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Introduzione
La politica di coesione economica sociale e territoriale dell’UE è finalizzata a promuovere
uno sviluppo equilibrato, armonioso e sostenibile della Comunità, cercando di ridurre le
disuguaglianze tra le diverse regioni Europee. Essa, oltre ad essere espressione della
solidarietà tra gli Stati membri, intende rendere le regioni dell’UE luoghi più attraenti,
innovativi e competitivi dove vivere e lavorare, essa trae origine anche dalla convinzione che
il raggiungimento di un grado di sviluppo economico più omogeneo all’interno dei confini
comunitari garantirebbe una maggior efficienza complessiva del mercato europeo.
L’elaborato, attraverso un’analisi descrittiva basata su fonti ufficiali, vuole verificare e
valutare se l’implementazione di tale politica nell’ultimo decennio abbia realmente portato al
raggiungimento degli obiettivi prefissati, misurando non solo l’efficacia rispetto agli obiettivi
iniziali ma determinando anche l’impatto reale verificato tramite la comparazione di più
variabili territoriali e cercando altresì di rispondere alla domanda chiave se l’investimento
d’ingenti somme, messe a disposizione dai Fondi Europei (circa 344 miliardi di euro nel
periodo 2007-2013), abbia un “rientro” completo o parziale e in che modo questo sia
misurabile.
Tutto ciò è possibile grazie alla recentissima pubblicazione della V Relazione sulla politica di
coesione europea (avv. novembre 2010) che chiude il precedente periodo di programmazione
2000-2006 e si pone nel mezzo del successivo periodo 2007-2013. Il documento fornisce
interessanti valutazioni ex-post dei risultati raggiunti fino al 2006, creando la possibilità di
confrontarli con gli analoghi dati contenuti nella IV Relazione; esso inoltre correda l’analisi
con le informazioni riguardanti la distribuzione dei fondi per obiettivo e per settori tematici
per il periodo di programmazione in corso, in una sorta di continuità esecutiva che cerca di
individuare opportuni correttivi dalle pregresse esperienze.
Le diversità regionali all’interno dell’Unione, la quale è costituita da territori con
caratteristiche, opportunità ed esigenze molto differenti tra loro, impongono il superamento di
politiche formulate solo a livello europeo o nazionale a favore di misure che conferiscano alle
regioni la capacità progettuale e procurino i mezzi necessari per poter attuare concretamente
le politiche capaci di soddisfare le loro necessità. L’approccio dal basso è ciò che
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contraddistingue la politica di riequilibrio regionale ed è il suo punto di forza, ma esso causa
alcuni problemi di carattere estimativo.
La valutazione dei risultati conseguiti non è una questione di semplice soluzione, anche
perché, cercando di ricostruire un quadro fedele degli effetti economici, sociali ed ambientali
della politica di coesione si pone una doppia finalità: attribuire le responsabilità e imparare dal
passato. In altre parole deve rispondere ai quesiti riguardanti i progetti portati a termine (che
cosa è stato fatto con i soldi dei contribuenti?) e a quelli riguardanti l’ottimizzazione e il
perfezionamento della politica (come si può migliorare la politica?).
La stima degli effetti presenta difficoltà di misurazione particolarmente gravi perché il
contributo della politica rappresenta solo una delle tante variabili da considerare.
L’evoluzione economica globale, il cambiamento tecnologico, la politica macroeconomica e
molti altri fattori esercitano un’influenza rilevante e, in alcuni ambiti (come l’innovazione e i
trasporti), solo nel lungo periodo è possibile raggiungere una valutazione concreta.
A tutto ciò si aggiunge che la V Relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale, di
fatto, è stata presentata alla fine del decennio trascorso ma è stata anche adottata all’indomani
della peggior crisi finanziaria ed economica della storia recente. L’UE e gli Stati membri
hanno reagito a questa situazione attuando misure finalizzate - per quanto possibile - a
preservare il tessuto imprenditoriale e conservare i posti di lavoro, per stimolare la domanda e
incrementare gli investimenti pubblici.
A conseguenza della crisi i vari governi hanno incontrato ulteriori problemi a rifinanziare il
loro debito pregresso, trovandosi alle prese con il crollo delle entrate tributarie e con
l’aumento della spesa pubblica per il finanziamento di ammortizzatori sociali e delle misure
anticrisi.
