4
INTRODUZIONE
Il decreto ministeriale del 17 dicembre 2009 ha istituito il sistema di controllo della
tracciabilità dei rifiuti, il SISTRI. Questo nuovo sistema di monitoraggio dei rifiuti ha
creato, e sta tuttora creando, non pochi problemi per tutti quei soggetti che si vedono
obbligati a passare dai vecchi metodi cartacei (MUD, formulario d’identificazione e re-
gistro di carico e scarico) al SISTRI.
Le imprese, infatti, si trovano a rivoluzionare il loro sistema di gestione e registrazione
dei rifiuti: prima del SISTRI le categorie d’imprese indicate nell’art. 189 comma 3 del
D.lg. 152/2006 erano obbligate a comunicare annualmente alle Camere di Commercio,
Industria, Agricoltura e Artigianato territorialmente competenti la quantità e la qualità di
rifiuti prodotti dalla loro attività attraverso il Modello Unico di Dichiarazione ambienta-
le (MUD), come previsto dal D.lgs. 22/1997 e successive modiche e integrazioni. Al fi-
ne di questa comunicazione annuale al Catasto dei rifiuti esse dovevano tenere un regi-
stro di carico e scarico sul quale annotare la quantità e le caratteristiche qualitative dei
rifiuti prodotti nei termini previsti dall’art.190 del D.lg. 152/2006. Infine il trasporto di
questi rifiuti era accompagnato da un formulario d’identificazione come previsto
dall’art.193 della stessa legge. Il tutto si accompagnava e si accompagna a sistemi En-
terprise Resourse Planning (ERP) ambientali che gestiscono, attraverso un sistema di
omologhe, la definizione e la mappatura del rifiuto, dalla produzione alla destinazione,
garantendo la piena tracciabilità delle lavorazioni all’interno dell’azienda.
Il SISTRI si inserisce in maniera violenta in questo sistema poiché prevede, per i sog-
getti obbligati e quelli che aderiscono su base volontaria come previsto dall’art. 1 del
D.M. 17 dicembre 2009, la sostituzione del MUD, FIR e del registro di carico e scarico
con la scheda ―Area registro-cronologico‖ e con la scheda ―Area movimentazione‖ del
nuovo sistema di tracciabilità dei rifiuti. La principale novità apportata è che i vari sog-
getti coinvolti nella movimentazione dei rifiuti si trovano a lavorare su una sola ―Scheda
movimentazione dei rifiuti‖ creata dal produttore e richiamata dall’intermediario, dal
trasportatore e dal gestore nei momenti in cui essi sono coinvolti nelle operazioni. Prima
del SISTRI invece, ogni soggetto era tenuto alla compilazione del Registro di carico e
5
scarico. Il SISTRI, poi, grazie ai dispositivi elettronici token USB, blak box e sistemi di
video sorveglianza nelle discariche permettono un’efficace mappatura dei rifiuti con
l’obiettivo, tra l’altro, di combattere l’illegalità legata al loro traffico, la cosiddetta ―e-
comafia‖. Tutto questo sembrerebbe migliorare il sistema attuale di registrazione dei ri-
fiuti: in tempo reale si riuscirebbero a localizzare i rifiuti e ad avere consuntivi sulla loro
produzione dal punto di vista quali – quantitativo, però non pochi sono stati gli incon-
venienti nell’implementazione di questo sistema. All’origine il SISTRI doveva entrare
in vigore per i soggetti obbligati il 13 luglio 2010 e invece dopo varie proroghe (D.M.
15 febbraio 2010, D.M. 28 settembre 2010 e D.M. 22 dicembre 2010) il sistema sarà
pienamente operativo il 1 giugno 2011. Inoltre, occorrono considerare i vari problemi
legati al mal funzionamento e alla cattiva distribuzione dei dispositivi elettronici per poi
passare alla complessità del sistema dal punto di vista operativo. Infatti, i diversi sogget-
ti coinvolti si vedono cambiare radicalmente il modo di registrare e gestire i rifiuti nelle
loro attività. Basti pensare al ruolo importante che ricopre l’autista del veicolo che tra-
sporta i rifiuti dal produttore al gestore dell’impianto: egli è tenuto registrare la presa del
carico tramite la sua chiavetta USB nel computer del produttore, poi deve registrare, lo
scarico nel computer del gestore dell’impianto e, in caso di soste superiori al tempo pre-
visto dalla normativa, lo deve annotare nel ―Registro area movimentazione‖. Un altro
inconveniente è dato dalle diverse e complicate situazioni operative che si possono ge-
nerare nella movimentazione dei rifiuti. In ultimo, ma non per importanza, occorre sof-
fermarsi sul problema dell’interoperabilità del sistema SISTRI con i sistemi gestionali
interni. Infatti, il SISTRI non nasce come un sistema gestionale ma come un sistema di
tracciabilità dei rifiuti, in realtà, però esso non assolve solo a questo compito, con tutti i
problemi che ne derivano per la creazione e l’implementazione delle interfacce tra i due
sistemi, quello interno aziendale e quello esterno del SISTRI, che devono entrare in
contatto per lo scambio dei dati evitando così un doppia registrazione agli operatori.
