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trattati sull’illuminazione a gas mai apparsi, “A practical treatise
on gas light” del chimico inglese Fedrico Accum): le venature
patriottiche di quel programma di cui l’illuminazione a gas fu
parte integrante sono dunque da considerarsi un aspetto
fondamentale della vicenda (se non, per certi versi, addirittura il
più importante), e proprio lo scontro di mentalità tra lo spirito di
progresso di quegli uomini e la visione decisamente più
conservatrice delle autorità asburgiche dominò gran parte della
vicenda nelle sue fasi iniziali.
A questo proposito, benchè lo scontro di mentalità non debba
essere del tutto appiattito ad elemento di scarso rilievo, va
comunque ridimensionato un ruolo esclusivamente di
opposizione da parte degli organi di governo austriaci:
sicuramente occhiuti, sempre attenti a non concedere con
superficialità patenti e privilegi a chiunque si presentasse con
nuove proposte ed invenzioni, con un iter burocratico spesso
snervante e dai tempi incredibilmente dilatati (come dimostrano
le carte contenute nell’Archivio di Stato di Milano, potevano
passare addirittura anni prima che una richiesta venisse presa in
esame), agli uffici vanno comunque riconosciuti un buon senso
ed una prudenza non necessariamente sempre prevenuti, quanto
piuttosto intenti a valutare realisticamente le possibilità di
riuscita di questo o quel progetto, le eventuali conseguenze o
pericoli per la sicurezza pubblica, aspetti che nel caso
dell’illuminazione a gas, nei primi anni della Restaurazione
invenzione ancora da perfezionare del tutto, dovettero essere
valutati con estrema attenzione.
L’illuminazione a gas venne a rappresentare dunque non solo
una possibilità di trasformazione urbana per la città ottocentesca
5
di grande impatto estetico, che andava a soddisfare esigenze di
decoro, di lusso e di eleganza sentite dai ceti dominanti della
società (una delle applicazioni maggiormente caldeggiate dai
primi promotori della luce a gas era quella riguardante i teatri, e
non a caso il primo luogo pubblico illuminato a gas a Milano fu
l’elegante Galleria De’Cristoforis), nonchè una reale
opportunità di introdurre un servizio di straordinaria utilità
anche economica (in special modo, avrebbe dato una grande
comodità alle famiglie e avrebbe permesso alle fabbriche
lombarde di avere una maggiore produttività legata alle ore di
luce in più sfruttabili per il lavoro), ma soprattutto venne
guardata come simbolo di riscatto morale ed intellettuale, come
“risveglio” patriottico, come progresso tecnico che, secondo
alcuni, poteva dare il via ad un processo di indipendenza
politica.
Certamente, se in quella prima fase non potè essere d’aiuto
all’affermazione della nuova illuminazione a gas a Milano il
fatto che l’invenzione venisse promossa da uomini guardati con
attenzione dalle autorità di Stato austriache e che furono del
tutto estromessi dalla vita politica e culturale del paese mediante
processi ed incarcerazioni in seguito alla scoperta delle
cospirazioni del 1821 (ma non va dimenticato che gli organi
competenti del governo austriaco non diedero mai alcuna
patente di privativa nemmeno ad un uomo come Giovanni
Aldini, studioso appartenente all’ “ufficiale” I.R.Istituto di
scienze lettere ed arti: le sue ricerche e le sue proposte per
l’introduzione dell’illuminazione a gas al teatro alla Scala o ai
fari nei porti trovarono presso le autorità solamente
riconoscimenti di consolazione, sebbene questi possano essere
6
interpretati in parte come segnale di incoraggiamento verso la
ricerca ed il progresso tecnico in Lombardia), l’atteggiamento di
attenta considerazione di ogni particolare, probabilmente
maggiormente dominato da una certa cavillosità fino all’inizio
degli anni trenta, divenne ancora più evidente e giustificato
quando a Milano cominciarono a venire a galla i primi progetti
di società per azioni, anonime o in accomandita, miranti ad
ottenere l’appalto per l’illuminazione di tutta la città.
