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INTRODUZIONE
Frequentemente, nella cultura occidentale, il popolo dei Persiani è perlopiù
identificato come principale antagonista politico e militare dei Greci,
dall’epoca classica fino al regno di Alessandro Magno. Tuttavia, le
testimonianze scritte di quel periodo, essendo per la maggior parte opere di
autori greci (quali Erodoto, Plutarco e Senofonte), hanno spesso trasmesso
un’immagine del Gran Re achemenide come monarca quasi perennemente
sconfitto dalla potenza occidentale (battaglia di Maratona del 490 a.C.;
battaglia di Salamina del 480 a.C.; battaglia del Granico del 334 a.C.;
battaglia di Isso del 333 a.C.; battaglia di Gaugamela del 331 a.C.). Esse,
inoltre, tendono sovente a sminuire il sovrano persiano, sottolineandone le
carenze morali e caratteriali, la totale incapacità di governare un impero
tanto esteso quanto quello achemenide, nonché l’inadeguatezza nella
strategia militare.
Alla luce di tali considerazioni, ho ritenuto interessante l’idea di
approfondire il concetto di regalità achemenide, prescindendo dalle
informazioni poco affidabili (in quanto notevolmente parziali) contenute
nei resoconti degli autori classici, tentando, invece, un approccio più
diretto, basato su un accurato studio del dato iconografico autoctono.
L’obiettivo del presente lavoro di tesi è, dunque, quello di raccogliere e
analizzare, attingendo dal ricco patrimonio archeologico preislamico
dell’altopiano iranico, le più significative evidenze riferite alla
rappresentazione visiva della regalità achemenide.
Il lavoro è suddiviso in quattro capitoli, accompagnati da una sezione
dedicata alle mie personali conclusioni, ed è corredato da un catalogo finale.
4
Nel primo capitolo viene preso in esame il tema della regalità nell’Iran
achemenide dal punto di vista ideologico, inquadrandolo anche in un’ottica
di continuità culturale con l’evidenza relativa alle realtà socio-politiche
(quella elamita e meda) che avevano avuto il proprio baricentro nei territori
iranici prima della formazione dell’Impero achemenide. Un successivo
approfondimento è dedicato all’ideologia regale nel contesto degli imperi
mesopotamici di Assiria e Babilonia, nonché nello stato di Urartu.
Quest’ultimo tipo di analisi si rivela necessario alla luce dell’evidente
influenza culturale che tutte le predette civiltà esercitarono
nell’elaborazione e nello sviluppo del concetto di regalità presso gli
Achemenidi (benché tali influssi fossero sistematicamente adattati dal Gran
Re persiano al nuovo contesto storico-culturale).
Di grande aiuto per la stesura di questo primo capitolo è stato, soprattutto,
il manuale Antico Oriente. Storia, società, economia di M. Liverani, preziosa e
dettagliata fonte di informazioni circa le vicende storico-politiche di tutte le
popolazioni che abitarono il Vicino Oriente Antico dal III millennio al V
secolo a.C.
Nel secondo capitolo, invece, dopo una sintetica analisi dei principali
aspetti dell’arte achemenide legati alla rappresentazione del sovrano ed alla
sottolineatura, dal punto di vista artistico, degli ideali connessi alla sfera del
potere regio, vengono discusse le più importanti testimonianze
archeologiche di periodo achemenide legate all’esaltazione della figura del
Gran Re (dal monumento di Bisotun ai rilievi presenti sugli stipiti delle
porte degli edifici di Persepolis, dalle tombe rupestri di Naqsh-e Rostam
alla statua del re Dario I rinvenuta a Susa, e così via).
Un cospicuo numero di lavori monografici ed articoli scientifici ha costituito
la base documentaria per la stesura di questa sezione della tesi. Tra i testi
5
più significativi, meritano sicuramente una menzione particolare i due
volumi di E.F. Schmidt su Persepolis e Naqsh-e Rostam (rispettivamente
pubblicati nel 1953 e nel 1970), lo studio monografico intitolato Sculptures
and Sculptors at Persepolis di M. Roaf, i capitoli relativi al periodo
achemenide nel manuale edito da D.T. Potts ed intitolato The Oxford
Handbook of Ancient Iran, nonché lo studio monografico King and Court in
Ancient Persia 559 to 331 BCE di L. Llewellyn-Jones.
