Parte I – La reputazione e il rischio
1. L’importanza della reputazione d’impresa
«Ci vogliono 20 anni per creare una reputazione e cinque minuti
per distruggerla» diceva Warren Buffet. La reputazione è l’asset
più prezioso e più fragile, sia pure intangibile, della maggior parte
delle aziende di oggi. Una buona reputazione, faticosamente
guadagnata nel tempo, può essere sorprendentemente fragile nel
XXI secolo globalizzato e interconnesso. La fiducia e la sicurezza
che ne sono alla base possono essere irrimediabilmente
danneggiate da una momentanea perdita di giudizio o da un
commento involontario. Le notizie di tali defaillance circolano in
pochi minuti in tutto il mondo veicolati dai media, generando
“pandemie mediatiche” che arrivano a distruggere anche
irrimediabilmente la capacità dell’impresa di creare valore.
Vi è una forte correlazione tra l'organizzazione, la reputazione e la
sua capacità di commercializzare con successo i propri prodotti.
Commercializzare con successo significa che le comunicazioni di
marketing dell’organizzazione saranno più efficaci, i consumatori
saranno più disposti a provare prodotti venduti sotto il marchio
della società, e l’organizzazione disporrà inoltre di maggiori
capacità di rendere accettabile per i suoi clienti un premium price.
La reputazione interviene anche nel processo d’acquisto,
rappresentando in molti casi l’ultimo elemento decisivo per
convincere l’acquirente.
1.1 La reputazione i portatori di interessi
Vi sono diversi orientamenti in merito alla definizione di
“reputazione”. Nella teoria dei giochi la reputazione è ritenuta un
fondamentale segnale in presenza di asimmetria informativa per i
consumatori/clienti che posseggono informazioni limitate sul
comportamento dell’impresa. «Essi hanno minori informazioni
7
rispetto ai manager circa il commitment della società nel fornire
prodotti con determinate caratteristiche in termini di qualità e
1
sicurezza »: una buona reputazione dell’impresa permette la
scelta, chi non ha agito correttamente viene punito.
Da un punto di vista prettamente manageriale si sono diffuse
teorie che identificano nei c.d. portatori di interesse, o stakeholder,
il punto di arrivo, con importanti feedback di ritorno, del processo
di creazione e mantenimento della reputazione. Gli stakeholder
sono gruppi sociali che rappresentano “forze” in grado di
influenzare, secondo diversi gradienti di intensità, la dinamica
evolutiva dell’impresa, soggetti a loro volta dell’influenza
2
dell’impresa stessa . Nella tabella a seguire gli stakeholder sono
raggruppati in base al grado di influenza da e sull’impresa.
Stakeholder primari Stakeholder secondari
Proprietà e finanziatori
Istituzioni
Dirigenti
Comunità locale
Dipendenti
Gruppi di pressione
Clienti
Pubblica opinione e media
Fornitori
Gruppi di rappresentanza
Business partner
Gruppi di pressione
Concorrenti
Tabella 1 - Stakeholder primari e secondari
Gli stakeholder primari sono coloro che influenzano direttamente il
comportamento dell’impresa, le sue scelte strategiche e senza i
quali l’impresa stessa non potrebbe esistere. Gli stakeholder
secondari non hanno un rapporto diretto e non sono essenziali per
la sua sopravvivenza, tuttavia giocano un ruolo fondamentale nella
costruzione “globale” della reputazione. Le aziende dovrebbero
prendere in considerazione non solo i rischi sotto il loro diretto
controllo, ma anche i rischi riguardanti fornitori, subappaltatori,
1
Fombrum C., Van Riel C., The Reputational Landscape, “Corporate Reputation Review”, vol. 1, N.1-2,
2000, pag. 6,
2
Cfr. Pastore A., Vernuccio M., Impresa e Comunicazione, p.7-8, Apogeo, Milano, 2008
8
partner commerciali, consulenti, e altri soggetti interessati, soggetti
compresi nella c.d. «struttura ampliata» (che prescindendo dai
confini giuridici dell’impresa, comprende tutti i soggetti che,
sviluppando effetti sinergici, partecipano al processo di creazione
del valore nell’ambito di un sistema coordinato e finalizzato di
3
capacità ).
