III
Introduzione
Questo elaborato si propone di effettuare un attento studio riguardante la
regolamentazione fiscale delle rendite finanziarie prevista a livello nazionale ed
europeo. L’imposizione dei redditi derivanti dall’impiego del capitale ricopre un ruolo
fondamentale nella politica tributaria nazionale, sia da una prospettiva interna, in
riferimento alle esigenze di gettito ed al contrasto di fenomeni elusivi, sia da una
prospettiva esterna, quale strumento di condizionamento dei flussi internazionali di
capitale.
In virtu’ della sua indubbia rilevanza sul piano nazionale, l’autore si è dunque chiesto
se tale tematica potesse essere posta a fondamento di un maggiore coordinamento
fiscale tra i diversi Stati appartenenti all’Unione europea, con il fine ultimo di valutare
la possibilità di pervenire ad una integrale armonizzazione dei regimi fiscali nazionali
in materia finanziaria.
Innanzitutto, il lavoro si concentrerà sulla precisa identificazione della nozione di
rendita finanziaria, per poi occuparsi dell’evoluzione della disciplina italiana ed
europea. Dapprima verrà analizzato Il sistema di tassazione dei redditi nostrano, a
cominciare dalla legge delega per la riforma tributaria del 1971 da cui esso si origina,
per poi giungere ad una più ampia disamina della regolamentazione prevista a livello
europeo. A tal fine è apparso preliminarmente necessario fare riferimento alla rapida
trasformazione che negli ultimi anni ha caratterizzato il contesto europeo,
contrassegnato dalla creazione del mercato interno europeo e dall’affermarsi del
principio di libera circolazione dei capitali. Successivamente, dopo averne
compiutamente descritto le principali conseguenze ed implicazioni, tra cui rileva
menzionare l’acquisita transnazionalità dei redditi di natura finanziaria, l’indagine
proseguirà attraverso una attenta analisi della normativa europea, facendo riferimento
non soltanto alle disposizioni fiscali contenute nel Trattato sul funzionamento
dell’Unione Europea, ma anche alla disciplina derivante dal processo di integrazione
negativa portato avanti dalle istituzioni europee. Nella parte conclusiva dell’elaborato
l’analisi verrà portata a compiutezza pervenendo alla descrizione del fenomeno
IV
armonizzatore della disciplina fiscale delle rendite finanziarie. Sarà dunque effettuata
un’indagine più approfondita delle principali problematiche che hanno portato ad
avvertire l’attuale esigenza di armonizzazione, segnalando le più rilevanti patologie
sistemiche che essa aiuterebbe a risolvere, nonché i numerosi impedimenti che
continuano ad ostacolarne il definitivo conseguimento.
L’IMPOSIZIONE DELLE RENDITE FINANZIARIE
NELL’AMBITO DELLA NORMATIVA EUROUNITARIA
L’IMPOSIZIONE DELLE RENDITE FINANZIARIE IN
ITALIA
1
Capitolo I
L’imposizione delle rendite finanziarie in Italia
1. La nozione di rendita finanziaria: i redditi di capitale e i redditi
diversi di natura finanziaria
Nella loro forma più diffusa e semplificata le rendite finanziarie sono definite come i
proventi derivanti dall’investimento del denaro, rectius del capitale
1
, in attività
finanziarie
2
. Le rendite finanziarie si suddividono in due grandi gruppi: i redditi di
capitale e i redditi diversi. Per quanto concerne la prima delle due categorie in
questione, essa viene disciplinata dall’art. 44, comma 1 del Testo Unico delle Imposte
sui Redditi
3
. Tale disposizione non contiene una definizione unitaria della suddetta
categoria di reddito
4
, bensì una mera elencazione delle fattispecie considerate reddito
di capitale
5
. L’eterogeneità delle fattispecie tipizzate dal legislatore ha indotto spesso
1
Sulla questione terminologica: Zingales, Risparmio, tassazione e libertà dei capitali, in “Il Sole 24
ore” del 24 marzo 2006, ricorda come l’espressione “rendite finanziarie” evochi il concetto di guadagno
ottenuto senza sforzo, mentre chi investe il proprio risparmio in attività finanziarie rinuncia al consumo
attuale, sopportando invece un sacrificio.
2
Ferranti, Scafati, Redditi di natura finanziaria, IPSOA, 2012.