L’UE, consapevole del nuovo scenario verificatosi, ha deciso di adottare una strategia
ambiziosa e lungimirante per la ripresa di lungo periodo che prende il nome di Europa 2020.
In questo contesto, la V Relazione si eleva a documento fondamentale, come se
rappresentasse l’anello di congiunzione tra l’Europa in rinascita e gli obiettivi della nuova
strategia, evidenziando che il contributo che le regioni e la politica di coesione, in particolare,
possono fornire al raggiungimento di tali obiettivi.
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Detto ciò, il presente elaborato cercherà di rispondere agli interrogativi, sollevati in
precedenza, riguardanti l’attuazione della politica regionale negli ultimi dieci anni, partendo
dalla descrizione sintetica della V relazione sulla politica di coesione, descrivendo le modalità
di finanziamento e come questi fondi siano stati distribuiti per obiettivi, per settori tematici e
per regioni.
Questi dati ci condurranno al “cuore” della trattazione, costituito dall’analisi dell’efficacia
attraverso l’utilizzo di diversi strumenti: l’analisi grafica, la comparazione di dati pubblicati
da fonti ufficiali nell’arco temporale indicato, raccordandoli con variazioni rilevanti a livello
territoriale. Si è così condotta un’analisi integrata di diverse variabili, tra loro interdipendenti,
al fine di verificare il reale impatto complessivo di attuazione dei macro obiettivi.
La trattazione, da una visione d’insieme e complessiva, alla fine si sposterà verso il territorio
italiano, indicando i settori e le regioni dove più si è investito, cercando però di cogliere
l’inefficacia delle politiche comunitarie in alcuni territori, specialmente nelle regioni
meridionali e di individuarne le possibili cause.
L’Europa si trova davanti ad un’ardua sfida: uscire dalla profonda crisi che l’ha investita,
ridurre disoccupazione e povertà e, nello stesso tempo, aumentare la produttività. Lo sviluppo
economico dovrà avvenire in particolare attraverso l’utilizzo di energie rinnovabili,
l’incremento dell’efficienza energetica e favorendo la sostenibilità ambientale.
Il presente elaborato tende a dimostrare che, oltre la valutazione della concreta efficacia della
politica regionale europea, la grande finalità perseguita dall’Organismo sovranazionale,
tramite la politica di coesione, è quella di appianare le disparità economiche, sociali e
territoriali tra i diversi Stati membri, attraverso la promozione di una crescita intelligente,
sostenibile ed inclusiva. In tal modo esso contribuisce a fornire una visione dell’Unione
Europea senza barriere e confini e rafforzata invece da un profondo senso di appartenenza da
parte dei suoi cittadini, ivi compresi gli operatori economici e i rappresentanti delle istituzioni
pubbliche.
Cap 1: “Investire nel futuro dell’Europa’’ La V Relazione sulla
coesione economica, sociale e territoriale
1.1 Caratteri generali
Ogni tre anni l’Unione Europea pubblica una relazione sulla coesione economica,
sociale e territoriale al fine di illustrare i progressi compiuti e i contributi dati dall’Ue e
dalle amministrazioni nazionali e regionali.
La coesione è stata fin dal Trattato di Roma
1
, firmato nel 1957, una delle finalità di
quella che poi sarebbe diventata l’Unione Europea. Gli allora sei Stati Membri
affermavano con convinzione di voler “rafforzare l’unità delle loro economie e di
assicurarne lo sviluppo armonioso riducendo le disparità fra le diverse regioni e il
ritardo di quelle meno favorite”
2
.
Gli obiettivi principali sono la promozione di un progresso economico e sociale
equilibrato e sostenibile, mediante la creazione di uno spazio senza frontiere interne ed
il rafforzamento della coesione economica e sociale nell’intero territorio.
La consultazione pubblicazione della V relazione, intermedia al periodo di
programmazione 2007-2013, integra la finalità della coesione territoriale, oltre a quella
economica e sociale, esaminandola sotto tre aspetti: la dimensione territoriale di accesso
ai servizi, una maggior attenzione al cambiamento climatico e infine la valutazione
dell’impatto territoriale delle politiche.