L’impresa costruisce la propria reputazione attraverso la corporate
identity (ciò che vuole essere) che «si connette alla mission, al
posizionamento strategico e alla proposta di valore che l’impresa
4
rivolge ai diversi portatori di interesse ». Sono gli stakeholder
stessi a fare propria quell’identità attraverso la corporate image
(come l’impresa appare all’esterno) e a rielaborare una
reputazione in base alle loro esperienze e alle loro aspettative nel
lungo periodo. «Il coinvolgimento degli stakeholder è
fondamentale nell’affrontare il rischio di reputazione in quanto […]
una buona reputazione si costruisce nel confronto tra esperienze
ed aspettative quando l’organizzazione si rende capace di
allinearsi ed eventualmente eccellere nel soddisfacimento delle
5
attese dei principali stakeholder .»
Il concetto di reputazione non va naturalmente confuso con altri
due elementi chiave nella teoria manageriale dell’impresa, quali il
brand e l’immagine. La corporate image riguarda infatti convinzioni
personali legate direttamente all’impresa stessa più che ai suoi
comportamenti. Se l’immagine è positiva anche la reputazione
crescerà, ma a ritmi molto meno sostenuti dell’immage stessa. Il
brand nella sua concezione ristretta di “marchio” è ciò che
differenzia l’impresa dalle altre e comprende elementi visibili
dell’impresa, quali il nome e il logo; la reputazione non può
migliorare solo per il cambiamento del nome, inoltre comprende
3
Cfr. Golinelli G., L’approccio sistemico vitale al governo dell’impresa. Verso la scientificazione
dell’azione di governo, Volume II, Cedam, Padova, 2008
4
Pastore A., Vernuccio M. (2008), Op.cit., p.28
5
Harpur Oonagh M., cit. in Corporate Social Responsibility Monitor, London: Gee Publishing, Chapter B4,
in Rayner, Managing Reputational Risk. Curbing Threats, Leveraging Opportunities, New York, Wiley &
Sons, pp. 13, 69, 2003
9
una serie di concetti molto più ampia dei segni visibili legati al
brand.
Possiamo dunque intendere la reputazione d’impresa come il
giudizio diffuso e sedimentato nel tempo che i diversi interlocutori
danno della credibilità delle sue affermazioni, della qualità e
6
affidabilità dei suoi prodotti e della responsabilità delle sue azioni ;
essa riguarda la capacità dell’impresa di creare valore per le
7
molteplici categorie di portatori di interesse . In quanto elemento
distintivo dell’impresa nel suo contesto competitivo la reputazione
non è imitabile, poiché deriva da caratteristiche intrinseche
dell’organizzazione e si forma nel tempo a seguito dello
stratificarsi delle interazioni tra questa e stakeholder.
