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INTRODUZIONE
La legge delega per l’attuazione del federalismo fiscale ( L. 5 maggio 2009,
n. 42)
Per i costituzionalisti il federalismo fiscale pone problemi e solleva istanze non coincidenti
con i temi discussi dai cultori del diritto tributario, ma che ne rappresentano indubbiamente le
premesse: l’evoluzione dell’ordinamento a fronte dei fenomeni diffusione/dispersione del
potere politico che si realizzano nelle moderne democrazie rappresentative
1
; i suoi eventuali
riflessi sull’unità nazionale
2
; la stabilità del rapporto fra forma di Stato e garanzia dei diritti
fondamentali
3
; la tenuta del principio di eguaglianza
4
; il fondamento della potestà
regolamentare degli enti locali e, la gerarchia delle fonti
5
.
All’interno di queste vastissime aree tematiche e, quasi all’ombra di una discussione che
coinvolge la conformazione e, per alcuni persino il destino del moderno stato nazionale, i
nessi con la disciplina del prelievo tributario stentano a percepirsi eppure esistono e, sono
rilevanti. Essi nascono dal riconoscimento, compiuto dal testo dell’art. 119 Cost. scaturito
dalla legge di riforma costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, dell’autonomia di entrata e di spesa
a Regioni ed enti locali (autonomia finanziaria), nonché del potere di tali enti di ‘’stabilire e
applicare tributi ed entrate propri’’ (autonomia tributaria e impositiva)
6
. E dalla conseguente
necessità di convogliare le attività che ne saranno l’espressione nell’alveolo non solo degli
impegni di rango internazionale e sopranazionale assunti dallo Stato in ambito finanziario e
tributario
7
, ma anche dei valori costituzionali inerenti alla disciplina dei tributi e ai soggetti
istituzionali e privati che ne sono coinvolti
8
. È dunque fatale che le valutazioni da compiere
sulla disciplina del federalismo fiscale nell’attuale assetto costituzionale tengano conto anche
delle peculiarità della materia tributaria.
Fatto sta che dopo le anticipazioni offerte da rilevanti apporti della giurisprudenza della Corte
Costituzionale successivi alla riforma del titolo V della Costituzione, nonché da disegni e
1
CARAVITA, Lineamenti di diritto costituzionale federale e regionale, Torino, 2006, pagg. 62 e seguenti.
2
LUCIANI, Unità nazionale e principio autonomistico alle origini della Costituzione, in AA.VV., Le idee
costituzionali della Resistenza, Roma, 1997, pagg. 73 e seguenti.
3
CARLASSARE, Forma di Stato e diritti fondamentali, in ‘’Quad. cost.’’, 1995, pagg. 33 e seguenti.
4
FERRARA, Eguaglianza e federalismo (ovvero del federalismo virtuoso e di quello perverso), in ID., L’altra
riforma nella Costituzione, Roma, 2002, pag. 160.
5
DI FOLCO, La garanzia costituzionale del potere normativo locale, Padova 2007, pagg. 233 e seguenti.
6
L’autonomia finanziaria si compone dell’autonomia di entrata e di spesa, e l’autonomia tributaria ne è una
estrinsecazione. Questa esprime la capacità dell’ente sub statale di emanare norme giuridiche tributarie,
disponendo di un potere originario, sebbene variamente subordinato al potere statuale. L’autonomia tributaria si
distingue dall’autonomia impositiva, che consiste nel potere-dovere dell’amministrazione locale di compiere atti
volti alla realizzazione della pretesa fiscale. Per una compiuta teorizzazione : MICHELI, Autonomia e finanza
degli enti locali, in Riv. Dir. Fin. 1967, I, pagg. 523 e seguenti; ID. Premesse per una teoria della potestà di
imposizione, ibid., II, pagg. 264 e seguenti.
7
CAFARI PANICO, Il principio di non discriminazione e la cittadinanza dell’Unione Europea in rapporto
all’autonomia impositiva regionale, in VENTURINI-BARIATTI, (a cura di) Diritti individuali e giustizia
internazionale, Milano 2009, pagg. 35 e seguenti.
8
FREGNI, Autonomia tributaria delle regioni e riforma del titolo V della Costituzione, in PERRONE-
BERLIRI, (a cura di) Diritto tributario e Corte Costituzionale, Roma 2006, pagg. 477 e seguenti.
