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Introduzione
Quello dell’immigrazione straniera è un fenomeno che da sempre attira l’attenzione politica
e conseguentemente sociale. Le argomentazioni, contrarie e favorevoli, sono rimaste simili
nel tempo perché simili sono le circostanze che caratterizzano questi spostamenti. I flussi
migratori partono generalmente da nazioni con basso tenore di vita e pessime condizioni
economico-sociali per giungere in paesi dove si vive relativamente meglio e con migliori
prospettive di vita. Un esempio possono essere i flussi dall’Africa verso l’Italia o l’Europa
in generale. Oppure, richiamando un esempio storico, il flusso migratorio italiano che ha
interessato gli Stati Uniti dalla fine dell’800 e per buona parte degli inizi del ‘900. Proprio
in quest’ultimo caso infatti, si possono rivivere le similitudini tra le disastrose situazioni
dei nostri emigranti e quelle degli immigrati di oggi. Ad esempio, le condizioni di viaggio
non erano certo delle migliori, lunghe traversate a bordo di navi dove l’igiene scarseggiava
e che vedeva i nostri concittadini trattati come cittadini di serie B una volta raggiunta la
tanto agognata meta. Anche dal punto di vista religioso i nostri emigrati subivano un
trattamento egualitario, essendo cattolici in un paese prevalentemente protestante. Infine,
non mancavano i soliti pregiudizi dovuti alla scarsa volontà di integrarsi e allo stile di vita
più “rude”, problema che, forse ancora oggi, rappresenta un forte deterrente per l’inclusione
sociale. Tutte queste differenze portano ad una sovrastima nella percezione della quota di
immigrati in Europa e soprattutto in Italia, paese in cui si ha il più alto scarto tra stranieri
effettivi, 8,3%, e percepiti, 25%. A questi ostacoli sociali si aggiungono quelli normativi,
come i blocchi all’immigrazione, adottati soprattutto dai paesi europei.
Tuttavia, nonostante queste complicazioni, il volume delle migrazioni è in continuo
aumento e per quanto si passi attraverso periodi “restrittivi”, questi vengono sempre
superati da una maggiore libertà individuale e una maggiore globalizzazione. A causa della
complessità del fenomeno, l’attenzione si dovrà spostare sul mantenimento dell’ordine e
della sicurezza, attraverso l’identificazione dei potenziali problemi. Un esempio è proprio
il nostro paese, che negli ultimi anni ha visto aumentare i flussi migratori, sia in entrata che
in uscita.
Gli spostamenti tra le varie nazioni sono sempre in aumento e sembrano non comportare
danni all’economia del paese di destinazione, anzi, proprio gli Stati Uniti, terra di grande
immigrazione, hanno sfruttato questo elemento, insieme ad altri fattori, per divenire una
delle maggiori potenze mondiali.
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Una delle prime domande è l’impatto che i nuovi arrivi hanno sul bilancio pubblico del
paese di destinazione. Anche se la maggioranza della popolazione pensa che siano un peso,
in questo studio si cercherà di analizzare proprio quest’ultimo aspetto relativo al nostro
territorio, ossia l’impatto fiscale dell’immigrazione in Italia per il 2016. Tuttavia, ogni
nazione può ottenere dei risultati differenti perché, se da un lato si può immaginare che la
popolazione immigrata sia tendenzialmente giovane e in età lavorativa, dall’altro, i servizi
che uno Stato offre e l’imposizione fiscale che richiede, possono avere un peso decisamente
diverso. Si pensi ad esempio all’onere del debito pubblico, il quale costringe il Paese a
compensarlo tramite una maggiore tassazione. Pertanto, abbiamo già evidenziato 2 punti di
influenza: uno tangibile, ovvero la struttura demografica, e uno osservabile, ossia il
rapporto tra saldo fiscale dell’immigrazione e debito pubblico. Quest’ultimo punto
richiederebbe un’analisi confrontata con altri paesi, ma purtroppo, come vedremo, le
definizioni di immigrato e le categorie di bilancio considerate variano molto, rendendo
attualmente impossibile un’analisi definita.
