Nella Terza Parte si è cercato di mettere in evidenza l’evoluzione del
sistema delle Partecipazioni statali, nella fase di lento sblocco della
Costituzione partendo dalla legge di programmazione del 1966-70, considerato
punto nodale dell’articolazione del sistema in termini di programmazione
globale e passo indispensabile per realizzare i dettami costituzionali, passando
per gli anni della dilatazione e conseguente crisi del sistema delle
Partecipazioni statali, sia in termini di efficacia, sia in termini di efficienza per
lo sviluppo economico sia, infine, in termini di autocefalia; e analizzando le
proposte di superamento della fase critica, da un lato, nella chiave di un
tentativo di democratizzazione, attraverso un maggior rispondenza delle
Partecipazioni statali e delle loro scelte alle assemblee elettive e ai sindacati, e
da un altro in termini di “modernizzazione”, in un’ottica per la quale i processi
sociali e politici, antecedenti e prevalenti su quelli economici, sembrano cedere
il passo ad una visione prevalentemente economicistica e privatistica nella
gestione del fenomeno imprenditoriale pubblico.
Premessa.
7
In quest’ottica si spiegano i tentativi avvenuti a partire dalla fine degli anni
settanta di propugnare un ritorno del sistema al mercato, di coinvolgere nuovi
capitali privati, anche stranieri nella gestione delle imprese e nelle decisioni
inerenti le politiche imprenditoriali, ed emergono i significati della
programmazione settoriale e finanziaria come metodologie opposte alla
programmazione globale e vincolate l’una ad indici privatistici, l’altra alla
qualificazione dei settori da risanare e da rinnovare. Lo smobilizzo di diversi
settori “non strategici” delle Partecipazioni statali, altro punto caratterizzante
della proposta di “modernizzazione”, risulta essere prodromico rispetto alla
legislazione degli anni novanta, nella quale si realizza compiutamente
l’operazione di vincolare definitivamente al mercato le imprese pubbliche,
attraverso la privatizzazione formale e sostanziale del sistema e l’abolizione del
Ministero delle Partecipazioni statali.
In questo modo si sono evidenziate delle scelte politiche ed istituzionali
attraverso le quali lo Stato rinuncia alle attribuzioni e alle competenze derivanti
dal ruolo di agente attivo, impostato precedentemente in termini di
programmazione economica globale e conseguentemente di direzione
democratica del sistema delle partecipazioni, e riacquisisce, in un primo
momento, una posizione di detentore diretto delle azioni delle società
privatizzate, pur nell’ottica dell’azionista privato, per arrivare, infine, dopo le
dismissioni delle azioni possedute, ad una posizione di semplice garanzia
dell’assetto economico determinato dal mercato, tanto più che è andato
consolidandosi il quadro dei principi istituzionali e normativi su cui si fonda
l’Unione Europea.
8
PARTE PRIMA.
L’INTERVENTO PUBBLICO NELL’ECONOMIA DOPO
LA PRIMA GUERRA MONDIALE.
Capitolo I. Verso la crisi dello Stato liberale italiano.
La struttura e le istituzioni dello Stato italiano, come si presentano agli
inizi del nostro secolo, sebbene possano essere ricondotte all’ampia definizione
delle forme di Stato moderno, presentano degli specifici connotati che
distinguono e caratterizzano la realizzazione italiana nell’ambito del modello
dello Stato censitario. I teorici dello Stato borghese nel definire fra le
caratteristiche tipiche di quella forma di Stato, il principio di libertà valido per i
singoli, e non per i corpi sociali, nel campo economico introducono un limite
all’azione dello Stato, ossia negano la libertà di iniziativa pubblica nelle forme
autoritative da parte dello Stato; questo limite, secondo Giannini
7
, si sviluppa
su due linee: da un lato, impone allo Stato di non dover essere né imprenditore
né proprietario, dall’altro, gli impone di non dovere né favorire né frenare le
attività imprenditoriali dei privati né la fruizione della proprietà dei privati.