Se anche in questo caso è necessario mettere in evidenza una
certa inadeguatezza legislativa da parte degli Asburgo, incapaci
di seguire i ritmi del progresso civile di una regione per niente
integrata all’interno della realtà multinazionale e
multieconomica dell’Impero asburgico (la genericità del Codice
civile e del Codice di commercio riguardo la regolamentazione
delle società e delle imprese non potè certo giovare
all’approvazione di esse in tempi rapidi, e costrinse da ultimo le
autorità di governo a definire meglio tutti gli aspetti concernenti
le società con leggi specifiche), cionondimeno questo rivela
come le autorità tenessero nel giusto conto questioni di vitale
importanza.
La consistenza del fondo sociale di un’impresa,
l’organizzazione del suo capitale, i suoi reali mezzi per
affrontare la gestione dell’illuminazione di una città intera e la
connessa tutela delle diverse controparti (amministrazione
municipale, altre imprese coinvolte nelle vicenda, cittadini
stessi non solo in qualità di utenti) erano tutti aspetti che non
poterono essere trascurati.
Peculiare è come gli anni trenta dell’Ottocento riuscirono a
proporre a Milano davvero un gran fiorire di progetti per
7
imprese del gas (l’Archivio Storico della Camera di Commercio
di Milano si è rivelato, in questo senso, una fonte insostituibile),
che ancora una volta videro attivamente coinvolti esponenti di
straordinaria importanza all’interno del processo risorgimentale
italiano: su tutti Carlo Cattaneo, il cui concreto interesse per
l’attivazione dell’illuminazione a gas e per la nascita di altre
imprese industriali uscì dalle colonne del suo periodico “Il
Politecnico” per definirsi, come dimostrano i numerosi
documenti sull’illuminazione a gas conservati all’interno dell’
“Archivio Cattaneo” presso il Museo del Risorgimento di
Milano, in una partecipazione attiva all’organizzazione delle
società e al loro capitale (Cattaneo fu azionista nonchè
procuratore della società del gas dell’ingegnere lionese
Guillard, che nel 1843 ottenne l’appalto per l’illuminazione di
Milano ed ebbe una parte di assoluto rilievo anche nella società
per il gas proposta nalle seconda metà degli anni trenta da
G.B.Brambilla, di cui fu socio e per conto del quale si incaricò
anche di redigere proposte e petizioni agli organi di governo),
nei frequenti rapporti epistolari con i vari esponenti delle
imprese o con personaggi interessati a progetti per il gas
illuminante o ancora nei diversi tentativi fatti per appianare i
contrasti che sorsero tra le due imprese ad un certo punto
concorrenti all’ottenimento dell’appalto per l’illuminazione di
Milano da parte dell’amministrazione comunale.
Ma gli stessi anni furono importanti anche per il fatto che, in
questa vicenda dell’illuminazione a gas, possiamo ritrovare quel
passaggio di testimone dell’iniziativa per il rinnovamento civile
della Lombardia dal patriziato liberale nelle mani di una
borghesia di tecnici e di imprenditori dotati di grande spirito di
8
iniziativa, ceto a Milano particolarmente rinforzato da elementi
di provenienza straniera che seppero portare avanti con
insistenza e competenza, al di là della loro buona riuscita,
progetti di un certo spessore.
In questa borghesia industriosa troviamo non solo quella
consistente presenza dell’elemento straniero che segue passo
passo la lenta introduzione dell’illuminazione a gas in Milano
(pensiamo all’ingegnere inglese Brey, che nel 1832, per primo,
riuscì ad illuminare con una patente di privilegio la Galleria
De’Cristoforis, o al lionese Achille Guillard, primo titolare di
un’impresa del gas riconosciuta dalla municipalità milanese nel
1843, o ancora ai francesi Gian Battista Roux, che al Guillard
subentrò quasi subito, e Gian Giacomo Guillet, a capo della
società che a partire dalla metà degli anni cinquanta del secolo
entrò in concorrenza con l’impresa del Roux, per finire con il
gruppo multinazionale della società Union de gas, che dal 1859
e fino al 1910 gestì il servizio dell’illuminazione di tutta la città
di Milano), ma anche la presenza di pubblicisti, negozianti-
banchieri, uomini d’affari ed imprenditori che in quelle società
videro una forma privilegiata di mobilizzazione dei loro capitali
e che furono disposti ad investire somme ingenti non solo nel
nome del profitto ma anche con lo “scopo di creare l’abitudine
dell’associazione spontanea”: bastino i nomi del De Welz e
quello di Giobatta Brambilla per darne un’idea.