Infine, proprio a causa di questa diversità tra le definizioni, nel nostro caso si è cercato di
fare chiarezza differenziando le popolazioni in base a tre potenziali definizioni: nati
all’estero, immigrati e cittadini stranieri. Se la categoria dei nati all’estero è utilizzata dal
Ministero dell’Economia e delle Finanze per la classificazione dei contribuenti IRPEF, i
cittadini stranieri sono l’ipotesi più utilizzata negli studi recenti. La categoria degli
immigrati è, invece, del tutto nuova. Infatti, tale stima è stata effettuata aggregando ai
cittadini stranieri le acquisizioni di cittadinanza, considerando così anche l’immigrazione
di lungo termine. Sulla base della distinzione tra cittadini stranieri e immigrati è stato
possibile stimare la differenza di redditi e di IRPEF versata dai due gruppi.
Durante le nostre osservazioni ci sarà spazio anche per altri punti, come: l’analisi
approfondita del consistente flusso di sbarchi verificatosi negli ultimi anni e il fenomeno
dell’immigrazione irregolare con una stima dei relativi costi.
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I dati sulle percezioni e sulle emigrazioni sono ad opera di Rotondi (2018) e dell’Istituto Cattaneo (2018),
tutte le altre opere saranno citate nei successivi capitoli.
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1. Metodologie e Aspetti Teorici della valutazione
L’effetto che gli stranieri hanno sul bilancio pubblico è un tema di grande interesse,
soprattutto negli ultimi anni, per capire se effettivamente, per quanto riguarda l’aspetto
strettamente economico, il flusso dell’immigrazione sia positivo o negativo. Sono diversi
gli studi che si occupano del tema, sia a livello internazionale (OECD, 2013) (Dustmann
& Frattini) che nazionale (Saraceno, Sartor, & Sciortino, 2013) (Stuppini & Fondazione
Leone Moressa, 2018).
Queste analisi sono tendenzialmente recenti, ossia dagli anni 2000 fino agli ultimi mesi.
Anche la sezione Trends in International Migration dell’OCSE, diventata adesso
International Migration Outlook, mostra come l’evoluzione degli studi recenti abbia
inserito ulteriori tasselli alla metodologia di ricerca, complice anche la molteplicità di
aspetti e implicazioni da considerare.
I metodi usati dai ricercatori per la valutazione dell’impatto fiscale dell’immigrazione sono
due (OECD, 2013, p. 128):
- Accounting approach, il quale consiste nello stimare il contributo fiscale degli
immigrati diminuito della quota di spesa pubblica a loro imputabile in un
determinato periodo di tempo, in genere un anno, così da ottenere un saldo. Il punto
critico di tale metodologia riguarda una visione strettamente corrente, ossia non può
catturare gli effetti nel tempo dovuti, ad esempio, al cambiamento strutturale della
popolazione.
- Dynamic models, in tal caso si creano modelli che valutano l’impatto di un’ondata
migratoria addizionale, ovvero un flusso appartenente ad una determinata coorte,
tenendo conto anche della prole. In questo metodo, le voci devono avere un punto
di riferimento temporale, pertanto si calcola il Valore attuale netto (VAN). Molto
importante in questo caso è la considerazione che viene fatta delle seconde
generazioni; in questo caso i problemi riguardano le assunzioni sui vincoli
economici e sull’integrazione nel mercato del lavoro.
Alcuni lavori (Dustmann & Frattini, 2013) hanno “unito” i due metodi, utilizzando il
modello statico per 15 anni rendendolo così, per certi versi, dinamico.