Nel terzo capitolo, il quale rappresenta, probabilmente, il nucleo centrale
della tesi, si è cercato di classificare ed analizzare, nella maniera più
accurata possibile, i numerosi motivi iconografici riguardanti il Gran Re,
documentati nel territorio dell’Iran achemenide. Per ognuno di detti topoi
iconografici, oltre alla sistematica discussione dei relativi aspetti artistici
nonché ideologici, vengono anche presi in considerazione ed analizzati i
probabili prototipi iconografici attestati nell’espressione artistica di popoli
più antichi (Egizi, Assiri, Babilonesi ecc.), i quali, verosimilmente, funsero
da ispirazione per i sovrani della dinastia achemenide.
Fondamentale, per la stesura del terzo capitolo, è stato lo studio della
monografia intitolata The King and Kingship in Achaemenid Art: Essays on the
Creation of an Iconography of Empire di M.C. Root, di alcuni capitoli del noto
manuale From Cyrus to Alexander: a History of the Persian Empire di P. Briant,
nonché del recente volume intitolato The Achaemenid Parasol. Background,
Diffusion and Legacy di G. Maresca.
Il quarto ed ultimo capitolo, infine, costituisce una sorta di “epilogo” ed è
dedicato alla discussione di alcune evidenze archeologiche ed iconografiche
legate alla figura del sovrano risalenti, invece, ad epoche successive della
storia dell’Iran antico (periodo seleucide, arsacide, sasanide).
6
Tale capitolo, per la stesura del quale ha giocato un ruolo di primaria
importanza lo studio di due lavori di M. Canepa (pubblicati nel 2017 e 2018)
sull’evoluzione del concetto di regalità nel mondo iranico, è volto a fornire
un quadro esaustivo dell’evoluzione del tema in questione, includendo
nella discussione anche i secoli immediatamente successivi al crollo
dell’impero achemenide e quelli che, invece, precedettero l’inizio dell’epoca
islamica.
Il presente lavoro di tesi si conclude con un catalogo delle più significative
evidenze iconografiche relative alla figura del sovrano achemenide,
selezionate sulla base delle attestazioni discusse nel terzo capitolo. Le
ventisette schede del catalogo, organizzate seguendo l’ordine in cui le
suddette evidenze vengono ivi citate, presentano tutte una medesima
struttura. Per ciascuna evidenza, infatti, sono riportate informazioni
relative all’attuale luogo di conservazione (sito archeologico o istituzione
museale), al luogo specifico di rinvenimento ed all’attribuzione cronologica,
seguite da un’esaustiva descrizione e, infine, dalla principale bibliografia di
riferimento. Nella scelta delle evidenze selezionate per la schedatura, si è
tentato di includere la maggiore varietà possibile di temi connessi
all’iconografia regia, così da fornire un quadro il più possibile completo
delle modalità di rappresentazione della figura regale nella Persia
achemenide.
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CAPITOLO 1
La regalità achemenide e le sue origini
1.1 Il concetto di regalità nella sfera culturale achemenide
Il concetto di regalità achemenide fa riferimento alle tradizioni, ai costumi
ed alle usanze dei sovrani della dinastia che regnò tra la metà del VII ed il
terzo quarto del IV secolo a.C. sui territori dell’odierno Iran e di molte delle
aree circostanti.
In assenza di esplicita documentazione archeologica ed epigrafica circa le
origini della dinastia, è possibile far riferimento alle informazioni riportate
da Erodoto di Alicarnasso. Secondo lo storico greco, la famiglia degli
Achemenidi era considerata come la più nobile tra quelle persiane, abitante,
già dal VII secolo a.C., nell’area dove sarebbe stato successivamente fondato
il grandioso centro dinastico di Persepolis (Piras 2007: 313; Boucharlat 2013:
503). Essa apparteneva in origine alla tribù dei Pasargadae, la più illustre
tra le dieci tribù persiane a noi note (Schmitt 1983). Parte di questo clan
doveva essersi probabilmente stabilito da tempo nell’area circostante i siti
di Pasargadae, Persepolis e Naqsh-e-Rostam (Fig. 2).
1
La denominazione
dinastica trae origine da Achemene,
2
leggendario fondatore eponimo della
dinastia, la cui storia è completamente ignota. Egli è menzionato nella
famosa iscrizione del re Dario I presso Bisotun (DB I.6),
3
nella quale è
1
Cfr. Strabone 15.3.3: “Là i Persiani avevano le loro tombe, sui siti ancestrali”.