Accanto a questo principio, vengono ad individuarsi le altre tipiche
caratterizzazioni dello Stato censitario, ossia l’identificazione del substrato
sociale nevralgico nella borghesia nazionale, e la legittimazione
rappresentativa, in virtù della derivazione elettorale, del potere statuale,
legittimazione, tuttavia, non estesa a tutta la società, bensì ristretta agli
appartenenti ad un ridottissimo gruppo censitario (basta pensare al fatto che
all’indomani dell’Unità d’Italia, avessero diritto di voto solo mezzo milione di
7
M. S. Giannini, Diritto pubblico dell’economia, Bologna, il Mulino, 1985, pag. 25.
Parte Prima.
9
persone su circa ventidue milioni di abitanti). In quest’ottica si vede come il
fenomeno proprietario e quello imprenditoriale, in quanto, "(…) [essendo]
ambedue istituti indicatori e produttori di censo, aprono l’accesso al gruppo
censitario e quindi permettono la partecipazione al potere”
8
, diventano, nelle
posizioni del costituzionalismo liberale, centrali
9
ed intesi in termini di status
civitatis.
Si viene quindi delineando la creazione di uno Stato censitario monoclasse
all’interno della società, di natura “aristocratica” aperta, ossia su di
un'aristocrazia fondata sul censo, nel quale ai vecchi ceti su cui si appoggiava
la monarchia assoluta si affiancano i nuovi ceti borghesi, in una concorrenza,
conflittuale nell’intensità della fedeltà alla monarchia, degli interessi di tali ceti
nella direzione del potere statuale; questo stato di cose, ossia una frattura fra
società e istituzioni, da un lato, e all’interno delle istituzioni, dall’altro, produce
quella situazione di crisi di sistema che uno studioso definisce di “doppio
dualismo”
10
. Come G. Amato ha sottolineato, “Lo Stato liberale è, perciò, da
un lato frutto non di modernizzazione, ma di patteggiamento con questa élite
pre –liberale”
11
.
Nel campo economico si rileva, tuttavia, che al liberismo sbandierato nelle
teorie, fa riscontro, nei fatti, il progressivo accumularsi di strumenti della
disciplina pubblica dell’economia: aumentano le attività di ordine; il numero
delle infrastrutture cresce per qualità e quantità (quest’aumento è motivato dal
fatto che tali infrastrutture sono opere di utilità generale il cui costo è troppo
elevato per essere sopportato dai privati; oppure dal fatto che servono a
eliminare gli squilibri economici e le cause del sottosviluppo); iniziano le
8
M. S. Giannini, Diritto …op. cit., pag. 27.
9
M. S. Giannini, ibidem, parla di “(…) centralità, nel sistema di disciplina dell’economia, degli
istituti dell’impresa privata e della proprietà”. Lo stesso Statuto Albertino, all’art. 29 definisce
come “inviolabile” la proprietà.
10
S. d’Albergo, Costituzione e organizzazione del potere nell’ordinamento italiano, Torino,
Giappichelli, 1991, pag. 22.
11
G. Amato, A. Barbera (a cura di), Manuale di diritto pubblico, volume I – Diritto pubblico
generale, Bologna, il Mulino, 1998, quinta edizione, pag. 42.
Parte Prima.
10
prime statizzazioni della storia: ferrovie
12
e servizi postali; si attuano le prime
forme di protezione del lavoro; si cerca di aiutare gli imprenditori in difficoltà
sia attraverso il protezionismo doganale sia attraverso salvataggi di imprese e
di banche
13
.
Il punto singolare di queste operazioni risulta essere l’assenza di un
esplicito progetto coerente ed omogeneo di sviluppo, e la presenza, di una
condotta empirica confusa, tanto da far parlare U. Allegretti, "(…) non (…) di
una guida statale dell’economia, ma di ingresso dello Stato fra i soggetti
economici, e quindi di compenetrazione e corresponsabilizzazione tra i
dirigenti statali ed i maggiori dirigenti economici”
14
. In questo senso, il
passaggio dal capitalismo fondiario a quello industriale, non fu lasciato alle
sole regole del mercato, ma fu accompagnato da un indirizzo statale di stampo
industrialista, all’interno del quale l’autonomia del fenomeno impresa si
chiarificò con il concorso dello Stato: ed è sintomatico di ciò il fatto che lo
Stato crei il primo nucleo di industria pesante nel 1884 con le acciaierie Terni.