6
progetti di legge che nel corso del 2008 ne hanno rappresentato i primi tentativi di traduzione
sul piano politico-legislativo
9
; l’approvazione della L. n. 42/2009 ha conferito caratteri di
concretezza ed effettività a un dibattito sul futuro assetto della finanza pubblica, in precedenza
confinato nell’aerea delle indicazioni programmatiche.
Il nuovo testo legislativo ha infatti dettato:
(a) principi attuativi delle regole costituzionali inerenti alla disciplina dei tributi (legalità;
capacità contributiva; imparzialità; fiscalità e buon andamento); (b) principi generali di
coordinamento del sistema tributario (separazione delle fonti; territorialità; correlazione e
continenza; fiscalità di sviluppo); (c) principi e criteri direttivi relativi ai tributi regionali, e (d)
ai tributi comunali, province e città metropolitane.
Si tratta di enunciati normativi in parte nuovi, destinati a orientare anche l’interpretazione
delle discipline che saranno dettate dai criteri di attuazione della delega. I precetti dettati dalla
L. n. 42/2009 traducono il riconoscimento dell’autonomia tributaria di Regioni ed enti locali
compiuto dall’art. 119 Cost. in un sistema di entrate che ai tributi c.d. erariali, di competenza
esclusiva dello Stato
︠ [ art. 117, comma 2,lett. e), Cost.], affiancherà tributi ed entrate propri di
regioni ed enti locali, nonché partecipazione al gettito di tributi erariali e al fondo perequativo,
destinati a ‘’finanziare integralmente il normale esercizio delle funzioni pubbliche attribuite’’
a ciascun livello di governo [ art . 2, comma 2, lett. e, L. citata ]. Da ciò scaturiscono due
osservazioni preliminari, che sotto certi profili rinviano alla discussione condotta sugli stessi
temi dai cultori di diritto costituzionale, dimostrando però l’utilità di una integrazione tra i
diversi livelli di analisi, in funzione di una più completa disciplina del fenomeno.
La prima osservazione è che l’art. 2, comma 2, lett. e), L. n. 42/2009 non si propone di
destinare parte delle entrate tributarie degli enti sub-statali a finanziare anche lo sviluppo della
comunità locale (come invece era significativamente previsto in via prioritaria dall’art. 149,
comma 7, D.lgs. n. 267/2000 – TU. Leggi sull’ordinamento degli enti locali)
10
, ma lega, anzi,
il gettito di tributi, compartecipazioni e fondo perequativo al ‘’normale esercizio’’ delle
funzioni attribuite. Ciò riflette la disciplina dettata dall’art.119 Cost. scaturito dalla riforma,
che infatti affida lo sviluppo economico delle autonomie locali all’assegnazione di risorse
aggiuntive e, cioè ulteriori rispetto a quelle appena dette (art. 119, comma 5, Cost.); e attua un
disegno costituzionale che correla l’autonomia tributaria di Regioni ed enti locali prima al
riparto di funzioni disposto dall’art. 118 Cost. e, in via residuale alla concretizzazione
dell’autonomia politica dell’art. 5 Cost. Del resto, il primo comma dell’art. 119 Cost. non
attribuisce agli enti sub- statali un’autonomia tributaria assoluta, ma la correla, nell’atto stesso
in cui la riconosce, all’autonomia di spesa; per inserirle entrambe nell’ambito di una gestione
delle finanze che è dunque prima amministrativa che politica e, cioè funzionale al subentro di
Regione ed enti locali nell’esercizio delle funzioni prima esercitate dallo Stato, volto al
9
Sul tema ci si è già soffermati in : Considerazioni sul Disegno di legge delega per l’attuazione dell’art. 119
Cost., in ‘’Fin. Loc’’, 2008, pagg. 37 e seguenti; e in. La legge delega per l’attuazione dell’art. 119 Cost. :
proposte a confronto, in Riv. Dir. Trib., 2008, I, pagg. 687 e seguenti.
10
Disposizione – ‘’ Le entrate fiscali finanziano i servizi pubblici ritenuti necessari per lo sviluppo della
comunità e integrano la contribuzione erariale per l’erogazione dei servizi pubblici indispensabili’’ – concepita
in un contesto già di superamento del sistema di finanziamento degli enti locali mediante trasferimenti erariali,
avviato dal D.lgs. n. 56/2000) su cui: MARONGIU, Evoluzione e lineamenti della finanza locale italiana, in
‘’Fin. Loc.’’, n. 9, 2005, pag. 31.
