CAPITOLO I
Verso la riforma della Scuola Elementare
3
“Con lo studio ogni giorno si aumenta”.
(Lao-Tzu, V sec. A.C.)
1.1 Cenni sulla scuola degli anni ’70
Come ogni “organo” della società, anche la scuola è soggetta ai venti –
favorevoli e sfavorevoli – provenienti dal “tronco” che le dà linfa.
Negli anni sessanta la riflessione critica sulla società (“grazie” anche ai
contributi di alcuni membri della “scuola di Francoforte”
1
) si fa sempre più
serrata e pertinace. Non v’è settore che non passi al vaglio recensore della
“intellighenzia”: la politica, l’economia, la religione, l’arte, la stessa cultura
e, ovviamente, la scuola…
E si giunge così al “Sessantotto”, il cui credo fu il gran rifiuto, cioè una
contestazione globale dell’intero sistema vigente
2
. Tra le tante proteste
meritano un cenno quelle “contro” il consumismo, lo spreco, le ideologie
totalizzanti…Tra i pro proclamati e propalati si ricordano quelli a favore di
una libertà estrema dell’individuo, della donna, della
rivalutazione/partecipazione delle masse nella vita politica e nei posti di
comando…
Nel 1967 il “prete reprobo” don Milani, esiliato in un borgo di meno di
cento anime, pubblica - prima della morte – due scritti di enorme impatto
sociale: “L’ubbidienza non è più una virtù” (nel quale si invitava ogni
individuo a esercitare il proprio pensiero critico) e “Lettera a una
professoressa”, considerato il suo manifesto-testamento pedagogico nel
quale si demolivano i criteri pedagogici tradizionali, essenzialmente
“magistrocentrici” a favore di una pedagogia democratica, largamente
“puerocentrica”
3
. (Si ricorda – per inciso – che il libro fu pubblicato
coll’intervento diretto dei suoi allievi ed ebbe l’effetto di una bomba…).
1
Cfr. H Horkheimer, T. Adorno, Dialettica dell’Illuminismo, Einaudi, Torino, 1966
2
V. Caporale, Descolarizzazione e autonomia, Cacucci, Bari, 2001, p. 122
3
Cfr.Scuola di Barbiana, Lettera a una professoressa, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze, 1971
4
A livello mondiale grande interesse suscitò la pubblicazione, avvenuta nel
1972, del Rapporto Faure che descriveva lo stato della scuola e della
educazione nel mondo, edita per conto dell’UNESCO
4
.
In Italia tutto codesto fermento portò a forti e durature modifiche nella
scuola: basti pensare ai Decreti delegati del 1973, con i quali la scuola si
apriva al sociale e alle sue esigenze
5
, e la legge 517 del 1977 che
sottolineava la necessità di regolamentare la sperimentazione e
l’inserimento degli alunni portatori di handicap nelle classi normali. Furono
chiuse le classi speciali e ogni alunno divenne “soggetto di diritti” e non più
solo di doveri…
Nel nuovo organigramma entrò anche il concetto di scuola a tempo pieno.
Insomma, la scuola, preso atto delle trasformazioni epocali della/nella
società, cercava di adeguarvisi essa stessa per non perire di inedia.
4
Cfr. E. Faure, Learning to be: The world of Education Today and Tomorrow, UNESCO, 1972
5
Cfr. Legge delega per lo stato giuridico della scuola, 30 luglio 1973, n. 477 e Decreti delegati, 31 maggio
1974, nn. 416, 417 418, 419, 420.
5
1.2 Tramonto dei programmi “Ermini”
Con gli anni Ottanta si assiste ad una “riscoperta” dei problemi
dell’apprendimento, in virtù di ragioni socio-culturali e pedagogiche
ampiamente condivise, anche se queste ultime vengono ritenute meno
importanti delle prime
6
. Franco Frabboni ha spiegato il fenomeno
sostenendo che l’interesse per il versante dell’apprendimento si ha “nelle
stagioni socio/economiche di alta domanda di qualificazione professionale e
di conseguente stratificazione e selezione della forza lavoro; e cioè in
periodi di cambiamento e riconversione tecnologica degli strumenti di
produzione, di intensa mobilità del lavoro”
7
.
