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stava circondando, immagini che i miei occhi non avevano mai visto.
Dovevo indagare le fonti della storia, i documenti, conoscere quelle
persone, affinché mi consentissero di risalire alle radici del conflitto.
Ecco la necessità di studiare in profondità la cultura arabo-palestinese;
le ricerche negli istituti arabi e nelle università di Gerusalemme.
Questo lavoro nasce dal desiderio di comprendere le vicende di
un popolo ancora oggi senza nazionalità e senza patria. Per
approfondire la conoscenza e tentare di spiegare come la coscienza
nazionale emerga in assenza di uno Stato, quindi di un territorio. E’
uno strumento per cercare di comprendere le reazioni di questo popolo
all’invasione del Movimento sionista, per cercare di capire le lotte
intestine per pochi centimetriquadrati di terra e i possibili
collegamenti culturali che hanno dato vita all’esplosione del
terrorismo internazionale.
In ultima analisi, vogliamo ricordare che la storia dell’uomo,
come ogni storia, ha più di un inizio e non necessariamente una fine.
Gli ultimi eventi lo stanno dimostrando. Non dobbiamo mai
dimenticare che c’è un altro mondo: il mondo che abbiamo sempre
voluto tenere fuori dal nostro. Quel mondo che non ha avuto niente di
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buono, né ha mai potuto aspettarsi da noi una sola buona notizia per
sé. Il mondo dei disperati e dei senza futuro, a cui non abbiamo saputo
dare nulla del nostro: rispetto, dignità, giustizia, benessere.
Questo lavoro è dedicato a loro.
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CAPITOLO I
ORIGINI STORICO-SOCIALI DI UN CONFLITTO
1.1 Vita sociale e culturale nel tardo periodo dell’Impero
Ottomano in Palestina
Nel VII secolo gli Arabi diedero vita a un nuovo mondo nella
cui orbita vennero attratti altri popoli. Nei secoli XIX e XX, essi
furono a loro volta attratti in un nuovo mondo sorto in Europa
occidentale. Questo certamente sarebbe un modo troppo semplicistico
di descrivere un processo assai complesso. Cerchiamo quindi di
esaminare questa trasformazione analizzando, passo dopo passo, i
punti più salienti della storia del popolo arabo.
Nel periodo preso in esame i vecchi regni del mondo
musulmano e le società da essi governate erano in decadenza, mentre
la forza dell’Europa era in crescita, e ciò rese possibile un incremento
di beni, di idee e di potenza che portò all’imposizione dell’autorità
europea, seguita da una rinascita, in forme nuove, della forze e della
vitalità delle società arabe.
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Con la fine del XVIII secolo la dinastia ottomana compiva i 500
anni di esistenza, e da almeno 300 governava la maggior parte dei
paesi arabi. E’ ragionevole attendersi che il suo modo di governare e
l’estensione della sua autorità variassero a seconda dei luoghi e dei
momenti.
Nel governo centrale di Istanbul si era evidenziata una tendenza
a trasferire il potere dai dipendenti del sultano ad una oligarchia di alti
funzionari.
Così nelle capitali delle province si affermarono gruppi
dominanti locali, che erano in grado di controllare le risorse fiscali
delle province e di utilizzarle per costituire propri eserciti locali. Tali
gruppi esistevano nelle maggiori città capitali di provincia.
A Gerusalemme vi erano famiglie dominanti, con le proprie
schiere di dipendenti e di domestici; i loro appartenenti riuscirono ad
ottenere la legittimazione del potere locale da Istanbul di generazione
in generazione.
I governanti locali potevano avere propri rapporti con le potenze
straniere ma dovevano usare la loro forza per portare avanti gli
interessi fondamentali dell’Impero e per difenderne le frontiere. Essi
erano “Ottomani locali”, non monarchi indipendenti.
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L’Impero Ottomano non era estraneo ad essi, esso era pur
sempre l’incarnazione della comunità musulmana.
Un nuovo equilibrio di forze si era creato nell’Impero. Esso era
precario, ed ogni parte in causa cercava di accrescere il proprio potere
quando se ne presentava l’opportunità; tuttavia esso riuscì a mantenere
un’alleanza di interessi tra il governo centrale e le élite locali che
detenevano ricchezze e prestigio.
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In Palestina, questa combinazione di forti governi locali e attive
élite urbane di notabili, accrebbe la produzione agricola.