Nella tesi si analizzerà l’evoluzione del sistema di tracciabilità dei rifiuti. Il lavoro è ar-
ticolato in due parti: nella prima parte saranno descritte le varie categorie dei rifiuti, gli
obblighi previsti dalla normativa vigente - con uno sguardo ai cambiamenti al Codice
ambientale (D.lgs. 152/2006) in vista del recepimento della Direttiva Europea
98/2008/CE con il D.lg. 205/2010 - e alla funzionalità del MUD, del Formulario
d’identificazione e del Registro di carico e scarico; mentre, nella seconda parte, si ana-
6
lizzerà il SISTRI, le novità apportate, la sua funzionalità operativa e infine saranno e-
sposti i vantaggi e le criticità rilevate.
Il primo capitolo analizza la nozione di rifiuto secondo la parte quarta del D.lgs.
152/2006, come disposto dall’articolo 183. Tale normativa classifica i rifiuti secondo
l’origine in urbani e speciali, e secondo le caratteristiche di pericolosità in pericolosi e
non pericolosi. Mentre in precedenza solo i rifiuti speciali potevano essere pericolosi,
con il D.lgs. 205/2010 anche i rifiuti urbani possono essere classificati in pericolosi, con
tutte le conseguenze che ne derivano nelle registrazioni. Per poter essere gestito ad ogni
rifiuto è attribuito un codice CER, secondo la procedura prevista dall’allegato D dello
stesso testo normativo.
Nel secondo capitolo verrà sviluppata l’analisi della documentazione cui sono oggi te-
nute le imprese che producono, trasportavano e gestiscono i rifiuti speciali, prima
dell’entrata in vigore del SISTRI. Questi documenti sono:
- Il Registro di carico e scarico, su cui i soggetti devono annotare gli aspetti quali
– quantitativi dei rifiuti nelle fasi di presa in carico e scarico degli stessi;
- Il Formulario di Identificazione dei Rifiuti, che deve essere compilato nel mo-
mento in cui i rifiuti sono movimentati, garantendo la tracciabilità nelle diverse
fasi del trasporto verso il sito di destinazione
- Il Catasto dei rifiuti, gestito dall’ISPRA, a cui le imprese devono dichiarare an-
nualmente, tramite il MUD, i rifiuti che hanno trattato, al fine di ottenere un
quadro conoscitivo dei rifiuti prodotti nel nostro Paese.
Nel terzo capitolo, si approfondirà l’argomento centrale della tesi, il SISTRI, ponendo
l’accento sulle fonti normative che si sono susseguite nel corso degli anni, dalla legge
finanziaria del 2007, che stanziava 5 milioni di euro per la realizzazione di un sistema
integrato per il controllo e la tracciabilità dei rifiuti, fino a giungere al D.lgs. 205/2010
che disciplina il SISTRI. Nel corso del capitolo si analizzeranno nel dettaglio i soggetti
coinvolti, che sono divisi in due categorie sulla base dell’obbligatorietà all’adesione al
nuovo sistema, e le modalità che devono seguire per l’iscrizione.
La parte operativa, che riguarda le operazioni che soggetti coinvolti devono seguire, è
invece spiegata nel capitolo quarto. Verrà presa in esame la struttura SISTRI, come si-
7
stema che coniuga le due operazioni principali che riguardano la tracciabilità dei rifiuti:
la registrazione, che deve essere effettuata nella sezione Registro cronologico, prima
fatta tramite il Registro di carico e scarico, e la movimentazione, che deve risultare nella
sezione Area movimentazione, prima fatta attraverso il Formulario. Inoltre, verrà de-
scritto l’utilizzo dei dispositivi elettronici, chiavetta USB, black box e telecamere presso
le discariche, necessari per garantire la tracciabilità dei rifiuti in tempo reale.
Nel quinto ed ultimo capitolo, infine, si analizzeranno i vantaggi e le criticità del SI-
STRI: questo rappresenta una innovazione della tracciabilità dei rifiuti, che porta con se
degli aspetti positivi legati al minore tempo per l’elaborazione dei dati da parte
dell’ISPRA e minori costi e maggiore efficienza per le imprese. Nonostante ciò, non so-
no stati pochi i problemi rilevati dalle imprese e dalle associazioni di categoria, a partire
dalla complessità implicita del sistema fino ad arrivare alle inefficienze tecniche legate
alla distribuzione dei dispositivi, alla loro non funzionalità e ai problemi riguardanti la il
software SISTRI.
