2
distinzione fra il simbolo e l'oggetto del simbolo poiché "il Mito sorge spiritualmente
al di sopra del mondo delle cose ma nelle figure e nelle immagini con le quali esso
sostituisce questo mondo, esso non vede che un'altra forma di materialità e di legame
con le cose" (Cassirer 1925).
Questa sovrapposizione sarebbe la causa profonda del potere dei simboli e
delle immagini: capire questi aspetti significa comprendere appieno il senso e la
direzione dell'attività politica.
Oggetto di questa tesi sarà la politica dell'immagine, cioè la produzione
consapevole di rappresentazioni orientate a fini politici da parte dei detentori del
potere.
A nostro avviso, infatti, la politica può essere correttamente definita come una
attività di comunicazione finalizzata all'esercizio o alla conquista di potere oppure, in
modo più sbrigativo e conciso, come dice Lasswell, "la politica è lo studio di chi
prende che cosa, quando e come" (Lasswell 1935, p.13).
Per questo prenderemo in considerazione tutti gli aspetti rappresentativi,
mitici, simbolici, rituali, che riassumeremo con la parola immagine, che, pur essendo
stati espulsi da tutte le discipline che hanno voluto assurgere al ruolo di scienze, sono
invece rimasti come tratto fondamentale e come risorsa essenziale dell'attività politica
e dell'esercizio del potere.
Anzi, essi sono stati addirittura potenziati dall'applicazione delle scoperte
tecnologiche e dall'utilizzo dei mezzi di comunicazione che via via si sono presentati
nel corso della storia. In pratica, il progresso scientifico e tecnologico, avvenuto
nell'ultimo secolo, anziché diminuire l'importanza di questo tipo di conoscenza l'ha
aumentata a dismisura, facendo passare in secondo piano tutti gli altri aspetti e
provocando, a volte, le più gravi tragedie.
Inoltre, dimostreremo come la politica dell'immagine sia un fatto attinente alla
struttura stessa dell'esercizio di potere e non un fatto accessorio o occasionale: il
potere comunica ed è potere in quanto comunica una certa immagine di sé.
3
In tutte le epoche e in tutti i sistemi politici il potere, e i leader che lo hanno
incarnato, hanno sempre tenuto in grandissima considerazione la propria immagine e
l'hanno coltivata consapevolmente con procedure e metodi opportuni, nella
convinzione che una immagine adeguata avrebbe apportato un contributo positivo e
determinante al raggiungimento di precisi obiettivi politici prefissati.
Pur essendo convinti che non tutta l'attività politica possa essere ridotta a
politica dell'immagine riteniamo che l'immagine, di cui studieremo storia e struttura,
abbia svolto in passato e continuerà a svolgere in futuro una funzione assolutamente
imprescindibile.
Proprio per questo riteniamo importante assumere un punto di vista, un angolo
prospettico particolare, senza la pretesa di dire tutto e sotto tutti i profili possibili: il
punto di vista da cui guarderemo l'intera questione sarà quello del potere.
Non un potere astratto, diffuso e per questo quasi indefinibile, ma un potere
attivo, consapevole, organizzato o addirittura cinico, spregiudicato ai limiti, e a volte
oltre, della liceità morale, storicamente identificabile nei sovrani, nei dittatori, nei
partiti, nei leader politici di tutti i tempi. Un potere, quindi, che prende l'iniziativa
quando si tratta di difendere i propri interessi e che opera seguendo una propria logica
indipendente nella quale non vi è posto, se non accidentalmente e occasionalmente,
per gli interessi (o i diritti) di chi potere non ha.
Il potere dunque è un valore autonomo e un fine autonomo, è sia un mezzo per
procurarsi altri beni sia un fine da ricercare di per sé: potremmo dire,
weberianamente, che il potere è razionale sia rispetto al valore sia rispetto al fine.
E' certo comunque che qualunque argomentazione sul potere non può prescindere da
una riflessione sulla libertà che forse, paradossalmente, è la vera recondita questione
sulla quale ci stiamo interrogando. Un discorso sul potere dell'immagine non può non
essere anche un discorso sulla libertà dal potere delle immagini: ma anche qui, come
nel caso del potere, una libertà consapevole, autentica e identificabile nella ragione di
ogni singolo individuo.