Da un punto di vista pedagogico era ormai indifferibile il problema della
revisione dei Programmi della scuola elementare. “Sulla necessità di
sostituire i Programmi della scuola elementare vigenti dal 1955, ma
abbandonati di fatto dalla scuola, il consenso dei gruppi politici,
professionali, sindacali appare pressoché unanime; si riconosce alla scuola
elementare il diritto a un rinnovamento meno rapsodico e meno
differenziato, a livello nazionale, di quello reso possibile dalle innovazioni
legislative dell’ultimo decennio – importanti, ma settoriali – e dai tentativi
di sperimentazione condotti dagli operatori scolastici in una varietà di
situazioni e con una varietà di intenti difficilmente dominabili”
8
.
I programmi Ermini venivano giudicati superati soprattutto sul piano storico
dalla stessa scuola militante. Nel momento in cui furono emanati,
compirono un passo indietro
9
per taluni aspetti delle problematiche psico-
pedagogiche. Il bambino, infatti, fu depsicologizzato a tutto favore di una
6
E. Catarsi, La scuola dentro: i saperi e il curricolo, in F. Frabboni, F. Pinto Minerva (a cura di), Dopo la
Riforma, Ethel Editoriale, Segrate (Mi), 1997, p. 142
7
F. Frabboni, Il curricolo nella scuola italiana: storia e stato attuale, in F. Schino, (a cura di), Il sistema
formativo italiano, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma, 1981, p. 172
8
M. Parente, Commento sistematico ai nuovi Programmi della scuola elementare, Juvenilia, Bergamo,
1987, p.74
9
A dimostrazione del “passo indietro” c’è il ripristino del concetto (scomparso nei programmi del ’45) che
la religione dovesse essere “fondamento e coronamento” dell’educazione.
6
sua spiritualizzazione. Lo scolaretto di quegli anni fu visto “tutto intuizione,
fantasia, sentimento”: era un contenitore di soprannaturale. Il maestro altro
non doveva fare che cogliere il “soprannaturale” che era in lui, mentre alla
scuola si affidava il compito di curarne l’interesse ad apprendere attraverso
un processo di tipo spontaneo e naturale con una metodologia intuitiva nel
primo ciclo e analitica nel secondo; escludendo molti degli aspetti che oggi
vengono posti alla base dello sviluppo della personalità infantile
10
. La
diversità appariva profonda se poi l’analisi si spostava sul tipo di cultura
infantile di cui il bambino era portatore: “Che tra il bambino-fanciullo del
1955 e quello del 1983 corrano differenze abissali è quasi scontato
ammetterlo, differenze che hanno a che fare più con l’esperienza
extrascolastica che con quella scolastica; la seconda ha avuto tempi assai
più rallentati rispetto a quelli esterni, al punto che è oggi inconcepibile un
bambino senza televisione, senza giornaletti e figurine, e così via
11
”.
Un’altra connotazione di cambiamento dal ’55 ad oggi la si può additare nel
completo mutamento del concetto di programma: programma non è tanto
una raccolta di prescrizioni indicative e di traguardi normativi, quanto la
redazione riflessa di un concreto piano di azione compiuto dagli operatori
coinvolti in una situazione rispondente ai dati forniti dall’analisi della
situazione stessa
12
. Infatti, i Programmi sono una tipica espressione dei
sistemi scolastici centralizzati in cui lo Stato, provvedendo anche in proprio
alla gestione delle scuole, stabilisce quali sono i contenuti della formazione
ai quali tutte le scuole devono uniformarsi, almeno in linea di principio. Se
ne ricava che la scelta di emanare nuovi programmi spetta al Governo,
mentre l’esigenza di rinnovarli ed aggiornarli è l’espressione di più ampie
trasformazioni socio-culturali. Nella tradizione scolastica italiana il
10
G. Bonetta, Due secoli di istruzione elementare in Italia, in F. Frabboni, F. Pinto Minerva (a cura di),
Dopo la Riforma, Ethel Editoriale, Segrate (Mi), 1997, p11
11
AA.VV., Il bambino della ragione, La Nuova Italia, Firenze, 1989, p.63
12
C. Scurati (a cura di), La nuova scuola elementare. Commento ai programmi 1985, La Scuola, Brescia,
1986, pp.35-36
7
programma costituisce un modello di sviluppo delle conoscenze e dei modi
di essere di un allievo-tipo, cioè di un allievo le cui caratteristiche sono
medie. Questo modello ha costituito un punto di riferimento valido finché la
scuola si è rivolta a strati ristretti di popolazione, oppure poteva
semplificare una eccessiva diversità tra gli allievi sacrificando i non graditi.
