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Riassunto
Questo lavoro si propone di indagare l’attuale situazione italiana in materia di
armamento della Polizia Municipale, cercando di mettere in luce gli aspetti più
problematici riguardanti la valutazione dell’idoneità psicologica all’uso delle armi da
fuoco, sia da un punto di vista teorico e legislativo, sia da una prospettiva più pratica.
A questo scopo, dopo aver analizzato in modo sistematico tutte le Leggi ed i
Regolamenti vigenti in Italia ed aver esaminato e contestualizzato la realtà della Polizia
Municipale, si è proceduto a descrivere un’esperienza sul campo a cui ho avuto la
possibilità di partecipare: si tratta di un progetto pilota di valutazione di 81 agenti
appartenenti a due comuni dell’hinterland milanese. Dopo aver somministrato a tutti gli
operatori municipali partecipanti l’inventario di personalità MMPI-2, si è proceduto a
realizzare dei colloqui psicologici restitutivi e chiarificatori per tutti quei soggetti che
dai risultati del test hanno mostrato la presenza di segni di sofferenza psicologica che
possono rendere il soggetto particolarmente vulnerabile allo stress.
Quello che ne emerge è un quadro caratterizzato da un’assenza di particolari e
preoccupanti disagi psichici. Piuttosto si riscontra nella maggior parte delle persone
classificate come “vulnerabili” (circa il 26%) una condizione stress-correlata a livelli
non critici ma che meritano comunque un approfondimento chiarificatore, in virtù
proprio della delicata posizione professionale assunta dagli agenti.
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Abstract
The aim of this work is to explore the current italian situation about the armament of the
Municipal Police, trying to clarify the more problematic aspects about the valutation of
the psychological suitability about the use of the firearms, from a theoretical and
legislative point of view, and from a perspective more practical.
For this purpose, after to have analyzed all the Laws and Regulations existing in Italy
and to have esamine the reality of the Municipal Police, it is proceeded to
describe an experience to which I have had the possibility to partecipate: it is a
beginning project of valutation of 81 agents belonging to two municipality of the
hinterland of the city of Milan.
After to have administered to all the agents participants the personality’s inventory
MMPI-2, it is proceeded to realize the psychological restitutive interviews for all the
subjects that have show signs of psychological suffering from the results of the test.
What it emerges is a representation characterized from an absence of specific and
worrying psychical uneasiness. Rather, it is found in the majority of the people
classified like “vulnerable” (about 26%) a condition stress-correlated to not critical
levels, but that they deserve however a resuming, because of the delicate professional
position assumed from the agents.
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Introduzione
In Italia, un numero elevato di persone (4 milioni e 800 mila secondo stime recenti)
detiene un’arma o la utilizza per scopi ricreativi, sportivi o professionali, oltre
naturalmente al personale delle Forze Armate, dei corpi di pubblica sicurezza, della
Polizia Locale e degli istituti di vigilanza privati, per un totale stimato di più di 10
milioni di armi da fuoco in circolazione.
Gravi episodi di violenza compiuti da soggetti giudicati in possesso di sufficiente salute
psicofisica e, quindi, in possesso di una regolare autorizzazione per la detenzione o il
porto d’armi sono sottoposti ormai quasi quotidianamente all’attenzione dell’opinione
pubblica riproponendo continuamente il problema della reale efficacia delle procedure e
dei criteri di valutazione dell’idoneità soprattutto psicologica al rilascio di questi
permessi.
Tale valutazione, in Italia, è regolamentata in ambito civile da normative specifiche
(D.M. del 28 aprile 1998) che prevedono il rilascio di un certificato anamnestico da
parte del proprio medico di base e un successivo certificato di idoneità psicofisica
rilasciato da un ufficiale sanitario della A.S.L., un ufficiale medico militare o da un
medico della Polizia di Stato. Nessuno psicologo clinico o psichiatra, per legge, è
coinvolto nella valutazione di routine.
A differenza di quello che accade per gli altri corpi di polizia, è importante specificare
che i requisiti psicofisici esaminati in questo processo di valutazione (ambito civile)
sono gli stessi che un candidato ad entrare in Polizia Municipale deve avere per poter
accedere al bando di concorso e, di conseguenza, per avere un’arma in dotazione (tra
l’altro senza licenza).