4
I
L'immagine e il potere
1. Per una definizione di immagine.
Immagine è un termine che, per origine, storia e struttura comprende una
pluralità di significati. Risulta quindi fuorviante e riduttivo verificare l'immagine in
uno solo dei suoi significati dal momento che essa non si identifica con nessuno di
essi in particolare. Grazie a questa pluralità essa consente all'individuo di "cogliere la
realtà ultima delle cose proprio perché questa realtà si manifesta in modo
contraddittorio ed è quindi impossibile esprimerla tramite concetti" (Eliade 1952,
p.18)
1
.
L'applicazione della parola immagine come termine di sintesi permette di
comprendere e di riassumere la complessa trama semantica di questa pluralità di
significati. Oltre a ciò non si sottovaluti l'utilità pratica, espositiva e quindi
convenzionale di questo impiego: il fatto di poter contenere più significati in un unico
termine certamente semplifica e rende più agile e scorrevole l'argomentazione.
Tuttavia, per eliminare ogni dubbio che il termine immagine genera, appare
opportuno compilare, senza pretese di esaustività, una rassegna di questo pluralismo
semantico che giustifichi la molteplicità, l'equivocità, la suggestione e, in ultima
analisi, il "potere" dell'immagine.
Possiamo riconoscere, in linea di massima, almeno quattro aree semantiche
cui attiene il termine immagine: referenziale, socio-psicologica, ideologica,
simbolico-mitica.
1
Ibidem: "E' quindi vera l'immagine in quanto tale, in quanto fascio di significati, mentre non lo è uno solo dei suoi
significati oppure uno solo dei suoi numerosi piani di riferimento. Tradurre un'immagine in una terminologia concreta,
riducendola ad uno soltanto dei suoi piani di riferimento, è peggio che mutilarla, significa annientarla, annullarla in
quanto strumento di conoscenza."
5
La prima di queste aree di significato di immagine, che potremmo definire
classica (Cfr. Reale 1980, p.135)
2
, è quella più referenziale, immediata, iconica:
l'immagine è la copia (mìmesis) della realtà, la raffigurazione-riproduzione
dell'oggetto e in questo rapporto di riferimento si esaurisce completamente.
E' questo il luogo del realismo dell'immagine, del suo valore tecnologico e
artistico; in questo senso le tecniche espressive artistiche (cinema, fotografia,
televisione, ecc.) non fanno altro che sostituire la realtà rendendola più facilmente
fruibile da parte del pubblico, rendendo inutile o sostituendo il contatto diretto con
l'oggetto. Questa prima accezione del termine fa riferimento ad una concezione
eteronoma dell'immagine: essa indica e mostra un oggetto da cui non può
assolutamente prescindere, da cui dipende totalmente come un'ombra.
In senso socio-psicologico il concetto di immagine si collega con la percezione
e la rappresentazione della realtà.
L'immagine è il risultato di una sintesi culturale che, pur facendo riferimento
ad aspetti oggettivi esterni al soggetto, li trascende associando ad essi esperienze,
impressioni, aspirazioni presenti nella realtà sociale. Con continui interscambi fra il
singolo individuo e la società l'attenzione si sposta dall'oggetto rappresentato al
soggetto che rappresenta, alla sua cultura, ai suoi valori, alle sue credenze. In questa
circostanza, dunque, "l'immagine va intesa come la rappresentazione mentale -
affettiva, cognitiva e valutativa - che l'individuo si forma dell'ente stesso, il modo
soggettivo, ma socialmente influenzato in cui egli percepisce quest'ultimo e
conseguentemente vi si relaziona" (Tinacci Mannelli - Cheli 1986, p.60). Connessi
con questo tema sono i concetti di "rappresentazione sociale della realtà" e di
"immaginario collettivo".