Da quando la scuola, in attuazione del principio stabilito dalla Costituzione
della Repubblica Italiana del diritto allo studio, è diventata di tutti o di
“massa”, questa semplificazione nell’ipotizzare le caratteristiche degli
allievi non poteva più essere utilizzata. Infatti, oggi, almeno nella scuola
dell’obbligo, si deve tener conto delle caratteristiche di ciascuno per
individuare le soluzioni più appropriate alle sue “esigenze”. Si parla
appunto di “individualizzazione dell’insegnamento”. Quando si tiene conto
della diversità delle caratteristiche individuali si offrono due possibilità:
quella di non indicare dei risultati uguali per tutti, lasciando così agli
insegnanti il compito di tradurre le indicazioni contenutistiche e didattiche
dei programmi in criteri di valutazione dei risultati conseguiti; oppure
quella di rendere esplicito un profilo di abilità e di conoscenze che tutti gli
allievi, indipendentemente dalla diversità dei livelli di partenze, dovrebbero
raggiungere alla fine dell’esperienza didattica
13
.
Inoltre, la Premessa ai Programmi 1955 recitava: “Nella psicologia
concreta del fanciullo l’intuizione del tutto è anteriore alla ricognizione
analitica delle parti; così la scuola ha il compito di agevolare questo
processo naturale partendo dalle prime intuizioni globali per snodarle via
via nelle articolazioni di un discorso riflesso”. Ma gli studi psicologici già
indicavano che le metodiche globali ed analitiche, cioè i metodi induttivi e
deduttivi, erano strategie di pensiero che la mente umana utilizzava in
maniera indifferenziata.
13
F. Frabboni, R. Maragliano, B. Vertecchi, Pedagogia e didattica dei Nuovi Programmi per la Scuola
Elementare, La Nuova Italia, 1984, p.22
8
Infine, la concezione educativa espressa dai Programmi, sull’onda dello
spiritualismo pedagogico allora imperante, nel segno e nel nome di
un’educazione della “persona” posta tra i valori della spiritualità e della
libertà, faceva sì che si mascherasse dietro la facciata di un eclettismo
pedagogico (alla scuola elementare si attribuisce un insieme di obiettivi
generici e disomogenei tra loro), la sostanza effettiva di un’educazione
interessata più al modellamento assiologico che all’apprendimento di un
sapere critico e problematico. Il fine è lo stampo di un’etica individualistica
e privatistica, e non l’assunzione di un abito scientifico e antidogmatico. In
essi predomina l’infallibilità dell’azione del docente e la sua solitudine
professionale (la dialettica educativa nasce e muore nella vita di classe),
l’etica della vita di banco e il profili di una personalità “intellettualmente”
conformista, “socialmente” dipendente, “affettivamente” inibita,
“esteticamente” convergente
14
.
14
P. Bertolini, F. Frabboni, Scuola primaria, La Nuova Italia, Firenze, 1981, p.52
9
1.3 I programmi del 1985 – Caratteri e finalità della Scuola
Elementare
Con il D.M. 14 maggio 1981 venne insediata la Commissione per il
rinnovamento dei programmi, con il compito di procedere
“…all’elaborazione in via preliminare delle linee fondamentali e generali
dei programmi di insegnamento nella scuola elementare”; “e di identificare
il compito specifico di quest’ordine di scuola nella realizzazione della prima
alfabetizzazione culturale, intesa come acquisizione di tutti i fondamentali
tipi di linguaggio a un primo livello di padronanza mediante un intervento
intenzionale e sistematico che si configura come organizzazione e
arricchimento di un ambiente per l’apprendimento”
15
.
