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sociale che nelle diversità accresce il proprio valore, dall’altro la misurazione
delle componenti che costituiscono il concetto stesso risulta difficoltosa.
E’ per questo motivo, dunque, che non si riesce ancora oggi a dare una
definizione univocamente accettata negli ambienti accademici sul capitale
sociale. La mancanza di un accordo in tal senso, conseguentemente dà spazio
ad ampi tentativi di analisi del concetto da parte dei ricercatori.
Manca, così, una visione comune che indirizzi specificamente il precorso di
analisi delle componenti del capitale sociale.
In questa tesi si vuole presentare un ampio ventaglio di lavori di ricerca sul
capitale sociale che meglio rappresentino il panorama odierno in termini di
misurazione del concetto.
L’obiettivo che si vuole prefiggere è quello di analizzare nello specifico gli
indicatori utilizzati dai dodici lavori scelti, evidenziandone criticità e punti di
forza, per pervenire, così, alla strutturazione di una tabella che riassuma le
variabili maggiormente rappresentative del fenomeno.
Dopo una presentazione generale di cosa si intenda per capitale sociale
all’interno del Cap. 1, si passerà successivamente alla presentazione dei lavori
selezionati (Cap. 2), alla presentazione di dodici schede riassuntive dei lavori
scelti e alla strutturazione della tabella.
Nell’ultimo capitolo (Cap.3) verranno analizzati gli elementi critici e quelli
favorevoli degli indicatori che sono maggiormente utilizzati nello studio del
capitale sociale.
Le considerazioni conclusive chiudono il lavoro di tesi.
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CAPITOLO 1
COSA SI INTENDE PER CAPITALE SOCIALE
Il capitale sociale è un concetto indagato nelle scienze sociali solo dagli
anni novanta in avanti diventando fondamentale negli studi che analizzano le
dinamiche di sviluppo della società.
Con il termine “capitale sociale” si intende generalmente quel bagaglio
relazionale e valoriale che un soggetto costruisce nel corso della propria
esistenza in una determinata società. L’individuo, infatti, già nei primi anni
della vita assorbe su di sé una serie di norme e di valori che gli derivano
dall’essere parte di un nucleo famigliare e di una società.
Crescendo, dunque, il soggetto inizierà ad ampliare la propria rete di
conoscenze ed a relazionarsi con individui dal bagaglio valoriale ed
esperienziale diverso dal proprio. Entrando in contatto con soggetti differenti
per esperienza e per conoscenza, l’individuo andrà ad accrescere il proprio
capitale che si svilupperà all’interno della società.
Pertanto, un individuo che nel corso della propria esistenza si relaziona con
altri soggetti, accrescerà le proprie conoscenze, permettendogli di perseguire
fini altrimenti difficilmente raggiungibili.
Infatti, l’unione di soggetti dal bagaglio valoriale ed esperienziale diverso
rende possibile risolvere problemi collettivi, facendo perno su reti relazionali e
su capitali sociali che variano da individuo ad individuo.
Per questo motivo si è assistito ad un crescente interesse nello studio del
capitale sociale, identificandolo, da parte di alcuni autori, come la chiave per
capire le dinamiche sottese allo sviluppo di una società.
La breve storia di ricerca sull’argomento e la sua natura complessa non
hanno, però, portato ad una definizione univocamente accettata di cosa si
intenda per capitale sociale.
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La prima studiosa a parlare di capitale sociale è stata Lydia Hanifan nel
1916 all’interno del suo studio sulle performance degli studenti nelle scuole.
