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CAPITOLO I
LA TEORIA PSICOANALITICA DELLA
“PSICOSESSUALITA”
1.1 La psicoanalisi e la teoria strutturale delle pulsioni.
Sotto la denominazione di psicoanalisi vengono compresi sia
una concettualizzazione del funzionamento della psiche umana,
sia una teoria dello sviluppo normale e patologico, sia un
metodo terapeutico.
Per quanto riguarda la teoria dello sviluppo, il
funzionamento della psiche, interpretato da Freud entro una
visione pulsionale, è un funzionamento attivato dalla pulsione.
Con il termine pulsione, introdotto nel 1905 nel testo “Tre
saggi sulla teoria sessuale”, Freud intende designare una carica
energetica, una spinta proveniente dall’interno che impegna la
psiche in un lavoro psicologico e dà significati e motivazioni
agli eventi. Per Freud la pulsione è “un concetto limite tra lo
psichico e il somatico” ed è il rappresentante psichico degli
stimoli che provengono dall’interno dell’organismo e arrivano
alla psiche (Freud, 1915, pag. 17). Freud nei “Tre saggi”,
intende la pulsione come una rappresentanza psichica di una
fonte di stimolo endosomatica, in continuo flusso. L’ipotesi
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sulla natura delle pulsioni è che sono una richiesta di lavoro
psichico fatta alla mente (Freud, 1905, pag. 479).
Poiché ciò che regola la mente è il principio di costanza
(Freud, 1899) la pulsione prima crea il bisogno, che a sua volta
crea tensione, poi richiede una “scarica” della tensione, ovvero
la soddisfazione delle pulsioni (cioè del desiderio). Il principio
di costanza obbliga la mente al mantenimento costante della
quantità di eccitamento che, se supera una soglia, deve essere
appunto scaricata, per riportare alla quiete l’apparato psichico.
Come fanno notare Greenberg e Mitchell (1983) “la prima
elaborazione della teoria psicoanalitica era costruita intorno al
concetto di pulsione”, (pag.15), e l’indagine psicoanalitica è
stata tutta orientata ad approfondire l’andamento delle pulsioni
e i loro destini per spiegare il comportamento umano.
Greenberg e Mitchell (1983) sottolineano che nella teoria
strutturale delle pulsioni “tutte le sfaccettature della personalità
e della psicopatologia sono viste come una funzione, una
derivazione, delle pulsioni e delle loro trasformazioni” (pag.
15). Infatti, anche quando Sigmund Freud rielabora la sua
teoria, introducendo nel 1922, un modello strutturale della
mente, esso è tutto incentrato sul ruolo primario esercitato dalle
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pulsioni. Le pulsioni sono pertanto determinanti psichiche, che
si configurano come motivazioni primarie per l’individuo.
Freud ha basato la traiettoria evolutiva delle mente, il
configurarsi della personalità e lo sviluppo della
psicosessualità, sulle vicissitudini delle pulsioni, attribuendo a
queste caratteristiche organizzative stadiali.
Nell’ambito del modello pulsionale duale Freud distingue
due gruppi di pulsioni: le pulsioni dell‟io o di auto-
conservazione, e le pulsioni sessuali (Freud, 1915, pagg. 19-
20), introducendo, successivamente alla revisione del modello
pulsionale (Freud, 1922), un diverso dualismo pulsionale: la
pulsione libidica e la pulsione distruttiva. Per pulsione libidica
intende l’energia sessuale, la ricerca della soddisfazione della
meta sessuale, che si associa, si “impasta” o si “disimpasta”,
con la pulsione distruttiva, ovvero la morte come tendenza di
energia zero, rivolta contro il mondo esterno (Freud, 1922, pag.
61). Poiché Freud ha sviluppato una base biologica per la
libido, ipotizza la stessa anche per l’aggressività, sostenendo
che esiste, nella psiche, un conflitto fondamentale, esteso a tutta
la vita, tra un istinto di morte (thanatos) e uno di vita (eros)
(Freud, 1922). La pulsione aggressiva nasce da un istinto di
morte di origine organica; proprio come la libido è l’energia
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della “forza di vita”, la “destrudo” è l’energia dell’istinto di
morte.