Di fronte ad un sistema formativo policentrico (contrassegnato sia da una
soggettività dilagante, selvaggia, per la frantumazione della domanda
culturale di natura individuale, sia da una proliferazione sregolata di
agenzie extrascolastiche dalla “minacciosa” forza formativa) la scuola è
chiamata a ridisegnarsi su un progetto culturale più articolato, duttile,
complesso, mettendo in moto un’architettura sperimentale, flessibile,
intercambiabile, in sintonia con l’insorgenza di bisogni/domande
differenziate. Ciò indirizza la scuola su un sentiero curricolare obbligato:
quello di un nuovo specialismo cognitivo. Abbandonando ogni visione
culturale totalizzante dell’istituzione – come unica banca di capitalizzazione
della cultura - la scuola deve sperimentare una sua identità pedagogica
quale officina di metodo, di analisi-riflessione delle conoscenze. Suo
compito diviene prevalentemente quello di insegnare ad apprendere e
molto meno quello di informare. Sottoposto al futuro implacabile nel quale
prevarica il bombardamento semiologico, l’allievo dovrà essere in grado di
15
C. Scurati (a cura di) La nuova scuola elementare…,op. cit., p.38
10
cogliere e allacciare i fili di una gigantesca matassa e, quindi, di capire i
nessi che legano insieme i tanti anelli sparsi delle conoscenze
16
.
Alfabetizzazione culturale. Mentre la trasmissione delle conoscenze
tramite i media classici viaggia sull’onda breve (per i canali subcorticali e
labili dell’eccitazione “emotiva”) della comunicazione di massa, la nuova
galassia semiotica sembra destinata a consumare la sua sfida pedagogica
sull’onda lunga (per i canali razionali e persistenti degli apparati “logici”
dell’informazione personalizzata e individualizzata) dell’utenza: come dire,
si offriranno conoscenze selezionate e ritagliate sulle motivazioni cognitive
e sui livelli linguistico-culturali del singolo consumatore
17
. La scuola dovrà
essere sempre più terreno di alfabetizzazione di base: intendendo con
questo il processo di appropriazione degli strumenti linguistici e logici
(tradizionali e “nuovi”) irrinunciabili per l’allievo che popolerà il prossimo
millennio. “Sprovvisti delle chiavi di lettura, i “microprocessori” della
comunicazione appariranno, senza scampo, come una confusa ammucchiata
di cachets informativi: se presi singolarmente e isolati dal quadro logico di
cui fanno parte spalancheranno le porte ad un’erudizione dai contorni
magici, irrazionali, superstiziosi. Sarebbe un modo di conoscere che
azzererebbe la possibilità di decidere come essere uomo, dopodomani”
18
.
Di fronte al malessere diffuso della scuola di base, si reclamava da più parti
la necessità di un riadeguamento in senso culturale e funzionale della scuola
elementare e si avanzavano proposte di riforme più o meno radicali, anche
sul piano istituzionale, funzionale e organizzativo.
Nei suoi trenta mesi di lavoro (maggio 1981 – novembre 1983) la
Commissione dei Sessanta ha mirato due bersagli:
16
F. Frabboni, R. Maragliano, B. Vertecchi, op. cit., p.57
17
Cfr. XVI Rapporto sulla situazione sociale del Paese, Censis, Roma, 1982, pp. 111 ss.
18
P. Bertolini, F. Frabboni, Scuola primaria, op. cit., p.54
11
1) risagomare l’architettura della scuola elementare, con particolare
riferimento al pilastro istituzionale (finalità formative, rapporto con la
società civile e culturale, l’organizzazione del lavoro didattico);
2) cambio d’abito culturale, il nuovo “sapere”: l’organizzazione curricolare
delle conoscenze, l’introduzione di nuove materie (la lingua straniera,
l’educazione all’immagine, l’educazione motoria), l’incentivazione delle
aree disciplinari nevralgiche per il cittadino di domani (la lingua, le
scienze).