A causa dei molteplici punti di contatto tra impresa e stakeholder,
possono esistere differenti “reputazioni” presso differenti categorie
di stakeholder, diverse fino a livello individuale, in quanto la
percezione, seppure influenzata dall’unitarietà (auspicata) dei
segnali inviati dall’impresa è pur sempre soggettiva. Proprio
questo, insieme alla sua immaterialità, rende difficile la
misurazione del capitale reputazionale di un’impresa. Anche se la
voce reputazione non apparirà nel bilancio, rappresenta una parte
significativa della differenza tra il valore attribuito dal mercato e i
valori contabili. Dato che i beni intangibili rappresentano in genere
oltre il 70% del valore di mercato, la reputazione è spesso un
8
asset enorme del business . «In un’economia dove il 70-80% del
valore di mercato viene da asset intangibili difficili da valutare
come brand equity, capitale intellettuale e una buona reputazione,
le organizzazioni sono particolarmente vulnerabili verso qualunque
9
cosa possa danneggiare la loro reputazione. »
6
Cfr. Ravasi D., Gabbioneta C., Le componenti della reputazione aziendale. Indicazioni dalla ricerca RQ
Italy, Economia e Management, n.3, 2004, pag.78
7
adattamento da Fombrum C. J., Foss C. B., The Reputation Quotient, in “The Gauge”, vol. 14, n. 3, 14
maggio 2001
8
Cfr. Rayner J., Understanding reputation risk and its importance, QFinance, www.qfinance.com, 2010
9
Eccles R. et al., Reputation and Its Risks, Harvard Business Review, Feb. 2007
10
1.2 I driver della corporate reputation
La fase più cruciale del processo di gestione della reputazione del
rischio è l’identificazione dei suoi fattori di origine da valutare al
fine un’analisi quantitativa. I rischi devono essere riconosciuti e
compresi prima di poter essere gestiti. Una buona reputazione
dipende da come un’impresa vive concretamente i valori che
comunica di condividere e dalla costante interazione positiva con
gli stakeholder. Il perseguimento di vantaggi a breve termine a
spese della reputazione a lungo termine, non è pratica accettabile.
Gestire con successo il rischio reputazionale è sia una sfida
dall’interno verso l’esterno che viceversa. Sul versante interno la
sfida richiede business leader capaci che stabiliscano
un’appropriata mission, i valori e gli obiettivi strategici che
guideranno le azioni ed i comportamenti di tutta l'organizzazione.
Queste componenti sono strettamente immanenti all’impresa
stessa e si sviluppano sul lungo periodo. La sfida verso esterno
richiede un continuo monitoraggio dell'ambiente esterno e in
particolare degli stakeholder per assicurarsi che l’impresa sia sulla
strada che ne assicura il sostegno continuo e la fiducia.
10
Considerare i sette drivers della reputazione è un utile punto di
partenza, in quanto questi sono anche fertili fonti di minacce
11
nonchè di opportunità per la reputazione .
10
Rayner J.(2010), Op.cit.
11
Rochette M., Reputation risk: also know the Cinderella asset, Society of Actuarial (www.soa.org), 2007
11
Figura 1 - Valori driver della corporate reputation
Il perseguimento dell’obiettivo di performance finanziarie di lungo
periodo induce gli shareholder, gli investitori, a mantenere la loro
partecipazione se l’impresa ha mostrato di essere degna di fiducia
e ha un buon capitale reputazionale. L’effetto “alone” (corporate
halo) di un business può aiutare a differenziare i prodotti in un
settore altamente competitivo, può generare premium prices, e
può essere l'ultimo fattore decisivo per un eventuale acquirente di
12
servizi . Ciò le consente di mantenere un prezzo piuttosto stabile
ed eventualmente di assicurarsi un premium price, invece di
ridurlo per attrarre i clienti. Una forte reputazione può aiutare ad
attrarre e trattenere il personale di talento e può scoraggiare nuovi
concorrenti, fungendo anche da barriera all'ingresso sul mercato.
La capacità di mantenere buoni rapporti con l’opinione pubblica e i
media è fondamentale soprattutto per preservare e difendere la
reputazione nei momenti di crisi. La reputazione può anche
formare l'atteggiamento delle autorità di regolamentazione, gruppi
di pressione, e dei media nei confronti di un business e può
influenzare il suo costo del capitale. Forse il più grande beneficio
che una buona reputazione apporta all’impresa è il “cuscinetto” di
benevolenza che forma attorno ad essa, che permette ad un
12
cfr. Pride W. M., Ferrell O.C., Concetti di prodotti, branding e packaging, dalla collana “Management”,
n.1, 2006, Università Bocconi Editore, p. 324.