È proprio per questo motivo che ho deciso, in questo lavoro, di focalizzarmi sul mondo
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della Polizia Municipale, cercando di far emergere in modo critico i punti più
problematici dell’argomento.
All’interno del primo capitolo mi sono soffermata su un’analisi approfondita dei due
concetti alla base di questo argomento: in un primo momento, ho quindi effettuato
un’analisi sul concetto di idoneità, partendo dall’uso che ne viene fatto all’interno
dell’ambito psicologico, per poi soffermarmi sul vero e proprio concetto di idoneità
lavorativa utilizzato in ambito medico-legale e della Medicina del Lavoro.
Successivamente, mi sono focalizzata sul secondo concetto fondamentale per questa
tesi, ovvero dare una visione globale del mondo delle armi.
Nel secondo capitolo ho cercato di conoscere più approfonditamente il mondo della
Polizia Municipale, partendo dalla sua storia, passando per una rassegna critica delle
leggi e normative che regolamentano la loro organizzazione (statali, regionali e
comunali) per poi analizzare, sempre da un punto di vista giurisprudenziale, il problema
dell’uso legittimo delle armi proprio da parte dei pubblici ufficiali ed il relativo dibattito
sugli altri strumenti in dotazione (armi o non armi?). È stato interessante anche
analizzare il modo in cui le armi vengono utilizzate dalla polizia municipale (o meglio, i
corpi che corrispondono alla nostra polizia municipale) all’estero: ho quindi
approfondito tre città e i loro tre diversi modi di apportarsi alle armi, che possono essere
visti come tre visioni disposte lungo un continuum. Ad una estremità c’è Londra e la
sua politica di quasi inibizione alle armi; all’opposto c’è New York completamente
liberale in fatto di armi e nel mezzo Parigi con una situazione del tutto simile ed
equivalente a quella italiana.
Con il terzo capitolo ho affrontato tutti gli aspetti psicologici relativi all’argomento:
quindi ho esaminato, nello specifico, il processo alla base della certificazione
all’idoneità psicofisica alle armi previsto dalla legge, per poi soffermarmi sulla Polizia
Municipale e le modalità di accesso al corpo. Ho fatto emergere anche le differenze con
altri corpi di polizia che, nell’immaginario collettivo, più si avvicinano agli agenti
municipali, ovvero la Polizia di Stato ed i Carabinieri. Ho, infine, affrontato il problema
dello stress rapportato a questo tipo di professione, evidenziando tutti i possibili fattori
di rischio e le eventuali conseguenze.
Nell’ultimo capitolo ho riportato un’esperienza pilota di valutazione dell’idoneità alle
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armi affrontata in due comuni dell’hinterland milanese (81 agenti totali) a cui ho avuto
la possibilità di partecipare. Si tratta di un progetto pilota che ha come principali
obiettivi psicologici quello di verificare, in un primo tempo, la presenza/assenza di
un’eventuale sintomatologia psichica attraverso la rilevazione del livello attuale di
tensione emotiva percepita di ogni persona valutata: questo obiettivo si è raggiunto
mediante la compilazione dell’inventario di personalità MMPI-2. In secondo luogo,
qualora il livello di malessere percepito eccedesse i limiti di normalità, si è proseguito
ad approfondire gli aspetti riguardanti la tolleranza di ciascuno rispetto ai fattori di
stress attraverso un colloquio di approfondimento volto ad evidenziare le motivazioni e
le sensazioni sottostanti alla condizione di malessere emersa.
Quello che si è voluto realizzare è stato perciò un primo passo verso una più generale
valutazione dell’idoneità alla mansione e, nello specifico, dell’idoneità psicologica
all’uso delle armi da fuoco; questa terza fase è stata affrontata e conclusa, sulla base dei
risultati ottenuti, in un successivo momento a discrezione del Medico Competente in
Medicina del Lavoro.