Già nel testo del 1920 “Al di là del principio di piacere”,
Freud ha iniziato ad approfondire ulteriormente la concezione
dualistica relativa alle pulsioni, aggiungendo che, oltre alla
contrapposizione fra le pulsioni di vita e le pulsioni di morte,
vale a dire quelle pulsioni dell’Io che “traggono origine dal farsi
vivente della materia inanimata, e cercano di ripristinare lo
stato privo di vita” (Freud, 1920, pag. 229), occorre considerare
“una seconda polarità di questo tipo, quella fra amore
(tenerezza) e odio (aggressività)” (Freud, 1920, pag. 239).
In tal modo, Freud ci indica che nella pulsione sessuale è
presente il sadismo che, se si rende autonomo, dà alla sessualità
una configurazione perversa (Freud, 1920). Freud afferma,
anche, che la componente sadica che assume la forma della
perversione è presente, normalmente, come pulsione parziale
entro la fase pregenitale dello sviluppo.
Freud sostiene, inoltre, che il sadismo è una pulsione di
morte che si manifesta nei confronti dell’oggetto ed è alla base
dell’ambivalenza che caratterizza le relazioni amorose (Freud,
1920).
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Nel testo del 1920 la sessualità e l’aggressività sono
considerate collegate alle fasi evolutive della sessualità
infantile; entrambe sono ritenute fonti di conflitto e delle difese
che entrano in gioco per evitare la consapevolezza o
l’espressione di ognuna di esse. La rimozione o l’inibizione
dell’aggressività possono interferire con la gratificazione
sessuale a tutti i livelli evolutivi. Freud osserva che i sentimenti
di rabbia ed ostilità determinano conflitti e sensi di colpa
inconsci, esattamente come i desideri sessuali, e che anche da
questi sentimenti negativi ci si difende; in particolare sostiene
che molti impulsi contengono componenti sia sessuali che
aggressive, e che vari fenomeni clinici, compreso il sadismo, il
masochismo e l’ambivalenza, possono spiegarsi come gradi
diversi di conflitto o fusione fra queste componenti. Egli
ipotizza che la pulsione libidica e quella aggressiva sono
pulsioni fondamentali e forme di aggressività non distruttiva
che forniscono la motivazione all’attività ed alla padronanza,
proprio come la libido (Freud, 1920).
Nel 1922, introducendo il modello strutturale della mente
(seconda topica), Freud descrive la mente come un insieme
strutturato tripartito, composto da tre strutture, l’Io, l’Es, il
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Super-Io, con caratteristiche diverse, pur accomunate dal
principio dinamico e dal diverso operare dell’inconscio.
La componente aggressiva, già presentata come pulsione nel
1920, viene ripresa in questo testo in cui si articolano i concetti
di impasto/disimpasto pulsionale e di ambivalenza, così
importanti nella progressione della libido. Chiarendo meglio il
concetto di ambivalenza, Freud precisa che più che prodotto di
un disimpasto, essa è “qualcosa di talmente primordiale che
conviene considerarla piuttosto un impasto pulsionale rimasto
incompiuto” (Freud, 1922, pag. 504).
1.2 S. Freud: la teoria della libido.
Attraverso i suoi studi clinici, nell’analisi delle nevrosi di
transfert, e in armonia con quello che chiama la distinzione
popolare tra fame e amore (1920), Freud giunge alla
conclusione che le richieste di lavoro fatte alla mente
derivavano da una pulsione sessuale primaria irriducibile - la
libido -, e da un’altrettanto primaria e irriducibile pulsione
verso l’auto-conservazione. Per libido, Freud intende
quell’ipotetica energia responsabile della forza sottostante alle
pulsioni sessuali “quantitativamente variabile” (Freud, 1905,
pag. 523).
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Come notano i Tyson, il termine libido ha un ampio
significato perché si riferisce al piacere sensuale e sessuale,
all’energia che li sottende, e all’amore come “energia affettiva”
(Tyson, Tyson, 1990, pag. 71).
Per Freud, la pulsione libidica è caratterizzata da :
a) una spinta, che rappresenta la carica energetica, il fattore
quantitativo di cui è dotata ogni pulsione;
b) una fonte, che rappresenta l’origine interna specifica di ogni
pulsione, ovvero luogo (zona erogena, organo, apparato) o
processo somatico che viene percepito come eccitazione;
c) una meta, ovvero il fine a cui spinge la pulsione e che porta
ad una risoluzione della tensione interna (soddisfacimento);
d) un oggetto, che rappresenta sia il fine, che il mezzo
attraverso il quale la pulsione raggiunge la sua meta, cioè un
certo tipo di soddisfacimento.
