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Introduzione
L’Italia sta vivendo una fase di grandi cambiamenti e termini come “green economy”, “energie
alternative” o “green jobs” ci fanno vedere una luce nuova e particolare in fondo al buio della crisi
che ci sta attanagliando. Si sta rimettendo in discussione l’assioma del capitalismo che vede nello
sfruttamento dell’ambiente l’unica occasione per creare profitto. L’ambiente sta correndo seri
pericoli: l’ingente quantità di gas serra nell’atmosfera (specialmente CO2) sta accelerando il
processo dei cambiamenti climatici, che potrebbero avere conseguenze disastrose per il globo.
Diventa necessario, quindi, ridurre le emissioni, diminuendo la produzione di beni e convertendo i
settori produttivi esistenti. E’ assolutamente prioritario considerare l’ambiente come un capitale e,
come ci insegna l’economia di mercato, i capitali non vanno sprecati ma aumentati.
Ma quando è nata l’esigenza di mettere in atto uno sviluppo considerato sostenibile? Siamo nel
1973 e scoppia il cosiddetto shock petrolifero in seguito alla guerra tra Israele e Paesi Arabi: il
prezzo del barile sale alle stelle e i governi dell’Occidente varano pesanti misure d’austerità. La crisi
petrolifera rappresentò per i Paesi occidentali un’occasione per riflettere sull’uso delle fonti
rinnovabili che vennero per la prima volta prese in considerazione, in alternativa ai combustibili
fossili come il petrolio.
La definizione oggi ampiamente condivisa di sviluppo sostenibile è quella contenuta nel rapporto
Brundtland, elaborato nel 1987 dalla Commissione Mondiale sull'Ambiente e lo Sviluppo e che
prende il nome dall'allora premier norvegese che presiedeva tale Commissione. Il testo elaborato
recita ”Lo sviluppo sostenibile, lungi dall’essere una definitiva condizione di armonia, è piuttosto un
processo di cambiamento tale per cui lo sfruttamento delle risorse, la direzione degli investimenti,
l’orientamento dello sviluppo tecnologico e i cambiamenti istituzionali siano resi coerenti con i
bisogni futuri oltre che con gli attuali”.
Con questa affermazione Bruntland lancia un allarme relativo al consumo senza freni delle risorse,
che avrebbe potuto lasciare “affamate” le generazioni future.
Tornava così a confermarsi l’esigenza di ridurre i consumi insieme alla necessità di ricercare fonti
energetiche che avrebbero potuto ridurre la schiavitù dal petrolio.
Il concetto di “sostenibile” si è poi evoluto, mentre le energie rinnovabili hanno cominciato a fare
timidamente capolino nel panorama energetico globale.
Man mano si è giunti al concetto rivoluzionario di “green economy”, ovvero un’economia il cui
impatto ambientale sia minimo. In questo nuovo contesto diventano allora primari l’innovazione
tecnologica e le conoscenze scientifiche.
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In questo nuovo panorama le fonti tradizionali di origine fossile vengono affiancate da fonti
alternative, le costruzioni sono fatte con criteri di sostenibilità ambientale, vengono creati sistemi di
riciclo efficiente che non fanno sprecare risorse.
A livello mondiale il primo passo importante è stato fatto nel 1997 quando 160 Paesi hanno aderito
al cosiddetto Protocollo di Kyoto, che poneva l’obbligo ai Paesi sottoscrittori di ridurre le emissioni
inquinanti del 5% rispetto ai livelli del 1990.
Sulla scia di questo importante accordo l’Unione Europea ha elaborato nel 2008 il piano 20-20-20.
Il piano pone in capo ai Paesi membri dell’UE 3 obblighi da rispettare entro il 2020: ridurre le
emissioni di gas serra del 20%, aumentare il risparmio energetico del 20% e portare il consumo
energetico da fonti rinnovabili al 20%. Per i Paesi che non riusciranno a rientrare in questi rigidi
paletti sono previste delle sanzioni economiche molto importanti. Per l’Italia questo ha
rappresentato un incentivo idoneo a dare un forte impulso al settore “verde”.
Anche l’agricoltura ha captato il ruolo nevralgico che può avere nell’ambito green. Basti pensare ad
esempio alla produzione di biomasse e biocarburanti che derivano da vegetali coltivati
nell’agricoltura tradizionale. A livello europeo l’agricoltura è regolata dalla PAC (Politica Agricola
Comune) che regola i sussidi al settore, tutela gli agricoltori e incentiva politiche di tutela e rispetto
dell’ambiente. Per il 2020 si sta studiando una PAC più eco-sostenibile che possa garantire il
rispetto dell’ambiente e delle risorse naturali: essa dovrà favorire l’efficienza energetica, il sequestro
del carbonio, la produzione di biomasse e energie rinnovabili. Anche per l’assegnazione di aiuti agli
agricoltori vieni introdotto come prerequisito il rispetto di una componente ecologica obbligatoria.
All’interno di tutto questo movimento che spinge verso la green economy, sostenuto anche da
importanti istituzioni internazionali, l’Italia non è rimasta per niente indietro, come spesso accade in
altri settori. Nel nostro Paese il giro d’affari legato al settore del verde supera i 40 miliardi di euro:
33,5 dal settore delle “green technologies” (che ingloba sostanzialmente il settore delle rinnovabili e
dell’efficienza energetica) e 9,5 dal settore del riciclo. Quella della green economy italiana è una
storia densa di numeri positivi: abbiamo già superato l’obiettivo europeo del 20% di consumo da
fonti energetiche rinnovabili (attualmente siamo al 24,8%), nel 2011 abbiamo superato l’efficiente
Germania in quanto ad installazione di nuovi moduli fotovoltaici, e siamo tra i leader mondiali
assoluti nella produzione di inverter per pannelli.