Anche se le due modalità di lavoro differiscono tra loro gli effetti degli immigrati sul
bilancio pubblico sono in genere positivi, pur non andando mai oltre lo 0,5% del PIL, se
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non in Svizzera e Lussemburgo in cui il saldo è positivo ed è pari al 2% (OECD, 2013). I
risultati sono coerenti con quanto emerso in Rowthorn (2008), secondo cui il saldo è
generalmente compreso nell’1%
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del PIL. Sempre secondo quest’ultimo autore ci sono
diversi punti da tenere in considerazione nell’analisi fiscale sulle migrazioni, quali i
problemi demografici (struttura dell’età, migrazioni temporanee, fertilità) o di misurazione
(emigrazione correlata all’immigrazione e disoccupazione per i nativi).
Aspetti demografici
Per quanto riguarda le diversità tra le popolazioni del luogo e quelle immigrate, ci sono
differenze fondamentali che vanno ad influenzare il mercato del lavoro e di conseguenza
anche il rapporto tra tasse e benefici. Partendo dalla diversa composizione demografica si
può affermare che in Italia (Grafico 1. Quote di ogni coorte sul proprio totale, 2017.) i
migranti sono prevalentemente in età lavorativa, mentre i nativi hanno un’età media molto
avanzata. Sulla base di questa struttura demografica la prima impressione è che gli
immigrati siano dei contribuenti netti, tuttavia le maggiori difficoltà all’entrata nel mercato
del lavoro e i redditi mediamente più bassi attenuano questo effetto. Basti pensare che se
in alcuni paesi dell’OCSE il tasso di occupazione fosse uguale tra i due gruppi, l’apporto
netto sarebbe significativo per più del 2% del PIL (OECD, 2013, p. 129). Spostandoci a
considerare i benefici, si può inizialmente pensare come questi vengano richiesti in modo
molto limitato da parte degli stranieri, sia per la mancanza di informazioni a riguardo (non
si conosce l’esistenza di determinati benefici), sia per vincoli legali (Devillanova, 2012)
(Norredam, Krasnik, & Nielsen, 2011); tuttavia, secondo Pellizzari (2013) questi limiti
all’accesso si evidenziano laddove vengano richiesti dei means-test per usufruire del
beneficio. Al contrario, i benefici senza requisiti minimi mostrano un maggiore afflusso di
stranieri, soprattutto perché questi ultimi sono più concentrati nelle zone italiane con un
sistema di welfare migliore.
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I dati sono riferiti al modello statico, in quanto, come vedremo, il modello dinamico può mostrare effetti
particolarmente diversi e consistenti a seconda delle ipotesi che si fanno sulle variabili macroeconomiche.
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Grafico 1. Quote di ogni coorte sul proprio totale, 2017.
Fonte: Elaborazione dati Istat.
Strettamente collegata alla struttura della popolazione, è la fertilità. Generalmente i paesi
meno sviluppati, da cui proviene l’immigrazione, hanno tassi di procreazione maggiori
(Tabella 1. Tasso di fecondità per cittadinanza,2016.
Fonte:ISTAT ( http://dati.istat.it/Index.aspx?DataSetCode=DCIS_FECONDITA1.,
pertanto si può supporre che essi inizialmente rimangano invariati nel paese di destinazione,
per poi adattarsi gradualmente agli atteggiamenti degli autoctoni (Grafico 2. Tasso di
fecondità totale per cittadinanza).
Periodo 2016
Cittadinanza Italiana Straniera Totale
Tasso di fecondità totale 1,26 1,97 1,34
Tabella 1. Tasso di fecondità per cittadinanza,2016.
Fonte:ISTAT ( http://dati.istat.it/Index.aspx?DataSetCode=DCIS_FECONDITA1.)
0,00%
0,50%
1,00%
1,50%
2,00%
2,50%
3,00%
0 anni
3 anni
6 anni
9 anni
12 anni
15 anni
18 anni
21 anni
24 anni
27 anni
30 anni
33 anni
36 anni
39 anni
42 anni
45 anni
48 anni
51 anni
54 anni
57 anni
60 anni
63 anni
66 anni
69 anni
72 anni
75 anni
78 anni
81 anni
84 anni
87 anni
90 anni
93 anni
96 anni
99 anni
Quota di popolazione per età, 2017
Popolazione Autoctoni Stranieri