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fisico, non ha diritto alla vita, e la sua esistenza non merita di essere vissuta. La diretta conseguenza
è che la vita diventa da subito un esame: test genetici, diagnosi pre-impianto, diagnosi pre-natali, e
quanto altro si possa ritenere legittimo.
Questo fatto di cronaca mi ha portato ad interrogarmi su ciò che spinge l’uomo ad intervenire sulla
vita umana, in particolare su quella nascente.
Mi colpiscono tanto da riproporle le parole di F. Agnoli che in un articolo, quando parla della
“medicina dei desideri” scrive: “…ci promette la luna: la tecnica sarà in grado di produrre creature
perfette, selezionate, filtrate, e ogni frutto ammaccato verrà gettato via, citando un famoso
proverbio: “lontano dagli occhi, lontano dal cuore”…Divenire più che umani, trans-umani, è il
sogno di molti, è il “superuomo” nella versione tecnologica. Questa è la medicina dei desideri: che
non si prende più a carico l’uomo, con la sua malattia, la sua fragilità, i suoi limiti, ma che
accantona i malati, li sopprime, li scarta, in nome di quello che vuole andare a creare, l’uomo
nuovo, l’uomo che non patisce e non muore..”
1
.
La lente attraverso la quale ho svolto la mia riflessione è la bioetica, quale nuova disciplina che si
occupa del delicato rapporto tra l’uomo e la vita umana, in particolare essa riguarda quegli
interventi dell’uomo sulla vita umana resi possibili dalle scoperte delle scienze mediche e
biologiche.
Attraverso la bioetica ho potuto verificare che alla base del modo di vedere l’handicap vi è
innanzitutto un modo di vedere la vita, la vita come bene sacro da difendere ad ogni costo, la vita
come bene che ha (e deve avere) una qualità, in base alla quale acquista importanza e rispetto.
Nel primo capitolo ho così analizzato questi due punti di vista, la bioetica cattolica e la bioetica
laica, ne ho verificato il fondamento e ho analizzato i punti di vista degli autori che ne sono alla
base.
Nel secondo capitolo ho descritto l’handicap, e in particolare mi sono soffermata sulle risposte che
la storia ha dato per spiegarsi la nascita di creature malformate, e anche qui ho potuto verificare una
spiegazione “cattolica” riferita alla sacralità della vita in quanto legata al suo creatore, e una visione
della vita “laica” sganciata da Dio e dominata dalle leggi casuali di natura.
1
F. Agnoli, C’è una falla nella “medicina dei desideri”, in “Avvenire”, 21/02/08.
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1. La bioetica: l’origine, il contesto, gli autori.
1.1 L’origine del nuovo termine e la sua evoluzione
Nel comune linguaggio è ormai entrato e si è affermato un termine nuovo: quello di “bioetica”. E’
un termine composito, che accosta e unisce due realtà e concetti: la vita (bios) e l’etica o morale
(ethos); questa disciplina si occupa infatti delle scelte morali in questioni aventi a che fare con la
vita biologica.
Il termine bioetica compare per la prima volta in due studi del 1970, responsabile del neologismo
composito è l’oncologo americano, di origine olandese, Van Reasselaer Potter, il quale presenta la
bioetica come una scienza della sopravvivenza che sappia coniugare, in una concezione olistica,
conoscenze biologiche e valori umani.
Da quell’anno il nuovo termine riceve un’immensa fortuna: nel 1971 è introdotto nel nuovo “Joseph
and Rose Kennedy Institute” fondato all’università Georgetown di Washington “per lo studio della
riproduzione umana e della bioetica”. Nel 1973 si parla già di una disciplina nuova che nel 1978
vede comparire la sua prima enciclopedia, in 4 volumi di 1800 pagine con 315 articoli che
presentano un’impressionante documentazione sull’insieme delle questioni etiche e sociali
nell’ambito delle scienze della vita, della medicina e della salute
2
.
Potter esprime una consapevolezza che in quegli anni era diffusa: il progresso tecnico-scientifico è
ambivalente, contiene in sé la possibilità del miglioramento delle condizioni di vita ma anche quella
dell’autodistruzione dell’umanità.
La richiesta di coniugare le scienze della vita con un’etica della vita, così da costituire un ponte
capace di garantire la sopravvivenza dell’uomo, è dettata dal convincimento che il quadro dei valori
diffusi non sia capace di fornire criteri sufficienti per affrontare una situazione che, agli occhi di
molti, appare incommensurabile rispetto a quelle che hanno caratterizzato le epoche passate.
Basterebbe segnalare il fatto che, per la prima volta nella storia dell’umanità, l’uomo diventa
responsabile diretto della stessa sopravvivenza dell’intero pianeta che, fino ad allora, invece, era
stato (per così dire) il garante della sua vita; in altri termini, ciò che diventa evidente è il mutamento
prospettico introdotto dai risultati delle ricerche biologiche: se per secoli l’uomo aveva potuto
confidare in una natura ambiente che, tra ostilità e alleanze, gli aveva permesso di vivere, ora,
entrando in possesso delle basi biochimiche della vita, sembra necessario che proprio l’uomo debba
salvaguardare sia questa natura-ambiente, che può essere messa in pericolo dalla sua azione, sia la
sua stessa struttura biologica, che sembra offrirsi alle sue possibilità di progettazione
3
.