Il terzo ambito semantico del termine immagine è quello che attiene
all'ideologia ovvero "l'impiego di idee politiche a scopo di giustificazione, che queste
2
Ibidem: "1) Nella fisica atomistica, le immagini (eidola) sono i simulacri, cioè gli effluvi materiali che si staccano
dalle cose per impressionare i nostri sensi. 2) Nella ontologia platonica le immagini sono le copie, ossia le cose
sensibili che sono imitazioni dei modelli o paradigmi ideali. 3) Nella metafisica di Filone... le Idee sono immagini del
Logos e modelli rispetto al mondo sensibile. (...) Questa dottrina è recuperata e sviluppata anche nella metafisica
neoplatonica, in particolare in quella di Plotino."
6
idee siano vere o false. In questo senso, l'ideologia non è altro che il sofisma della
giustificazione di cui parla Aristotele, ma sul piano delle rappresentazioni collettive"
(Veyne 1976, p.592)
3
.
Scopo dell'ideologia, che consiste in una intelaiatura di credenze, di valori e di
idee, ma anche in una "falsa coscienza" che occulta e mistifica la vera natura dei
rapporti sociali e politici, è spiegare la realtà politica e guidare i comportamenti
individuali e collettivi. Per questo l'ideologia è al di qua del vero e del falso dal
momento che il suo unico scopo è quello di giustificare una situazione presente:
questo gruppo di significati risulterà particolarmente utile in seguito nell'individuare
il luogo della connessione fra immagine e politica.
La quarta area di significato di immagine, quella legata alla nozione di
simbolo, è la più complessa e articolata ma anche la più feconda.
Con il concetto di simbolo, infatti, si arrivano a comprendere tutti quegli
aspetti meta-iconici che consentono di comprendere la funzione dell'immagine
all'interno di una società e di una cultura. Simboli e miti, infatti, sono elementi che
tendono a permanere pressoché immutati per lunghi periodi di tempo e proprio per
questo risultano particolarmente efficaci per cogliere le linee guida di un fenomeno
così presente nella storia come la politica della comunicazione o, meglio,
dell'immagine.
Dopo questa introduzione esplicativa addentriamoci nel cuore del problema
tenendo presenti i tre aspetti della questione che qui sono emersi e che sarà opportuno
ricordare: essi sono il pluralismo semantico, l'uso sintetico e la convenzionalità del
termine immagine.
3
Leggiamo alcuni passaggi di Aristotele, Etica Nicomachea, 7, 5 (1146 A 25B 5): "Inoltre il ragionamento sofistico,
quello menzognero crea un'altra difficoltà: infatti per voler mostrare dei paradossi, per sembrare accorti quando vi
riescono, il sillogismo che ne risulta crea imbarazzo, la razionalità dell'ascoltatore rimane infatti come legata".(...)
"Alcuni di coloro che opinano non sono affatto incerti, bensì pensano di sapere esattamente; se quindi solo per essere
convinti debolmente quelli che opinano agiranno contro il loro giudizio più che non quelli dotati di scienza, non vi sarà
alcuna differenza tra la scienza e l'opinione; alcuni infatti credono in ciò di cui hanno opinione non meno di quanto altri
credano in ciò di cui hanno scienza."
7
2. Il potere.
Anche il potere, secondo elemento rilevante della nostra ricerca, non è un
oggetto che si possa definire in modo statico e univoco.
La definizione classica di potere, a cui faremo riferimento, è quella di Max
Weber secondo cui "il potere designa qualsiasi possibilità di far valere entro una
relazione sociale, anche di fronte ad un'opposizione, la propria volontà, quale che sia
la base di questa possibilità" (Weber 1922, p.51) ovvero consiste nella "la possibilità
di trovare obbedienza, presso certe persone, ad un comando che abbia un certo
contenuto" (Weber 1922, p.52).
Da questa definizione emergono almeno tre elementi, tre condizioni
fondamentali.
Innanzitutto ciò che appare con maggiore evidenza in questa concezione è il
fatto che il potere è il risultato di un sistema di relazioni di interdipendenza, di
rapporto fra individui: è una formulazione individualistica.
La definizione di Weber considera il potere come una proprietà degli individui
piuttosto che un fatto strutturale che si manifesta nella società come sostiene, ad
esempio, Parsons e attribuisce "potere agli individui solo nella misura in cui essi
intrattengono specifiche relazioni sociali con altri individui: il potere dell'individuo è
in effetti una proprietà della relazione sociale alla quale partecipa" (Barnes 1988,
p.26). Assumiamo questa definizione perché essa si adatta ai nostri obiettivi di ricerca
e alla nostra concezione del potere, della politica, dell'uomo.
