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1. Introduzione e panorama estrattivo italiano
L’Italia è un territorio geologicamente giovane e quindi non è ricca di metalli e di gran parte di
quelle risorse denominate nella tecnica mineraria come minerali di prima categoria, cioè di grande
valore economico e quindi di valore strategico per lo Stato (oro, petrolio, ...); viceversa l’Italia è
ricca di minerali di seconda categoria, cioè di materiali di scarso valore economico per lo Stato, ma
utilizzati come materie prime per la realzzazione di gran parte dei prodotti di uso comune (gesso,
sabbia, marmo, ...).
Per questo motivo il settore estrattivo in Italia è “snobbato” dallo Stato, in quanto non se ne occupa
nessun Ministero, il che rappresenta un grosso errore in un periodo storico delicato come quello che
il mondo sta attraversando, ma che l’Italia sta più che altro subendo passivamente, aggravato dal
fatto che è uno dei maggiori fornitori mondiali di inerti (l’80% dei prodotti cavati) ed il maggior
produttore di calcestruzzo in Europa con una media di 565 kg per cittadino contro la media europea
di 404 kg per cittadino (Tabella 1)
Paesi Produzione 2010
(in migliaia di tonnellate)
Consumo pro-capite 2010
(in kg per abitante)
Italia 34.408 565
Germania 30.150 301
Spagna 26.020 532
Francia 19.300 313
Regno Unito 8.000 159
Paesi Bassi 4.695 287
Fonte AITEC
Tabella 1 – I principali produttori europei di calcestruzzo ed il loro consumo pro-capite nel 2010
Dati aggiornati al 2011, forniti da Legambiente nel Rapporto Cave 2011, fanno venire alla luce che,
contrariamente a quanto comunemente si pensa, il settore dell’attività estrattiva è uno dei principali
settori trainanti dell’economia italiana, infatti esistono censite in modo regolare sul suolo nazionale
1574 imprese (74,5% di micro, 22% di piccole, 3% di medie e lo 0,5% di grandi imprese) il cui giro
annuo di affari si aggira intorno ai 40 miliardi di euro, pari al 2% dell’intero PIL italiano.
Cifre del genere entrano però in contrasto con l’impianto normativo che regola il settore estrattivo
italiano: la disciplina delle attività estrattive è regolata ancora oggi dal Regio Decreto nº 1443 del
29 Luglio 1927, aggiornato nella sua forma, ma non nel contenuto, dal Decreto Legislativo n. 213
del 4 Agosto 1999.
Questa legge riconosce due tipologie di scavo: la miniera è dove si recuperano i minerali di prima
categoria ed è di proprietà dello Stato, la cava è dove si estraggono i minerali di seconda categoria
ed è di proprietà di chi possiede il terreno da coltivare.
Inoltre si limita solo a definire le risorse per cui i giacimenti possono rientrare nelle due tipologie
sopracitate e le loro modalità di concessione.
Da allora non vi è più stato un intervento normativo, se si esclude che a partire 1977 lo Stato ha
gradualmente devoluto alle Regioni il compito della tutela delle concessioni e dell’attività di
estrazione attraverso la redazione dei Piani Regionali dell’Attività Estrattiva (PRAE), che poi a loro
volta l’hanno passato ai singoli Comuni.
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Ciò nonostante mancano ancora i Piani di ben 8 regioni: Veneto, Friuli – Venezia Giulia, Abruzzo,
Molise, Basilicata, Campania, Calabria, Sardegna.
Questo disinteresse ha fatto incrementare il tasso di illegalità nel settore, con la nascita di
microsocietà fantasma per lo più legate ad imprenditori senza scrupoli vicini alle Ecomafie, le quali
sfruttano cave e miniere non regolari e non censite ed utilizzano impianti fatiscenti e non a norma,
con conseguente sottrazione di capitali di concessione alle regioni e di conseguenza allo Stato.
Oltre al danno economico, inacettabile per un Paese che sta tentando di uscire dalla recessione, si
aggiunge anche un grave danno ambientale e paesaggistico, in quanto queste cave, miniere ed
impianti non regolarizzati riversano nell’ambiente rumori, polveri e scarti altamente inquinanti, che
si sommano all’inquinamento prodotto dalle attività regolari e deturpano il paesaggio naturale,
storico e socio - culturale, materia prima di un altro settore trainante dell’economia italiana: il
turismo, con ulteriori perdite economiche per lo Stato.
Da alcuni anni in nostro aiuto è venuta l’Europa che, grazie a una Direttiva (Dir. 85/337/CEE), ha
imposto che l’apertura di nuove cave fosse condizionata alla procedura di Valutazione di Impatto
Ambientale (VIA).
La procedura prevista dal D.P.R. 12 Aprile 1996, di recepimento della Direttiva, prevede che le
cave con più di 500.000 m
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di materiale estratto o un’area interessata superiore a 20 ha siano
sottoposte alla procedura di VIA, sotto il controllo delle regioni.