La pulsione sessuale (libidica) opera sempre insieme o in
conflitto, rispetto ad un’altra pulsione. Per tutta la sua vita,
Freud ritiene che le pulsioni libidiche sono le più importanti,
che agiscono nell’inconscio e sono implicate nella genesi delle
nevrosi.
La sessualità è stata oggetto privilegiato di studio per Freud
in quanto responsabile delle psiconevrosi per la conflittualità
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che attiva nella psiche. Per Freud è nell’infanzia dell’individuo
e nella sessualità infantile che va ricercato l’evento patogeno,
causa delle psiconevrosi negli adulti.
La teoria della psicosessualità è fondamentale nel pensiero
di S. Freud, in quanto la sessualità è considerata un
organizzatore della personalità che si struttura nell’ambito di un
conflitto intrapsichico. Pur non avendo mai condotto esperienze
dirette con bambini, ma avvalendosi dei suoi studi su pazienti
adulti nevrotici, di cui ripercorre retrospettivamente le vicende
evolutive alla luce delle dinamiche pulsionali, l’esperienza
clinica suggerisce a S. Freud l’ipotesi che l’energia connessa
alla sessualità fornisce una motivazione al funzionamento
psichico. Un esempio lo troviamo nel caso del piccolo Hans
(Freud, 1908), nel quale Freud, supervisionando le
interpretazioni fornite dal padre del piccolo Hans sulla sua
paura dei cavalli, non si limita a riconoscere nell’animale una
raffigurazione del padre percepito dal bambino come
minaccioso, ma indica una profonda preoccupazione del piccolo
per il proprio genitale. L’isteria d’angoscia – così Freud chiama
la fobia di Hans – costituisce una forma sintomatica in cui si
esprimono conflitti interiori.
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Per Freud, fin dalla nascita è presente negli individui un
sistema motivazionale costruito intorno al bisogno di piacere
sensuale e di eccitazione sessuale, e le sue osservazioni
sull’infanzia (1905-1908), lo portarono a concludere che le
sensazioni di specifiche parti del corpo contribuiscono alle
sfumature tra sensualità e sessualità. La suzione del pollice, ad
esempio, è per Freud una manifestazione di pulsione istintiva,
che conferisce una particolarità qualitativa che indica una
sessualità infantile.
La sessualità e la ricerca del piacere sensuale sono “il
miglior sonnifero” (Freud, 1905, pag. 490), infatti è con la
suzione, o altre manifestazioni sessuali, che il bambino
raggiunge una sorta di autoregolazione, un completo
assorbimento dell’attenzione.
Nei “Tre saggi sulla teoria sessuale” (1905) S. Freud, non
solo afferma, contrariamente all’opinione comune, che il
bambino ha una sessualità, come dimostrano le manifestazioni
della libido, ma sottolinea inoltre, l’influenza della sessualità
sulla vita psichica e sull’evoluzione della personalità. Il
comportamento sessuale è guidato dall’energia psichica che
definisce “libido”, e sostiene che molti disturbi del
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funzionamento adulto siano basati su vicissitudini
intrapsichiche connesse a tappe dello sviluppo sessuale.
Freud è indotto ad occuparsi dei problemi della sessualità
perché constata che nel processo di formazione della nevrosi vi
sono sempre situazioni aventi a che fare con la vita sessuale. Il
punto di partenza è rappresentato dagli “Studi sull’isteria”
(1892-95) nei quali avanza l’ipotesi di “un motivo per
ammalarsi”, e individua l’origine di questo motivo nel passato
del soggetto isterico: i sintomi isterici vengono concepiti come
il risultato di traumi psichici accidentali accaduti nell’infanzia,
e alcune forme patologiche sono la conseguenza di condotte
sessuali censurabili dal soggetto e dalla cultura del tempo, o
insoddisfacenti, o irrealizzabili, che vengono rimosse,
diventando inaccessibili alla psiche e trovano nei sintomi
nevrotici una via di espressione.
“Il carattere isterico rivela un grado di rimozione sessuale che
oltrepassa la misura normale…” (Freud, 1905, pag. 476).
In tal modo, il conflitto che si stabilisce tra la pressione
della pulsione libidica ed il rifiuto della stessa, provoca la
trasformazione del conflitto in sintomo, scaricato nel canale
somatico.