8
CAPITOLO 1
LA CLASSIFICAZIONE DEI RIFIUTI
1.1 LA NOZIONE DI RIFIUTO
La corretta gestione dei rifiuti
1
è un tema cui, in questi ultimi tempi, si dà sempre mag-
giore importanza, al fine di ridurre l’impatto ambientale e trasformare il rifiuto in una
risorsa riutilizzabile, sia con il riciclaggio che attraverso altre forme di recupero, come
la produzione di energia. Per questo motivo è fondamentale avere informazioni relative
al processo che ha generato quel particolare rifiuto per un suo efficace ed efficiente re-
cupero: la perdita di queste informazioni potrebbe generare un danno ambientale ed e-
conomico irreparabile. Il Ministero dell’Ambiente della Tutela del Territorio e del Mare
ha previsto un sistema di tracciabilità dei rifiuti telematico (SISTRI), in tutte le fasi del-
la generazione, del trasporto, dello smaltimento e del recupero per combattere la crimi-
nalità legata al traffico dei rifiuti e per favorire la raccolta delle informazioni suddette,
con elevati benefici per l’ambiente, l’economia e la tutela delle risorse. Infatti, una ge-
stione dei rifiuti eco-sostenibile comporta un minor utilizzo delle materie prime sia per
la produzione di beni che come fonte di energia, con un guadagno in termini di conser-
vazione del territorio. È proprio questa la finalità della direttiva 98/2008/CE che detta
un quadro normativo per il trattamento dei rifiuti nella Comunità Europea. Tra i concetti
basilari previsti vi è quello di nozione di rifiuto, la definizione di recupero e di smalti-
mento e l’obbligo per gli Stati membri di elaborare piani per la gestione dei rifiuti. In
Italia questa Direttiva è stata recepita con il D.lgs. 205/2010 che ha modificato e abroga-
to alcune norme previste D.lgs. 152/2006, meglio conosciuto come Codice Ambientale.
Questa normativa definisce come rifiuto:
1
Art. 178 del D.lgs. 152/2006 : ―La gestione dei rifiuti è effettuata conformemente ai principi di precau-
zione, di prevenzione, di sostenibilità, di proporzionalità, di responsabilizzazione e di cooperazione di
tutti i soggetti coinvolti nella produzione, nella distribuzione, nell'utilizzo e nel consumo di beni da cui
originano i rifiuti, nonché del principio chi inquina paga. A tale fine la gestione dei rifiuti è effettuata se-
condo criteri di efficacia, efficienza, economicità, trasparenza, fattibilità tecnica ed economica, nonché
nel rispetto delle norme vigenti in materia di partecipazione e di accesso alle informazioni ambientali‖.
9
―qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l’intenzione o abbia
l'obbligo di disfarsi
2
.‖
Una sostanza o un materiale, quindi, può essere classificato come rifiuto sulla base del
comportamento che il detentore tiene o intende tenere. Il produttore del rifiuto
3
è uno
dei pochi soggetti che ha informazioni relative alle caratteristiche dei rifiuti, quali la sua
pericolosità, la possibilità di riutilizzo o la presenza di specifiche sostanze perché cono-
sce il processo che l’ha generato ed è quindi l’unico a poterlo classificare al fine di un
suo corretto smaltimento o riutilizzo, come esposto all’inizio del paragrafo. Si pensi, ad
esempio, ad un cittadino che si appresta a fare la raccolta differenziata dei propri rifiuti:
lui è l’unico soggetto che sa quali rifiuti ha prodotto e potrà scegliere il cassonetto più
adatto. Sullo stesso principio si basa la classificazione dei rifiuti da parte del produttore:
sulla base del codice CER attributo al rifiuto lo stesso sarà destinato ad un diverso pro-
cesso di recupero e di smaltimento. Un potenziale pericolo ambientale, quindi, potrebbe
essere trasformato in una risorsa. Questo stesso obiettivo persegue il nuovo articolo 179
dettando la nuova ―gerarchia dei rifiuti‖ ossia prevede dei diversi criteri di priorità nella
gestione dei rifiuti: al di sopra di tutto vi è la prevenzione, poi le misure dirette al recu-
pero mediante la preparazione per il riutilizzo, il riciclaggio ed ogni altra modalità di re-
cupero di materia ed in ultimo è previsto l’uso dei rifiuti come fonte di energia. Il legi-
slatore prevede tra l’altro che le pubbliche amministrazioni debbano favorire il rispetto
di questa gerarchia attraverso vari modi come la promozione delle tecnologie pulite e lo
sviluppo di prodotti a basso impatto ambientale
4
. E’ importante sottolineare che soltanto
le materie classificate come rifiuti sono assoggettate alle disposizioni della parte quarta
del decreto 152/2006, come modificato dal 205/2010, riguardanti la gestione dei rifiuti e
gli obblighi sulla tracciabilità degli stessi.