2
La forma originale in antico-persiano del patronimico è Haxāmanišiya. Haxāmaniš ha il
significato di “colui che è caratterizzato da uno spirito seguace” (Schmitt 1983).
3
Località posta lungo il versante settentrionale dell’antica rotta commerciale e militare che
da Babilonia, passando per i monti Zagros, giunge fino ad Hamadan per poi proseguire in
8
specificato che gli Achemenidi possono chiamarsi tali proprio in virtù del
nome di questo antenato (Ibid.).
La dinastia prende il potere nel settore sud-occidentale dell’altopiano
iranico agli inizi del VI secolo a.C., subentrando agli Elamiti nella regione
di Anshan (Piras 2007: 312-315).
4
Nel 550 a.C., re Ciro II (558-530 a.C.) ha la
meglio sul medo Astiage e conquista la capitale del regno medo, Ecbatana
(nel territorio dell’odierna città di Hamadan, capoluogo dell’omonima
Provincia nell’Iran nord-occidentale), dando inizio al periodo di egemonia
persiana achemenide.
5
Il nascente impero unifica regioni che nei secoli
precedenti erano indipendenti politicamente - seppur in continuo contatto
tra loro per motivi commerciali e militari (la Mesopotamia, la valle del Nilo,
l’Egeo, la valle dell’Indo, l’Asia centrale; Fig. 3) – e si configura come un
vero e proprio “impero universale”, in cui ogni realtà facente parte del
direzione nord-est. Delle varie testimonianze archeologiche attestate presso il sito
(nell’attuale Provincia di Kermanshah), le quali riflettono una frequentazione pressoché
continua sin dalla preistoria, la più importante è senza dubbio il monumento celebrativo
di Dario I, sul picco più elevato di una lunga e stretta parete rocciosa (Schmitt 2000).
4
Il sito dell’antica Anshan (principale centro di potere elamita negli Zagros) è identificato
con l’attuale Tall-i Malyan, presso il bacino del fiume Kor nel Fars centrale. Si tratta del più
grande insediamento pre-achemenide del Fars. I resti del sito sono costituiti da un’area
leggermente in rilievo che si estende ad ovest e a sud, e un’area relativamente pianeggiante
a est. Questi settori sono circondati dai resti delle antiche mura della città. Il primo
riferimento noto a Malyan come sito archeologico risale al XIX secolo a.C.; studi condotti
su alcuni frammenti di mattoni rinvenuti presso il sito e recanti iscrizioni in cuneiforme
permettono di stabilire l’identificazione di Malyan con Anshan (Abdi 2005).
5
L’evento è tramandato dalla Cronaca di Nabonedo. Quest’ultima è un antico testo
babilonese scritto in caratteri cuneiformi su una tavoletta d’argilla conservata al British
Museum di Londra. Il testo elenca gli eventi chiave di ogni anno dall’inizio del regno del
re neo-babilonese Nabonedo nel 556 a.C. fino a qualche mese dopo l’ingresso di Ciro II a
Babilonia nel 539 d.C. Include un riferimento alla conquista di Babilonia da parte di Ciro e
all’inizio del regno di suo figlio Cambise, che regnò tra il 530 e il 522 a.C. circa (Álvarez-
Mon et al. 2011: 21).
9
dominio achemenide diviene “centro politico del mondo”, mentre tutto il
resto è una “caotica periferia” (Liverani 2011: 793-794).
Alcuni tratti peculiari caratterizzano i sovrani della dinastia: quello
marziale, valorizzante le capacità fisiche, eroiche, belliche del sovrano;
quello gentilizio, che si traduce nel vanto dell’appartenenza ad uno
specifico clan privilegiato sul resto della nazione; infine, quello ideologico,
secondo il quale gli scontri con i nemici dell’impero rappresentano
allegoricamente una lotta tra il Bene e il Male, con l’affermazione inevitabile
della verità sulla menzogna (Ibid.: 801).