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Capitolo 1
Idoneità e armi
1. Il concetto di idoneità
Il termine “idoneità” deriva dal latino tardo idoněus, “idoneo” che denota colui che
possiede le qualità necessarie per svolgere una certa attività: è una categoria
esistenziale, è una categoria dell’essere. Nonostante la sua apparente semplicità di
significato (l’essere adatto/capace rispetto a qualcosa), in realtà questo termine
nasconde una profonda complessità dovuta principalmente al suo carattere di
multidisciplinarietà e alle diverse e molteplici sfaccettature che ne conseguono: è,
infatti, un concetto utilizzato nel lavoro, nello sport, in psicologia, in ambito abitativo,
nella religione. In ognuno di questi ambiti, il concetto di idoneità, nonostante mantenga
inalterato il suo significato di fondo, si arricchisce di contenuti in grado di conferirgli un
più alto grado di specificità e diversi requisiti con cui può essere soddisfatto.
1.1 L’idoneità in psicologia
All’interno della sfera psicologica, il concetto di idoneità, proprio per le sue molteplici
sfaccettature, è utilizzato in svariati contesti: spesso però la sua valutazione è affidata
non a psicologi o psichiatri, bensì a medici non specialisti in salute mentale che si
trovano a dover formulare dei giudizi di idoneità psicofisica senza averne le competenze
(Clerici, Veneroni e Invernizzi, 2006) , proprio come accade molto spesso in materia di
armi (vedi cap.3 par.1).
Uno dei settori psicologici in cui questo concetto ha avuto un ampio utilizzo è la
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psicologia giuridica. In questo campo, infatti, i professionisti (psicologi, psichiatri,
neuropsichiatri infantili) che operano come Consulenti Tecnici di Ufficio (CTU) nei
tribunali, vengono spesso chiamati a valutare l’idoneità psicologica degli assistiti
principalmente in due diverse aree di indagine.
La prima area è quella che riguarda la valutazione delle competenze genitoriali, per
esempio, nelle cause di affidamento e di adozione della prole minore soprattutto in caso
di separazione o divorzio. In questo caso, si parla di “valutazione dell’idoneità alla
genitorialità” che, caratterizzandosi come una complessa attività di diagnosi, s i è
sviluppata nel tempo all’interno di un’area di ricerca multidisciplinare: sono stati quindi
valorizzati i contributi della psicologia clinica e dello sviluppo, della neuropsichiatria
infantile, della psicologia della famiglia, della psicologia sociale e giuridica e della
psichiatria forense (Nicolini, 2009). Secondo Marc H. Bornstein (1991), responsabile
del laboratorio di Psicologia del National Institute for Child Health and Human
Development di New York, la “capacità genitoriale” corrisponde ad un concetto molto
complesso, non riducibile alle qualità personali del singolo genitore, ma comprendente
anche un’adeguata competenza relazionale e sociale: l’idoneità genitoriale viene quindi
definita dai bisogni e dalle necessità dei figli in base ai quali il genitore attiverà le
proprie qualità personali, tali da garantirne lo sviluppo psichico, affettivo, sociale e
fisico.
La seconda area di indagine, invece, riguarda la valutazione dell’idoneità a testimoniare,
non solo da parte degli adulti, ma soprattutto dei minori, essendo questo un concetto
diverso e più ampio rispetto al concetto di capacità di intendere e di volere: per capire
meglio di cosa si tratta, è necessario fare un piccolo passo indietro. Ai sensi dell'art. 196
comma 1 del Codice di Procedura Penale (Capacità di Testimoniare), “ogni persona ha
la capacità di testimoniare”, intesa come idoneità fisica del soggetto alla testimonianza:
in questo caso, quindi, essere idonei significa possedere le adeguate competenze
strumentali (senso-motorie) e le sufficienti conoscenze linguistiche e comunicative
necessarie per il tipo di testimonianza richiesta (ad esempio, una persona cieca non è
considerata idonea a fornire una testimonianza di tipo oculare). In questo caso, quindi,
per idoneità si intende, non solo il presupposto della libera e cosciente capacità di
determinazione del soggetto, ma anche e soprattutto la riflessione critica e la capacità di
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valutazione riguardo il contenuto delle domande al fine di dare risposte coerenti, la
capacità mnemonica tale da poter ricordare determinati fatti specifici, la piena
consapevolezza dell'impegno che si assume con la testimonianza di riferire con verità e
completezza i fatti conosciuti. Elemento che gioca un ruolo fondamentale in questo
contesto è l’attenzione e la capacità del giudice di valutare la credibilità e l’attendibilità
delle dichiarazioni: a questo scopo, può rivelarsi fondamentale la collaborazione ed il
sostegno fornito dal versante psicologico. Gli strumenti di indagine psicologica, infatti,
sono in grado di verificare sotto il profilo intellettivo e affettivo, la concreta e reale
attitudine del soggetto in questione a testimoniare, la credibilità e la sua capacità a
recepire le informazioni (Certosino, 2009).