12
business di resistere a shock futuri. Questo capitale reputazionale
o “reputation equity” rafforza la fiducia degli stakeholder e può
persuadere gli interlocutori dell’impresa a darle il beneficio del
dubbio o una seconda chance quando una crisi imprevista la
colpisce. Vedremo più nel dettaglio nella seconda parte come
alcuni di questi driver siano fondamentali nella gestione del rischio
reputazionale, nella mitigazione e la minimizzazione dei danni
reputazionali.
Il problema sempre più incalzante per le aziende è come misurare
la reputazione e il rischio ad essa connesso. Le aziende spendono
milioni per assicurare gli asset tangibili contro perdite e danni, ma
spendono molto poco per comprendere cosa sia la propria
reputazione e quali perdite, o anche vantaggi, da essa possano
derivare. La valutazione della reputazione è un terreno molto
ambiguo, ma da diversi anni aziende come “Interbrand” si sono
specializzate in metodologie di valutazione e stilano annualmente
classifiche internazionali.
La comprensione dei rischi legati alla reputazione, della loro
misurazione e degli strumenti manageriali per prevenirli o
mitigarne gli impatti costituisce il collegamento tra le funzioni di
marketing e comunicazione e il risk management. Una
professionale attività di comunicazione istituzionale può mitigare il
rischio reputazionale o anche minimizzarne i danni. Il risk
management fornisce le metodologie, derivanti prevalentemente
dall’approccio ad altre tipologie di rischio, che permettono di
quantificare per quanto possibile ciò che per eccellenza è
intangibile. Dal punto di vista organizzativo l’attenzione nei
confronti delle aspettative dei diversi portatori di interessi si
inserisce all’interno di una struttura di governo che adotti un
formale orientamento alla responsabilità sociale, un coeso sistema
di risk management, un indipendente sistema di controllo interno e
una chiara e trasparente comunicazione finanziaria.
13
2. Il risk management
E’ importante ricostruire il contesto all’interno del quale è, o
perlomeno dovrebbe essere, inquadrata la gestione del rischio
reputazionale nelle aziende. Analogamente alla definizione di
reputazione, il concetto di “rischio” non è univocamente definito
nell’ambito accademico. Accomuna i diversi orientamenti il
riferimento ai concetti di variabilità e incertezza dei risultati.
«Risk is a condition in which there is a possibility of an adverse
13
deviation from a desired outcome that is expected » secondo la
definizione di Vaughan: le deviazioni dal risultato atteso possono
essere sia sfavorevoli che favorevoli in certi contesti e solo
sfavorevoli in altri, dunque si è consolidata la tendenza a
distinguere le due tipologie di rischio in rischi “puri” e rischi
14
“speculativi” . Alla prima categoria appartengono i rischi
“assicurabili”, ossia quei rischi (puri) che possono essere gestiti
mediante procedimento assicurativo; nella seconda categoria
rientrano i rischi “finanziari” e i rischi “industriali”, ovvero quei rischi
la cui fonte di aleatorietà deriva dall’andamento di tutte le altre
variabili rilevanti dell’attività produttiva.
Una seconda importante classificazione dei rischi divide i rischi
15
d’impresa in core risk e noncore risk : i primi sono rischi che
l’impresa non può trasferire (e tra essi collochiamo certamente il
rischio reputazionale), in quanto connaturati al tipo di attività
svolta, e in corrispondenza dei quali è possibile conseguire un
extrarendimento rispetto al tasso privo di rischio; i secondi sono
rischi cui l’impresa è esposta in forza del tipo di attività svolta, ma
che possono essere eliminati attraverso opportune strategie di
copertura senza che questo modifichi la natura e le caratteristiche
dell’attività stessa d’impresa. I rischi core possono essere gestiti
esclusivamente attraverso scelte di strategia aziendale, mentre i
13
Vaughan E., Risk management, New York, Wiley, 1997
14
cfr. Nocera G., Dal financial risk management all’enterprise risk management, in Forestieri G.(2007),
Corporate e investment banking, Egea, Milano
15
Culp C.L., The ART of Risk Management, pp.193-194, New York, Riley, 2002
14
rischi noncore, in cui rientrano i rischi assicurabili e finanziari della
classificazione precedente, presentano la possibilità di essere
gestiti anche, ma non solo, attraverso soluzioni che non
condizionino le scelte strategiche e operative dell’impresa. In
particolare la logica prevalente di gestione “esterna” dei rischi
noncore è quella hedging, di copertura fornita tipicamente dalle
banche di investimento.