Nel corso di questo lavoro si analizzerà come la green economy sta influenzando l’Italia, non solo
dal punto di vista di sole speranze “utopistiche”, ma soprattutto sulla base di dati concreti che
lasciano ben sperare per il futuro.
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1.Che cosa sono le energie alternative?
Per iniziare l’analisi italiana della green economy occorre innanzitutto capire cosa siano le fonti
alternative, che è un termine sulla bocca di tutti ma di cui pochi conoscono il significato reale.
Le energie, chiamate anche rinnovabili, derivano da fonti energetiche che si rigenerano o sono
inesauribili. Costituiscono un’alternativa ai combustibili fossili tradizionali (gas, petrolio e carbone),
e sono pulite poiché non rilasciano sostanze nocive o climalteranti in atmosfera, come CO2.
Accanto alla definizione di rinnovabile, si incontrano sinonimi come “energia sostenibile” e “fonti
alternative” di energia: i 2 concetti sono simili ma non uguali.
Per energia sostenibile si intende una modalità di produzione ed utilizzo dell’energia vincolato ad uno
sviluppo sostenibile, e in questo ambito rientra anche l’efficienza energetica degli edifici. Le fonti
alternative d’energia sono, come già detto sopra, tutte le fonti non fossili, tra cui si può considerare
anche il nucleare.
La normativa italiana considera “rinnovabili” il sole, il vento, le risorse idriche, le risorse
geotermiche, le biomasse, le maree e il moto ondoso.
L’energia delle maree richiede elevate escursioni del livello del mare; la realizzazione di questi
impianti richiede grandi investimenti, e in Italia questa tecnologia è perlopiù in fase sperimentale
essendo, tra l’altro, molto costosa.
L’energia prodotta dal moto ondoso è una forma di energia solare che dipende dalla velocità del
vento, dalla durata della perturbazione indotta e dalla distanza entro la quale soffia il vento. Più è
alta la durata e la grandezza dell’onda, maggiore è l’energia elettrica rinnovabile. Purtroppo anche in
questo caso i costi di produzione appaiono molto elevati in relazione agli alti costi d’installazione.
Possiamo ora procedere a una disamina delle fonti energetiche alternative al momento più diffuse
in Italia.
1.1 L’energia eolica
L’energia eolica è una delle più antiche fonti rinnovabili, basta pensare agli antichi mulini a vento
che sfruttavano questa energia per far ruotare la macina che frantumava il grano.
Oggi questa energia è molto studiata ed è in fase avanzata di sviluppo: essa si origina dalle
differenze di pressione che si creano sulla superficie terrestre, le quali determinano lo spostamento
di grandi masse d’aria; catturando l’energia del vento con apposite turbine si produce energia
elettrica.
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I miglioramenti continui a cui è sottoposta questa fonte d’energia hanno permesso che essa, in
condizioni favorevoli, possa raggiungere costi di produzione d’energia prossimi alle tradizionali
fonti fossili (la “grid parity” come vedremo più avanti). Il più grande problema dell’eolico è
l’intermittenza, dovuta al fatto che l’intensità del vento non è costante e in alcuni casi può essere
assente. Nei momenti di alta produttività l’energia non può essere utilizzata completamente dalla
rete, a meno che non si studino sistemi per accumularla o inviarla a Paesi vicini. Al contrario, nei
momenti di bassa produttività diventa necessario coprire il fabbisogno con energia proveniente da
fonti fossili, annullando parzialmente il vantaggio che offre l’eolico. Alla luce di questo problema si
stanno pensando soluzioni come le reti intelligenti (smart grids), che siano in grado di compensare
gli svantaggi dell’intermittenza di queste fonti. Per il momento le smart grids non corrispondono a
soluzioni concrete.
I problemi della gestione dell’abbondante apporto elettrico da parte dell’eolico diventano evidenti in
Paesi come la Danimarca, dove la potenza installata è pari al 20% della potenza globale, ma si riesce
a coprire solo il 10% del fabbisogno elettrico.
Tutto ciò evidenzia la necessità di creare opportune soluzioni per lo stoccaggio dell’energia, che
attualmente sono limitate a bacini di pompaggio.
Per ottenere buoni risultati con l’eolico sono state messe a punto le “wind farms” (letteralmente
aziende del vento) che concentrano più macchine installate in aree limitate.
Esistono 2 ulteriori tipologie di impianti eolici,” onshore” e “offshore”. Il primo è il classico
esempio di impianto installato a terra mentre il secondo, più innovativo e molto usato nei Paesi
nordici, è costituito da piattaforme piazzate in mare. Questo tipo d’installazione garantisce un
rendimento elevato degli impianti ma presenta anche costi elevati. Nel 2011 l’eolico ha contribuito
al 3,3% della produzione d’energia elettrica italiana complessiva, mentre ad aprile 2012 si è toccato il
picco (secondo i dati Terna), e l’eolico è arrivato a garantire il 6,4% della produzione d’energia.
Attualmente l’Italia ha una potenza installata pari a 7250 Mw, che potrebbero diventare ben 16000
entro il 2020, oltre il doppio. Con questo livello di installazioni si potrebbe coprire il fabbisogno
elettrico di 12 milioni di famiglie e si arriverebbe a coprire il 10% del fabbisogno elettrico nazionale.
In questo scenario, si rende necessaria un politica di crescita attenta alle esigenze dell’ambiente, da
realizzare attraverso nuove installazioni.