prerogative proprie, cercando di imporre un difficile equilibrio fra legittimità e
sovranità nazionale.
A causa di ciò, si sarebbe dovuto attendere molto tempo, ossia la seconda
metà del Novecento, affinché il secolare braccio di ferro fra sovrani ereditari e
democrazia liberale approdasse al suo esito naturale.
Negli ordinamenti giuridici nei quali il Capo dello Stato non è più di
estrazione ereditaria si apre la problematica di come egli possa trovare piena
legittimazione popolare, se attraverso forme dirette o indirette di elezione, in modo
particolare nei sistemi istituzionali organizzati secondo una delle diverse varianti del
governo parlamentare.
In Italia, la figura del Capo dello Stato, dai tempi dello Statuto Albertino fino
alla Costituzione del 1948, non si è sottratta al destino comune di tutte le Costituzioni
parlamentari europee, e con riferimento in modo particolare all’avvento del sistema
repubblicano, non si è saputo risolvere definitivamente la questione della strutturale
ambiguità e dell’implicito dualismo della compresenza, nello stesso ordinamento, di
un Presidente della Repubblica e di un Governo, col suo Presidente del Consiglio,
quali organi costituzionali distinti l’uno rispetto all’altro.
Anche la dottrina ha trovato non poche difficoltà a sviscerare fino in fondo la
natura e la funzione del ruolo di Capo dello Stato, giudicata la più enigmatica e
sfuggente fra le cariche pubbliche previste dalla Costituzione: un po’ notaio, un po’
arbitro, un po’ capitano, acquistando una centralità, specie negli ultimi 25 anni, alla
quale i padri costituenti non avevano davvero pensato.
Infatti, le difficoltà incontrate dagli studiosi nella ricostruzione della posizione
costituzionale del Presidente della Repubblica risalgono proprio alla già sintetica
formulazione con cui la Costituzione stessa riassume le sue funzioni, qualificandolo,
appunto, Capo dello Stato e rappresentante dell’unità nazionale.
Stato e Nazione appaiono, quindi, come due polarità opposte, verso le quali il
Presidente sembra inesorabilmente attratto ma tra le quali non può fare a meno di
5
oscillare continuamente, nell’impossibilità di essere integralmente assorbito nell’una
e nell’altra.
Chiamato, contemporaneamente, ad immettersi nella sfera della statualità e in
quella della socialità, il Presidente della Repubblica italiana è apparso l’indecifrabile
protagonista di una vicenda inafferrabile.
Non è casuale, dunque, che la dottrina, abbandonata l’idea che le norme
costituzionali sul Presidente disegnino un “armonico circolo”
1
, oscillino tra posizioni
meno accentuative della funzione di rappresentanza dell’unità nazionale e posizioni
meno accentuative della qualificazione di Capo dello Stato, nell’apparente
impossibilità di giungere a conquistare un’invisibile “ concordia oppositorum”.
Tuttavia, più ancora che nelle parole della Costituzione, le difficoltà si
annidano soprattutto nella lettura che la dottrina ne ha proposto, specialmente in
riferimento alla formula della rappresentanza dell’unità nazionale; infatti è attorno a
questo concetto che si esplicano anche le diverse attribuzioni relative alla tipologia
degli atti presidenziali, entro un quadro sistematico che da decenni segna la teoria e la
pratica istituzionale.
Quindi, l’oggetto e lo scopo di questa tesi di laurea non è certo la pretesa di
fare ciò che a illustri studiosi è risultato arduo, ovvero sciogliere l’enigma del ruolo
presidenziale nella Repubblica italiana, bensì tentare di fornire gli elementi
fondamentali e caratterizzanti la figura del Capo dello Stato.
A tale scopo particolare attenzione sarà dedicata alla tipologia degli atti
presidenziali, previsti direttamente dalla Costituzione o da leggi ordinarie, nel
tentativo, spero il più esauriente possibile, di comprendere meglio l’incidenza e il
forte ruolo di garanzia giuridica e democratica del Presidente della Repubblica, unico
organo costituzionale monocratico, cioè non collegiale, costituito da un’unica
persona, dotato di poteri di controllo che non sono mai ultimativi.
1
Cfr. GUARINO, Il Presidente della Repubblica italiana, note preliminari, in “Rivista trimestrale di diritto
pubblico”, 1951, ora in “Dalla Costituzione all’Unione Europea”, Napoli, 1994.
6
Quest’ultima affermazione evidenzia come i Costituenti, ammaestrati dalle
esperienze istituzionali precedenti, sapessero bene che il rischio della tirannide si
annida, seguendo le ammonizioni degli antichi greci, in una non-qualità personale, e
cioè nella “ibris”, la tracotanza.