Il fenomeno dell’intervento dello Stato nell’economia, quindi, non si limita alla
creazione e alla gestione di servizi, in quanto, "(…) la connessione fra Stato ed
economia era in funzione del sostegno all’autonomia privata, sebbene [lo
Stato] ispirasse la propria politica al “laissez-faire”
15
, e, tale intervento diviene,
dal punto di vista del blocco industriale – agrario, più uno strumento per
rinvigorirsi, che non la cornice, entro cui esplicare la propria forza
16
, di modo
che appare calzante la definizione che Procacci
17
da dello Stato liberale italiano
che qualifica di tipo prussiano, in quanto la spinta all’industrializzazione e alla
12
Il problema si poneva nei termini di titolarità ed esercizio del servizio pubblico da parte dello
Stato, o ripartizione della titolarità e dell’esercizio fra Stato e privati.
13
M. S. Giannini, Diritto …op. cit., pag. 29 e seguenti, e S. Cassese, La nuova Costituzione
economica, Bari, Laterza, 1995, pag. 9 e seguenti.
14
U. Allegretti, Profilo di storia costituzionale italiana, Bologna, il Mulino, 1989, pag. 222.
15
Come si è visto un lassaiz–faire addomesticato e funzionalizzato allo sviluppo del “liberismo
di Stato” di cui parla Amato, Manuale…op, cit., pag. 44; U. Allegretti, Profilo …op. cit., pag.
515 e seguenti.
16
G. Amato, A. Barbera (a cura di), Manuale …op. cit., Bologna, il Mulino, 1984, quinta
edizione, pag. 42.
Parte Prima.
11
modernizzazione si configurano come linee di sviluppo dell’originario
impianto autoritario, che attraverso tali nuove funzioni tende a rafforzarsi.
L’endemica debolezza della borghesia italiana produce, oltre che una
scarsità di iniziativa imprenditoriale autonoma e fragilità delle poche imprese a
capitale italiano sui mercati, una struttura del sistema bancario caratterizzata
prevalentemente o da istituti di natura pubblica (come le Casse di risparmio e
la Cassa Depositi e Prestiti, fondata nel 1863), o da banche a capitale straniero
(come la Comit a capitale tedesco, oppure la Credit, a capitale franco-tedesco).
La scarsezza di capitali, unita all’assenza di un vasto mercato interno produce
la simbiosi fra questi istituti di credito e le poche industrie presenti, attivando
quel processo che Hilferding definisce come “capitale finanziario”: ossia si ha
a) la scissione fra la proprietà del capitale e la funzione di direzione della
produzione; b) l’indipendenza del capitalista monetario dal destino particolare
delle imprese in cui ha investito il suo denaro, c) la detenzione del capitale da
parte della banca mezzo e fine della concentrazione
18
.
Una tappa importante di questo iter è il connubio Terni-Comit, che si
realizza con il passaggio, attuato attraverso l’intervento diretto della Comit,
dell’Elba, concessionaria delle miniere dell’isola, alla società siderurgica di
Savona, filiazione della Terni (1902), e la nascita nel 1911, di un cartello
industriale siderurgico al cui capo si pone l’Ilva e di un sindacato commerciale,
la “Ferro e Acciaio”.
17
G. Procacci, Appunti in tema di crisi dello Stato liberale e di origini del fascismo, in Studi
Storici, 1965, pag. 221 e seguenti.
18
R. Hilferding, Il capitale finanziario, Milano, Feltrinelli 1961. Per un'ulteriore definizione di
capitale finanziario si può vedere: W. Lenin, L’imperialismo fase suprema del capitalismo,
Roma, Rinascita, pag. 45, ove “ il capitale finanziario è il capitale di cui dispongono le banche
ma è impiegato dagli industriali”, oppure pag. 83 “ il capitale finanziario è il capitale bancario
delle poche grandi banche monopolistiche fuso col capitale delle unioni industriali”. Il capitale
finanziario è identificato anche con il grande capitale (pag. 58) o con la sola componente
bancaria (pag. 115). Per mantenere la maggior generalità possibile del termine si intenderà il
significato di Hilferding.
Parte Prima.