2
Articolo 183 del D.lgs. 152/2006, come modificato dal D.lgs. 205/2010. La vecchia nozione di rifiuto
prevede due parametri da considerare l’appartenenza alle categorie indicate nell’allegato A della parte
quarta del D.lgs. 152/2006 e la volontà del detentore di disfaresene.
3
La lettera f del art. 183 del D.lgs. 205/2010 prevede: ―E’ produttore di rifiuti il soggetto la cui attività
produce rifiuti (produttore iniziale) o chiunque effettui operazioni di pretrattamento, di miscelazione o
altre operazioni che hanno modificato la natura o la composizione di detti rifiuti‖.
4
Comma 5, articolo 4 del D.lgs. 205/2010.
10
1.2 I “NON-RIFIUTI”
Non sono assoggettati alla normativa della parte quarta del codice ambientale
5
:
- I sottoprodotti;
- Gli ―ex-rifiuti‖;
- I casi previsti dall’art.185 del 165/2006;
- Le terre e rocce da scavo, al verificarsi di determinate condizioni.
È classificato come sottoprodotto
6
, e non come rifiuto, qualsiasi sostanza od oggetto che
rispetti delle specifiche condizioni, quali:
a) essere originato da un processo di produzione il cui scopo principale non è la
produzione di tale sostanza o oggetto;
b) essere riutilizzato in un successivo processo produttivo;
c) essere utilizzato senza un ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica in-
dustriale;
d) deve rispettare tutti i requisiti riguardanti i prodotti e la protezione della salute e
dell’ambiente.
L’articolo in riferimento prevede che possano essere emanati ulteriori decreti del mini-
stero che stabiliscano criteri qualitativi e quantitativi per la classificazione di specifiche
sostanze od oggetti come sottoprodotti e non rifiuti.
La seconda esclusione prevista è quella del c.d. ―ex-rifiuto‖
7
, cioè di un rifiuto sottopo-
sto ad un’operazione di recupero
8
, come il riciclaggio
9
o la preparazione al riutilizzo
10
,
quando sussistono queste circostanze:
5
Così modificata D.lgs. 205/2010 che ha modificato i criteri di classificazione delle esclusioni dalla qua-
lifica di rifiuto previsti nel previgente testo normativo D.lgs. 165/2006.
6
Articolo 184- bis D.lgs. 165/2006.
7
Il termine usato nell’articolo 184-ter D.lgs. 165/2006 è quello di cessazione dalla qualifica di rifiuto.
8
E’ definito secondo il punto t dell’art. 183 ―recupero‖: qualsiasi operazione il cui principale risultato
sia di permettere ai rifiuti di svolgere un ruolo utile, sostituendo altri materiali che sarebbero stati altri-
menti utilizzati per assolvere una particolare funzione o di prepararli ad assolvere tale funzione, all'in-
terno dell'impianto o nell'economia in generale. L'allegato C della parte IV del presente decreto riporta
un elenco non esaustivo di operazioni di recupero.
9
E’ definito secondo il punto u dell’art. 183 ―riciclaggio‖: qualsiasi operazione di recupero attraverso
cui i rifiuti sono trattati per ottenere prodotti, materiali o sostanze da utilizzare per la loro funzione ori-
ginaria o per altri fini. Include il trattamento di materiale organico ma non il recupero di energia né il
ritrattamento per ottenere materiali da utilizzare quali combustibili o in operazioni di riempimento.
11
a) la sostanza o l’oggetto è comunemente utilizzato per scopi specifici;
b) esiste un mercato o una domanda per tale sostanza od oggetto;
c) la sostanza o l’oggetto soddisfa i requisiti tecnici per gli scopi specifici e rispetta
la normativa e gli standard esistenti applicabili ai prodotti;
d) l’utilizzo della sostanza o dell’oggetto non porterà a impatti complessivi negativi
sull’ambiente o sulla salute umana.
E’ interessante sottolineare che prima di essere sottoposto ad un’operazione di recupe-
ro, il rifiuto in quanto tale, è sottoposto alla normativa sulla gestione dei rifiuti
11
, quindi
anche agli adempimenti previsti in materia tracciabilità.