La spinta a favore della creazione di quelle società da parte
della stampa periodica liberale, il ricorso alla quale si è rivelato
fonte preziosissima non solo per le informazioni desunte, ma
anche per la capacità di quei giornali di restituirci il clima
dell’epoca, con i suoi entusiasmi, i dubbi, le diffidenze attorno
9
al nuovo servizio dell’illuminazione a gas, fu un altro elemento
niente affatto trascurabile all’interno dello svolgersi della
questione.
Il sostegno di periodici economici e di argomento tecnico-
scientifico quali “L’Eco della borsa”, il “Foglio commerciale e
d’industria”, “Il giornale dell’ingegnere” e persino di giornali di
conoscenze pratiche (l’ “Ape delle cognizioni utili”) o di moda
(il “Corriere delle dame”) permise infatti alla questione di avere
ampia risonanza presso l’opinione pubblica, si fece sempre più
forte a partire dalla metà degli anni trenta, andando a colmare
una lacuna creatasi nei decenni precedenti quando la stampa
liberale venne decapitata del suo punto di forza (“Il
Conciliatore”) dopo gli eventi del 1821 e quando la filo-
asburgica “Biblioteca Italiana” era il solo giornale ad occuparsi
della vicenda con sporadici e sfavorevoli interventi; esso
contribuì ad eliminare pregiudizi e diffidenze sull’illuminazione
a gas, a diffondere notizie di miglioramenti provenienti da realtà
straniere o italiane, ad indicare vie d’uscita o soluzioni, ad
aggiornare addetti ai lavori e pubblico meno specializzato sui
progressi in corso, a far emergere scandali o situazioni poco
chiare (fu il caso del 1853, quando fu “Il Crepuscolo” a dare
risonanza alla questione dei prezzi gonfiati dall’Impresa del
gas), convogliando insomma l’attenzione dell’opinione pubblica
su questa realtà, e spesso fungendo da stimolo non solamente
nei confronti della borghesia lombarda, ma anche e soprattutto
verso gli ambienti economici più prudenti.
Se dunque anche sotto il profilo delle modificazioni del tessuto
sociale milanese dell’epoca possiamo ritrovare
nell’illuminazione a gas un elemento di ulteriore conferma, è
10
ancora la stampa periodica a mostrarci invece un lato più oscuro
e sicuramente meno edificante, quello economico.
Accanto alla vitalità dell’economia lombarda, sopravvivevano
segni di pesante disagio, che ebbero notevole incidenza sul
ritardo con cui a Milano si potè giungere alla definitiva
introduzione dell’illuminazione a gas: la mancanza di materia
prima, il carbon fossile, costrinse per molti anni la Lombardia a
costosi approvvigionamenti dall’estero, e a nulla, o poco più,
valsero i reiterati tentativi da parte dei giornali lombardi e
milanesi di incitare allo sfruttamento di giacimenti di sostanze
del sottosuolo regionale, quali torba, lignite e altri combustibili
fossili.
L’argomento, o meglio, il problema fu anche al centro di una
serie abbastanza consistente di opuscoli e scritti a stampa, e
trovò risonanza persino al Congresso degli Scienziati di Milano
del 1844, ad ulteriore dimostrazione di quanta consapevolezza
vi fosse da parte degli ambienti economici e scientifici attorno
ad esso.
Se dunque, sino alla tanto attesa concessione dell’appalto
dell’illuminazione a gas, avvenuta con la stipulazione del
contratto tra Achille Guillard e il municipio di Milano il 23
giugno 1843 (anche se la data dell’atto notarile di Tommaso
Grossi con cui il contratto venne definitivamente ratificato è del
24 gennaio 1844), la vicenda si snodò con fatica e fu ostacolata
da numerose difficoltà di diverso ordine (politico, economico,
legislativo) che fecero di Milano solo la quarta città italiana
illuminata a gas dopo Torino, Venezia e Napoli, gli anni che da
quel momento condussero alla fine della dominazione asburgica
in Lombardia (1859) furono, se possibile, ancora più
11
travagliati:il servizio dell’illuminazione a gas della città non
potè essere mai del tutto soddisfacente e fu proprio la sua
gestione scorretta e disordinata a determinare un progressivo ed
insanabile deterioramento dei rapporti tra città (e cittadini) da
una parte ed Impresa dall’altra.