La natura unidirezionale e asimmetrica dei rischi puri, invece,
costituisce un ostacolo alla possibilità di fronteggiarli applicando
l’approccio hedging dei rischi finanziari: un rischio puro non può
essere annullato assumendo una posizione contraria su un rischio
con uguali caratteristiche. Tuttavia, l’incertezza sui risultati cui un
rischio puro dà luogo si attenua sensibilmente quando esso è
considerato all’interno di una più ampia logica di portafoglio di
rischi ad esso omogenei e tra loro indipendenti, che sfrutti
meccanismi di diversificazione spazio-temporali (la cosiddetta
ritenzione attiva) per eliminare l’incertezza rispetto all’entità delle
perdite, invece che l’eliminazione dell’eventualità delle perdite.
Un tale approccio ai rischi a livello organizzativo, finchè adottato,
prevedeva singole divisioni per i rischi operativi, il c.d.a. era
responsabile dei rischi core, la tesoreria dei rischi finanziari, il risk
manager, se previsto, dei rapporti con le imprese di assicurazione.
Questa dimensione dell’attività di risk management si può definire
“tattica” in quanto orientata alla gestione di una sola classe di
rischio per volta e affidata a staff altamente specializzato su
ognuna. A livello operativo il risk management era improntato
sull’adozione di un orizzonte temporale breve, trascurando le
esposizioni al rischio di più lungo periodo e le relazioni che
esistono tra le varie esposizioni. Inoltre la ritenzione attiva opera
una trasformazione, non l’annullamento, del rischio puro originario
in una combinazione di nuovi rischi, alcuni di natura speculativa:
rischio attuariale: il rischio che la previsione delle perdite
generate dall’esposizione originaria si riveli inadeguata;
15
rischio di investimento: il rischio che il rendimento
ottenuto dall’investimento delle risorse accantonate per
fronteggiare le perdite previste sia inferiore a quello atteso;
rischio temporale: il rischio che le perdite previste si
manifestino più velocemente del previsto
rischio di credito: il rischio che l’emittente degli strumenti
finanziari nei quali siano investite le risorse accantonate sia
insolvente
Se un rischio speculativo fosse gestito attraverso una strategia di
hedging con strumenti derivati, l’esposizione originaria potrebbe
essere formalmente annullata, ma a essa si sostituirebbe un
rischio di credito, quello di inadempienza della controparte dello
strumento derivato, che ha natura di rischio puro e non
speculativo.
Tale visione del risk management evidenzia la labilità delle
classificazioni tra tipologie di rischi e la conseguente
inadeguatezza di un approccio tattico e specialistico al risk
management e ha reso necessario, negli ultimi anni, l’adozione di
una visione più ampia e integrata, chiamata Enterprise Risk
Management (ERM): l’ERM viene definito come «un processo,
effettuato dall’Alta direzione, dal management e dal personale,
formalizzato in strategie e strutturato, per identificare qualsiasi
potenziale evento che può influenzare l’organizzazione. Tale
approccio permette una gestione dei rischi entro il livello di
propensione al rischio stesso dell’impresa e garantisce una
ragionevole sicurezza circa il raggiungimento degli obiettivi
16
aziendali. » L’ERM si caratterizza per l’applicazione di strumenti
di calcolo sempre più sofisticati, la nascita di contratti, strutture e
soluzioni alternative di gestione di rischi (detti prodotti ART,
Alternative Risk Transfer). A livello organizzativo ciò ha
comportato l’attribuzione delle responsabilità della funzione del
risk management ai più elevati livelli nelle gerarchie d’impresa,
16
Committee of Sponsoring Organizations of the Treadway Commission, Enterprise Risk Management
Framework, 2004
16
con la costituzione di un risk management team e talora di un
chief risk officer, un collegamento tra il processo di creazione di
valore, formalizzato per obiettivi, alle fasi di gestione del rischio.