7
conseguimento di risultati migliori e più economici di quelli ottenuti dalla struttura politico-
burocratica centrale.
La seconda osservazione è che all’esigenza di collegare la finanza degli enti sub- statali anche
a obbiettivi politici sono dedicati successivi e subordinati capi dello stesso articolo, tra i quali
vanno annoverati l’art. 2, comma 2, lett. bb) e cc), L. citata, diretto ad assicurare che nella
composizione degli insiemi di tributi regionali e locali, la maggior parte di essi sia composta
da ‘’tributi manovrabili’’ capaci di fornire agli enti finanziati un adeguato grado di autonomia
di entrata; e tali anche da consentire a quelli dotati di un potenziale fiscale più basso, di
finanziare la spesa non riconducibile ai livelli essenziali delle prestazioni e alle funzioni
fondamentali degli enti locali, attivando potenzialità proprie
11
. E’ il cenno tutt’altro che
risolutivo contenuto nell’art. 2, comma 2, lett. mm), L. citata alla ‘’fiscalità di sviluppo’’, ove
il delegante si è limitato a disporre che la disciplina relativa dovrà conformarsi ai vincoli posti
dal diritto comunitario. Queste prescrizioni lasciano il campo aperto all’introduzione di forme
di competizione fiscale tra enti posti sul medesimo livello di governo, in funzione di parziale
bilanciamento della opzione dichiaratamente solidaristica compiuta dal Legislatore
delegante
12
, la cui ponderata attuazione sembra però un possibile effetto secondario del più al
generale riordino della finanza locale prefigurato dalle disposizioni che le precedono.
Il tutto prepara un assetto in cui, semplificando, si può dire che le grandi scelte di politica
fiscale saranno riservate al centro; mentre in periferia le esigenze di equilibrio di
bilanciamento prevarranno sul perseguimento di obiettivi politici, in sé possibili – anche se in
misure e secondo modalità diverse a livello regionale e locale, ma subordinatamente al
conseguimento dell’obiettivo principale e, sotto la diretta responsabilità dell’ente autonomo
13
.
Il che del resto risponde a precise esigenze di controllo della spesa, imposte in ambito
comunitario dai vincoli del Trattato di Maastricht al rapporto debito/Pil e, nell’ordinamento
domestico, dal Patto di stabilità Interno (art. 2, comma 2, lett. b, L. citata).
Se da un lato questa situazione è il frutto di una scelta obbligata dalle condizioni della finanza
pubblica, nonché dalla ipoefficienza dei mezzi di politica economica disponibili a livello sub-
statale, dall’altro affida il finanziamento di finalità di sviluppo locale all’introduzione
pressoché certa di nuovi tributi dei quali pochi cenni si rinvengono all’interno di un testo
legislativo (la L. citata) invece prodigo di indicazioni di principio e, che si rivela quindi come
il principale nodo politico che l’incipiente attuazione del federalismo fiscale pone senza per il
momento risolvere.
La legge delega prima e, i decreti attuativi dopo, hanno solo avviato il processo di riforma,
che ad oggi non può dirsi completo. Gli interventi normativi sinora approvati, infatti, si
limitano a introdurre una disciplina di base in tema di federalismo fiscale; quasi sempre
11
Allo stesso scopo è destinata anche la serie di prescrizioni particolari volte a eliminare vincoli di destinazione
delle somme provenienti dal gettito di tributi regionali derivati e dalle compartecipazioni ai tributi erariali (art. 7,
comma 1, lett. e, L. n. 42/2009); o determinati vincoli alle politiche di bilancio degli enti locali (art. 12, comma
1, lett. l, L. cit.), il cui smantellamento è pure strumentale all’esercizio di un’autonomia politica da parte
dell’ente interessato.
12
Art. 2, comma, lett. b), L. n. 42/2009.
13
L’art. 2, comma 2, lett. a), L. n. 42/2009 pone una correlazione diretta tra l’autonomia di entrata e di spesa
riconosciuta dall’art. 119 Cost. con l’obiettivo di una ‘’maggiore responsabilizzazione amministrativa,finanziaria
e contabile di tutti i livelli di governo’’, che appare riduttivo rispetto alle potenzialità del prelievo tributario come
strumento di politica economica.