12
La spinta alla trustificazione industriale, accennata precedentemente,
produce, come più di un autore sostiene
19
, la formazione di una coscienza
classista nelle masse di operai, che sono ormai consci dell’insopportabilità
delle ineguaglianze sociali e politiche cui erano sottoposti, destinata a
provocare, a sua volta lo scatenarsi di tensioni politiche e sociali che si
scaricano sulle strutture e sulle istituzioni dello Stato.
In risposta a ciò, la classe al potere coarta, al fine di puntellare le istituzioni
in crisi, i gruppi antagonisti meno radicali, da un lato, e avvia una fase di
riformismo che si attua attraverso la statizzazione del servizio ferroviario,
avvenuta nel 1905, nella forma di amministrazione autonoma, attraverso la
creazione di aziende municipalizzate per i servizi pubblici nel 1903, e del
primo ente di gestione nel settore assicurativo nel 1912, in un’ottica, tuttavia,
di ulteriore centralizzazione del potere economico
20
: infatti, le Ferrovie dello
Stato sono, come si è detto, “un’amministrazione autonoma sotto la direzione
dello Stato”, e, cioè classificabili, secondo quanto afferma Giannini
21
, fra le
imprese-organo indirette, le quali, pur godendo di ampia autonomia negoziale,
patrimoniale e contabile, “(…) sono tuttavia, malgrado queste autonomie
tecniche, ben poco indipendenti: è il Ministro, o il Consiglio dell’Ente locale,
ai quali, in ultima istanza, spetta la scelta dell’indirizzo economico generale, e
la scelta non potrà non subire l’influenza delle determinanti politiche”
22
; per le
municipalizzate il discorso può ripetersi in maniera analoga, fatte salve due
sole differenze, ossia che i dipendenti non sono soggetti allo stato giuridico di
dipendenti o salariati pubblici, e per i quali, quindi, si applicano i contratti di
lavoro collettivi, che non si applicano, invece, ai dipendenti delle imprese –
organo statali; e che, nel caso di conflitto fra organi dell’azienda e organi
19
Vedi, a tal proposito, la posizione di Mortati riportata al capitolo seguente, prima parte ed
anche S. d’Albergo., Costituzione…op. cit., pag. 36.
20
U. Allegretti, ibidem.
21
M. S. Giannini, L’impresa pubblica in Italia, in Rivista delle Società, 1958, pag. 245 – 246.
22
M. S. Giannini, ibidem.
Parte Prima.
13
dell’ente locale, il conflitto è risolto dalla Giunta Provinciale Amministrativa,
mentre tale previsione non esiste per le imprese dello Stato.
Un discorso a parte merita l’Istituto Nazionale Assicurazioni (INA), che
“(…) si ispira all’idea di industrializzazione della pubblica amministrazione”
23
,
prima impresa ente che, dovendo esercitare un’attività tipica dell’imprenditoria
privata, utilizza i modi e le forme di tale attività: non gli è attribuito alcun
fondo di dotazione ma ha la garanzia statale per le polizze emesse, attraverso le
quali raccoglie il capitale necessario all’espletamento della propria attività; il
suo scopo iniziale era quello di ottenere il monopolio del ramo assicurativo
sulla vita; in realtà, questo scopo non fu mai raggiunto, anche per il prevalere
delle forze costituite dalle società private
24
, ma l’istituzione dell’INA segnò un
punto di convergenza fra interessi economici e politici che indicano il tentativo
di risposta dei ceti dominanti, da un lato ad una domanda sociale sempre più
pressante, dall’altro alle esigenze di un sistema bancario e industriale che si sta
sviluppando con il sostegno statale
25
.
Lo scoppio della Prima Guerra Mondiale da un lato trova l’Italia
impreparata, sotto un punto di vista sia produttivo sia militare, a prendervi
parte, a causa della crisi del 1907 e della Guerra di Libia, dall’altro è uno
strumento di ulteriore accentramento del potere nelle mani delle classi al
Governo.