L’incremento di popolazione in Europa centrale aumentò la
domanda di generi alimentari e di materie prime. Anche se alla
maggioranza di coloro che ne facevano parte il mondo dell’Islam poteva
apparire vitale, in crescita, autosufficiente e senza rivali, ad un certo
numero di membri dell’élite ottomana diventava evidente che esso era
minacciato da forze che stavano introducendo dei mutamenti nei suoi
rapporti col mondo circostante.
Infatti la situazione cominciò a mutare in modo rapido e
spettacolare, man mano che si approfondiva il divario tra le capacità
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A. Hourani, “Storia dei popoli arabi”, Mondadori Editore, Trento 1998.
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tecnologiche di alcuni paesi dell’Europa occidentale e quelle del resto del
mondo.
Nei secoli di dominio ottomano non vi erano stati progressi nella
tecnologia e il livello di conoscenze e spiegazioni scientifiche era
arretrato.
Alcuni paesi d’Europa avevano fatto un salto di qualità quanto a
potenza. Miglioramenti nella costruzione delle navi e nella tecnica di
navigazione avevano condotto marinai e commercianti europei in tutti gli
oceani del mondo. Gli scambi tra regioni diverse passarono in mano agli
armatori europei. Questo era l’indice di un trasferimento di potenza.
1.2 La tradizionale élite dei notabili in Palestina
In questa parte del Medio Oriente (la Palestina) in cui l’autorità
dei governi si era dimostrata più efficace, negli anni tra il 1860 e il 1914
erano state costruite opere pubbliche.
Nuove leggi agrarie avevano assicurato diritti di proprietà;
banche o società di credito fondiario offrivano accesso ai capitali e i
prodotti trovavano un mercato nel mondo industrializzato.
Aumentavano le aree coltivate e le rese delle colture.
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Nonostante la povertà di statistiche, sappiamo che il mercato del
cotone era in espansione e le grandi opere d’irrigazione permettevano di
aumentare la resa del terreno; le aree coltivate aumentarono di circa un
terzo tra il 1870 e il 1914. L’esportazione era così redditizia che sempre
più terre venivano convertite alla coltura agricola.
In Palestina, i contadini dei villaggi collinari riuscirono ad
estendere la loro area coltivata fin nelle pianure e a produrre grano e
altre colture, che avevano uno smercio nel mondo esterno: olio di oliva,
olio di sesamo, arance della zona di Jaffa.
Il fattore più importante non fu tanto l’estensione del potere del
governo centrale di Istanbul ai notabili, né le migliorie all’irrigazione,
visto che la prima opera di grandi dimensioni, lo sbarramento Hindiyya
sull’Eufrate, non fu inaugurato prima del 1913.
Fu piuttosto il modo in cui funzionarono le leggi sul territorio;
quando i capi tribali registrarono la terra a proprio nome, ebbero uno
stimolo a convertire i loro uomini dalla pastorizia nomade
all’agricoltura sedentaria, producendo grano o, a sud, datteri da
esportare.
Un tale cambiamento nell’equilibrio tra l’agricoltura sedentaria e
la pastorizia nomade fu molto gradito all’autorità centrale Ottomana,
che preferiva sempre dei contadini sedentari in grado di pagare le tasse
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e rispondere alla chiamata di leva ai nomadi che vivevano al di fuori
della comunità politica e che potevano sempre rappresentare un pericolo
per il mantenimento dell’ordine pubblico.
Di questa situazione ne approfittarono i primi coloni ebrei (fine
‘800), inizialmente emigranti dall’Europa centro-orientale. Comprarono
terre dai notabili arabi di Palestina col denaro donato dalle grandi
famiglie ebraiche della diaspora. (vedi cartina a pagina successiva).
1.3 La nascita del movimento sionista
Il Movimento sionista nasce dalla teorizzazione di un ritorno del
popolo ebraico in Palestina e prende corpo come movimento di
autodeterminazione nazionale degli ebrei mediante il ritorno alla terra
d’origine.
Il termine fu coniato da Nathan Birnbaum scrittore viennese
contemporaneo di Theodor Herzl, intellettuale ungherese, fondatore del
movimento sionista nel 1897, quando promosse a Basilea il primo
congresso mondiale dell’organizzazione, ponendone alla base il
progetto di costruire uno Stato ebraico in Palestina in cui gli ebrei
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sarebbero stati padroni del loro destino. Il motto era: “una terra senza
un popolo per un popolo senza terra”.
In realtà la Palestina non era disabitata né alla fine del XIX secolo
e neppure in altri periodi (vedi cartina a pagina successiva).
Comunque, l’eco di questa aspirazione era comune al popolo
ebraico per cui è facile trovare precursori anche in epoche diverse
rispetto all’Ottocento.