Le vicende dell’illuminazione a gas di Milano rifletterono
soprattutto problemi di inadeguatezza dell’Impresa ad
approntare in modo veloce e efficiente un servizio che, a metà
degli anni quaranta dell’Ottocento non poteva più essere
considerato solo un abbellimento per il centro cittadino;
soprattutto l’aspetto funzionale cominciò a farsi preponderante.
Nonostante un avvio incoraggiante, nel quale durante il 1845
tutte le zone centrali comprese entro la cerchia dei Navigli, così
come definito dal contratto originario, vennero debitamente
illuminate, l’Impresa del gas di Milano diede subito segnali
significativi di un certo disagio finanziario e gestionale e che
naturalmente non poterono che destare preoccupazione ed
allarme.
Un cambio di gestione alla testa della Società tra il Guillard e
Gian Battista Roux, già a cavallo tra il 1845 e il 1846, motivato
dall’ingegnere lionese con diplomatici quanto generici
“problemi di salute”, rappresentò un piccolo segnale di
difficoltà, confermato poi dagli eventi successivi.
Certo ebbero un peso di tutto rilievo gli eventi di ordine sociale,
politico e bellico a cavallo tra il 1847 e 1848, che bloccarono in
modo decisivo ogni estensione del servizio dell’illuminazione a
gas in Milano, ma soprattutto l’Impresa stessa del Roux non
seppe mai portarsi fuori dagli impacci finanziari, rendendosi
responsabile di gravissime irregolarità ai danni degli utenti.
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L’andamento piuttosto scorretto della Società venne favorito
anche dall’atteggiamento dell’amministrazione comunale, cui
vanno riconosciute grandi responsabilità: evitando di mettere
alle strette l’Impresa, non riuscì mai a pretendere da essa uno
svolgimento regolare del servizio e il nuovo contratto del 1851
mostrò questa scarsa incisività, facendo sì che l’Impresa stessa
pretendesse ulteriori aumenti sul prezzo del gas (da molti
considerato già elevato a Milano) in cambio della necessaria
estensione dell’illuminazione alle altre località.
Problemi di rilevazione dei consumi effettivi e prezzi del gas
ingiustamente alterati furono le due questioni che, durante gli
anni cinquanta dell’Ottocento, misero l’Impresa del Roux in una
situazione a dir poco imbarazzante nei confronti dei cittadini e
della municipalità, ma a loro volta stavano a testimoniare una
situazione finanziaria per niente florida: la società del gas non
ebbe mai la liquidità necessaria per fare fronte agli impegni,
anche se, come dimostrerà il valore notevolmente cresciuto
delle azioni con la successiva vendita del pacchetto all’ “Union
de gas”, essa si dimostrò un investimento lucroso per tutti gli
azionisti.
Altre difficoltà vennero per la Società dall’entrata in campo
della concorrenza, quando nel 1855 cominciò ad agire anche la
“Società pel rintracciamento e scavo dei combustibili fossili” di
Gian Giacomo Guillet.
Questa società, benchè estendesse il suo raggio d’azione
prevalentemente nelle zone periferiche della città, costituì
probabilmente uno stimolo per la vecchia società del Roux, e
anche Milano ne potè cogliere i benefici, con la presenza di due
società concorrenti che si occupavano della sua illuminazione.
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Il quadro dell’illuminazione a gas di Milano rimase comunque
confuso e sempre al di sotto delle aspettative della municipalità:
nel 1859 la Società del Roux cedette la totalità delle sue azioni
al gruppo dell’ “Union de gas”, importante società parigina che
gestiva l’appalto dell’illuminazione a gas di diverse città
italiane (Modena, Parma, Alessandria), che venne riconosciuta
dal Municipio di Milano solo dopo qualche anno dall’effettivo
passaggio di proprietà e che gestirà il servizio in regime di
totale monopolio fino al 1910.
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I PRIMI PASSI VERSO L’INTRODUZIONE
DELL’ILLUMINAZIONE A GAS A MILANO
L’illuminazione di Milano dal Settecento alla Restaurazione: il Cesareo
Dispaccio di Giuseppe II (1784) e l’età napoleonica
Al ritorno degli Asburgo in Lombardia, l’illuminazione civica di Milano
era ancora fornita da lampade ad olio. Questo tipo di illuminazione era
stato introdotto a Milano nel 1785 come servizio pubblico fornito dallo
Stato asburgico all’interno di un più ampio sistema di interventi miranti
all’abbellimento e alla sistemazione urbanistico-architettonica della
capitale lombarda.