23
S. Cassese, La nuova …op. cit., pag. 12.
24
M. S. Giannini, L’impresa …op. cit., pag. 255
25
In realtà, la duttilità del giolittismo non riesce nei suoi scopi mediatori, né nei riguardi delle
forze collegate agli interessi del capitale finanziario, che procedono sulla strada della creazione
di una società funzionale allo sviluppo capitalistico, in cui, l’interesse generale coincida con
l’interesse della produzione, né, tantomeno, nei riguardi delle forze rappresentate dalle
organizzazioni interpreti degli interessi del proletariato, verso le cui aspirazioni democratiche
la politica di Giolitti manca di una reale volontà di apertura. In un nesso causale non
unidirezionale con la formazione dei cartelli e con la sempre maggiore concentrazione,
esplode, in quegli anni, una grande crisi di sovrapproduzione che provoca la crisi di quelle
politiche di equilibrio sociale attuate fino ad allora da Giolitti. In questo modo, da un lato, si
crea un’alleanza fra i liberali al potere e i cattolici conservatori, invece della precedente intesa
fra socialisti riformisti e Giolitti, dall’altro la crisi innesca una radicalizzazione dello scontro
fra le classi lavoratrici e la borghesia che è avvisaglia dei ben più sanguinosi fatti che di lì a
qualche anno avverranno; la borghesia deve, quindi, “mutar spalla al suo fucile” (Gramsci) per
poter continuare a perseguire i suoi scopi.
Parte Prima.
14
Indice di tale situazione è l’attribuzione dei pieni poteri al Governo, con
l’esautoramento sostanziale del Parlamento, cosa che favorisce un
rafforzamento del circuito esistente fra banche, industrie pesanti, ministeri e
Governo, in un intreccio fra Stato ed economia sempre più stretto, come nota
una parte della storiografia
26
; funzionale a tale connubio è il proliferare di
nuovi ministeri, i cui titolari sono nominati attraverso procedure autoritarie e
autocratiche
27
. Particolare importanza riveste il Ministero delle armi e
munizioni, che, come è stato da più parti notato diede luogo ad una stretta
commistione fra organizzazione statale e capitale finanziario: infatti, la
“mobilitazione industriale” a fini bellici, realizzata attraverso le commesse di
guerra, si traduceva nelle prime forme di “privatizzazione del pubblico”,
ovvero di una macchina statale via via sempre più funzionale agli interessi dei
privati che contestualmente inserisce i primi elementi del controllo pubblico
nell’impresa
28
.
La coalizione alta Banca-Industria pesante è la forza dominante in quegli
anni e tale posizione preponderante è, come si è precedentemente detto,
favorita dallo Stato, che, nel momento in cui la situazione delle banche diviene
difficile, alla fine del 1914, interviene massicciamente a loro sostegno tramite
la creazione di un apposito ente: il Consorzio Salvataggio Valori Industriali
(CSVI), dotato di 22 milioni di capitale sottoscritto da un insieme di banche,
che agisce, con i mezzi forniti dalla Banca d’Italia, tramite risconto, prendendo
in pegno titoli e accordando sovvenzioni
29
.
26
Vedi, G. Procacci, Appunti …op. cit., pag. 222.
27
Come nel caso estremo del Ministro E. Conti, nominato con decreto legge.
28
S. d’Albergo, Costituzione …op. cit., pag. 53.
29
P. Grifone, Il capitale finanziario in Italia- La politica economica del fascismo, Torino,
Einaudi, 1971, pagg. 24-25.
Parte Prima.
15
Inoltre, l’ingerenza dello stato nell’economia si profila in maniera sempre
più netta: nascono, infatti, il Commissariato generale fabbricazioni di guerra
(1914), che aveva il controllo sulle principali risorse interne, e l’Istituto cambi
(1917), per il monopolio del commercio delle valute estere non senza
l’approvazione dei trust che riescono in questo modo a far passare come
benefici dello Stato i propri profitti, ed il Consorzio di credito per le opere
pubbliche (1919)
30
.
La forma di Stato che si viene a delineare, nell’ambito della Costituzione
flessibile, risulta essere un’evoluzione dello Stato liberale classico, che ha
larghissimi poteri d’intervento in molti campi, è “(...) invadente e
autoritario”
31
, ma è soprattutto connotato da caratteri di una privatizzazione
autoritaria, perché al di là delle forme “(…) il peso degli interessi costituiti,
delle centrali del potere economico, delle banche, delle grandi industrie è ormai
dominante”
32
.