In secondo luogo si può constatare che il potere, per sussistere, necessita di
risorse, di strumenti. E' necessario, cioè, che il detentore del potere disponga anche di
adeguate risorse per esercitarlo: un potere senza risorse, puramente potenziale,
sarebbe contraddittorio e, di fatto, cesserebbe di esistere. Il potere sussiste solo se può
operare concretamente. Perché vi sia potere, cioè, è indispensabile la presenza di
qualcuno che obbedisce.
8
In terzo luogo si nota che un atto spontaneo non può essere considerato un atto
di potere. Sono, cioè, necessarie, come presupposto imprescindibile, la capacità e la
volontà di impiegare queste risorse: come tale, dunque, il potere si configura come un
atto intenzionale.
Per questo, definire l'esercizio di potere come una attività di comunicazione e,
quindi, come un prodotto sociale, non appare per nulla azzardato.
Ogni sistema politico, in questo modo, può essere visto come un sistema di
comunicazioni e di correlazioni fra le diverse componenti della società, e il potere
come una modalità di queste relazioni. Nel momento in cui queste relazioni vengono
meno viene meno anche il rapporto di potere. La stessa posizione del leader, ad
esempio, è il prodotto di un rapporto sociale dal momento che essa esiste ed è
riconosciuta da altre persone e cessa di vivere quando nessuno crede più ad essa.
Proprio per questo risulta molto efficace la definizione di potere che ci
fornisce Harold Lasswell che sottintende una concezione del potere processuale e
funzionale. Secondo lo studioso americano infatti "il potere è trasmissione-e-
ricezione; o, dando alle parole una forma più dinamica, trasmettere-e-ricevere. E'
trasmettere impulsi e ricevere impulsi in una spirale continua di interazione"
(Lasswell 1948, p.402)
4
.
Ogni elemento della società è visto da Lasswell più per la funzione e il ruolo
che ricopre che per i caratteri che gli vengono attribuiti convenzionalmente. In questo
senso il potere non si identifica necessariamente con il "governo" poiché ogni
componente sociale svolge, o può svolgere, una funzione politica ed ottenere effetti
su tutta la società: un grosso gruppo finanziario, una organizzazione economica, una
istituzione religiosa possono svolgere un ruolo di potere e quindi fare politica.
Questa concezione processuale del potere, in ogni caso, non ci deve far perdere
di vista l'importanza della istituzioni politiche e delle questioni strutturali senza le
quali le situazioni di stabilità politica non sarebbero del tutto comprensibili.
4
Non dissimile è l'affermazione di Luhmann contenuta in Potere e complessità sociale (p.15): "Il potere è una
comunicazione regolata da un codice".
9
Nella nostra ricerca, comunque, rivolgeremo lo sguardo prevalentemente ai
concetti di élite di potere, o di leadership, ritenendoli più attinenti alla nostra
concezione della politica e alla successiva argomentazione sulla politica
dell'immagine fortemente individualizzata. Per questo facciamo nostra la concezione
lasswelliana che combina una teoria dialettica del potere con una teoria delle élites
secondo cui "in una società è sempre e soltanto una minoranza quella che detiene il
potere, nelle sue varie forme, di contro a una maggioranza che ne è priva"
(Bobbio
1990, p.350).
Infatti, pur essendo d'accordo con la concezione del potere, proposta poco fa,
come definizione di un rapporto sociale di interdipendenza, siamo tuttavia anche
convinti che questa relazione non sia uguale nei due sensi. Diversa, infatti, è la
distribuzione delle risorse all'interno della società: l'élite detiene la maggior parte
delle risorse politiche, economiche o simboliche anche se certamente subisce influssi
e condizionamenti da parte della non-élite.