La relazione che è stata adottata all’indomani della peggior crisi finanziaria ed
economica della storia recente. La relazione si articola in quattro capitoli. Il primo è
incentrato sulla situazione e sulle tendenze economiche, sociali e territoriali dell'UE,
considera come (1) promuovere la competitività e la convergenza economica, (2)
1
Il Trattato che istituisce la Comunità europea (firmato a Roma il 25 marzo 1957) fu sottoscritto dai
rappresentanti dei sei paesi fondatori (Italia, Belgio, Germania Ovest, Francia, Lussemburgo, Paesi
Bassi).
2
Articolo 2 del Trattato di Roma.
1
migliorare il benessere e ridurre l'esclusione sociale e (3) favorire la sostenibilità
ambientale. Il secondo capitolo valuta il contributo dato dalle politiche nazionali alla
coesione. Il terzo presenta una panoramica dei contributi apportati alla coesione da altre
politiche comunitarie. L'ultimo capitolo riassume infine le evidenze degli effetti positivi
della politica di coesione per il rafforzamento dei suoi obiettivi, segnalando al contempo
le aree con margini di miglioramento.
Analizzando più in profondità la relazione rileviamo che la prima sezione offre un
quadro delle forti disparità che ancora oggi sussistono a livello regionale soprattutto per
quanto concerne la produttività in ambito economico; in ambito sociale le disparità
riguardano soprattutto i livelli di mortalità infantile e le popolazioni che vivono sulla
soglia della povertà, in ambito ambientale affrontare la vulnerabilità al cambiamento
climatico sarà urgente e complesso.
L’obiettivo comunitario è la riduzione di tali disparità poiché esse, oltre ad essere causa
di inefficienza, sono ingiuste e insostenibili. Riguardo il settore strettamente economico
le strade percorribili sono sostanzialmente due, complementari tra loro. La prima strada
è la promozione delle regioni, soprattutto quelle meno prospere e più arretrate, la
seconda è la promozione dell’innovazione e degli investimenti a livello di istruzione,
formazione e formazione permanente.
Il mercato unico Europeo comprende più di mezzo miliardo di persone; l’inclusione in
un mercato così vasto crea nuove opportunità di sviluppo, come la creazione di
economie di scala o specializzazioni, per rendere più competitive e produttive le
imprese comunitarie sul mercato globale. Inoltre nel mercato interno dell’UE si registra
la libera circolazione di beni, persone, servizi e capitali; ciò apre nuovi orizzonti per gli
investimenti, offre nuove opportunità lavorative essendo questa integrazione motivo
dell’incremento dei flussi finanziari e commerciali.
Nella prima parte della relazione, la trattazione si sposta sull’analisi dell’innovazione e
della ricerca, affermando che la crescita economica regionale è data soprattutto
dall’aumento della produttività. Questa, visto i marginali tassi di crescita demografica,
è determinata soprattutto dall’innovazione nei processi produttivi, per questi motivi
l’attività di ricerca è di fondamentale importanza per tutte le regioni.
2
Le regioni meno all’avanguardia dovrebbero privilegiare l’acquisizione e la diffusione
di pratiche innovative sviluppate altrove, piuttosto che introdurre cambiamenti radicali,
e cercare di rafforzare i contatti tra imprese private, centri di ricerca e governi per
attuare uno sviluppo integrato e sostenibile.
Tutto questo può dare un forte impulso alla crescita economica a patto che si dispongo
di infrastrutture e istituzioni adeguate. Le prime sono necessarie, poiché la velocità con
la quale le innovazioni raggiungono il mercato rappresenta il loro valore aggiunto e le
loro possibilità di contribuire alla crescita. Nonostante la crescente diffusione di un
mercato unico digitale, tramite l’ampliamento dell’accesso alla banda larga, le vie di
comunicazione per strada o rotaia, per via aerea o marittima rimangono di cruciale
importanza. L’accesso alla connessione veloce è ben lontano da raggiungere tutte le
zone continentali. Le istituzioni devono, dal canto loro, stabilizzare le condizioni
macroeconomiche, essere solide e preparate soprattutto in questo momento di ripresa
economica e indicare le corrette strategie per la ripresa economica.