I problemi verificati in questi 10 anni di applicazione sono stati principalmente due: il lento
recepimento dei contenuti della Direttiva da parte delle regioni italiane, ma soprattutto
l’applicazione della norma è stata aggirata dal fatto che concessioni per grandi aree molto
produttive possono essere divise in tante concessioni per aree più piccole e meno produttive,
continuando così a tenere aperta la strada al proliferare di microaziende legali e delle aziende
fantasma illegali che aggrediscono in maniera indiscriminata l’intero territorio.
Bisogna quindi che le istituzioni capiscano che il periodo storico odierno rende inaccettabile che un
settore trainante dell’economia di un paese sia regolato da norme vecchie di 87 anni, promulgate
quando il settore era ancora neonato ed in via di consolidazione e che davano totale libertà d’azione
ai proprietari di cava.
Ora lo Stato deve ridurre il potere dei cavatori rinnovando le vecchie norme ed interessarsi di più al
settore, perchè solo dalla vendita degli inerti (sabbia, ghiaia) i cavatori ricavano 1.115.419.660 di
euro all’anno, del quale solo 36.149.550 di euro entrano nelle casse delle regioni e quindi dello
Stato come canoni di concessione al 4% (Tabella 2), per di più esistono ancora regioni dove si può
estrarre gratis come in Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna, un lusso in termini economici che un
paese in recessione non può avere, se si pensa che in economie più solide di quella italiana i canoni
di concessione sono 5 – 6 volte maggiori.
Regione Entrate annue derivanti dai
canoni
(in Euro)
Volume d’affari annuo da attività
estrattive con prezzi di vendita
(in Euro)
Valle d’Aosta 6.420 267.500
Piemonte 5.256.950 139.812.500
Lombardia 7.040.000 200.000.000
Veneto 4.362.591 87.955.462
Provincia Autonoma di Bolzano 340.500 8.512.500
Provincia Autonoma di Trento n.d. 14.250.000
Friuli – Venezia Giulia 682.580 15.513.187
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Emilia - Romagna 4.601.505 100.910.200
Liguria / /
Toscana 1.550.200 42.125.000
Umbria 205.162 6.838.737
Marche 593.642 10.451.450
Lazio 4.755.000 198.125.000
Abruzzo 3.750.000 37.500.000
Molise 1.835.000 22.937.500
Campania 1.170.000 14.625.000
Puglia n.d 91.496.062
Basilicata 0 11.831.637
Calabria 0 17.625.000
Sicilia 0 24.480.425
Sardegna 0 70.162.500
36.149.550 1.115.419.660
Fonte Legambiente, Rapporto Cave 2011
Tabella 2 – Le entrate statali italiane derivanti dai canoni e ricavi dalla vendita per i soli inerti (dettagli regionali)
Bisogna che lo Stato regolarizzi il settore anche perche’ il cavare in modo indiscriminato deturpa o
meglio distrugge una materia non rinnovabile, l’ambiente.
Un buon modo d’intervenire sarebbe incentivare le aziende del settore a rinnovare i propri impianti
e ad intraprendere la strada del recupero del materiale edile altrimenti destinato alla discarica.
In questo senso l’Italia è molto indietro rispetto alle maggiori economie europee, in quanto è ferma
al 10% di materiali riciclati provenienti dall’edilizia (il settore a valle dell’attività di estrazione e
lavorazione degli inerti), mentre la Germania arriva all’86,3%, l’Olanda al 90%, il Belgio all’87% e
la Francia al 62,3%; in termini economici copiando dall’Inghilterra si potrebbero recuperare ogni
anno quasi 300 milioni di euro, senza incrementare il numero di cave e discariche; infatti in Italia si
contano 5.736 cave attive e sono 13.016 quelle ufficialmente dismesse (Tabella 3), contando quelle
nelle regioni senza monitoraggio si raggiungono anche i quindicimila effettivi.
Regioni e Province Cave Attive Cave Dismesse e/o Abbandonate Piani Cava
Abruzzo 239 / NO
Basilicata 51 32 NO
Calabria 216 / NO
Campania 376 1.336 NO
Emilia - Romagna 296 298 SI’
Friuli – Venezia Giulia 67 / NO
Lazio 393 475 SI’
Lombardia 558 2.888 SI’
Liguria 98 529 SI’
Marche 172 1.002 SI’
Molise 56 545 NO
Piemonte 472 311 SI’
Puglia 339 550 SI’
Sardegna 381 492 NO
Sicilia 557 691 SI’
Toscana 403 1.029 SI’
Umbria 103 77 SI’
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Valle d’Aosta 39 37 SI’
Veneto 566 1.614 NO
Provincia Autonoma di Bolzano 162 10 SI’
Provincia Autonoma di Trento 192 1.100 SI’
5.736 13.016
Fonte Legambiente, Rapporto Cave 2011
Tabella 3 – La situazione delle cave nelle regioni italiane
In uno scenario non proprio idilliaco fortunatamente esistono esempi che mostrano che anche
l’Italia può essere virtuosa: in questo elaborato si prenderà in considerazione la lavorazione degli
inerti per calcestruzzo di un consorzio di imprese e cooperative leader nel settore: il Consorzio Cave
Bologna, conosciuto anche come ConCave, che per molti aspetti può essere preso ad esempio per la
crescita del settore.