E quindi: una cosa è dire che questi influssi sono presenti nella società e che di
essi bisogna tenere conto, altra cosa è dire che sono uguali ma contrari a quelli
esercitati dall'élite che utilizza ogni risorsa economica, coercitiva o simbolica per
mantenere ed aumentare la propria supremazia sulla non-élite. La relazione di potere
non può mai essere perfettamente simmetrica: mentre un membro dell'élite può
realmente influire sulla situazione politica ed economica questo non è possibile per
un membro della non-élite
5
.
Cerchiamo ora, intrecciando i due gruppi di definizioni di immagine e di
potere, di vedere come dalla loro combinazione scaturisca quella che abbiamo già
definito politica dell'immagine.
5
A conferma di questo fatto riportiamo le parole di Emile Durkheim (1912, p.384) sulla ineguale distribuzione della
risorsa potere: "Essa (l'idea di forza) implica infatti l'idea del potere, che a sua volta non è disgiunta dalle nozioni di
ascendente, di supremazia, di dominio, e correlativamente da quelle di dipendenza e subordinazione; e le relazioni che
tutte queste idee esprimono sono eminentemente sociali. E' la società, che ha classificato gli esseri in superiori e
inferiori, in padroni che comandano e in sudditi che obbediscono; è essa che ha conferito ai primi questa singolare
proprietà che rende il comando efficace e che costituisce il potere".
10
3. Immagine e potere: auctor e auctoritas.
Tutti gli ambiti di significato del termine immagine menzionati
precedentemente sono importanti ai fini della nostra ricerca. Il valore politico
dell'immagine, infatti, consiste nel rapporto fra la rappresentazione del potere e la
percezione e il giudizio dell'opinione pubblica.
Molto spesso si parla di questo rapporto come se fosse una scoperta recente,
propria delle società di massa, mentre recente è solo l'uso del termine immagine. Il
potere politico, infatti, ha sempre considerato della massima importanza la cura del
giudizio dei cittadini o dei sudditi. Pur cambiando le modalità della rappresentazione
politica, la logica che presiede ad essa resta sostanzialmente la stessa così come
afferma, non senza ironia, Hanna Arendt: "la politica è fatta, per una parte dalla
fabbricazione di una certa immagine e, per l'altra, dall'arte di far credere nella realtà
di questa immagine" (Arendt 1972, p.15).
Si possono fare moltissimi esempi storici (e ne faremo) ma tutti gli uomini di
potere di ogni tempo, dal re taumaturgo al grande dittatore, dal leader di partito al
demagogo, sono preoccupati del giudizio pubblico e, fatte le dovute distinzioni, della
propria immagine.
Di singolare interesse, a questo proposito, risultano le affermazioni del filologo
francese Emile Benveniste che dimostrano che l'etimo di auctoritas contiene in sé
una strettissima correlazione con l'atto creativo dell'auctor.
Dopo aver constatato il fatto che "il senso primo di augeo (accrescere,
aumentare) si ritrova con l'intermediario di auctor in auctoritas" (Benveniste 1969,
p.396), Benveniste rileva che il significato originario di "augeo indica non il fatto di
accrescere ciò che esiste, ma l'atto di produrre dal proprio seno; atto creatore che fa
sorgere qualche cosa da un terreno fertile e che è privilegio degli dei o delle grandi
forze naturali, non degli uomini" (Ibidem).
Aggiungendo a questo il fatto che anche i termini augur e augustus sono
connessi con auctor e auctoritas si manifesta tutta la portata, non solo filologica, ma
11
anche simbolica, rituale, culturale e religiosa di questa correlazione. Infatti: "ogni
parola pronunciata con autorità determina un cambiamento nel mondo, crea qualche
cosa; questa qualità misteriosa è quello che augeo esprime, il potere che fa nascere le
piante, che dà esistenza a una legge" (Ibidem).
Chi detiene questa auctoritas è quindi un essere speciale, dotato di qualità
soprannaturali che lo differenziano irriducibilmente da tutti gli altri uomini.