Tali sovrani, a seguito delle loro conquiste, ereditano il dominio su una serie
di territori del Vicino Oriente, ponendosi tuttavia in maniera innovativa
rispetto ai sovrani che avevano precedentemente controllato alcune di
quelle aree, come ad esempio i re Assiri. Questi ultimi sono noti per le loro
razzie e il loro assolutismo dispotico nei confronti degli sconfitti, costretti a
mutare completamente le loro tradizioni una volta entrati nell’orbita assira
(Ibid.: 802-803). I sovrani della dinastia achemenide, invece, acquisiscono i
modelli politici e ideologici dei regni sottomessi, e tendono a presentarsi
come eredi diretti delle locali tradizioni regali e come restauratori degli
antichi costumi. Ad esempio, infatti, nonostante la supremazia del dio
iranico Ahura Mazda,
6
i culti e gli dèi dei popoli vinti sono tollerati.
7
6
Sui vari aspetti riguardanti la sfera religiosa della dinastia achemenide cfr. infra: pp. 10-
14).
7
Emblematico è l’ingresso trionfale di Ciro II a Babilonia nel 539 a.C. Il sovrano achemenide
“viene acclamato dalla popolazione cui si presenta come restauratore del culto del dio Marduk,
facendosi garante delle esigenze del clero di Marduk contro il re Nabonido, sostenitore del dio lunare
Sin” (Piras 2007: 314). Si tratta di un evento sottolineante la strategica politica del sovrano
achemenide. Persino gli abitanti ebrei, deportati a Babilonia dalle loro terre siro-palestinesi,
rendono grazie al sovrano dandogli il merito della liberazione dalla “cattività babilonese”.
10
Il regno degli Achemenidi, basandosi sulle fonti a disposizione, può essere
considerato una monarchia assoluta, quantomeno dal punto di vista
ideologico (Wiesehöfer 2003: 47). Il centro amministrativo dell’impero è il
palazzo reale, dove il sistema burocratico prendeva spunto dal modello
babilonese (Schmitt 1983). La lingua ufficiale dell’amministrazione è
l’aramaico, utilizzato da Ciro II nella parte occidentale dell’impero, da
Dario I in tutto il territorio (Ibid.); ad ogni modo, le iscrizioni reali sono
scritte solitamente in altre tre lingue: antico-persiano, elamita e babilonese
(talvolta anche in geroglifico egiziano e nello stesso aramaico).
Probabilmente, a partire dal regno di Dario I, Susa sarà la capitale
amministrativa, mentre, stando alle informazioni tramandate dalle fonti
classiche, durante il regno del suo predecessore Ciro II, la sede del governo
rimarrà presso Ecbatana (Wiesehöfer 2003: 25). Talvolta, tuttavia, durante i
mesi invernali, la sede regale è a Babilonia, mentre, durante il periodo
estivo, può essere la volta di Ecbatana stessa (cfr. Senofonte, Cyropaedia
8.6.22). Nella madrepatria persiana, Pasargadae e Persepolis non sono
considerate funzionali come sedi, a causa della loro lontananza dai territori
più occidentali dell’impero (Piras 2007: 323).
Le varie province sono governate da satrapi, potenti funzionari nominati
dal re con un mandato illimitato. Satrapo sta per “protettore del regno”,
termine che sottolinea come tale funzionario sia un rappresentante
immediato del sovrano, direttamente responsabile nei suoi confronti. Egli,
in qualità di capo locale, amministra la giustizia e riscuote i tributi nel
territorio che gli viene assegnato (Ibid.: 322).
Nelle varie iscrizioni regali pervenuteci, ogni sovrano si autoproclama
come xšayaθiya, ossia “re”, o più precisamente “colui che è distinto dalla
regalità”. Solitamente il titolo di “re” è amplificato, e vi sono più varianti a
11
riguardo: “grande re”, con un aggettivo utilizzato anche da vari sovrani
mesopotamici; “re dei re”, espressione ripresa anche dagli Urartei, e, in
ultima analisi, di origine mesopotamica; “re dei paesi”, titolo più utilizzato
dagli Achemenidi, talvolta anche con variazioni, come, ad esempio, “re dei
paesi contenenti tutte le razze”, “re su questa (grande) terra” (Schmitt 1983).
La discendenza di sangue achemenide è un fondamento essenziale della
regalità in questione, e, secondo quanto afferma Erodoto, la successione
sembrerebbe essere stabilita dalla designazione del nuovo sovrano.