3
Testo Unico delle imposte sui redditi - D.P.R. del 22 dicembre 1986 n. 917, pubblicato in Gazzetta
Ufficiale n. 302 del 31 dicembre dello stesso anno
4
Come quella desumibile, a mero titolo esemplificativo, dall’art. 25 per i redditi fondiari, oppure
dall’art. 55 per i redditi di impresa.
5
Invero, il primo comma della disposizione in esame afferma che: “Sono redditi di capitale:
a) gli interessi e altri proventi derivanti da mutui, depositi e conti correnti;
b) gli interessi e gli altri proventi delle obbligazioni e titoli similari, degli altri titoli diversi dalle azioni
e titoli similari, nonché' dei certificati di massa;
c) le rendite perpetue e le prestazioni annue perpetue di cui agli articoli 1861 e 1869 del codice civile;
d) i compensi per prestazioni di fideiussione o di altra garanzia;
e) gli utili derivanti dalla partecipazione al capitale o al patrimonio di società ed enti soggetti all'imposta
sul reddito delle società, salvo il disposto della lettera d) del comma 2 dell'articolo 53; è ricompresa tra
gli utili la remunerazione dei finanziamenti eccedenti di cui all'articolo 98 direttamente erogati dal socio
o dalle sue parti correlate, anche in sede di accertamento;
f) gli utili derivanti da associazioni in partecipazione e dai contratti indicati nel primo comma
dell'articolo 2554 del codice civile, salvo il disposto della lettera c) del comma 2 dell'articolo 53;
g) i proventi derivanti dalla gestione, nell'interesse collettivo di pluralità di soggetti, di masse
patrimoniali costituite con somme di denaro e beni affidati da terzi o provenienti dai relativi
investimenti;
g-bis) i proventi derivanti da riporti e pronti contro termine su titoli e valute;
g-ter) i proventi derivanti dal mutuo di titoli garantito;
2
la dottrina ad evidenziare come sia difficile ricondurre ad un minimo comune
denominatore tutte le ipotesi previste dalla norma in esame
6
.
Per completezza, è tuttavia necessario precisare che una definizione della categoria di
reddito in esame sembrerebbe in parte desumibile dalla previsione contenuta nella lett.
h) del comma 1, dell’art. 44 del T.U.I.R. secondo cui: “sono redditi di capitale gli
interessi e gli altri proventi derivanti da altri rapporti, non indicati espressamente
nello stesso art. 44, aventi per oggetto l’impiego del capitale, esclusi i rapporti
attraverso cui possono essere realizzati differenziali positivi o negativi in dipendenza
di un evento incerto”. Tale disposizione normativa potrebbe indurre a ritenere che il
minimo comune denominatore di tutte le ipotesi previste nell’art. 44 del T.U.I.R. sia
la fonte del provento e cioè l’impiego del capitale
7
. Per la configurabilità di un
“impiego del capitale” può ritenersi sufficiente l’esistenza di un rapporto giuridico che
comporti il trasferimento della proprietà di un capitale con la possibilità di ottenerne
la restituzione alla cessazione del rapporto
8
. La citata lettera h) del comma 1 dell’art.
44 del T.U.I.R., seppur non idonea a fornire una definizione precisa e univoca della
categoria reddituale in questione, è comunque di fondamentale importanza poiché
consente di delimitarne il perimetro. Tale disposizione, infatti, se da un lato impone di
considerare come redditi di capitale anche i proventi, non espressamente individuati
nell’art. 44, che comunque derivano da rapporti aventi ad oggetto l’impiego di capitale,
dall’altro non consente di considerare come redditi di capitale quei proventi relativi a
rapporti che, pur avendo ad oggetto l’impiego di capitale, siano idonei a determinare
g-quater) i redditi compresi nei capitali corrisposti in dipendenza di contratti di assicurazione sulla vita
e di capitalizzazione;
g-quinquies) i redditi derivanti dai rendimenti delle prestazioni pensionistiche di cui alla lettera h-bis)
del comma 1 dell'articolo 50 erogate in forma periodica e delle rendite vitalizie aventi funzione
previdenziale;
g-sexies) i redditi imputati al beneficiario di trust ai sensi dell'articolo 73, comma 2, anche se non
residenti;
h) gli interessi e gli altri proventi derivanti da altri rapporti aventi per oggetto l'impiego del capitale,
esclusi i rapporti attraverso cui possono essere realizzati differenziali positivi e negativi in dipendenza
di un evento incerto.
