33
lamento funebre, intessuto di elementi cristiani, quali il sogno che Stiliana fece
prima di morire. La piccola, durante il sonno, vide la Vergine Maria che teneva in
braccio il Bambino, e un uomo di straordinaria grandezza, in mezzo ad un
giardino profumato pieno di fiori, che cullava tra le braccia un neonato magro e
scarno. L’abbraccio di quest’uomo lo rese nuovamente in salute.30 Nel sogno
emerse una corrispondenza tra Psello, il padre terreno, che l’aveva sempre
protetta ed amata, e Dio, il Padre celeste, che l’accolse e la cullò come se fosse un
neonato, e tra la madre terrena, che la vegliò notte e giorno, e la Madre celeste,
che le apparse in sogno poco prima di morire. La preghiera finale di Psello non fu
rivolta a Dio, ma alla figlia Stiliana, affinché tramite il sogno potesse continuare
il loro scambio d’amore.
“Stacci accanto in qualche modo, apparendo di notte, venendo a visitarci nei
sogni e parlandomi con i tuoi dolci discorsi […] e, come quando eri in vita e mi
abbracciavi e mi gettavi le braccia al collo e mi infiammavi d’amore con i tuoi baci,
così, pure lontana da noi. Mostrati anche nei sogni; non trascurare di circondarmi con
le mani a me carissime e di bagnarmi con i tuoi baci e non scansare la nostra bocca
ormai arida per il dolore e lo sconforto per te. Se infatti siamo separati l’uno dall’altra
per volontà divina, almeno le forme dei legami che ci uniscono rimangono immortali”31
Teodota, ormai adulta, divenuta sposa e madre, mantenne verso i genitori
quel senso di rispetto e di obbedienza che ne caratterizzarono il rapporto fin da
bambina, così da manifestare apertamente una saggezza e una virtù che la resero
ai loro stessi occhi un esempio da imitare e un modello da ammirare. I genitori
nutrirono per lei una sorta di rispetto reverenziale, un timore che li faceva quasi
arrossire di vergogna se colti in fallo dalla figlia.
Di lei si racconta che seguì il figlio, Michele Psello32, fin dai primi giorni della
sua nascita. La sera, per farlo addormentare, gli leggeva alcuni passi tratti dalla
30
M. Psello,
!" #, vv. 24 e sgg., p.82
31
M. Psello,
!" # cit., p.86, vv. 24 e sgg.
32
M. Psello, Autobiografia. Encomio della madre, cap.15 vv.851-858, pp.114-115
34
Bibbia, e negli studi lo educò all’Odissea, quindi alle vicende di Omero, e ai
duelli greci a Troia. Cercò sempre di risparmiargli qualsiasi dolore, ed infatti
evitò di riferirgli della morte della sorella quando era fuori Bisanzio, ma giunto
vicino alle mura della capitale, apprese la notizia e svenne a terra. Teodota
accorse da lui, gettò via il velo con cui le donne erano obbligate a coprire il capo,
e si inginocchiò ai suoi piedi. Allo stesso modo consolò il figlio dopo la morte del
padre, ricordandogli che per lui si era finalmente aperta la porta del Regno dei
Cieli (Nardi, 2002, p.131).
Quando Teodota morì, Michele non fu presente, così come accadde per la
sorella e per il padre. Pensò allora che lui fosse troppo impuro per assistere al
passaggio dalla vita alla morte di colei che, già sulla terra, poté essere considerata
una santa. In qualche modo si rese conto di aver deluso le prospettive di sua
madre, poiché la sua vita attuale era a corte, e non in monastero, come invece
avrebbe desiderato la donna. Teodota, infatti, lo educò alla cultura per innalzarsi
verso Dio, ma egli rimase incatenato alla cultura stessa, allontanandosi dal Regno
dei Cieli. Proprio per questo fu inferiore alla madre, che non esitò a ritirarsi in un
convento per elevare la propria anima a Dio.
Niceta Coniata33 racconta che Irene Dukas era oppressa dal padre Andronico
affinché sposasse Alessio I Comneno. I due erano legati da rapporti di parentela,
ed erano entrambi figli illegittimi, ma ad Andronico non interessava, poiché i figli
nati da relazioni fuori dal matrimonio godevano comunque di una felice
situazione a corte. Così corruppe il sinodo con doni e regali affinché consentisse
il matrimonio tra i due. Quando Alessio morì, esortò Irene a dimenticare questa
unione, ma la donna andò contro la volontà del padre, e si ritirò in convento
(Nardi, 2000, p.125-126).
