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INTRODUZIONE
La normativa di Basilea II prevede che ai fini del calcolo dei requisiti
patrimoniali delle banche gli immobili a garanzia delle esposizioni creditizie
vengano valutati al valore di mercato. Tuttavia tale valore riflette le condizioni
di mercato esistenti nell’istante temporale in cui viene rilevato. Quando si
stima il valore di mercato per l’erogazione di un mutuo, questo è valido per un
istante temporale al più coincidente con il momento della stipula del contratto,
se non precedente. Il valore di mercato è inoltre soggetto a variazioni nel
corso del tempo che, considerando il lungo orizzonte temporale dei tipici
mutui che va da 10 a 30 anni, possono essere molto rilevanti. In particolare
osservando i prezzi sul mercato immobiliare nel periodo 2008-2010 si è notato
che anche questo settore non è immune da shock negativi di grande portata in
brevi periodi di tempo. Il calcolo del valore della garanzia a prezzi di mercato
non considera tali possibili mutamenti delle condizioni perché si tratta
appunto di una misura vincolata al momento in cui viene rilevata. Questo
potrebbe significare sottovalutare i rischi assunti e allocare una quota di
capitale non corretta o non adeguata.
Il presente lavoro si propone di presentare l’utilizzo di una misura
alternativa del valore degli immobili a garanzia: il Mortgage Lending Value.
Questa misura non è riconosciuta come valida a fini regolamentari per il
calcolo dei requisiti patrimoniali delle banche ma, per le sue caratteristiche, si
presenta comunque adatta a fini gestionali per il calcolo del capitale
economico. Trattandosi infatti di una misura del valore dell’immobile basata
su una stima prudenziale della commerciabilità futura che tiene conto delle
possibili evoluzioni del mercato, il MLV supera le limitazioni tipiche della
valutazione a valore di mercato e si pone come misura alternativa per una più
corretta e coerente stima del capitale economico.
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La prima parte del testo è dedicata alla descrizione della normativa e
della disciplina delle valutazioni immobiliari. Vengono quindi presentati nel
primo capitolo i principi derivanti dall’accordo di Basilea II, introdotto nel
nostro sistema dalla Banca d’Italia con la Circolare n.263 del 2006,
focalizzandosi in particolare sul calcolo dei requisiti patrimoniali delle banche
in base alle tre diverse metodologie ammesse: standardizzata, IRB di Base e
IRB Avanzato. Nel secondo capitolo vengono esposti i concetti di base e le
modalità di calcolo del valore di mercato degli immobili residenziali e
commerciali. Si farà riferimento ai canonici testi accademici
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, alla best practice
del settore ed agli standard internazionali di valutazione.
Nella seconda parte invece si passa ad un’analisi più pratico-applicativa.
Per prima cosa nel terzo capitolo ci si sofferma sulla variabile più
determinante ed influente nel calcolo degli RWA nel caso di utilizzo della
metodologia basata sui rating interni: la Loss Given Default. Questa variabile
non è infatti direttamente osservabile ed è quindi necessario stimarla sulla base
delle esperienze passate o mediante l’utilizzo di modelli statistici. Vengono
quindi presentati i diversi modelli codificati in letteratura e comunemente
utilizzati nella pratica bancaria. Si passa poi nel quarto capitolo ad analizzare
nel dettaglio la sensibilità del requisito patrimoniale delle banche alla
variazione delle variabili determinanti in ottica Backward-Looking. Si valuta
quindi l’impatto sugli RWA delle variazioni delle variabili fondamentali, cioè la
probabilità di default, la Loss Given Default e il valore dell’immobile a garanzia.
Infine, nell’ultimo capitolo ci si concentra sulla definizione e sulla
modalità di calcolo di una diversa misura del valore di un immobile: il Mortgage
Lending Value. Si valutano quindi i vantaggi e le applicazioni possibili del MLV
nel sistema di gestione interna dei rischi e si confronta l’impatto che l’utilizzo
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V. Geltner et al. (2006)
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di questa misura avrebbe sul requisito patrimoniale a fronte delle esposizioni
rispetto all’utilizzo del valore di mercato.