La scuola del curricolo. Nella stesura del testo: «…La Commissione è
rimasta fedele alla promessa e ha progettato una scuola elementare del
curricolo. Con Programmi volutamente corposi, muscolosi, con qualche
pagina in più: un pentolone disciplinare ridondante di ingredienti culturali,
dove la Programmazione potesse attingere a piene mani i sapori e i profumi
più congrui per il proprio progetto didattico. Un “pentolone” dove sono
mescolati insieme conoscenze (ma anche finalità e obiettivi) prescrittive e
facoltative, terreni vincolanti e opzionali, i saperi essenziali e quelli
indicativi»
19
. La necessità di andare “oltre l’informazione”, cioè oltre
l’occasionalismo e il descrittivismo si accompagna con la valorizzazione
della “disciplina” di studio”, vista, insieme, come campo strutturato di
conoscenze (struttura concettuale) e modello del pensiero (struttura
cognitiva). La “scoperta” che la didattica fa della disciplina ha come
conseguenza la rivisitazione dei curricoli scolastici, nei quali le “materie di
insegnamento” vengono disegnate prendendo come modello la struttura
della disciplina di riferimento, e privilegiarne della stessa l’organizzazione
delle conoscenze (la mappa concettuale) o le procedure metodologiche (le
“regole” della scoperta)
20
.
19
AA.VV. Il bambino della ragione, La Nuova Italia, Firenze, 1989, p.36
20
I. Fiorin, Oscillazioni, in “Scuola Italiana Moderna”, 15 novembre 1995, n. 6, p. 9
12
Quindi, la programmazione è curricolare. Letteralmente curricolo vuol dire
“corso di studi”, per cui reca implicito il senso della sequenzialità; ciò
significa che non si programma se non si hanno idee chiare sui punti di
partenza, sui punti di arrivo, sulle tappe intermedie. Inoltre, il corso di studi
non è fatto solo di contenuti e di metodi: è fatto di persone, di risorse, di
situazioni ambientali, di esigenze del territorio e di infrastrutture materiali:
il curricolo reca, dunque, implicito anche il senso dell’organizzazione di
tutti i fattori educativi. Ai Programmi generali, generici e spesso scoloriti,
la programmazione curricolare arreca il contatto con la realtà e la
mediazione pedagogica per cui una scuola viva, con alunni e insegnanti
vivi, cerca di far propri i contenuti della società e della cultura, del lavoro e
dello studio, dell’arte e della scienza, traducendoli in obiettivi alla propria
portata
21
.
Si è sentita l’esigenza di inserire nella Commissione, accanto agli esperti
delle singole discipline, agli esperti di pedagogia e di didattica, agli
ispettori, ai direttori e agli insegnanti, anche un rappresentante della
psicologia dell’età evolutiva
22
. Era importante che risultasse con chiarezza
nei programmi che la scuola primaria, oltre al compito fondamentale di
fornire ai bambini un insieme di conoscenze e di abilità specifiche relative
alle diverse discipline, ha compiti essenzialmente formativi. Era, cioè
importante dare evidenza al fatto che la scuola, attraverso le attività e i
contenuti, contribuisce a favorire lo sviluppo di certi aspetti fondamentali
della personalità, sia di ordine cognitivo (capacità di base), sia di ordine
affettivo-emotivo, sociale e morale (atteggiamenti di fondo nei confronti del
mondo della natura e della comunità). Si tratta di due compiti fondamentali
che devono essere collegati tra loro secondo un rapporto di interdipendenza.
21
M. Laeng, Introduzione, in M. Laeng (a cura di), I nuovi programmi della scuola elementare, Giunti-
Lisciani, Teramo, 1986, p.6
22
G. Petter, Aspetti psicologici dei nuovi programmi, in M. Laeng (a cura di) I nuovi programmi della
scuola elementare, Giunti-Lisciani, Teramo, 1986, p.23
13
Formazione ed informazione. Porre con chiarezza il problema
dell’interdipendenza tra “formazione” e “informazione”, significa porre in
modo esplicito anche quelli, ad esso strettamente correlati, del rapporto fra
“educazione” e “istruzione” e del rapporto tra “sviluppo” e
“apprendimento”
23
. Era importante sottolineare chiaramente nei Programmi
la necessità di garantire uno sviluppo equilibrato delle componenti
razionali e di quelle fantastiche dell’attività cognitiva. È ormai stato messo
in luce lo stretto rapporto fra queste due componenti della vita mentale, e la
loro compresenza in tutte le attività cognitive.