2.1 Il rischio finanziario
Sebbene gli ultimi anni abbiano visto emergere fortemente
l’esigenza di un approccio integrato al risk management, è pur
vero che il processo di identificazione delle categorie di rischi cui è
esposta l’impresa resta fondamentale. Tra queste categorie, dai
confini molto labili, il rischio finanziario fornisce indicazioni
importanti ai fini della nostra analisi. Esso può essere suddiviso in
17
tre principali categorie :
Rischio di mercato: si riferisce alla possibilità di subire delle
perdite dovute a variazioni nei prezzi delle attività finanziarie
(fluttuazioni dei prezzi azionari), ma anche a variazioni negative
dei tassi d’interesse (rischio di tasso) e dei tassi di cambio (rischio
di cambio). La sua misura è un indicatore, chiamato Value at Risk
(VaR), la misura della massima perdita potenziale nella quale può
incorrere il portafoglio, scaturita dall’evoluzione dei prezzi di
mercato in un determinato periodo. Esso dipende da diversi
parametri:
l’holding period: periodo di tempo per il quale si ritiene di
tenere fissa la composizione del portafoglio
l’orizzonte temporale
il livello di confidenza α
la stima delle volatilità future
la stima delle correlazioni tra gli strumenti finanziari che
costituiscono il portafoglio
La definizione generale di VaR è la seguente:
P Perdita(n) VaR (n) 1
17
Cfr. Micocci M., Risk Management, materiale didattico corso Metodi Quantitativi per il Management,
Luiss Guido Carli, a.a. 2008/2009
17
La definizione di VaR sarà approfondita nell’analisi delle specifiche
problematiche legate alla misurazione del rischio reputazionale.
Rischio di credito: è connesso all’inadempienza della
controparte nel soddisfare un obbligo contrattuale (per esempio in
caso d’insolvenza dell’emittente di un’obbligazione).
Un’obbligazione può essere soggetta contemporaneamente al
rischio di credito e al rischio di mercato (sotto forma di rischio di
tasso).
Rischio operativo: «the risk of loss resulting from inadequate
or failed internal processes, people and system or from external
18
events ». Questa definizione include il rischio connesso a
variazioni legislative e regolamentari ma esclude il rischio
reputazionale e il rischio derivante dalle scelte strategiche operate
dagli amministratori (rischio strategico). Nella definizione del
Comitato Basilea il Rischio Operativo comprende vari rischi
eterogenei legati principalmente a quattro fattori:
Processi interni: inadeguatezza delle procedure,
insufficienza dei controlli interni, errori di contabilizzazione,
errori nel regolamento delle operazioni
Errori umani: errori involontari dei dipendenti, frodi,
violazioni di regole e procedure interne
Blocco dei sistemi: malfunzionamento dei sistemi
informativi, errori nei programmi informatici, perdita di dati,
interruzione della struttura di rete
Eventi esterni: eventi catastrofici, variazioni nel panorama
economico-politico del Paese
Nello specifico sono sette i fattori individuati dal Comitato Basilea
all’origine di perdite classificate come rischio operativo:
1. Interruzione dell’attività e disfunzione dei sistemi informatici
2. Clienti, prodotti e prassi operative
3. Danni ad attività materiali
18
Basel Committe on Banking Supervision “Working Paper on the Regulatory Treatment of Operational
Risk”, Settembre 2001
18
4. Rapporto di impiego e sicurezza sul posto di lavoro
5. Esecuzione e gestione dei processi
6. Frode esterna
7. Frode interna
Più avanti analizzeremo nel dettaglio le metodologie di
misurazione del rischio operativo (principalmente il Loss
Distribution Approach), utili, con opportuni adattamenti, a fornire
una misura del rischio reputazionale.