8
rinviando ad ulteriori misure – sotto forma di decreti legislativi correttivi o decreti ministeriali
– l’individuazione della normativa di dettaglio. Peraltro, la riforma, per dirsi completa e
perché se ne possa verificare concretamente la tenuta, necessiterà di anni per ultimare la fase
transitoria di raccolta ed elaborazione dati. Non c’è dubbio però che, nel frattempo, l’attuale
contesto politico ed economico abbia apportato notevoli condizionamenti all’attuazione del
federalismo fiscale, sia sul piano delle tempistiche che relativamente ai contenuti della
riforma. Essa, non sfruttando a pieno le potenzialità di attuazione dell’art. 119 Cost., di fatto
trasforma solo parzialmente la struttura della finanza pubblica italiana, tuttora ancorata a una
gestione centralista delle risorse del Paese, in cui la compartecipazione al gettito erariale resta
indiscussa protagonista. Il finanziamento degli enti territoriali continua ad operare attraverso
tributi derivati, con conseguente scarsa valorizzazione della possibilità di istituire tributi
propri locali.
In pratica, più che di federalismo fiscale si potrebbe parlare di una razionalizzazione del
modello economico già esistente, che concede poche aperture all’autonomia di Regioni e
degli Enti locali, sempre all’interno di un forte potere di controllo dello Stato, sia di entrata
che di spesa. Tuttavia non mancano nella riforma innovazioni di indubbio rilievo, che
potrebbero portare la finanza italiana a un notevole balzo in avanti in tema di efficienza,
efficacia e risparmio delle risorse pubbliche finanziarie a disposizione. In tal senso
significativo è proprio il progetto di passaggio dalla spesa storica alla spesa standard per il
finanziamento dei servizi di Regioni, Province, Comuni e Città metropolitane. Ad oggi,
tuttavia, la disciplina sul punto non può dirsi completa in quanto la normativa presenta ancora
punti oscuri sui quali il legislatore dovrebbe intervenire; occorrerà dunque attendere che si
completi il percorso per valutare l’effettiva riuscita e tenuta nell’ordinamento ed ipotizzare
eventuali misure correttive.
9
CAPITOLO 1
PRIME VALUTAZIONI SULLA NUOVA FISCALITA’ DEI COMUNI
1. Brevi considerazioni sul federalismo municipale fiscale *
L’esigenza di attuazione del federalismo fiscale trova il suo riferimento costituzionale nell’art.
5 che, nel sancire l’unità e indivisibilità, promuove le autonomie locali e l’attuazione del più
ampio decentramento amministrativo. Ciò costituisce il presupposto delle legge delega 5
maggio 2009, n. 42, in attuazione dell’art. 119 Cost., e in seguito dei decreti attuativi
14
,
creando ‘’l’asse portante’’ del lungo iter di decentramento fiscale. Al fine di comprendere al
meglio l’attuazione del federalismo municipale è doveroso sottolineare che il nostro Paese,
sebbene strutturato in Regioni, Province, Città metropolitane e Comuni, è comunque
federalista ‘’dissociativo‘’
15
di tipo solidaristico. È infatti presente un modello di federalismo
rarissimo che, <<partendo dalla realtà storica di uno stato fortemente unitario, coniuga
l’autonomia con i poteri centrali forti e, conseguentemente, il potere locale di votare le
imposte con le esigenze di unitarietà impersonale dello Stato-Repubblica ( la c.d. marble cake
che la dottrina economica americana contrappone alla layer cake propria del federalismo
competitivo); il tutto, mantenendo alla legge statale il potere di fissare i principi fondamentali
di coordinamento e, assicurando nello stesso tempo ai cittadini residenti nelle comunità meno
sviluppate, il diritto di avere riguardo ai bisogni essenziali, la garanzia dei livelli minimi di
prestazione>>
16
. I principi cui dovrebbe ispirarsi il legislatore sono quelli di autonomia
finanziaria, di semplificazione, di efficienza
17
e di responsabilità
18
.
Nell’ambito dei tributi locali, invece, particolarmente importanti sono:
- il principio del beneficio [art. 2, secondo comma, lett. p ), della legge n. 42/2009] che
identifica la particolare correlazione tra i prelievi fiscali subiti e benefici derivanti dalla spesa;
- il principio di continenza
19
: <<opera come fisiologico limite interno all’esercizio della
potestà residuale d’imposizione delle Regioni. Tale limite consiste nella necessità che il
prelievo, frutto dell’esercizio di detto potere, sia direttamente correlato, oltre che al territorio
14
I decreti attuativi sono il D.lgs. 26 novembre 2010, n. 216, <<Funzioni essenziali degli enti minori, fabbisogni
e costi standard>>, il D.lgs. 14 marzo 2011, n. 23, sul << federalismo municipale>>, e il D.lgs. 6 maggio 2011,,
n. 68, sul << federalismo regionale e provinciale>>.