Solitamente l’erede è il primogenito, anche se in vie eccezionali il titolo può
ricadere sul figlio nato per primo dopo l’ascesa del padre (Artaserse I,
sovrano dal 465 al 424 a.C., ne sarebbe un esempio). Tuttavia, secondo una
tesi alternativa, avanzata dallo studioso P. Calmeyer, da Dario I fino al
regno di Artaserse II (404-359 a.C.) è possibile che sia verificata una sorta di
sinarchia tra il padre e uno dei suoi figli (Ibid.).
Oltre al principio genealogico, l’altra base fondamentale della regalità
achemenide è la teoria del diritto divino dei re. Essi governano in virtù del
favore del loro dio Ahura Mazda. Il sovrano è, dunque, legittimato e
investito dalla divinità; è il rappresentante del dio sulla terra (Wiesehöfer
2003: 47-48).
Ciò significa che il sovrano non è un “primus inter pares”, ma piuttosto un
governatore sovrano, che unisce nella sua persona tutto il potere come
signore supremo e giudice in tempo di pace e di guerra, ed è, quindi, molto
al di sopra dei suoi sudditi (Ibid.). In qualità di rappresentante della divinità,
il re è sacro, e possiede la “farnah”, una sorta di splendore divino
8
.
8
Sono attribuiti a questa parola innumerevoli significati: da “gloria”, a “luminosità”, a
“splendore”. Alcuni studiosi non escludono che possa anche tradursi con “(buona)
fortuna” oppure “(regale) maestà”. Ad ogni modo, sembra piuttosto chiaro che si tratti di
una forza magica di origine divina, che accompagna il sovrano per tutta la vita, purché
questo si dimostri sempre pio e devoto al dio. Come riportato nell’Avesta, la “farnah” esiste
12
Una pratica speciale prevede che i re achemenidi, almeno a partire da Dario
I, prendano i nomi nel momento dall’accessione al trono (Piras 2007: 318-
319). Tali nomi esprimono il programma del re: Dārayavauš (Dario) sta per
“colui che (de)tiene il bene” (Schmitt 1994), Xšayaršā (Serse) per “colui che
governa sugli eroi” (Schmitt 2000), Artaxšaçā (Artaserse) per “colui il cui
regno esiste attraverso la verità” (Schmitt 1986).
Il sovrano perfetto è descritto in alcuni passaggi di iscrizioni reali,
soprattutto quelle di Dario I (Schmitt 1983): il re sottolinea di aver ricevuto
il sostegno di Ahura Mazda e di altri dei “perché non ero sleale, non ero
traditore, ingiusto, né io né la mia famiglia, (ma) aderimmo alla rettitudine e non
facemmo torto ai deboli né ai potenti” (DB IV.61-65). Ahura Mazda crea il re in
modo tale che sia “un amico del diritto, non un amico del torto” (DNb 6-8) e gli
conferisce “saggezza e forza” (DNb 3f) in modo che tenga fede in battaglia
come un “buon cavaliere”, “buon arciere”, e “buon lanciere” (DNb 41-45).
La cerimonia dell’investitura dei re achemenidi è descritta accuratamente
da Plutarco (Vite parallele: Artaserse 3.1-2): viene eseguita dai sacerdoti
persiani a Pasargadae “nel tempio di una dea della guerra paragonabile ad
Atena”; lì il sovrano designato deve togliersi i propri vestiti, indossare quelli
vecchi indossati da Ciro II prima di diventare re, mangiando pistacchi e
fichi secchi accompagnati da una tazza di latte acido (Ibid.).
Anche se si trova in una posizione gerarchica più alta rispetto a tutti gli altri
membri del regno, il sovrano, tuttavia, non può incondizionatamente fare
tutto ciò che vuole: dal momento che il suo potere è dovuto al favore di
Ahura Mazda, egli è eticamente obbligato a prendersi cura della creazione
di quest’ultimo, ed ha la facoltà di distinguere il giusto dallo sbagliato
già prima della creazione del corpo, motivando fin da subito il futuro sovrano
all’adempimento dei suoi doveri (Gnoli 1999).
13
(Wiesehöfer 2003: 46-48). Tale concetto è uno dei princìpi della religione
zoroastriana.
Il profeta Zarathustra (Zoroastro nelle fonti classiche) sarebbe vissuto tra
VII e VI secolo a.C., facendosi portatore di un messaggio monoteistico
centrato sulla figura di Ahura Mazda. Pur non essendo certi del predominio
di questa religione già ai tempi di Ciro II e Cambise, è verosimile che a
partire da Dario I essa si sarebbe progressivamente affermata (Piras 2007:
325).