“Nell'uso dell’espressione ‘capitale sociale’ non mi riferisco all'accezione
comune del termine capitale, se non in senso figurato. Non mi riferisco ai beni
immobili, o alla proprietà privata o al mero denaro, ma piuttosto a ciò che fa si
che queste entità tangibili contino nelle vita quotidiana per la maggior parte
delle persone, cioè la buona volontà, l’amicizia, la comprensione reciproca e i
rapporti sociali fra un gruppo di individui e le famiglie che costituiscono un
unità sociale, la comunità rurale, il cui centro logico è la scuola. Nella
progettazione comunitaria come nelle organizzazioni e nello sviluppo
economico deve esistere un'accumulazione di capitale prima che un lavoro
costruttivo possa essere fatto” (Hanifan, 1916).
2
Dovremo, però, aspettare la fine degli anni ’80 per vedere come il concetto
di capitale sociale abbia assunto importanza nelle analisi sociali.
I due approcci che nascono in questo periodo e che considerano il capitale
sociale sotto aspetti differenti sono quello individualista e quello collettivista.
Ad entrambi il merito di essere riusciti a dare rilevanza al concetto in esame
in termini non solo economici
3
ma soprattutto sociologici.
Secondo le due prospettive differenti e, per certi versi, contrastanti
l’importanza della creazione e dell’accrescimento del capitale sociale risulta
essere per entrambe fondamentale per lo sviluppo di una società.
Le modalità attraverso le quali si attiva tale procedimento di accrescimento
sono, a seconda degli approcci, differenti.
2
Su traduzione di Enna Maria Adelasia Divona in “Alla ricerca del capitale sociale: uno studio pilota nel settore
agricolo-zootecnico della provincia di Enna” p 6
3
Si ricorda, a tal proposito, che il capitale sociale in termini economici si riferisce al capitale monetario di un’
azienda che, insieme a quello umano, fanno sviluppare o meno una società la quale , non a caso, viene chiamata
“di capitali”.
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1.1 LA VISIONE INDIVIDUALISTA
L’approccio individualista pone l’accento sulle capacità del singolo
soggetto di relazionarsi con altri individui per ottenerne un beneficio nella
propria vita sociale.
Il capitale sociale, così, si costruisce su scelte razionali dell’individuo.
Parlando di “scelta razionale” e di approccio individualista del capitale
sociale non si può prescindere da considerare il lavoro di James Coleman
(1988,1990,1994).
Egli ritiene importante estendere l’approccio individualista della scelta
razionale alla creazione di capitale sociale.
L'individuo, in tale concezione, è considerato come un attore razionale, non
solo in senso economico ma anche sociologico.
Si assume pertanto che, nel perseguimento di obiettivi individuali come la
massimizzazione dei propri benefici, questo tipo di attore sociale tenga conto
degli altri, delle norme e delle relazioni esistenti all'interno della struttura
sociale in cui si muove e che lo faccia in una prospettiva di medio-lungo
periodo comprendenti eventuali benefici futuri.
Si considerano alcune azioni da lui compiute come “investimenti
relazionali” fatti in una determinata situazione e dei quali raccoglierà in
seguito i profitti, materiali o simbolici.
Il successo dell’idea di Coleman si può spiegare in quanto ha posto fine al
lungo divorzio tra economia e sociologia che si basava sull’attribuzione di un
carattere esclusivamente individualista alle scienze economiche cui si
contrapponeva una presunta visione collettivista della sociologia.
Con la proposta di Coleman, che accetta il modello utilitarista della scelta
razionale arricchito però dalle analisi delle relazioni sociali, le due scienze non
sono più contrapposte ma complementari.
“Il capitale sociale è definito dalla sua funzione. Non è un’entità singola,
ma una varietà di diverse entità che hanno due caratteristiche in comune:
9
consistono tutte di alcuni aspetti della struttura sociale e agevolano
determinate azioni degli individui che si trovano dentro la struttura”(Coleman
1990, p 302)
4
.
L’individuo agirà secondo un calcolo di utilità ma all’interno di un contesto
abitato da soggetti diversi con cui dovrà relazionarsi e che lo influenzeranno
nelle scelte.
Nella prospettiva della teoria della scelta razionale, comunque, rimane
irrisolta una questione di fondo: perché gli individui dovrebbero scegliere di
investire sul capitale sociale se ciò che interessa loro è solo il perseguimento
del proprio interesse personale?