15
Cfr. MARONGIU, Federalismo fiscale: un progetto ambizioso per una realtà difficilissima, in Corr. Trib.,
2010, 3893.
16
Così GALLO, I principi del federalismo fiscale, in Atti del convegno ‘’Regionalismo fiscale tra autonomie
locali e diritto dell’unione Europea’’, Taormina, 27-28 aprile 2012, 144.
17
In modo tale da indurre ogni amministrazione a decidere in relazione ai costi e ai benefici.
18
I cittadini, infatti, devono essere messi nelle condizioni di poter verificare l’operato degli amministratori.
19
Così Gallo, I principi del federalismo fiscale, cit., 150.
* “Brevi considerazioni sul federalismo fiscale municipale nella legge di stabilità 2014” di Dott. Santa De Marco
- http://www.bollettinotributario.it/wordpress/brevi-considerazioni-sul-federalismo-fiscale-municipale-nella-legge-di-stabilita-2014
/
10
regionale, anche alle materie oggetto delle competenze regionali ripartite e residuali>>. Con
ciò infatti, il legislatore ha voluto determinare un nesso importante tra tributo proprio e
potestà impositiva regionale;
- il principio di sussidiarietà (art. 118, primo comma, Cost.) che nella sua accezione verticale
prevede che lo Stato possa operare nelle materie di competenza degli enti sotto ordinati,
qualora determini un migliore ed efficace raggiungimento dell’interesse pubblico.
La legge n. 42/2009 conferisce un ruolo particolarmente significativo anche alla fiscalità dei
Comuni; prevedendo all’art. 12 e all’art. 2, secondo comma, lett. q), n. 2, lett. s) e t), che gli
enti locali non hanno semplicemente la potestà di istituire e regolamentare i tributi stabiliti
dallo Stato o dalle Regioni; bensì nell’ambito delle proprie competenze, di modificare le
aliquote e introdurre ogni correlazione tra prelievi fiscali subiti e benefici della spesa.
È logico intendere che i Comuni, essendo gli enti più vicini alla collettività, modellano ed
erogano servizi maggiormente adeguati alle esigenze dell’area territoriale in cui operano. In
virtù di ciò, con la riforma del titolo V della Costituzione, che modifica gli artt. 114, 117, 118
e 119 Cost., il legislatore ha tentato di fare in modo che gli enti locali assumono una posizione
paritetica e il Comune rivesta in alcuni ambiti un ruolo preminente
20
.
In buona sostanza, la nuova formulazione degli artt. 117 e 119 Cost. dovrebbe determinare <<
la creazione di distinte entità equiordinate
21
>>. Occorre precisare che << è stato
costituzionalizzato un federalismo ‘’cooperativo’’, perché regioni ed enti locali, secondo
l’art. 119, sono finanziati, oltre che da risorse proprie ‘’compartecipazioni al gettito di tributi
erariali riferibile al loro territorio’’, anche da un ‘’fondo perequativo’’, senza vincoli di
destinazione a favore dei territori con minore ‘’ capacità fiscale’’. Inoltre, l’art. 119 prevede
che lo Stato possa destinare ‘’ risorse aggiuntive ‘’ ed effettuare interventi per promuovere lo
sviluppo economico e la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri
economici e sociali, per favorire l’effettivo esercizio dei diritti della persona, o per
provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni >>
22
.
1.1 Il federalismo fiscale municipale nel D.lgs. 14 marzo 2011, n. 23
Il decreto delegato sul federalismo fiscale municipale 14 marzo 2011, n. 23 recante
<<Disposizioni in materia di federalismo municipale>>, approvato in via definitiva dal
Consiglio dei Ministri il 3 marzo 2011 e pubblicato in G.U. n.67 del 23/03/2011; attuativo
dell’art. 12, comma 1, lett. b) della legge delega, costituisce uno degli snodi principali della
20
AMATUCCI, I limiti costituzionali del potere statutario dei Comuni in materia tributaria, in Dir. Trib. e Corte
Cost., 2006, 506.