In questo modo il potere politico (auctoritas) si configura come atto di
produzione creativa da parte di un soggetto (auctor):
Viene qualificato con auctor, in tutti i campi, colui che ‘promuove’, che prende un'iniziativa, che è il primo a
produrre una qualche attività, colui che fonda, che garantisce, insomma l'‘autore’. La nozione di auctor si diversifica in
molte accezioni particolari, ma si collega chiaramente al senso primitivo di augeo ‘far nascere, promuovere’. Da questo,
l'astratto auctoritas ritrova il suo pieno valore: è l'atto della produzione, o la qualità che riveste l'alto magistrato, o la
validità di una testimonianza o il potere di iniziativa, ecc., ogni volta legato a una delle funzioni semantiche di auctor.
(Ibidem)
Data la suggestione della scoperta di Benveniste continueremo da qui in avanti
ad adoperare i termini auctor e auctoritas per designare rispettivamente l'ente che
presiede alla produzione di immagini e il potere da esse derivato. Dimostreremo,
perciò, che esiste un nesso, non solo etimologico, ma anche storico e politico fra l'atto
creativo del rappresentare l'immagine del potere politico e l'atto politico in senso
stretto, ovvero che l'immagine rappresenta per il potere una importante, determinante
risorsa attraverso cui perseguire i propri fini.
Con questa affermazione, in ogni caso, non si vuole sostenere che ogni attività
politica è attività simbolica: dicendo questo, "si incorre infatti in un appiattimento
teorico della categoria simbolica e in una visione unilaterale e irrealistica del
processo politico" (Fedel 1991, p.18).
Proprio per questo motivo accetteremo l'indicazione di Harold Lasswell, che
abbiamo già citato precedentemente, che porta a concepire i simboli come una
12
particolare categoria di risorse di potere accanto alle altre due principali, che nella
fattispecie sono la coercizione (l'uso della forza) e le risorse economiche
6
.
Per meglio spiegare che cosa si debba intendere con l'affermazione che
l'immagine, cioè la rappresentazione del potere politico, è una risorsa e uno strumento
di potere risulta particolarmente illuminante la testimonianza del filosofo Michel
Foucault:
Quel che fa si che il potere regga, che lo si accetti, ebbene, è semplicemente che non pesa solo come una
potenza che dice no, ma che nei fatti attraversa i corpi, produce delle cose, induce del piacere, forma del sapere, produce
discorsi; bisogna considerarlo come una rete produttiva che passa attraverso tutto il corpo sociale, molto più che come
un'istanza negativa che avrebbe per funzione di reprimere. (Foucault 1977, p.13).
Secondo Foucault, quindi, una concezione esclusivamente o prevalentemente
repressiva del potere appare riduttiva. Il potere resiste e persegue più efficacemente i
propri obiettivi producendo un sapere, il cui contenuto primario è il potere stesso,
finalizzato al controllo sociale e politico piuttosto che ricorrendo costantemente alla
coercizione. I simboli e le immagini hanno la capacità di agire sull'animo umano e di
condizionarlo in profondità in maniera, però, sostanzialmente diversa da quella
ottenuta attraverso il ricorso alla violenza.
Immagini e informazioni dal vertice del potere discendono verso la società e,
viceversa, dalla società risalgono verso il vertice in un continuo flusso di sapere
politicamente orientato venendo a istituire quella rete di relazioni interdipendenti che
costituisce il sostrato dei rapporti di potere (Cfr. § 2).
Per l'élite di potere, dunque, è più conveniente rivolgersi a forme di
condizionamento più sottili che non la coercizione, come la manipolazione dei
simboli e delle immagini, in modo tale da procurarsi l'adesione della non-élite così
"che l'agire di colui che obbedisce si svolga essenzialmente come se egli, per suo
6
A questo proposito è utile ricordare che la tradizione filosofica e politica su questo argomento è singolarmente
univoca. Basterà ricordare le tre classi che compongono lo stato di Platone o alla suddivisione sociale del feudalesimo:
orare, pugnare, agricolari-laborare; oppure alla tripartizione di Hobbes (guadagno, sicurezza, reputazione). Analoga è la
tripartizione di Kant (interesse, potere, onore). Nel pensiero contemporaneo la tripartizione production, coercion,
cognition, è stata utilizzata da Gellner (l'aratro, la spada e il libro).
13
stesso volere, avesse assunto il contenuto del comando per massima del proprio
atteggiamento"
(Weber 1922, p.209).