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1 LA NORMATIVA DI BASILEA II
Nel gennaio del 2001 il Comitato di Basilea pubblica la prima bozza del
Nuovo Accordo sul Capitale di Basilea che, dopo una lunga fase di gestazione,
vede la sua versione definitiva nel documento del 26 giugno 2004 denominato
Convergenza Internazionale della Misurazione del Capitale e dei Requisiti Patrimoniali.
Queste nuove normative vengono introdotte nell’ordinamento italiano
recependo le direttive 2006/48/CE e 2006/49/CE. La Banca d’Italia emana le
disposizioni di attuazione mediante la Circolare numero 263 del 2006 recante
Nuove Disposizioni di Vigilanza Prudenziale per le Banche. In questa Circolare sono
contenute tutte le indicazioni affinché le banche possano adeguarsi alle nuove
regole internazionali. Queste regole sono suddivise nei cosiddetti tre pilastri.
Il primo pilastro è senza dubbio il più importante e innovativo per la
disciplina, introducendo tutte le nuove norme in materia di requisiti
patrimoniali minimi a fronte dei rischi di credito, di mercato ed operativi.
Ogni banca deve disporre di una quantità di capitale proprio tale da coprire le
perdite inattese sulle esposizioni in base al grado di rischiosità delle stesse. La
maggior parte dei rischi sostenuti da una tipica banca commerciale, legati alle
comuni attività del banking book, rientrano nella categoria del rischio di credito.
Ogni esposizione creditizia, ogni prestito concesso alla clientela deve essere
adeguatamente supportato da una parte del patrimonio in proporzione della
sua rischiosità. Sono inoltre previsti ulteriori requisiti patrimoniali a fronte del
rischi di mercato ed operativi. Il primo riguarda essenzialmente le attività del
trading book, ovvero le posizioni su titoli, valute e merci, mentre il secondo
riguarda il rischio insito nell’attività bancaria in quanto tale e consiste nel
rischio di subire perdite derivante dalla inadeguatezza o dalla disfunzione di
procedure, risorse umane e sistemi interni, oppure da eventi esogeni (Banca
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d’Italia, Circ. 263, Tit.II, Cap.5, pag.1). Il requisito patrimoniale finale viene
determinato come somma dei requisiti a fronte di ogni tipologia di rischio.
Il secondo pilastro invece richiede alle banche di dotarsi di strutture
organizzative interne (Internal Capital Adequacy Assessment Process, ICAAP) al
fine di verificare costantemente l’adeguatezza del capitale nei confronti di tutte
le tipologie di rischio assunte. Queste procedure sono sottoposte al vaglio
dell’autorità di vigilanza, la Banca d’Italia, che le verifica periodicamente,
formula giudizi ed adotta le eventuali misure correttive necessario. Il tutto
viene applicato rispettando il principio di proporzionalità, richiedendo cioè
alle banche di maggiori dimensioni di dotarsi di strutture più complesse e più
adeguate rispetto alle banche minori.
Il terzo pilastro infine disciplina gli obblighi di informativa al pubblico
che le banche sono obbligate a divulgare periodicamente. Queste informazioni
qualitative e quantitative riguardano il livello di solidità patrimoniale e quindi
l’affidabilità della banca e comprendono, sempre secondo il principio di
proporzionalità, dettagliate informazione sui rischi assunti.
1.1 I REQUISITI PATRIMONIALI MINIMI
L’accordo di Basilea II prescrive che il patrimonio di vigilanza minimo
che le banche devono detenere deve essere pari all’8% delle attività ponderate
per il rischio di credito. Il patrimonio di vigilanza è costituito da due elementi:
il patrimonio di base (Tier 1) e il patrimonio supplementare (Tier 2 e Tier 3). Il
primo si suddivide a sua volta in Common Equity Tier 1, comprendente azioni
ordinarie e riserve patrimoniali, e Tier 1 aggiuntivo, comprendente azioni
privilegiate e di risparmio. Il secondo invece comprende il Tier 2, composto da
strumenti ibridi di patrimonializzazione e passività subordinate con scadenza
superiore ai 10 anni entro il limite del 100% del Tier 1, e il Tier 3, composto da
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passività subordinate con scadenza superiore ai due anni e utilizzabile
esclusivamente a fronte dei rischi di mercato.