21
Cfr. MARONGIU, Evoluzione e lineamenti della finanza locale in Italia, in Fin. Loc., 2005, 46.
22
Così TESAURO, Istituzioni di diritto tributario, Milano 2012, 322.
11
riforma sul federalismo; che è articolata in due fasi. Il ruolo fondamentale del tributo
immobiliare per la fiscalità dei comuni viene riconosciuto quindi dall’art. 12, comma 1, lett.
b) l. 42/2009 che prevede, come criterio direttivo per i decreti di attuazione del federalismo
fiscale; la ‘’definizione delle modalità secondo cui le spese dei comuni relative alle funzioni
fondamentali …. sono prioritariamente finanziate da una o più delle seguenti fonti: dalla
imposizione immobiliare‘’. Si eleva tuttavia a criterio di delega la ‘’esclusione della
tassazione patrimoniale sull’unità immobiliare adibita ad abitazione principale del soggetto
passivo‘’, secondo quanto previsto ai fini ICI.
La finalità della riforma, prima di tutto politica e poi finanziaria
23
, effettua un revirement
verso i Comuni, nel senso che lo Stato sembra avere attribuito un legame diretto tra
acquisizione delle risorse e capacità contributiva realizzata sul territorio degli enti locali; la
ricchezza immobiliare è la più significativa, determinando, infatti il passaggio dalla finanza
derivata ad una finanza propria.
La prima fase della riforma, c.d. << transitoria>> o di avvio della durata di tre anni (2011-
2013), prevede, a decorrere dal 2011, l’attribuzione ai Comuni del gettito derivante da alcuni
tributi statali inerenti al comparto territoriale ed immobiliare, con riferimento agli immobili in
essi ubicati. Il decreto alimenta le finanze comunali nel periodo transitorio attraverso la
devoluzione del gettito dei seguenti tributi erariali: a) imposta di registro e di bollo sugli atti
correlati ai trasferimenti immobiliari; b) imposte ipotecarie e catastale; c) Irpef sui redditi
fondiari, escluso il reddito agrario; d) imposta di registro e imposta di bollo sui contratti di
locazione degli immobili; e) tributi speciali catastali; f) tasse ipotecarie; g) cedolare secca
sugli affitti. I tributi erariali sopra elencati alimentano il fondo sperimentale di riequilibrio (il
quale precede l’attivazione del fondo perequativo della capacità fiscale previsto dalla legge
42/2009 ), che è suddiviso in due sezioni – la prima alimentata dalle imposte sui trasferimenti
e dalle imposte indirette gravanti su specifici atti, la seconda dalle imposte dirette. Il riparto
del fondo fra i singoli enti avverrà tenendo conto dei fabbisogni standard di spesa e dei
risultati conseguiti dalle singole amministrazioni nel recupero dell’evasione fiscale.
Ai Comuni è attribuita, inoltre, una compartecipazione al gettito IVA, a decorrere dal 2011.
La percentuale di tale compartecipazione viene fissata, nel rispetto dei saldi di finanza
pubblica; in misura equivalente alla compartecipazione al gettito dell’IRPEF del 2% . Allo
Stato resta il gettito delle imposte ipotecaria e catastale relative agli atti gravati da Iva. Ad
esso inoltre viene attribuito il gettito dell’addizionale comunale sull’energia elettrica e una
compartecipazione al gettito dei tributi devoluti ai Comuni in modo da assicurare la neutralità
finanziaria del provvedimento.
I trasferimenti erariali sono ridotti in misura pari al gettito che confluisce nel fondo di
riequilibrio, al netto della compartecipazione erariale. In altri termini, l’importo del fondo di
riequilibrio è pari ai trasferimenti soppressi e l’eccesso di gettito dei tributi devoluti rispetto ai
trasferimenti soppressi è trattenuto dallo Stato. A partire dal 2011, sarà in vigore la cedolare
secca sugli affitti eventualmente riscossa in alternativa all’Irpef relativa agli immobili locati
ad uso abitativo; dove l’art. 3 del Decreto, infatti, introduce a decorrere da tale anno, la
possibilità per il proprietario o il titolare di diritto reale di godimento, di unità immobiliare
23
Cfr. BASILAVECCHIA, Il Fisco municipale rispetta i vincoli costituzionali, in Corr. Trib., 2011, 11