In sintesi, gli sforzi congiunti per il miglioramento di infrastrutture, istituzioni e
innovazione, possono aiutare le economie dell’UE a diventare più produttive e
competitive al fine di creare tassi di crescita positivi e creare così nuovi posti di lavoro.
Il secondo ambito di analisi del primo capitolo è l’indagine sull’andamento delle
condizioni sociali. Questa parte ha due assunti: 1) l’aspettativa di vita dell’UE è una tra
le più alte del mondo; 2) le differenze interne rimango ampie a secondo degli Stati, e
talvolta da regione a regione. Ne derivano conseguenze rilevanti; il prolungamento
della vita comporta un incremento della richiesta di servizi sanitari e previdenziali;
inoltre l’età media e la quota di popolazione che supera i 65 anni sono le più alte a
livello mondiale quindi si prolunga il tempo di permanenza nel mercato del lavoro, di
conseguenza cresce la domanda di formazione, riqualificazione e flessibilità lavorativa.
Pur essendo l’aspettativa di vita alta le differenze tra le varie regioni aprono scenari
tragici; la mortalità infantile e i tassi di decesso per cancro o cardiopatie sono ancora
alti in diverse regioni a causa di molteplici motivi. Le differenze reddituali, le difficoltà
di accesso a servizi di base e la scarsa assistenza e competenza sanitaria sono alcuni
delle cause che impediscono alle statistiche di mortalità di abbassarsi; il trend nelle
zone e riguardo le persone che vivevano sotto o al limite della soglia di povertà si stava
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abbassando, seppur lentamente, prima della crisi, dopo, non solo si è fermato, ma si è
notata una inversione di tendenza soprattutto nelle zone meno sviluppate e scarsamente
abitate. Le aree densamente popolate presentano, in qualunque Stato membro, problemi
come criminalità, violenza, vandalismi, rumore ed inquinamento.
Completa l’analisi una parte riservata alla valutazione dei flussi migratori e del livello di
istruzione. In relazione ai primi i dati più rilevanti riguardano la staticità dei lavoratori
europei e la loro indifferenza alle possibilità di mobilità professionale; si nota, inoltre,
come la maggior causa di aumento demografico europeo sia causato dall’immigrazione.
Riguardo l’istruzione, l’elemento più eloquente è l’iniquità tra i tassi di occupazione e
livello di istruzione, visti i dati relativi al tendenziale superamento delle donne nei
confronti degli uomini a livello di formazione scolastica.
Il terzo ed ultimo campo di analisi del primo capitolo riguarda l’ambiente. È di primaria
necessità l’adattamento al cambiamento climatico; viene messa in risalto la complessità
dell’adeguamento soprattutto per le regioni e le città meridionali e per le zone montuose
e costiere. Le proiezioni mettono in guardia quei luoghi che dipendono in maniera
massiccia dall’agricoltura e dal turismo estivo o invernale infatti l’aumento di siccità e
la diminuzione delle nevicate avranno effetti deleteri sulle economie. Per limitare il
cambiamento climatico e allinearsi alla strategia Europa 2020 saranno necessari
investimenti ingenti in fonti rinnovabili e pulite, come l’energia solare nell’Europa
meridionale o quella eolica lungo le coste Atlantiche e del Mare del Nord.
Il capitolo secondo tratta delle varie politiche di sviluppo regionale, messi in atto dai
governi, per rendere possibile la coesione economica, sociale e territoriale. Lo sviluppo
regionale deve essere un processo interno, ottenuto sostenendo le aree relativamente
avvantaggiate che faranno da traino alle altre. I governi locali sono fondamentali nella
gestione degli investimenti pubblici effettuati negli Stati membri infatti le regioni e gli
enti locali amministrano i due terzi degli investimenti.
I finanziamenti della politica di coesione sono essenziali per migliorare la competitività
delle regioni meno sviluppate e con poche infrastrutture. Grazie ad una buona
“governance” istituzionale, le regioni e i paesi più arretrati possono sviluppare il loro
potenziale di crescita e la loro capacità istituzionale. Gli investimenti pubblici sono stati
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