L’articolo 185 della stessa legge prevede diversi altri casi di esclusione dalla qualifica
di rifiuto, quali:
a) le emissioni di effluenti gassosi nell’atmosfera;
b) il terreno, incluso il suolo contaminato non scavato e gli edifici collegati perma-
nentemente al terreno, salvo restando quanto previsto per la bonifica dei suoli
contaminati;
c) il suolo non contaminato e altro materiale naturale scavato durante una costru-
zione e che si è certi riutilizzare;
d) i rifiuti radioattivi;
e) i materiali esplosivi in disuso;
f) le materie fecali, paglia, sflaci, potature e altro materiale agricolo, forestale o
adoperato nella selvicoltura purché non danneggi la salute umana e l’ambiente;
Sono poi esclusi dall’ambito della parte quarta del D.lgs. 165/2006, perché rientranti in
un'altra regolamentazione:
a) Le acque di scarico;
b) I sottoprodotti di origine animale eccetto quelli destinati all’incenerimento, allo
smaltimento in discarica, a degli impianti di biogas o di compostaggio;
c) Le carcasse di animali morti per cause diverse dalla macellazione;
d) I rifiuti derivanti dall’estrazione, dal trattamento, dall’ammasso di risorse mine-
rari o dallo sfruttamento delle cave.
10
E’ definito secondo il punto q dell’art.183 ―preparazione per il riutilizzo": le operazioni di controllo,
pulizia, smontaggio e riparazione attraverso cui prodotti o componenti di prodotti diventati rifiuti sono
preparati in modo da poter essere reimpiegati senza altro pretrattamento.
11
Il comma 5 dell’articolo in questione infatti recita così: ―La disciplina in materia di gestione dei rifiuti
si applica fino alla cessazione della qualifica di rifiuto.‖
12
Le terre e rocce da scavo possono essere utilizzate come sottoprodotti per riempimenti,
reinterri, rimodellazioni e rilevati, quindi non essere classificate come rifiuti, quando
sussistono le condizioni previste dall’art.186, comma 1
12
.
1.2 LA CLASSIFICAZIONE DEI RIFIUTI
Secondo il rinnovato articolo 188-ter non tutte le categorie di imprese produttrici di ri-
fiuti sono tenute ad aderire al nuovo sistema di tracciabilità dei rifiuti, ma soltanto quel-
le che producono rifiuti pericolosi e alcune particolari imprese con più di dieci dipen-
denti che producono rifiuti speciali non pericolosi. Analizzare la classificazione dei ri-
fiuti è pertanto importante al fine di valutare se l’azienda in questione ha l’obbligo o
meno di iscrizione al nuovo sistema telematico di registrazione dei rifiuti.
Ai sensi dell’articolo 184 i rifiuti sono classificati secondo l’origine in rifiuti urbani e
rifiuti speciali e, secondo le caratteristiche di pericolosità in rifiuti pericolosi e rifiuti
non pericolosi
13
.
12
Queste condizioni presuppongono che le terre e rocce da scavo: a) siano impiegate direttamente
nell'ambito di opere o interventi preventivamente individuati e definiti; b) sin dalla fase della produzione
vi sia certezza dell'integrale utilizzo; c) l'utilizzo integrale della parte destinata a riutilizzo sia tecnica-
mente possibile senza necessità di preventivo trattamento o di trasformazioni preliminari per soddisfare i
requisiti merceologici e di qualità ambientale idonei a garantire che il loro impiego non dia luogo ad e-
missioni e, più in generale, ad impatti ambientali qualitativamente e quantitativamente diversi da quelli
ordinariamente consentiti ed autorizzati per il sito dove sono destinate ad essere utilizzate; d) sia garan-
tito un elevato livello di tutela ambientale; e) sia accertato che non provengono da siti contaminati o sot-
toposti ad interventi di bonifica ai sensi del titolo V della parte quarta del presente decreto; f) le loro ca-
ratteristiche chimiche e chimico fisiche siano tali che il loro impiego nel sito prescelto non determini ri-
schi per la salute e per la qualità delle matrici ambientali interessate ed avvenga nel rispetto delle norme
di tutela delle acque superficiali e sotterranee, della flora, della fauna, degli habitat e delle aree naturali
protette. In particolare deve essere dimostrato che il materiale da utilizzare non è contaminato con rife-
rimento alla destinazione d'uso del medesimo, nonché la compatibilità di detto materiale con il sito di de-
stinazione; g) la certezza del loro integrale utilizzo sia dimostrata.