E’, inoltre, utile sottolineare anche l’indispensabile funzione di
rappresentazione dell’unità nazionale, negli ultimi tempi, grazie soprattutto al forte
impegno del Presidente Ciampi, tornata in primissimo piano; l’unità nazionale, in
quanto unità costituzionale, si è concretizzata nella Costituzione del 1948, che
preesiste all’azione del Presidente, il quale è proteso in una azione istituzionale di
approfondimento e di diffusione, nel corpo sociale, delle ragioni e delle radici
dell’unità.
In altre parole, si vuole sottolineare che il Presidente non è chiamato ad
istaurare un collegamento con l’opinione pubblica che gli permetta di sondare gli
“umori profondi” del Paese, ma egli deve trasmettere il senso dell’unità nazionale e
dell’appartenenza ad unica comunità.
Il Presidente della Repubblica, come è noto, non è assimilabile alla figura del
Capo dello Stato della tradizione monarchica, incarnazione e personificazione dello
Stato medesimo; egli, infatti, è Capo dello Stato solo in quanto i fili delle diverse
attività istituzionali debbono essere intrecciati in una trama coerente, in quanto,
dunque, debbono avere un capo.
Da questo punto di vista, al Presidente spetta il compito delicato di rimediare
alle possibili inerzie del circuito Governo-Parlamento, di assicurare che i rotismi
istituzionali funzionino, di sorvegliare che ogni organo politico esplichi appieno le
proprie potenzialità senza pregiudicarne altre, di garantire che la democrazia
pluralistica funzioni secondo la logica che le appartiene in modo inconfondibile.
Sulla base di ciò, quindi, il Presidente non deve restare confinato nei “palazzi
della politica”; se, infatti, in quei palazzi egli deve aggirarsi nell’esercizio delle sue
funzioni, il ruolo di rappresentante dell’unità nazionale lo spinge ad uscirne: non al
7
fine di ottenere dai cittadini un consenso personale (che non aggiungerebbe nulla alla
piena legittimazione che gli attribuisce la Costituzione), né per condurre per mano la
“gente” verso nuovi approdi costituzionali, ma per rinsaldare, nella mutevolezza e
temporaneità delle vicende politiche, il disegno costituzionale delle istituzioni.
Nel percorso di questo lavoro sarà indispensabile un approccio integrato ed
interdisciplinare, oltremodo necessario quando, come nel caso in esame, si studia
l’organizzazione giuridica del potere e l’oggetto è appunto l’istituzione che, per certi
versi, eccede il mondo giuridico e si colloca su una dimensione alta e nobile di
rappresentazione dello Stato-Nazione, con le nuove implicazione dovute
all’appartenenza anche ad una comunità più grande, transnazionale, ossia l’Unione
Europea.
Il piano di questa tesi è dunque questo: nel primo capitolo, si vedrà come è
stata posta, in chiave di evoluzione storico-istituzionale, la questione del ruolo del
Capo dello Stato a partire dalla Rivoluzione francese in poi, per comprendere quale
modello concettuale si andava affermando in Europa, grazie all’ausilio e
all’esposizione del pensiero di autorevoli giuristi e politologi, fino all’affermarsi della
tradizione costituzionale comune europea.
In questo quadro, si rileggerà la vicenda costituzionale italiana attraverso le
caratterizzazioni dello Statuto Albertino, presentato in chiave sia giuridica sia storica,
per giungere alla nascita della Costituzione repubblicana, illustrando l’ampio dibattito
svoltosi in Assemblea Costituente intorno al ruolo da assegnare al Capo dello Stato.
Quindi seguirà una presentazione generale del Presidente della Repubblica nel
disegno costituzionale del 1948, seguendo anche le indicazioni fornite dalla
legislazione ordinaria e dalla giurisprudenza successiva.
Durante questa dettagliata trattazione, a livello giuridico e agli indispensabili
riferimenti normativi, sarà dato ampio spazio alle vicende storiche, alla prassi, ossia,
al come, in concreto, nell’alternarsi degli episodi più significativi di storia
repubblicana, si siano attuate empiricamente le singole attribuzioni presidenziali
8
secondo l’interpretazione e l’agire che ogni singolo presidente ha fornito dell’alta
carica ricoperta.
Nel corso del secondo e del terzo capitolo, si tratterà la questione della
responsabilità presidenziale, in base agli istituti previsti dalla Costituzione
dell’immunità del Capo dello Stato.
In ultima, come conclusione il più possibile esauriente dell’elaborato,
seguirà la trattazione relativa al Lodo Alfano, concernente sostanzialmente la
sospensione del processo penale per le quattro più alte cariche dello Stato e alle
problematiche sorte intorno a questa discussa legge.