Coleman risponde a questa critica affermando che lo sviluppo del capitale
sociale non dipende da un investimento deliberato dei singoli individui, come
un esito di una scelta calcolata, ma è un sottoprodotto di attività intraprese per
scopi diversi (Coleman 1994 p 312).
E’ questo, pertanto, il tratto che contraddistingue il capitale sociale da altre
forme di capitale (come quello umano e fisico) che sono frutto, invece, di
scelte deliberate e intenzionali.
1.2 LA VISIONE COLLETTIVISTA
L’approccio collettivista, invece, considera la creazione di capitale sociale
come il prodotto di uno scambio reciproco di relazioni, non basate
essenzialmente sull’utilità individuale. Il soggetto che entrerà in contatto con
gli altri porterà con sé il proprio “capitale” che metterà in comunione con gli
individui, ricevendo da essi il loro “bagaglio sociale”.
In questo modo si creerà uno scambio di esperienze, di conoscenze e di
informazioni che renderanno possibile il raggiungimento di scopi altrimenti
non perseguibili limitatamente a livello individuale.
4
Coleman raggruppa il capitale sociale in cinque categorie:
- i rapporti di obbligazione e aspettativa che si generano quando le persone si scambiano favori
- i canali di diffusione delle informazioni
- le norme sociali che richiedono di uniformare l’interesse personale a quello della collettività
- i rapporti di autorità che trasferisco a determinate persone il diritto di controllo di alcune azioni
- le organizzazioni sociali (Coleman, 1990).
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Certamente nel considerare il capitale sociale secondo un approccio
collettivista non si può prescindere dal prendere in considerazione il lavoro di
Robert Putnam (1993, 1996, 2000)
5
.
Questo autore ha avuto l’indubbio merito di dare rilevanza al capitale
sociale e di farlo conoscere, con il suo lavoro, al di là degli ambienti
accademici, costituendo fonte di ispirazione per buona parte delle analisi
successive.
Putnam definisce il capitale sociale come “ […] l’insieme di quegli
elementi dell’organizzazione sociale - come la fiducia, le norme condivise, le
reti sociali – che possono migliorare l’efficienza della società nel suo insieme,
nella misura in cui facilitano l’azione coordinata degli individui” (Putnam,
1993 p 169).
Da questa definizione si può comprendere quanto l’azione collettiva svolta
dagli attori sociali (al fine di poter perseguire fini difficilmente raggiungibili)
sia per l’autore un agire coordinato tra individui che danno e ricevono, così,
fiducia nella costruzione di reti sociali.
I concetti di fiducia e di reti sociali che nella visione di Putnam compaiono
in modo così fondamentale, diventano per molti autori caratteristiche
imprescindibili nell’analisi del capitale sociale in una società.
FIDUCIA
Analizzando, pertanto, la fiducia come conditio sine qua non sia possibile
istaurare rapporti con altri individui che accrescano il capitale sociale di una
intera società, ricorre nuovamente il pensiero di Putnam.
Egli individua in un suo studio ( Putnam, 1996 ) tre motivazioni per le quali
la fiducia sia necessaria per lo sviluppo del capitale sociale.
In primo luogo, elevati livelli di fiducia e di partecipazione tra i cittadini
produco risultati socialmente desiderabili ed, in generale, il capitale sociale
5
Putnam in una sua ricerca sul territorio italiano (Putnam, 1993) ha cercato di mettere a fuoco e di
spiegare, le principali differenze tra i sistemi amministrativi locali, nel nord e nel sud Italia.
Le interrelazioni di reciprocità che si sono consolidate nel corso del tempo tra amministrazioni
pubbliche e società civile hanno creato una maggiore capacità di governo locale da parte delle regioni
del nord ed un conseguente incremento della dotazione di capitale sociale rispetto al sud.