13
Questa classificazione è tipicamente italiana, a livello europeo non c’è la distinzione tra rifiuti urbani e
rifiuti speciali ma vi è la distinzione tra i primi e quelli pericolosi e non pericolosi. A differenza di quanto
previsto poi dalla normativa previgente che escludeva i rifiuti urbani dall’essere pericolosi, oggi i rifiuti
urbani possono essere pericolosi e non pericolosi.
13
Figura 1: Classificazione dei rifiuti Fonte: International P.B.A. SpA
1.3.1 I rifiuti urbani
I produttori di rifiuti urbani e i comuni
14
, quali produttori e gestori della loro raccolta e
del loro trasporto, non sono assoggettati all’iscrizione al SISTRI. Il tracciamento di tali
rifiuti inizia dagli impianti di gestione
15
. Sono rifiuti urbani:
a) I rifiuti domestici, anche ingombranti, provenienti da luoghi adibiti ad uso civile
o ad abitazione;
14
Salvo quanto previsto per i comuni della regione Campania che sono tenuti all’iscrizione al SITRA,.
15
Per attività di gestione dei rifiuti si intende, secondo l’art.184, comma 1, lettera n: ―la raccolta, il tra-
sporto, il recupero e lo smaltimento dei rifiuti, compresi il controllo di tali operazioni e gli interventi suc-
cessivi alla chiusura dei siti di smaltimento, nonché le operazioni effettuate in qualità di commerciante o
intermediario‖
14
b) I rifiuti non pericolosi provenienti da luoghi e locali diversi da quelli previsti nel
punto precedente, assimilati hai rifiuti urbani per la qualità e la quantità, secondo
quanto previsto dall’articolo 198, comma 2, lettera g)
16
;
c) I rifiuti derivanti dalla pulizia delle strade,
d) I rifiuti che si trovano sulle strade e aree soggette ad uso pubblico;
e) I rifiuti vegetali provenienti da aree verdi;
f) I rifiuti provenienti da attività cimiteriale.
Una particolare attenzione va data al punto b) che prevede il meccanismo
dell’assimilazione al fine di rendere urbani rifiuti i che per origine sarebbero speciali,
con tutte le conseguenze che ne derivano in termini di raccolta e smaltimento.
L’articolo 195, comma 2, stabilisce che sono di competenza dello Stato la determina-
zione dei criteri quali - quantitativi per l’assimilazione, ma è assente un concreto decreto
statale, così si creano non pochi problemi di legittimità dei regolamenti comunali, che
individuano nel dettaglio quali rifiuti speciali sono assimilati agli urbani. Una cosa è
certa la legge stabilisce dei principi di non assimilabilità ai rifiuti urbani:
sub a) I rifiuti che si formano in aree produttive, compresi i magazzini, salvo
quelli prodotti negli uffici, nelle mense, nei bar, negli spacci, e nei locali al ser-
vizio dei lavoratori o comunque aperti al pubblico;
sub b) I rifiuti prodotti dalle strutture di vendita con superficie due volte supe-
riore ai limiti previsti per gli esercizi di vicinato.
Oltre hai rifiuti prodotti dalle imprese, possono essere assimilabili agli urbani anche i
rifiuti sanitari. Di per sé i rifiuti sanitari sono classificati come speciali, ma l’articolo
227 del D.lgs. 152/2006 stabilisce:
― Restano ferme le disposizioni speciali, nazionali e comunitarie relative alle altre tipo-
logie di rifiuti e in particolare quelle riguardanti:
16
Questo comma prevede che i comuni concorrono a disciplinare la gestione dei rifiuti urbani con appo-
siti regolamenti che stabiliscano in particolare alcuni requisiti. In particolare la lettera g) prevede:
l’assimilazione per qualità e quantità dei rifiuti speciali a quelli urbani secondo quanto previsto
dall’articolo 195 comma 2, lettera e), ossia: Non sono assimilabili ai rifiuti urbani i rifiuti che si formano
nelle aree produttive, compresi i magazzini di materie prime e di prodotti finiti, salvo i rifiuti prodotti ne-
gli uffici, nelle mense, negli spacci, nei bar e nei locali al servizio dei lavoratori o comunque aperti al
pubblico; allo stesso modo, non sono assimilabili ai rifiuti urbani i rifiuti che si formano nelle strutture di
vendita con superficie due volte superiore ai limiti di cui all'articolo 4, comma 1, lettera d), del decreto
legislativo n. 114 del 1998 (cioè si applicano i limiti previsti per gli esercizi di vicinato: superficie di
vendita non superiore a 150 mq. nei comuni con popolazione residente inferiore a 10.000 abitanti e a 250
mq. nei comuni con popolazione residente superiore a 10.000 abitanti).