Durante tutta l’età teresiana le vie di Milano avevano continuato ad
essere illuminate solo dalla luna e “dai lumicini che sui tabernacoli
disseminati in buon numero per la città accendeva la devozione dei
popolani”
1
. Le grida dell’Imperatrice Maria Teresa prescrivevano l’uso
di un lume per chi dovesse uscire di casa la sera, minacciando gravi pene
per tutti i trasgressori; i nobili, come aveva illustrato anche il Parini in
alcuni versi del “Giorno”, erano soliti fare precedere le loro carrozze da
speciali valletti, chiamati “courers”, che correvano agitando delle
fiaccole: “In aureo cocchio col fragor di calde precipitose rote e il
calpestio di volanti corsier lunge agitasti il queto aere notturno e le
tenebre con fiaccole superbe intorno apristi”
2
.
Fu Giuseppe II, l’imperatore autore di tante decise e drastiche riforme
che segnarono la sua azione di riordino delle strutture della Monarchia, a
dotare finalmente Milano di un servizio di illuminazione gestito e
1
Ettore Verga, “A lumi spenti”, in “Città di Milano.Bollettino Municipale mensile”, a.V, 1918, 31
gennaio, p.1.La situazione era analoga a Napoli, dove erano stati collocati lumi votivi dinanzi alle
immagini sacre affidandone la cura agli stessi abitanti.Pure la Firenze granducale non era certo bene
illuminata, come scrive Giuseppe Conti: “L’illuminazione pubblica era quello che poteva essere di più
buio.I lampioni ad olio col lume a riverbero messi al tempo di Pietro Leopoldo parvero da principio
una esagerazione di progresso, perchè fino allora per le strade non c’erano che le fioche lampade dei
tabernacoli”, in G.Conti, “Firenze vecchia”, Firenze, 1899, p.387.
2
Giuseppe Parini, “Il Mattino”, Milano, 1763, vv.68-72.
15
finanziato dal governo (in buona parte con i proventi che derivavano
dalle entrate del gioco del lotto) e dall’amministrazione comunale: in
seguito alla sua visita in città all’inizio del 1784, l’Imperatore asburgico
emanò, il 21 aprile 1784, un cesareo dispaccio con il quale si prescriveva
l’illuminazione notturna delle contrade di Milano
3
.
Vista la solerzia che contraddistingueva tutti gli interventi
dell’imperatore, non si tardò a passare all’azione, e già nel 1785 un certo
Bartolomeo Ghezzi venne nominato ispettore generale
dell’illuminazione
4
, mentre si inoltrarono pratiche con il Regno di
Napoli per l’importazione di 150.000 libbre d’olio, che non poterono
però andare a buon fine in quanto quel dazio d’uscita era “alienato a
privati”. Nel 1787 il servizio aveva cominciato ad estendersi, e a Milano
funzionavano già 490 lanterne, anche se solo una piccola parte di queste
rimaneva accesa nelle notti di luna piena
5
.
Infine, con il Capitolato d’appalto del 3 ottobre 1787, della durata di
nove anni e sotto la sorveglianza del conte Carlo Cicogna (assessore
delegato dell’illuminazione), si arrivò alla costituzione di un vero e
proprio servizio pubblico di illuminazione. Pensato e strutturato in modo
completo, questo servizio prevedeva un organico del personale addetto
così composto: un direttore generale, uno scrittore computista, sei capi
porta che sorvegliavano lo svolgimento del servizio all’interno della loro
giurisdizione, cinquanta accenditori effettivi cui andavano aggiunti altri
diciassette uomini, e sei magazzinieri
6
.
Il governo asburgico cercò di regolamentare il servizio di illuminazione
notturna con la massima precisione e chiarezza. L’avviso a stampa del
3
Per la politica di riforme in Lombardia durante l’età teresiano-giuseppina cfr.Carlo Capra, “Il
Settecento”, in: D.Sella-C.Capra, “Il Ducato di Milano dal 1535 al 1796”, in “Storia d’Italia”, Torino,
1984, vol.XI.In particolare vedi cap.III, IV, V, pp.329-617.
4
Allo stesso Bartolomeo Ghezzi verrà concesso, nel 1796, di illuminare il teatro alla Canobbiana di
Milano (Archivio Storico Civico, Milano - da ora ASCM-, “Località Milanesi”, cart. 95, “Teatro alla
Canobbiana”, 1796).