Infatti, il termine “Sion” ricorre nei testi sacri, traendo origine
dall’omonima collina di Gerusalemme. Per di più, il nome di Sion
indica sia la città di Gerusalemme, sia la terra dell’antico Israele.
L’ideale del ritorno a Sion è già espresso, per esempio, nel Salmo 137
che parla dell’esilio babilonese (586 a.C.), anche se i precursori del
sionismo politico usarono indifferentemente i termini: “Eretz Israel”
(Terra di Israele) e “Sion”.
Non è un caso che l’importanza di adempiere al precetto religioso
di risiedere in Eretz Israel fosse tale che anche molti illustri rabbini
vollero recarsi nella terra dei padri. Ogni anno, per secoli, nella
cerimonia rituale della Pasqua ebraica, milioni di ebrei terminano la
celebrazione con la frase: “l’anno prossimo a Gerusalemme”.
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Altri ancora avevano già individuato, sul piano teorico, la
soluzione del problema ebraico nel ritorno a Sion; l’ideatore e il
fondatore del sionismo politico è Theodor Herzl (1860-1904). Nato a
Budapest ma trasferitosi a Vienna, si dedicò al giornalismo. Nel 1891 fu
inviato dal giornale viennese “Neue Freie Presse” a Parigi, nel
momento storico clamoroso del caso Dreyfus, constatando il crescente
odio verso gli ebrei. L’affare Dreyfus e il violento antisemitismo
generale lo avvicinarono all’ebraismo attivo. Nel 1896 scrive e pubblica
il suo libro “Lo Stato ebraico” in cui formula una nuova politica
nazionale da sottoporre ai filantropi e alle istituzioni ebraiche nel
mondo (già nel 1860 era nata “Alliance Israèlite Universelle”, che
aveva avviato un serie di progetti di insediamenti ebraici in Palestina).
Nel 1897 al primo congresso internazionale sionista di Basilea si
aprì un acceso dibattito. Theodor Herzl, dalla sua ottica di ebreo
assimilato, non comprendeva l’osservanza religiosa, mentre i rabbini
definendoli spregiudicatamente “clero”, attaccavano il nascente
movimento.
Infatti, i gruppi religiosi basandosi sulla tradizione che collegava
il ritorno degli ebrei in Israele con l’avvento dell’era messianica,
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rimproveravano allo pseudo messia la sua indifferenza in materia di
religione.
Del resto, la proposta di Herzl trovò, paradossalmente,
un’opposizione iniziale anche nell’ebraismo riformista, forte in
Germania e in Ungheria, favorevole piuttosto all’integrazione degli
ebrei negli Stati d’appartenenza.
Comunque, nel programma di Basilea si fissarono gli scopi del
Movimento: la creazione di uno Stato nazionale ebraico in Palestina e il
suo conseguente ripopolamento.
Morto Herzl, i sionisti ratificarono la scelta della Palestina al VII
Congresso (1905) e ne avviarono la realizzazione.
1.4 L’influenza del nazionalismo europeo
Come abbiamo cercato di spiegare, la genesi del sionismo
politico è da rintracciare in un contesto storico ben preciso: l’emergere
dei movimenti nazionalisti in Europa e l’insorgere dell’antisemitismo
alla fine dell’Ottocento.
In quel periodo vi erano popoli che vivevano sotto imperi o
autocrazie e reclamavano una propria emancipazione.
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Il sionismo s’inserisce in questo clima, e afferma che anche il
popolo ebraico, disperso da quasi due millenni, debba rivendicare il
diritto legittimo ad avere un territorio (la Palestina) su cui fondare una
libera nazione e un libero Stato; vogliamo ricordare il motto del
Movimento sionista: “Una terra senza un popolo per un popolo senza
terra”.
Il fatto è, come si è detto, che la Palestina non era disabitata né
alla fine del XIX secolo, né in altri periodi storici (a quel tempo, non era
stato ancora effettuato nessun censimento. Il primo risale a fonti di
storici israeliani e fu realizzato nel 1914).
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Il movimento nazionale arabo sorse quasi contemporaneamente al
movimento sionista.
Inizialmente per combattere l’Impero Ottomano, più tardi per
combattere i regimi coloniali che si erano succeduti alla caduta
dell’Impero Ottomano alla fine della Prima Guerra Mondiale.
Libri, periodici e quotidiani erano i canali attraverso i quali
giungeva agli arabi la conoscenza dei movimenti nazionalisti del nuovo
mondo politico e sociale che stava nascendo in Europa e in America.
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E. W. Said, The Question of Palestine, Vintage Books Edition, New York 1992, p. 17.