3. Il rischio reputazionale
«La natura del rischio reputazionale non sembra essere davvero
compresa. Di conseguenza, quando si tratta di gestione del
rischio, la reputazione non è accettata come una categoria di
rischio indipendente – una che meriterebbe approcci di gestione
su misura – ma è semplicemente etichettata come una
19
conseguenza e un rischio secondario ». Il rischio reputazionale
dunque è considerato un rischio secondario, talvolta neanche
assimilato alla categoria di rischio. La stessa definizione della
Commissione Basilea nel 1997 aveva fornito indicazioni in tal
senso «Reputational risk arises from operational failures, failure to
20
comply with relevant laws and regulations, or other sources. »
come derivante, dunque, da fattori di rischio operativi, legali e
strategici. Oltre questi fattori altre due condizioni dovrebbero
giocare perché si possa parlare di rischio reputazionale:
responsabilità diretta dell’impresa o almeno di uno dei suoi
manager (anche se, è stato già accennato, l’impresa può
essere danneggiata anche “di riflesso” dai danni
reputazionali ad altri player del suo settore o del suo
Paese);
19
Cutler A., Zollinger P., Stealth Risks Evade Corporate Radar in “Sustainability Radar”, October 2001
20
Gabbi G., Reputation, Corporate Governance and Ethical Choices, p.213, in S. Capece (a cura di), Ethical
choices in economics, society and the environment, Luiss University Press, Roma, 2009
19
presenza di specifiche variabili (c.d. “variabili reputazionali”)
capaci di trasformare i fattori di origine in un cambiamento
della reputazione dell’impresa.
Nella letteratura è prevalente l’orientamento del “rischio
reputazionale” come concetto che abbraccia rischi, da qualsiasi
fonte, che possono avere un impatto sulla reputazione, e non
21
come una categoria di rischio in sé . Solo negli ultimi anni, a
causa soprattutto dell’aumentata percezione dell’impatto
gravissimo che può avere il rischio reputazionale sugli asset
tangibili e intangibili delle imprese, si è stati costretti a isolarlo
come categoria a sè, con tutte le problematiche metodologiche
che può comportare la “misura dell’intangibile”. Innegabile in ogni
caso appare la stretta correlazione tra rischio operativo e rischio
reputazionale. Una mancanza grave dell’impresa sotto il profilo
operativo è immediatamente evidente e costituisce un segnale
inequivocabilmente negativo per la reputazione presso gli
stakeholder. Il rischio operativo della rottura di una piattaforma
petrolifera, oltre ai danni materiali stimabili con buona
approssimazione grazie alle note metodologie di gestione del
rischio, ha provocato nel recente caso della British Petroleum –
che verrà analizzato più avanti – un danno reputazionale
gravissimo. Il rischio reputazionale, tuttavia, a differenza dei rischi
da cui lo si fa derivare che possono produrre perdite gravi ma
circoscritte, è caratterizzato da una sproporzione tra l’evento
originario e le conseguenze che nei casi peggiori possono arrivare
22
a danneggiare l’intera impresa. Nella seguente tabella sono
riassunte le differenze tra rischio reputazionale e rischio finanziario
entro il quale, lo ricordiamo, sono ricompresi sia il rischio operativo
che il rischio di mercato.
21
Cfr. Rayner J. (2010), Op.cit.
22
adattamento da Gabbi G. (2009), Op.cit., p. 212
20