6
Cfr. Escalar, Contributo allo studio della nozione di reddito di capitale, in Rassegna tributaria 1997,
pag. 287
7
Ferranti, Scafati, Redditi di natura finanziaria, cit. pag. 1.
8
Gallo, Prime considerazioni sulla disciplina dei redditi di capitale nel nuovo testo unico, in Rass. trib.,
1998, pag. 41.
3
il realizzo di un utile o di una perdita. Il motivo di tale esclusione è facilmente intuibile
se si tiene conto della imposizione a lordo e senza alcuna deduzione operata, ai sensi
dell’art. 45, comma 1, del T.U.I.R., sui redditi di capitale: la riconduzione a tassazione
in tale categoria anche dei redditi che, pur avendo ad oggetto l’impiego del capitale,
abbiano natura aleatoria
9
, avrebbe comportato una ingiustificata penalizzazione, in
quanto, gli utili sarebbero stati tassati mentre sarebbe rimasta preclusa la deducibilità
delle perdite
10
.
In conclusione, la menzionata norma di chiusura permette di definire, a contrario,
l’altra categoria di redditi finanziari, riconducibili ai redditi diversi, e comprendente
una serie di fattispecie reddituali molto eterogenee elencate all’art. 67 del T.U.I.R., tra
di esse, quelle che scaturiscono da attività finanziaria, sono menzionate alle lett. c), c-
bis), c-ter), c-quater) e c-quinquies)
11
.
9
E dunque idonei a dar vita non soltanto ad utili ma anche a perdite.
10
Cfr. M. Leo, F. Monacchi, M. Schiavo, Le imposte sui redditi nel Testo unico, Giuffrè, 1999, pag.
550.
11
Ai fini di completezza espositiva si cita testualmente: “c) le plusvalenze realizzate mediante cessione
a titolo oneroso di partecipazioni qualificate. Costituisce cessione di partecipazioni qualificate la
cessione di azioni, diverse dalle azioni di risparmio, e di ogni altra partecipazione al capitale od al
patrimonio delle società di cui all'articolo 5, escluse le associazioni di cui al comma 3, lettera c), e dei
soggetti di cui all'articolo 73, comma 1, lettere a), b) e d), nonché' la cessione di diritti o titoli attraverso
cui possono essere acquisite le predette partecipazioni, qualora le partecipazioni, i diritti o titoli ceduti
rappresentino, complessivamente, una percentuale di diritti di voto esercitabili nell'assemblea ordinaria
superiore al 2 o al 20 per cento ovvero una partecipazione al capitale od al patrimonio superiore al 5 o
al 25 per cento, secondo che si tratti di titoli negoziati in mercati regolamentati o di altre partecipazioni.
Per i diritti o titoli attraverso cui possono essere acquisite partecipazioni si tiene conto delle percentuali
potenzialmente ricollegabili alle predette partecipazioni. La percentuale di diritti di voto e di
partecipazione è determinata tenendo conto di tutte le cessioni effettuate nel corso di dodici mesi,
ancorché' nei confronti di soggetti diversi. Tale disposizione si applica dalla data in cui le partecipazioni,
i titoli ed i diritti posseduti rappresentano una percentuale di diritti di voto o di partecipazione superiore
alle percentuali suindicate. Sono assimilate alle plusvalenze di cui alla presente lettera quelle realizzate
mediante: 1) cessione di strumenti finanziari di cui alla lettera a) del comma 2 dell'articolo 44 quando
non rappresentano una partecipazione al patrimonio; 2) cessione dei contratti di cui all'articolo 109,
comma 9, lettera b), qualora il valore dell'apporto sia superiore al 5 per cento o al 25 per cento del valore
del patrimonio netto contabile risultante dall'ultimo bilancio approvato prima della data di stipula del
contratto secondo che si tratti di società i cui titoli sono negoziati in mercati regolamentati o di altre
partecipazioni. Per le plusvalenze realizzate mediante la cessione dei contratti stipulati con associanti
non residenti che non soddisfano le condizioni di cui all'articolo 44, comma 2, lettera a), ultimo periodo,
l'assimilazione opera a prescindere dal valore dell'apporto; 3) cessione dei contratti di cui al numero
precedente qualora il valore dell'apporto sia superiore al 25 per cento dell'ammontare dei beni
dell'associante determinati in base alle disposizioni previste del comma 2 dell'articolo 47 del citato testo
unico;