15
b) rifiuti sanitari: d.p.r. n. 254 del 15 luglio 2003‖
Questo decreto prevede che i rifiuti sanitari, elencati in otto punti
17
, qualora non rientri-
no tra quelli pericolosi a rischio infettivo e non, sono assoggettati al regime giuridico e
alle modalità di gestione dei rifiuti urbani
18
.
In conformità con la direttiva 2008/98/CE il d.lgs. 205/2010 ha modificato l’articolo
184, comma 5-quater, del codice ambientale, eliminando l’indicazione che erano perico-
losi i solo i rifiuti non domestici
19
. Oggi il nuovo comma recita:
―L’obbligo di etichettatura dei rifiuti pericolosi di cui all’articolo 193 e l’obbligo di te-
nuta dei registri di cui all’art. 190 non si applicano alle frazioni separate di rifiuti peri-
colosi prodotti da nuclei domestici fino a che siano accettate per la raccolta, lo smalti-
mento o il recupero da un ente o un’impresa che abbiano ottenuto l’autorizzazione o
siano registrate in conformità agli articoli 208,212, 214 e 216.‖
Questo porterà vaste conseguenze in termini di gestione e di stoccaggio di questi rifiuti
nei centri raccolta, si pensi soltanto alle difficoltà che avranno i gestori dell’impianto,
che sono, in questo caso i primi, nella filiera di produzione di quel rifiuto, tenuti a regi-
strare questi rifiuti nelle schede previste dal SISTRI, nell’attribuzione del codice CER
corretto. Dal canto suo la direttiva non prevede regimi agevolati per questo genere di ri-
fiuti pericolosi.
1.3.2 I rifiuti speciali
Come accennato all’inizio del paragrafo non tutti i produttori di rifiuti speciali sono te-
nuti all’iscrizione al SISTRI. Bisogna distinguere tra rifiuti speciali pericolosi e rifiuti
speciali non pericolosi. Sono rifiuti speciali ai sensi dell’articolo 184, comma 3:
17
L’elenco dei rifiuti sanitari previsti dal d.p.r. 254/2003 è il seguente:
1) i rifiuti derivanti dalla preparazione dei pasti;
2) i rifiuti derivanti da attività di ristorazione e i residui dei pasti, esclusi quelli derivanti da pazienti a
rischio infettivo;
3) vetro, carta, cartone, plastica, metalli, imballaggi in genere da conferire hai circuiti di raccolta diffe-
renziata, nonché altri rifiuti da assimilare a quelli urbani;
4) la spazzatura;
5) indumenti e lenzuola monouso e quelli per cui il detentore intende disfarsi;
6) i rifiuti provenienti da attività di giardinaggio;
7) gessi ortopedici, bende, assorbenti igienici anche contaminati da sangue esclusi quelli infettivi, pan-
nolini, pannoloni, contenitori e sacche utilizzate per le urine;
8)rifiuti sanitari a rischio infettivo assoggettati a procedimento di sterilizzazione.
18
G. Gasparetto, A. Montagner,G. Vedrame, M. Ingrosso, L. Masia, La classificazione dei rifiuti, d.lgs.
152/2006 e 4/2008, www.arpa.veneto.it
19
Tratto da Berardino Albertazzi, Il nuovo SISTRI come cambiano il MUD i registri e i formulari, Mag-
gioli editore 2010.
16
a) rifiuti da attività agricole e agro-industriali, ai sensi e per gli effetti
dell’art.2135 c.c.;
b) i rifiuti derivanti dalle attività di demolizione, costruzione, nonché i rifiuti che
derivano dalle attività di scavo, fermo restando quanto disposto dall'articolo
184-bis;
c) i rifiuti da lavorazioni industriali;
d) i rifiuti da lavorazioni artigianali;
e) i rifiuti da attività commerciali;
f) i rifiuti da attività di servizio;
g) i rifiuti derivanti dalla attività di recupero e smaltimento di rifiuti, i fanghi pro-
dotti dalla potabilizzazione e da altri trattamenti delle acquee dalla depurazione
delle acque reflue e da abbattimento di fumi;
h) i rifiuti derivanti da attività sanitarie
20
.