3.7 La luce e la figura femminile
A Bisanzio la luce possedeva dei connotati molto particolari, sia perché
avvolgeva la figura femminile arricchendola di numerosi significati filosofici e
simbolici, sia perché era la metafora per indicare la bellezza del corpo e di ogni
33
N. Coniata, Grandezza e catastrofe di Bisanzio, cap. II, p.487, XIV, 2,16.
35
sua singola parte. Le Imperatrici, per esempio, irradiavano la luce che derivava
dalla loro nobiltà di stirpe, e risplendevano per la bellezza del volto e dell’anima,
perché ognuna di loro era avvolta da quella luce che solo la nobiltà d’animo
poteva donare. Ne sono un esempio Stiliana, Agnese di Francia,34 Teodota e Irene
Dukas.
Di Stiliana si dice che i rubini, simbolo dell’amore e della forza vitale, non
avrebbero mai potuto gareggiare con la luminosità e lo splendore delle sue labbra
rosse.35 I suoi denti erano simili a <<perle risplendenti>>, <<a una collana di
cristalli lucentissimi>> (Nardi, 2002, p.186).36 Le perle e i cristalli avevano un
elevato valore simbolico. Le prime indicavano la purezza e la verginità di
Stiliana, mentre i cristalli richiamavano direttamente la figura di Maria, la
Vergine per eccellenza. La sua bellezza fresca e luminosa era simile a quella di
Agnese di Francia e di Teodota fanciulla, capace di suscitare stupore e
ammirazione in chiunque la incontrasse.
“L’insinuarsi di una caligine può fare ombra persino al sole e il riparo di una
nube può trattenerne il raggio, per cui non sappiamo se il luminare del cielo dà una
luce. Ma [a mia madre] niente riusciva a oscurarne la bellezza, nemmeno la trascuranza
molto ricercata dell’aspetto”.37
34
Agnese di Francia era la sorella del re di Francia Filippo Augusto, nonché promessa sposa di
Alessio Comneno. Nel 1183, dopo l’assassinio di Alessio per mani di Andronico, sposò non
ancora undicenne quest’ultimo, e rimase sua sposa per ben due anni, nei quali Andronico
frequentò meretrici e prostitute poiché la sua unione non fu simboleggiata dall’amore, ma solo
dalla volontà di salire al trono. Quando anche Andronico morì, la giovane donna si unì in
matrimonio con Teodoro Branas, uomo di origini illustri. La loro unione durò a lungo, se si pensa
che erano ancora insieme quando Costantinopoli venne conquistata dagli occidentali.
35
M. Psello, ,
!" #, vv. 9-10, p.70. Il rubino inoltre simboleggia dignità
regale. Non a caso è la pietra che più spesso adorna la corona delle Imperatrici.
36
M. Psello, ,
!" #, vv. 12-13, p.70.
37
M. Psello, Autobiografia. Encomio della madre, cap. 3, vv. 150-154, p.90
36
Nonostante Teodota fosse poco curata, la sua bellezza traspariva dal volto
sorridente e sereno, dai suoi sguardi e dai suoi gesti che incantavano, poiché
riflettevano un cuore puro e sincero e un’anima devota solo al Creatore, Signore
di ogni bellezza terrena e celeste. Se la bellezza fisica di Teodota lasciò pian
piano il posto ad una grazia tutta interiore, la bellezza di Irene Dukas si rivelò
sempre sovrannaturale, tanto lontana da ogni bellezza umana.
“Se uno avesse definito questa imperatrice come apparsa allora al genere
umano, discesa dal cielo con uno splendore inaccessibile, non avrebbe fallito nella
verosimiglianza”.38
Irene, che era solita vivere nei propri appartamenti dove pregava le Sacre
Scritture, che appariva poco in pubblico, con il suo carattere riservato e schivo e
con la timidezza nelle parole e nei gesti, accanto al marito Alessio era una guida
sicura per il suo popolo, poiché era dotata di una bellezza che le proveniva più
dalle sue virtù morali che dall’aspetto fisico: il suo stesso sguardo rivelava
un’anima luminosa e pura.
3.7.1 Relazione tra occhio e luce spirituale
Nella simbologia cristiana, l’occhio veniva messo in relazione con la luce e la
vista spirituale, e non era inteso solo come organo ricettivo, ma anche come
simbolo per eccellenza dell’espressione spirituale. L’occhio di Dio è l’unico che
può scrutare l’anima dell’uomo perché vede anche attraverso le tenebre.