Un lavoro, pertanto, che desidera considerare la complessità delle attribuzioni
presidenziali.
La scelta di questo argomento mira a sottolineare come il ruolo di garante del
Presidente non sia un mero “ ornamento celebrativo e formale” ma, al contrario, il
necessario punto di riferimento di un sistema parlamentare che, al di là di ogni
divisione di parte, sappia alla fine riunirsi attorno ad una figura che riassuma tutti i
valori condivisi della Repubblica; capace di consigliare, in modo attento e
responsabile, le altre istituzioni ed anche di ammonirle, qualora queste eccedano nella
faziosità degli interessi, minacciando i principi dello Stato di diritto.
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CAPITOLO PRIMO
1. IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA NELLA COSTITUZIONE
1.1 EVOLUZIONE STORICA DEL CONCETTO DI “CAPO DELLO STATO”
Per il diritto romano < immunis> era colui che era esonerato dal compiere
determinati obblighi nei confronti dello Stato ( munera). Durante il medioevo, invece,
con tale termine si indicava sostanzialmente la sola sottrazione all’obbligo di
versamento dei tributi.
E’ il crollo dell’ancien régime e l’affermazione dei principi del
costituzionalismo liberale a mettere per la prima volta in profonda crisi il concetto
stesso di immunità, ormai non più legato all’appartenenza a determinate categorie
sociali e non più giustificabile alla luce del principio di eguaglianza.
2
Oggi con tale termine si suole fare riferimento a quelle particolari situazioni
in cui << le norme generali nelle quali sono contemplate sanzioni per determinati atti
o comportamenti, non trovano applicazione o subiscono dei contemperamenti nei
confronti di determinati soggetti, ma anche di determinati oggetti e luoghi>>.
3
2
Cfr. TOMMASO F. GIUPPONI , “ Le immunità della politica” , contributo alle studio delle prerogative
costituzionali, G. Giappichelli Editore – Torino, 2005, pag. 21
3
Cfr. SERGIO ANTONELLI, “ Le immunità del Presidente della Repubblica italiana”, Milano – Dott. A
Giuffrè Editore, pag. 5, che in questo senso sottolinea la peculiarietà delle c.d. immunità diplomatiche : ad esempio, vi
sono certi oggetti, come pacchi, valige od altri colli, indirizzati ai funzionari del Corpo diplomatico o da essi inviati,
che, in forza di norme di diritto internazionale, sono esenti dalle comuni ispezioni doganali.
Assai note sono, poi, le immunità di certi luoghi, quali i locali propri delle missioni diplomatiche o delle
ambasciate, le sedi delle assemblee parlamentari, ove è vietato l’accesso delle forze di polizia senza l’autorizzazione del
rispettivo Presidente o dei funzionari responsabili.
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Generalmente concetto più ampio, l’irresponsabilità può essere vista sotto due
aspetti < come irresponsabilità giuridica o come irresponsabilità politica > ma questo
argomento lo affronteremo meglio nel prosieguo della nostra analisi.
Del tutto differente, invece, il concetto di “ prerogativa”, esso infatti, << si
riferisce spesso alla situazione di corpi istituzionali di individui, che ricoprono uffici
o godono di status di natura costituzionale >>
4
oppure, da un altro punto di vista, << a
poteri o ad atti propri, particolari ed esclusivi di alcuni soggetti costituzionali >>
5
.
Dopo questo breve exursus, utile a comprendere meglio l’argomento che ci
accingiamo a trattare, possiamo concentrarci sulla figura giuridica del Capo dello
Stato.
Essa è storicamente recente, oltre che strettamente legata alle origini di una
istituzione statale che sia indipendente e suprema, ossia sovrana: quindi alle origini
dell’età moderna.
Agli inizi del XVI secolo, la questione che si pone consiste nel cercare una
soluzione definitiva al problema della dispersione dei centri decisionali, che aveva
caratterizzato in senso particolaristico l’epoca feudale.
Lo Stato moderno viene alla luce con l’accentramento del potere, con
l’esigenza, sempre più pressante, di controllare i grandi apparati burocratici e militari,
il tutto unito alla necessità di garantire il mantenimento di unità nella direzione
politica.
La migliore garanzia di questo nuovo modello politico risiede in una figura
titolare di poteri svincolati da qualunque limite, cioè sovrani. A tal fine, il monarca
assoluto, in quanto incarnazione visibile del potere, non può non essere Capo dello
Stato; il re si occupava di tutto: regolava l’amministrazione pubblica, e la vita
economica, intellettuale, religiosa del suo popolo.