Con il dio supremo Ahura Mazda, il sovrano achemenide intrattiene una
relazione privilegiata, poiché la divinità gli ha concesso la terra e lo ha
soccorso nei momenti di ribellione (Ibid.). Le nozioni principali al riguardo
ci arrivano dall’Avesta
9
e da Erodoto (I 131-140), che ci forniscono un quadro
chiaro degli usi e delle credenze iraniche: il sacrificio sui monti al cielo, al
sole, alla luna, alla terra, al fuoco, all’acqua e ai venti; il ruolo dei Magi nel
rituale;
10
la riprovazione della menzogna; il rispetto per l’acqua; le pratiche
funerarie dell’esposizione dei cadaveri alle bestie scarnificatrici; l’uccisione
di animali nocivi considerati demoniaci (Ibid.).
Lo Zoroastrismo è impostato su un dualismo etico, e lo scontro tra Ordine
ed Errore, tra Bene e Male, tra Verità e Falsità si riscontra parimenti nella
volontà politica achemenide di denunciare e combattere ciò che è male, il
9
Si tratta del libro sacro degli zoroastriani. “Avesta” è il nome che la comunità religiosa
Mazdea dà alla raccolta dei suoi testi sacri. Tale libro da un lato ci trasmette le prime
speculazioni mazdee, dall’altro contiene l’unica prova dell’esistenza dell’avestico, antica
lingua iranica appartenente al ceppo indo-europeo (Kellens 1987).
10
Secondo Erodoto (1. 101), i Magi sono una delle sei tribù mede, e già in quel contesto
rappresentano il clan sacerdotale. In Persia, sono gli unici gruppi di sacerdoti. Sicuramente
a partire dal regno di Dario I, i Magi saranno i sacerdoti ufficiali dei sovrani achemenidi, e
giocheranno un importante ruolo presso la corte reale. Insieme alle loro funzioni religiose
(libagioni cultuali a fiumi e montagne, sacrifici di bestiame), sono anche impegnati in
attività amministrative ed economiche (Dandamayev 2000).
14
quale si concretizza in una menzogna equiparata alla ribellione (Ibid.: 325-
326). La menzogna è sinonimo di devianza, che si traduce in usurpazioni e
ribellioni che allontanano dalla retta via il sovrano voluto da Ahura Mazda,
unico in grado di assicurare ai sudditi del Gran Re una prosperità di felice
esistenza. Come affermato da Piras (2007: 327), “Si può dire che
l’atteggiamento ottimistico degli Achemenidi abbia declinato i valori tipici dello
zoroastrismo nella concretezza storica del loro tempo: in una positiva affermazione
di stirpi organizzate e in espansione, in una dinamica propulsiva di conquiste e di
ideali sintonie col mondo divino per instaurare un ordine fatto di armonia e legge,
divina oltre che regale; e con una progressiva trasformazione dell’ambiente, da
luoghi desertici a spazi coltivati e irrigati da opere di canalizzazione, o in giardini
recintati con vegetazione, animali e sorgenti […]”.
Tuttavia, a ragione della notevole vastità territoriale dell’impero posta sotto
il suo controllo, il sovrano achemenide tende a percorrere la via della
diplomazia religiosa, dimostrandosi tollerante nei confronti delle
consuetudini differenti (Ibid.: 328). Egli si erge a rappresentante delle
divinità locali, a tal punto da esserne il difensore.
Ad ogni modo, nonostante il carattere sicuramente peculiare dei tratti
distintivi della regalità achemenide, bisogna riconoscere che diversi
elementi sono derivati da altri modelli regali precedenti la formazione
dell’impero achemenide (l’Elam, l’Urartu, il popolo dei Medi) (Liverani
2011: 799-803). In più, la sfera culturale mesopotamica assiro-babilonese
fornisce di certo l’ispirazione più incisiva per quanto riguarda i titoli che il
sovrano persiano si attribuisce
11
. Inoltre, l’organizzazione dell’apparato di
corte, del governo centrale e provinciale, delle attività tributarie e militari
11
Ciro II, in varie iscrizioni, si autonomina “re della totalità”, “re forte”, “re grande”, “re
delle quattro parti del mondo”, “re di Sumer e Akkad”, “re di Babilonia” (Liverani 2011:
801).