Da un punto di vista psicologico più generale, quindi, per idoneità si può intendere la
capacità di riconoscere e gestire determinati fattori psichici legati alla specificità della
disciplina in questione: in questo modo, una valutazione di idoneità psicologica
andrebbe a verificare la presenza dei requisiti psicologici (emotivi, intellettivi, affettivi)
essenziali per intraprendere una precisa attività o funzione.
1.2 L’idoneità lavorativa
Il concetto di idoneità, nel linguaggio aziendale, in quello medico generale e in quello
medico-legale, è un concetto denso di storia e di implicazioni. L’intera materia della
“idoneità al lavoro” non ha cominciato a manifestarsi dopo aver ricevuto una
codificazione formale all’interno degli ordinamenti legislativi nazionali: la sua nascita,
se così si può definire, si deve far risalire, infatti, già agli inizi dello sviluppo industriale
avvenuto in occidente dalla fine del XVIII secolo (Carnevale, Baldasseroni, 2000).
In epoca di prima industrializzazione, dove c’era più disponibilità di terreni, di acqua e
di altre fonti di energia, incominciarono a nascere i primi opifici e le prime fabbriche:
non sempre questi luoghi si trovavano in prossimità di città o complessi abitativi già
esistenti e, tenuto conto delle limitazioni di quel periodo rispetto alla mobilità e che il
numero di lavoratori impiegati in queste fabbriche era particolarmente elevato, fu
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necessario creare da zero dei veri e propri insediamenti residenziali. Ecco che allora,
intorno ad ogni stabilimento industriale, furono create case per i lavoratori, scuole,
chiese e, soprattutto, strutture di assistenza sanitaria e sociale sia pubbliche che private.
Per quanto riguarda gli stabilimenti più grandi, invece, divenne più conveniente
attrezzare al proprio interno degli ambulatori medici e dei veri e propri servizi sanitari
aziendali: tra i servizi che essi garantivano era compresa l’assistenza sanitaria di base, il
pronto soccorso, le visite mediche legate alla selezione pre-assuntiva del personale, la
sorveglianza sanitaria e la verifica di compatibilità tra la mansione lavorativa e lo stato
fisico e clinico dei lavoratori.
È evidente che soprattutto le ultime tre funzioni (di quelle appena elencate)
comportavano una stretta relazione tra l’interesse del lavoratore e quello dell’azienda: la
situazione professionale in cui andava ad operare, in questo modo, il medico di fabbrica
era una posizione nuova e pressoché difficile in quanto, per la prima volta, si trovava in
prima linea ad eseguire accertamenti e a dare giudizio conclusivo riguardo quella che
poi si definirà valutazione di idoneità al lavoro (Ferrannini, 1928).
In anni più recenti, il concetto di idoneità è stato studiato e sviluppato dal professor
Cesare Gerin (1991), Maestro della Medicina Legale che, in quella che oggi è definita
una classica impostazione dottrinaria, ha analizzato la nozione di idoneità affiancandola
ai concetti di validità, capacità ed abilità. In una prima fase, l’autore si è concentrato
sullo studio e sull’assegnazione dei significati, specificando che per validità si deve
intendere «l’efficienza psicosomatica allo svolgimento di qualsiasi attività»; per
capacità, la «propensione a svolgere una determinata attività»; per abilità, la presenza di
«speciali, particolari disposizioni attitudinali del soggetto». Il significato del termine
idoneità, qualifica una condizione per così dire intermedia tra la validità e la capacità.
Il secondo passaggio di Gerin, nella sua teoria, è stata la distinzione e la suddivisione di
questi concetti in funzione del diverso grado di «qualificazione» e di «specificità» che
ciascuno di essi esprime, ordinandoli all’interno di una prospettiva gerarchica e
mettendoli in rapporto con l’attività lavorativa: in questo modo è riuscito a creare una
sorta di scala ideale delle qualità.