5
Cfr.E.Verga, “op.cit”, p.1.
16
24 gennaio 1789 è un palese esempio di quanto il servizio fosse tenuto in
considerazione dalle autorità e di severità nei confronti di ogni
trasgressione alle norme previste. Notevole è l’intento non solo di
rendere note ai cittadini le istruzioni base sul buon funzionamento
dell’illuminazione notturna (che doveva rispettare scrupolosamente gli
orari di inizio e di termine fissati nelle tabelle impostate sulle fasi lunari),
ma anche la volontà di far sì che essi fossero parte attiva del suo esatto
adempimento: quindi, nel caso in cui il combustibile di qualche lanterna
si fosse estinto, sarebbe stato “in arbitrio di qualunque persona in ogni
ora della notte l’avvisare al Quartiere degli illuminatori della Porta, acciò
(fosse) di nuovo accesa o riadattata a dar un sufficiente lume”
7
.
Tutti i cittadini avevano poi la facoltà di segnalare qualsiasi lucerna non
funzionante sporgendo una regolare denuncia presso le autorità
competenti e facendo identificare la fiamma che si era estinta alla
presenza di illuminatori e di due testimoni, necessari per poter inoltrare
un rapporto alla Congregazione municipale, percependo l’esatta metà
della penale prevista per l’Appaltatore in questi casi (10 soldi, mentre
l’altra metà sarebbe stata destinata al “pubblico beneficio”).
La funzionalità del servizio era poi assicurata da una serie di istruzioni
8
,
anch’esse pubblicate a stampa, contenenti minuziose e dettagliatissime
disposizioni per tutti gli addetti dell’illuminazione. Al Direttore generale
erano riservati compiti di vigilanza su tutti gli aspetti inerenti l’
“economia e ordine”, dal rispetto degli orari, alla pulizia delle lanterne e
dei loro vetri, al controllo delle quantità d’olio, sino all’attenzione nei
confronti della buona condotta e della decenza personale degli
accenditori; ai capi porta, referenti degli accenditori, venivano riservati i
controlli all’interno della loro area di competenza, mentre allo scrittore
6
“Istruzioni per il direttore generale dell’illuminazione”, 1787, in “Raccolta di grida...in materia di
polizia”, in Biblioteca Nazionale Braidense (da ora:BNB), AO II 23/1180-1184, p.n.n..
7
“Ibid”.
8
“Ibid”.
17
era affidata la parte amministrativa, mediante la registrazione su bollette
e appositi libri contabili di consumi e avanzi d’olio, salari, multe, spese
di sartoria.
Se le norme prescrivevano l’arresto per chiunque si rendesse
responsabile di atti vandalici, particolarmente severe erano inoltre le
istruzioni per gli effettivi funzionari del servizio, gli accenditori, sui
quali gravavano responsabilità non indifferenti: oltre che essere
sottoposti ad una ferrea disciplina comportamentale (divieto di vendere
vino, commestibili, di “far giochi” o intrattenersi con chiunque pena il
licenziamento, necessità di una tenuta di abbigliamento impeccabile,
impossibilità di uscire, per qualsiasi motivo, dalla porta loro assegnata),
sui loro stessi salari ricadevano eventuali inadempienze nel corretto
svolgimento del servizio, dal momento che essi rispondevano in prima
persona delle cassette a mano loro affidate contenenti olio, dell’usura
anzitempo della loro divisa, dell’estinzione delle lampade.
Vaste erano inoltre le competenze per ognuno di loro: prelievo dei
recipienti d’olio, accensione e spegnimento lucerne, manutenzione,
pulizia, riadattamento dei riverberi delle lucerne nella giusta direzione.
Gli accenditori di lucerne ad olio di creazione giuseppina furono dunque
il primo esempio milanese di funzionari, regolarmente istituiti dallo
Stato e stipendiati dal Comune, addetti all’illuminazione civica del
capoluogo lombardo: vestiti in uniforme con un numero progressivo
distintivo sul berretto e dotati di scale, provvedevano quotidianamente,
come abbiamo visto, al suono della campana di Piazza Mercanti,
all’accensione di tutte le 1158 lampade della città. Come
previdentemente disposto dai regolamenti del Comune, inoltre, essi
davano il via alle operazioni circa mezz’ora prima nelle giornate di
pioggia, neve o vento, eventi meteorologici che avrebbero certamente
reso ben più difficoltose le accensioni.