Anche il regime più autoritario ha bisogno della legittimazione e del consenso
della maggioranza dei cittadini, ha la necessità di condizionare i cittadini (o i sudditi)
"dal di dentro" non potendo costantemente ricorrere alla violenza della repressione.
Per concludere, quasi come in un appendice, presentiamo una testimonianza di
questa necessità, di questa produzione di "sapere" politicamente orientato.
Essa ci viene data in maniera paradossale e drammatica, eppure suggestiva e
densa di sviluppi, dal romanzo di George Orwell 1984, ambientato nello stato più
autoritario e repressivo mai immaginato. Pur non essendo quello orwelliano un
discorso scientifico, il romanzo getterà luce sulla trama di rapporti potere-
rappresentazione e sul potere derivante dal controllo delle rappresentazioni e delle
immagini della realtà. Proviamo a leggerne due brevi stralci:
Fine della Neolingua non era soltanto quello di fornire un mezzo di espressione per la concezione del mondo e
per le abitudini mentali proprie dei seguaci del Socing, ma soprattutto quello di rendere impossibile ogni altra forma di
pensiero. Era sottinteso come, una volta che la Neolingua fosse stata definitivamente adottata, e che l'Archeolingua, per
contro, dimenticata, un pensiero eretico sarebbe stato letteralmente impossibile, per quanto almeno il pensiero dipende
dalle parole con cui è suscettibile di essere espresso.
Il giorno che l'Archeolingua fosse stata sostituita una volta per tutte dalla Neolingua, si sarebbe infranto
l'ultimo legame con il passato.
7
Che cosa stanno realmente facendo i solerti funzionari del Ministero della
Verità? Essi stanno riscrivendo il vocabolario adattandolo alle premesse ideologiche
del Grande Fratello e con ciò stanno impostando un nuovo modo di pensare, il
doublethink, il bipensiero, la capacità di pronunciare due affermazioni contraddittorie
e di condividerle entrambe sull'esempio dei tre slogan del Partito scritti sulla facciata
del Ministero della Verità: la guerra è pace, la libertà è schiavitù, l'ignoranza è forza.
7
da G. Orwell, 1984. Il Socing è il Partito unico che governa Oceania, uno dei tre megastati in cui si divide il mondo.
14
Le parole sgradite al potere vengono soppresse le altre vengono violentate fino ad
assumere significati del tutto nuovi e inoffensivi per il regime.
Entro il 2050 il newspeak, la neolingua, sarà l'unica lingua permessa che,
avendo completamente sostituito l'oldspeak, l'archeolingua, renderà impossibile per
gli abitanti di Oceania pronunciare anche la più semplice affermazione di dissenso.
Tutto viene riscritto, le parole rifanno la Storia, mentre si avvicina inesorabilmente il
momento di non ritorno: da allora in poi calerà sul passato il buio dell'oblio e della
menzogna.
Il linguaggio è lo strumento principale attraverso il quale è possibile
rappresentare la realtà a se stessi e agli altri. Se questo strumento è condizionato con
la repressione o, come nel caso dei seguaci del Grande Fratello, con un controllo
intrinseco delle coscienze, ne consegue che qualunque alternativa al sistema
concettuale, rappresentativo, culturale e politico del regime è, non solo
completamente impossibile, ma addirittura impensabile anche in via del tutto astratta.
Nessun individuo sottoposto a questo sistema potrà mai dirsi realmente libero e non
riuscirà nemmeno a nominare le catene che lo imprigionano né a pronunciare la più
elementare protesta contro il potere.
Il romanzo di Orwell mostra, in modo contemporaneamente tragico e
paradossale, i pericoli del controllo totalitario delle immagini della realtà ed infatti
l'ipotesi più pessimistica sull'influenza dell'immagine sulla società è chiamata
"orwelliana". Proviamo però a chiederci da dove provenga questa angoscia che anche
il lettore più superficiale prova di fronte alla lettura di Orwell e perché sia così
pericolosa la prospettiva di un controllo politico delle rappresentazioni e che cosa
comporti.
Dal momento che la politica avviene nella storia sarà innanzitutto in sede storica che
verificheremo queste affermazioni sul decisivo e inquietante rapporto tra immagine e
potere.