Il “bambino” dei Programmi ’85. Inoltre, era importante che
l’“immagine del bambino” emergente da questi Programmi fosse in
armonia con quanto del bambino e delle diverse fasi del suo sviluppo ci
hanno detto le recenti ricerche psicologiche e pedagogiche compiute negli
ultimi decenni. Il bambino in questi programmi potrebbe venire così
delineato:
- è un bambino che giunge alla scuola elementare già con un suo
patrimonio di conoscenze, di atteggiamenti, di valori che si è venuto
formando sulla base delle esperienze da lui compiute nell’ambito della
famiglia e del quartiere e sotto la costante influenza dei mass-media;
- è un bambino che ha diritto ad attività significative, motivanti, così come
ha il diritto (provandone piacere) di capire;
- è un bambino che prova il gusto del “fare” e pertanto può essere
sollecitato ad assumere un atteggiamento attivo e a sviluppare un
comportamento operativo;
- è un bambino che aspira all’autonomia, e può raggiungerla
gradualmente, via via che, tenendo conto delle varie fasi in cui si attua il
suo sviluppo intellettuale, gli vengono fornite o fatte acquisire delle
23
G. Petter, op. cit., p.24
14
conoscenze, delle forme di simbolizzazione o delle tecniche di ricerca e
di analisi. Si tratta di un’autonomia che può assumere sia la forma del
conoscere e saper fare come gli altri (nei processi del pensiero
convergente), sia la forma del conoscere e saper fare in modo diverso
dagli altri (nell’attività fantastica, creativa, divergente, nella
elaborazione di un modo personale di vedere e di esprimersi);
- è un bambino potenzialmente capace di collaborare con gli altri, pur
mantenendo una propria indipendenza di giudizio e di accettare
criticamente e consapevolmente certe norme di convivenza e certi valori,
così come di comprendere e rispettare quelli degli altri;
- è un bambino che si trova nella fase della “latenza” e quindi, avendo
raggiunto un relativo, anche se temporaneo equilibrio sul piano affettivo-
emotivo, può impiegare gran parte della sua energia psichica sul piano
dell’attività cognitiva per la formazione delle strutture intellettuali e delle
capacità cognitive di base, per l’acquisizione di un ampio patrimonio di
conoscenze e per lo sviluppo dei processi di socializzazione
24
.
Il testo finale dei Programmi venne promulgato il 12 febbraio 1985, con il
D.P.R. 104; con lo stesso decreto si stabiliva che il testo programmatico
avrebbe avuto concreta applicazione a partire dall’A.S. 1987/’88 per le
classi prime e poi, a seguire, con cadenza annuale per le altre classi.
Gli apporti più rilevanti, desumibili dal testo stesso dei Programmi sono:
- la scuola primaria si richiama ai principi della Costituzione e alle
dichiarazioni internazionali dei diritti dell’uomo e del fanciullo;
- l’insegnamento deve utilizzare come “punto di partenza” l’identità
culturale del fanciullo e le “modalità cognitive ed affettive” che lo
caratterizzano;
24
G. Petter, op. cit., p.25
15
- è fondamentale il rispetto delle “diversità”, che deve però unirsi
all’attenzione a far sì che esse “non si trasformino in disuguaglianze sul
piano sociale e civile”;
- l’individualizzazione si profila come “utilizzazione di tutti i canali della
comunicazione” allo scopo di conseguire “una sostanziale equivalenza di
risultati”;
- l’attività didattica ha per compito “la promozione della prima
alfabetizzazione culturale intesa come acquisizione di tutti i fondamentali
tipi di linguaggio” e come conseguimento di “un primo livello di
padronanza dei quadri concettuali, delle abilità, delle modalità di
indagine essenziali alla comprensione del mondo umano, naturale ed
artificiale”;
- la scuola assume i contorni e le configurazioni di un vero e proprio
“ambiente educativo e di apprendimento”;
- la “vita quotidiana della scuola” si caratterizza per la realizzazione di un
“clima sociale positivo”;
- l’attenzione alla “creatività” si unisce alla promozione di capacità di
autoconsapevolezza e di “autonoma valutazione dell’uso delle
conoscenze sul piano personale e sociale”;
- rimane essenziale la “motivazione a capire e ad operare
costruttivamente”;
- alla scuola spetta l’impegno di proporre all’alunno momenti ed
opportunità di “riflessione aperta” che lo aiutino a “superare i punti di
vista egocentrici e soggettivi” e di fornirgli “criteri e strumenti per un
inserimento attivo nel mondo delle relazioni interpersonali”,
sostenendolo “nella progressiva conquista di una autonomia di giudizio,
di scelta e di assunzione di impegni”;