Alla fine del conflitto, la situazione sociale, economica e politica del paese
è esplosiva: le classi subalterne ormai consce della loro forza, e scosse dagli
eventi bellici, maturano la consapevolezza che la libertà politica è strumentale
alla libertà reale solo se produce un’impostazione organica della problematica
economico sociale, in cui il piano rivendicativo salariale non venga staccato da
quello politico generale.
La borghesia industriale, invece, in una posizione organica al dominio
dell’esecutivo, in funzione del potere accumulato, in termini economici e
politici, spinge per l’accentuazione totalizzante di quei caratteri produttivistici
emersi negli anni precedenti e che servono a formalizzare l’istituzione di una
forma di Stato in cui gli interessi generali coincidano con gli interessi della
30
Quanto alla natura giuridica del CREDIOP, del CSVI e dell’Istituto Cambi, ora Ufficio, con
funzioni ridotte rispetto a prima, (ossia non ha più il monopolio dei cambi con l’estero) esse
sono qualificabili come imprese – ente pubblici, esercenti il credito a medio termine; vedi M.
S. Giannini, L’impresa …op. cit., pag. 256 – 258.
31
G. Procacci, Appunti…, op. cit., pag.233.
32
G. Procacci, ibidem. S. d’Albergo, ibidem.
Parte Prima.
16
produzione
33
; la lotta fra le diverse classi sociali va, quindi, inasprendosi al
punto da produrre una veemente reazione da parte del padronato, soprattutto
agrario, che si appoggia al neonato movimento fascista (1919), per contrastare,
con l’uso della violenza le organizzazioni sindacali popolari e socialiste; tale
movimento è ben visto da quei settori dell’opinione pubblica che vedono
annichiliti valori in cui hanno creduto e per cui hanno combattuto (Galante
Garrone, Grifone, Guarneri); vani sono i tentativi di ritrovare un equilibrio
istituzionale nel solco della tradizione liberale, in quanto gli ormai contrapposti
gruppi sociali spingono per soluzioni improntate, gli uni, al modello sovietico,
frattanto delineatosi, gli altri ad una organizzazione sociale funzionale alla
trustificazione: la situazione politica non può che riflettere questo stato di
conflittualità e produce la sclerotizzazione del Governo e la paralisi del
Parlamento: l’ultimo Ministero Giolitti, infatti mette in essere misure
demagogiche e impopolari
34
quali l’avocazione allo Stato dei profitti di guerra,
la nominatività obbligatoria dei titoli pubblici e privati, la riforma dei dazi, la
soppressione del prezzo politico del pane, che scontentano sia le sinistre che le
destre.
Nell’ambito economico, il processo di trustificazione, procede attraverso
ulteriori salvataggi statali e forme di socializzazione delle perdite, dovuti al
peggioramento della congiuntura economica; esemplificativi a tale titolo sono i
casi della Comit e della Sconto: la prima, vantando un più ampio campo di
partecipazioni, riesce a cavarsela da sola ma subisce una grave perdita in virtù
del fallimento delle controllate Ilva (controllata direttamente) e Lloyd
Mediterraneo (controllata Ilva); la seconda, invece, ne esce messa in
liquidazione (sfruttando il R.D.L.28.12.1921 n.1861) in quanto, avendo puntato
tutto sull’Ansaldo ne segue la triste sorte: la Sconto riesce, però, a rimborsare i
propri creditori tramite una sovvenzione ad hoc proveniente dalla Sezione
33
G. Cottino (a cura di), Ricerca sulle Partecipazioni statali, I. Studi sulla vicenda italiana
Torino, Einaudi, 1977, pag. 14 – 16.
Parte Prima.
17
Autonoma del CSVI
35
, mentre, precedentemente, un analogo consorzio di
natura privata, non era stato in grado di portare la necessaria liquidità agli
immobilizzi della Sconto; il tutto, a sintetizzare il connubio inscindibile fra
Stato autoritario, capitalismo monopolistico e istituti rappresentativi della
“privatizzazione” dello Stato.
34
F. Guarneri, Battaglie economiche fra le due guerre, Bologna, il Mulino, 1988,
pagg. 140-141.
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F. Guarneri, Battaglie…op. cit., pag. 145, P. Grifone, Il Capitale…, op. cit.