Le nuove norme di Basilea III, che dovranno essere implementate tra il
2013 e il 2015, oltre a contenere misure per controllare il rischio di liquidità e
per risolvere il problema della prociclicità prevedono un rafforzamento della
base patrimoniale delle banche imponendo un aumento della quota del Tier 1
nel totale del patrimonio di vigilanza. Questo infatti rappresenta il primo e più
forte presidio a fronte dei rischi assunti dalla banca e dovrà essere portato da
un minimo del 4% delle attività ponderate per il rischio fino ad un minimo del
6%. Inoltre il Common Equity Tier 1, che in Basilea II doveva essere come
minimo al 2%, dovrà essere superiore al 4,5% in qualsiasi momento. Verranno
poi rimossi dal computo del patrimonio gli strumenti rientranti nella categoria
Tier 3. Inoltre è fatto obbligo alle banche di mantenere un buffer di
conservazione del capitale del 2,5% costituito da Common Equity Tier 1 in
aggiunta al requisito minimo. Questo dovrebbe essere accantonato in fase di
crescita del credito e servire come protezione del patrimonio di base in fase
recessiva. Nel caso il buffer scendesse sotto la soglia prevista, l’autorità di
vigilanza potrà imporre limitazioni alla distribuzione del capitale. La nuova
disciplina di Basilea III quindi integra e migliora la precedente ma non
modifica il la parte riguardante le regole di ponderazione dell’attivo per le quali
si fa sempre riferimento alla Circolare 263.
La normativa vigente prevede che al fine del calcolo delle ponderazioni
delle attività gli istituti di credito possano adottare una metodologia
standardizzata ovvero una metodologia basata sui rating interni (Internal Rating
Based – IRB). Il primo, di più immediata e semplice applicazione, permette di
ponderare le diverse attività in base al loro rischio con criteri rigidamente
stabiliti dalla normativa stessa. Per quanto riguarda il secondo, invece,
l’autorità lascia un maggior spazio di valutazione sui singoli rischi e questo
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permette maggiore flessibilità di calcolo alle banche. Questa metodologia
richiede una maggior dotazione di risorse fisiche, tecnologiche e di modelli
quantitativi per poter essere impiegato e sfruttato al meglio ma allo stesso
tempo può portare ad una più efficiente allocazione del capitale a
disposizione. Chiaramente gli istituti di più grandi dimensioni dovranno
dotarsi di strutture molto più complesse per valutare i rischi assunti in maniera
più dettagliata ed adeguata rispetto a quelli di più piccoli come le banche di
credito cooperativo.
Dato che in Europa ed in modo particolare in Italia la maggior parte
delle imprese sono di piccole o medie dimensioni e quindi non dotate di rating
esterno, si è posto il problema se queste vengano o meno penalizzate dalle
norme di Basilea II. Certamente può sorgere qualche problema in sede di
affidamento presso le banche che utilizzano il metodo standardizzato perché
non possono ponderare l’attività a meno del 75%, o del 35% in caso di
garanzia immobiliare residenziale. Le banche che usano il metodo IRB ed in
particolare quello avanzato possono invece attribuire allo stesso credito una
coefficiente ponderale inferiore in base ai calcoli svolti internamente circa
l’affidabilità della controparte. Questo porta ad un vantaggio per le banche in
termini di risparmio di patrimonio e per le imprese perché si presume che
grazie ad un minore impegno di capitale le banche siano meno restie a
concedere il credito
In ogni caso, essendo comunque il patrimonio di vigilanza piuttosto
rigido e non facilmente aumentabile, è chiaro che gli istituti di credito
sceglieranno di affidare solamente la clientela meno rischiosa. In particolare,
nei periodi in cui le banche risultano essere sottocapitalizzate e avrebbero
bisogno di un aumento delle risorse proprie, la quantità di credito erogata sarà
limitata solamente a quelle attività che risultano essere più sicure e che quindi
assorbono una minore quantità di patrimonio.