3.7.2 La luce come simbolo d’amore
In particolari contesti, la luce poteva sublimare anche l’amore forte e profondo
che univa due persone sia in vita che in morte, ma poteva configurarsi anche
come uno strumento delicato per descrivere l’affetto tra una figlia ed i suoi
38
A. Comnène, Alexiade. Regne de l’empereur Alexis Ier Comnène, texte établi et traduit par
Bernard Leib, Paris, 1937-1945, I, p. 112, III, III, 4.
37
genitori. La luce di cui brillavano le grazie di Anna Comnena rendeva il legame
con i suoi genitori indissolubile ed indistruttibile.
3.7.3 Connessione tra la figura della donna e quella della luna
Molto spesso la figura della donna veniva associata al simbolo della luna:
come la luna non brilla di luce propria, così l’Imperatrice brillava di uno
splendore che le derivava dall’unione con il suo sposo.
3.7.4 La luce come specchio dell’anima
La luce rispecchiava anche l’immagine dell’anima che risplendeva dopo la
morte, così come dichiara Platone in un epigramma:
“Prima come stella del mattino brillavi tra i vivi, ora, invece, morto, splendi tra i
morti come stella della sera”.39
3.7.5 L’importanza della figura del sole
Se la luna era sempre associata alla figura dell’Imperatrice, l’immagine del
sole, nonostante si riferisse spesse volte all’Imperatore, in determinati contesti
poteva designare anche particolari figure femminili. Irene Dukas, per esempio,
esercitava così scrupolosamente la virtù della giustizia da poter essere paragonata
al sole, mentre Anna Comnena è definita come <<un nuovo sole nel mondo delle
lettere>>, come un <<essere unico in tutto l’universo come il sole o la luna >>
(Nardi, 2002, p.193).40
3.7.6 La figura della stella
Accanto al sole e alla luna, anche la stella, reminiscenza classica, veniva usata
come metafora per indicare la figura femminile, e se la lucerna divenne il simbolo
39
Plato, carmen 513, in Epigramma Greca, ed. D. L. Page, Oxford, Clarendon Press 1975. Lo
stesso epigramma si trova nel VII libro dell’Antologia Palatina, cfr. carmen 670 in The Greek
Anthology cit., II.
40
G. Tornikès, Èloge d’Anne Comnène., p. 233 v. 20, p. 315 v. 20.
38
per ricordare gli incontri d’amore furtivi e segreti di tanti epigrammi erotici
dell’Antologia Palatina, a Bisanzio simboleggiava il pianto, negli elogi funebri,
per le donne scomparse. La donna diveniva pura anima di fronte a Dio poiché,
avvicinandosi al Creatore, perdeva la propria bellezza materiale per incarnare
quella spirituale: si innalzava al Creatore per divenire una cosa sola con Lui.
3.8 Le donne della famiglia imperiale
Le donne che appartenevano alla famiglia imperiale passavano la maggior
parte del tempo nei loro appartamenti privati, frequentavano assiduamente la
Chiesa, svolgevano attività filantropiche nei confronti dei più disagiati,
elargivano generose donazioni per la costruzione, la restaurazione e la gestione
degli edifici ecclesiastici, dei monasteri, degli istituti di carità, finanziavano la
produzione di manoscritti e di opere d’arte.
L’elemento principale che contraddistingueva queste donne dal resto della
società era il loro coinvolgimento nella vita politica, poiché a volte esercitavano
l’autorità imperiale, o come reggenti, o come sovrane, influenzando le decisioni
dei propri mariti, figli e fratelli. Coloro che non avevano eredi maschi potevano
trasmettere il potere imperiale per via matrimoniale, come accadde alla
principessa Zoe, figlia di Costantino VIII, che prolungò la dinastia macedone
grazie ai suoi matrimoni con tre uomini diversi, che divennero Imperatori, quali
Romano III Argiro (1028-1034), Michele IV Paflagone (1034-1041), Costantino
IX Monomaco (1042-1055) (Talbot, 1992, p.204). Le Imperatrici che rimanevano
vedove avevano il compito di governare fino a quando i loro figli non avessero
raggiunto l’età adulta. Anna Dalassena, per esempio, resse l’Impero quando il
figlio Alessio I Comneno lasciò Costantinopoli per combattere una lunga guerra
militare. Le donne, infatti, potevano sedere sul trono di Bisanzio ma non
potevano regnare da sole, poiché non erano considerate abbastanza competenti
per svolgere elevati ruoli di responsabilità.