Nel punto a) il legislatore della riforma del 2010 ha voluto ampliare le categorie di rifiu-
ti derivanti da attività agricole e agro-industriali da assoggettare alla disciplina sulla ge-
stione dei rifiuti, attraverso il richiamo all’articolo 2135 c.c. che espone tutte le diverse
attività che qualificano un imprenditore come agricolo
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. In precedenza, infatti, alcuni
imprenditori agricoli potevano aggirare gli obblighi in materia di rifiuti prevista dalla
parte quarta del decreto legislativo in questione, perché la loro attività non era nello
specifico agricola o agro-industriale, cioè svolgevano le cosiddette attività connesse,
purché loro fossero qualificati come imprenditori agricoli. Il legislatore poi ha eliminato
delle categorie di rifiuti, come i veicoli a motore, rimorchi e simili, per evitare che pri-
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Raffrontando la normativa oggi vigente con quella originaria si notano che alcune categorie sono state
eliminate dall’elenco. Queste sono:
i) i macchinari e le apparecchiature deteriorate ed obsolete;
l)i veicoli a motore, i rimorchi e simili fuori uso e le loro parti;
m) il combustibile derivato di rifiuti;
n) i rifiuti derivati dalle attività di selezione meccanica dei rifiuti solidi urbani.
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Ricordiamo l’articolo 2135 c.c.: È imprenditore agricolo chi esercita una delle seguenti attività: colti-
vazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali e attività connesse. Per coltivazione del fondo, per
selvicoltura e per allevamento di animali si intendono le attività dirette alla cura e allo sviluppo di un ci-
clo biologico o di una fase necessaria del ciclo stesso, di carattere vegetale o animale, che utilizzano o
possono utilizzare il fondo, il bosco o le acque dolci, salmastre o marine. Si intendono comunque connes-
se le attività, esercitate dal medesimo imprenditore agricolo, dirette alla manipolazione, conservazione,
trasformazione, commercializzazione e valorizzazione che abbiano ad oggetto prodotti ottenuti prevalen-
temente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall'allevamento di animali, nonché le attività dirette
alla fornitura di beni o servizi mediante l'utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell'azienda
normalmente impiegate nell'attività agricola esercitata, ivi comprese le attività di valorizzazione del ter-
ritorio e del patrimonio rurale e forestale, ovvero di ricezione ed ospitalità come definite dalla legge.
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vati cittadini, che producevano questi rifiuti pur non derivando dall’esercizio di
un’attività economica, dovessero incorrere negli obblighi previsti per i rifiuti speciali.
All’interno, poi, della macro categoria dei rifiuti speciali distinguiamo tra rifiuti perico-
losi e non pericolosi. Questa classificazione è indispensabile ai fini del corretto recupe-
ro/smaltimento e per la verifica dei requisiti di ammissibilità dei rifiuti in discarica se-
condo quanto previsto dal D.M. 3 agosto 2005. Questa è posta in essere o in base
all’origine del rifiuto, considerando unicamente l’attività produttiva che l’ha generato, o
sul contenuto di sostanze pericolose, in seguito ad un’analisi di laboratorio. Spetta al
produttore/detentore del rifiuto l’onere della corretta classificazione, poiché conosce le
materie prime impiegate, il processo tecnologico in cui sono state utilizzate e di conse-
guenza le caratteristiche dei rifiuti originati e le sostanze dalle quali gli stessi possono
essere contaminati. Nei casi di origine ignota del rifiuto, l’analisi chimica può sopperire
al bisogno di queste informazioni, ma considerando anche il principio della massima
precauzione occorrerebbe classificare il rifiuto sempre come pericoloso. Tuttavia, a par-
te la non corretta procedura dal punto di vista formale e legislativo, il produttore sarebbe
sottoposto a oneri economici maggiori e a regole gestionali più severe se classificasse i
propri rifiuti come pericolosi senza una certezza assoluta che lo siano. Al contrario, ri-
cercando accuratamente i parametri chimico fisici per la corretta classificazione, il pro-
duttore potrebbe affrontare un costo per l’attività analitica irrisorio rispetto ai costi della
gestione dei rifiuti pericolosi e avere la certezza di aver assolto agli obblighi di legge in
modo corretto. Proprio per la maggior rilevanza in termini d’impatto ambientale e ob-
blighi nella loro gestione, occorre porre l’accento sui rifiuti pericolosi.
1.3.3 I rifiuti speciali pericolosi
La nuova direttiva 2008/98/CE recepita in Italia con il D.lgs. 205/2010 aggiorna la nor-
mativa previgente. Il nuovo comma 4 dell’articolo 184 del 152/2006 sancisce:
―Sono rifiuti pericolosi quelli che recano le caratteristiche di cui all’allegato I della
parte quarta del presente decreto
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‖.
Una differenza importante con la normativa del 2006
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sta nel fatto che questa prevede-
va che i rifiuti domestici, proprio perché erano classificati come tali, non potevano esse-
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L’allegato I del D.lgs. 152/2006
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Articolo 184, comma 5 versione originaria: ―Sono pericolosi i rifiuti non domestici indicati espressa-
mente come tali, con apposito asterisco ,…‖