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1.2 LA METODOLOGIA STANDARDIZZATA
Il metodo di base per il calcolo dei requisiti patrimoniali a fronte del
rischio di credito prevede che le banche suddividano le proprie attività in
diversi portafogli a seconda della natura delle controparti e che ad ogni
portafoglio vengano applicati coefficienti di ponderazione diversificati ma
prefissati dalla normativa stessa. Per le controparti dotate di rating fornito da
un’agenzia esterna è prevista una ponderazione che dipende dal giudizio sul
merito di credito mentre per i clienti non dotati di rating si applica una
ponderazione del 100% o del 75% se rientranti nel portafoglio al dettaglio. Le
banche che adottano questa metodologia dovranno quindi individuare il
portafoglio Esposizioni Garantite da Immobili nel quale verranno inserite le
esposizioni garantite da un’ipoteca su un immobile purché siano soddisfatte le
seguenti condizioni:
a) il valore dell’immobile non dipende in misura rilevante dal merito di credito
del debitore;
b) l’immobile sia stimato da un perito indipendente ad un valore non superiore
al valore di mercato;
c) la garanzia è opponibile in tutte le giurisdizioni pertinenti e può essere escussa
in tempi ragionevoli;
d) vi è un’adeguata sorveglianza sul bene immobile […] »
(Banca d’Italia, Circolare 263, Tit.II, Cap.1, pag.23)
Il punto a) è di facile interpretazione: la garanzia deve avere un valore
che non sia correlato alla capacità del debitore di rimborsare il prestito. Se così
non fosse ci si potrebbe trovare nella situazione in cui se il debitore dovesse
risultare insolvente, l’immobile a garanzia perderebbe valore a danno del
diritto di credito della banca.
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«
Il punto b) necessita di qualche approfondimento. Per perito
indipendente si intende “una persona che possieda le necessarie qualifiche, capacità ed
esperienza per effettuare una valutazione, che non abbia preso parte al processo di decisione
del credito né sia coinvolto nel monitoraggio del medesimo” (ibidem). Posto che la
normativa permette che il perito possa essere un dipendente della banca che
concede il prestito, si specifica che la persona incaricata a valutare un
immobile non possa essere la stessa che abbia preso decisioni in merito
all’erogazione del credito stesso, al fine di evitare conflitti di interesse. Sono
comunque da considerare casi di conflitto d’interesse anche le situazioni in cui
il perito abbia rapporti con il soggetto richiedente il prestito o abbia interessi
economici nell’operazione. Per quanto riguarda il concetto di valore di
mercato dell’immobile rimandiamo la discussione ai capitoli successivi.
Il punto d) prevede invece che il valore degli immobili venga verificato
«almeno una volta ogni tre anni per gli immobili residenziali e una volta l’anno per gli
immobili non residenziali» (ibidem).
Dati questi presupposti, la norma permette che le esposizioni garantite
da ipoteca su immobili residenziali vengano ponderate al 35% a condizione
che:
a) si tratti di immobili residenziali utilizzati, destinati ad essere utilizzati, dati in
locazione o destinati ad essere dati in locazione dal proprietario;
b) la capacità di rimborso del debitore non dipenda in misura rilevante dai flussi
finanziari generati dall’immobile […];
c) l’importo dell’esposizione non ecceda l’80 per cento del valore dell’immobile […]. »
(ibidem, pag.24)
Dal punto a) si deduce che l’immobile posto a garanzia deve essere già
costruito o che la sua costruzione sia già stata approvata e che si sia certi che
una volta costruito sarà occupato o dato in locazione. Con il punto b) invece si
vuole chiarire che il rimborso del finanziamento non può essere