4
Cfr. TOMMASO F. GIUPPONI , “ Le immunità della politica” , contributo alle studio delle prerogative
costituzionali, G. Giappichelli Editore – Torino, 2005, pag. 25
5
Cfr. op. cit., pag. 25
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Come lo Stato non ammetteva divisioni, così il re non condivideva il potere
con nessuno ed interpretava, lui solo, la ragione di Stato.
Il sovrano, non esercitava, però, un potere personale < il fatto è che la sua
persona era considerata tutt’uno con lo Stato >.
Alcuni re governarono mediante l’ausilio di propri ministri; ma proprio Luigi
XIV, dopo la morte del cardinale Mazarino nel 1661, applicò una forma di esercizio
personale e diretto del potere, dando vita alla cosiddetta rivoluzione monarchica.
La novità non consisteva tanto nel proclamare il fondamento divino del re,
quanto nel concepire Dio come la garanzia trascendente dell’elezione del re. La
persona regia era sacra, a partire dal momento in cui giurava di servire il bene dello
Stato, non il bene comune, come colui che solo a Dio deve rendere conto;
l’irresponsabilità era totale a tal punto da poter parlare di inviolabilità. Il re faceva la
legge, era l’unico a poter creare diritto, era al di sopra della proprietà e della libertà,
applicando la terminologia moderna, il sovrano assoluto, legibus absolutus,
assommava in sé i tre poteri legislativo, esecutivo, giudiziario.
Inevitabilmente, la posizione del Capo dello Stato esce rivisitata dagli eventi
epocali intervenuti nella seconda metà del XVIII secolo, le rivoluzioni americana del
1776 e francese del 1789. Con quest’ultima sarà sottratto al re la sua legittimazione
divina, trasformandolo da re di Francia in re dei francesi. Pur mantenendo la
sovranità e il ruolo dello Stato la Rivoluzione rese il re non più veramente sovrano,
poichè la sua legittimazione derivava dalla volontà della nazione. Con l’affermarsi
dello Stato di diritto, il fondamento del comando risiede in un ordine normativo non
trascendente; ogni organo politico deriva la sua legittimità dal principio di sovranità
popolare, sicchè qualunque potere, secondo un sistema di pesi e contrappesi, risponde
del suo operato ad altri poteri.
All’idea di un monarca assoluto, titolare esclusivo della sovranità, legittimato
direttamente da Dio e assolutamente irresponsabile e immune da ogni azione dei suoi
giudici, si sostituisce lentamente quella di un’assemblea elettiva partecipe
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dell’esercizio della sovranità dello Stato, legittimata in virtù dei principi della
rappresentanza politica e i cui membri, proprio perché espressione della volontà
popolare, devono essere tutelati dalle eventuali “ incursioni” di un potere giudiziario
ancora strettamente legato all’amministrazione regia.
6
L’Inghilterra aveva conosciuto questo passaggio, quando Guglielmo III
d’Orange, chiamato a intervenire dal parlamento inglese nella lotta contro la pretesa
di Giacomo II di restaurare il potere assoluto, dopo essere stato incoronato il 13
febbraio 1689, si impegnò con una dichiarazione dei diritti, “Bill of Rights”, a
riconoscere le prerogative del parlamento come la regolamentazione dei poteri del
sovrano, il controllo delle spese, la competenza sulle finanze statali e l’obbligatoria
convocazione periodica dell’assemblea. Nel 1701, poi, l’approvazione dell’”Act of
Settlement” riaffermò la responsabilità di ministri e giudici nei confronti del
parlamento e la competenza di quest’ultimo nello stabilire i criteri di successione al
trono.
Tornando alla situazione francese post-rivoluzionaria, si nota che ora la
nazione sovrana parla solo attraverso i propri rappresentanti: infatti, l’Assemblea si
affermava come l’organo legittimato ad esprimere la più alta volontà
dell’ordinamento.
Tra il 1792 e il 1814, dunque, in Francia avviene l’approdo alla monarchia
costituzionale che si caratterizza per la sottrazione al re della sua legittimazione
divina e per l’affermazione della volontà del Parlamento. Comincia, allora, il
conflitto politico intorno al ruolo e alla figura del Capo dello Stato e non mancano
tentativi di ritorno al passato: lo mostrano le vicende del secondo periodo della
Restaurazione, con la quale si inaugura la fase orleanista, offrendo il trono al Borbone
cadetto Luigi Filippo d’Orleans.
6
Cfr. C.J. FRIEDRICH, “ Governo costituzionale e democrazia”, Venezia, 1950, pag. 145 ss.
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