2
W. T. Reich (a cura di), Encyclopedia of Bioethics, New York, 1978.
3
A. Pessina, Bioetica. L’uomo sperimentale, Mondadori, Milano 1999, pag. 6.
7
L’uomo è arrivato così ad impadronirsi intenzionalmente e coscientemente della natura; egli può,
col suo pensiero che costruisce ipotesi, unire, far collidere, separare, mescolare. Questo è il senso
dell’ingegneria genetica, che rappresenta ben più di un momento favorevole nello sviluppo della
biologia: essa rappresenta un momento critico nella storia culturale, vista come più recente fase
della storia naturale
4
.
Sono indubbiamente numerose e varie le cause che spiegano il sorgere e l’affermarsi, in termini di
novità storica, della bioetica. Cercando di restringere il campo si può affermare che due sono gli
orizzonti all’interno dei quali la bioetica è nata e si è sviluppata: i diritti dell’uomo e il progresso
biomedico.
La disciplina della bioetica ha, infatti, il suo primo momento di nascita all’indomani della seconda
guerra mondiale, dopo il processo di Norimberga; com’è noto il processo dovette prendere
posizione sugli immensi delitti che erano stati perpetrati sui prigionieri, e non soltanto su di essi: si
trattava di delitti contro la vita, di delitti compiuti anche con l’aiuto dei ricercatori e dei medici. Era
del tutto urgente stabilire delle frontiere di etica e di comportamento che avessero valore per tutti e
in ogni caso, compresi i periodi di guerra e di detenzione.
Di qui il fenomeno, in campo internazionale, di una codificazione dei diritti dell’uomo, a
cominciare dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, pubblicata dall’ONU nel 1948,
alla quale segue la Convenzione di Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e della Libertà
Fondamentali.
Il dato giuridico ha fatto emergere sempre più il bisogno di una riflessione filosofica ed etica,
l’unica capace di dare una giustificazione razionale alle domande che la realtà inevitabilmente
poneva: dove si fondano i diritti dell’uomo? Fin dove si estendono?
Contestualmente all’istanza giuridico-filosofica stanno la recenti scoperte in campo biomedico.
Durante la guerra stanno la scoperta degli antibiotici e il perfezionamento della chirurgia; nel 1952
Pincus mette a punto i primi contraccettivi chimici; nel 1954 fa comparsa una disciplina totalmente
nuova: la rianimazione, straordinaria e complessa tecnologia che permette di mantenere in vita
persone, le quali sarebbero normalmente destinate a morire; nel 1959 nasce il primo bambino belga
concepito per inseminazione artificiale; nel 1978, dopo anni di ricerca e di tentativi, nasce in
Inghilterra la prima bambina fecondata in vitro: sono così aperti i primi passi per le nuove
tecnologie della riproduzione umana.
4
G. Prodi, Teoria e metodo in biologia e medicina, Edizioni CLUEB, Bologna 1988, pag. 96.
8
Secondo Warren Reich
5
tre sono state le aree che hanno contribuito alla formazione della bioetica,
sorta negli Stati Uniti:
- la sperimentazione sui soggetti umani;
- l’uso sociale della medicina;
- l’impiego dell’alta tecnologia nella pratica medica.
Nel primo ambito, Reich ricorda come, intorno agli anni settanta, emersero alcuni clamorosi casi
giudiziari che incrinarono l’immagine della medicina e interrogarono la comunità civile. Il primo
avvenne nella Willowbrook State School, una scuola per bambini gravemente ritardati, situata a
State Island a New York City, dove, tra il 1956 e il 1970, per verificare l’efficacia della profilassi
contro l’epatite, vennero di proposito infettati, con ceppi del virus, dai 700 agli 800 bambini: ai
genitori era stato sottoposto un modulo di consenso che prefigurava l’implicita minaccia che i loro
figli non sarebbero stati ammessi al centro se non fossero stati inseriti in quel progetto di ricerca. Il
secondo caso interessò, nel 1964, il Jewish Chronic Disease Hospital a New York, dove, a loro
insaputa, vennero iniettate cellule vive di cancro a ventidue anziani. Il terzo, che prese il nome della
città in cui si attuò lo studio sperimentale, è quello del Tuskegee Syphilis Study: dal 1932 al 1972,
600 mezzadri e braccianti di colore vennero sottoposti ad uno studio del servizio sanitario pubblico
del Governo Federale, il cui scopo era quello di determinare gli effetti del corso naturale della
sifilide quando essa non venga curata. Un gruppo di 399 uomini affetti da sifilide non venne curato
e non fu informato della natura della sua malattia; gli altri 201, che non avevano la sifilide,
parteciparono all’esperimento come gruppo di controllo. Durante l’intero periodo dell’esperimento,
durato quaranta anni, questi uomini furono sistematicamente privati di cure, anche quando, alla fine
degli anni ’40, la penicillina diventò disponibile. Lo studio, portato alla ribalta dal “New York
Times”, fu bloccato nel 1973 grazie ad una sentenza della commissione nominata dal Department of
Health, Education and Welfare, che stabilì che “la società non può più permettere che l’equilibrio
tra i diritti individuali e il progresso scientifico venga determinato unicamente dalla comunità
scientifica”
6
.
Questi esperimenti erano anche connessi con la presenza di quel “darwinismo sociale” che si era
sviluppato alla fine dell’ottocento e che stabiliva di fatto delle pesanti discriminazioni tra gli esseri
umani, sia in base a criteri razziali, giustificati da pseudo teorie scientifiche, sia in base a parametri
di efficienza e di salute.
5
W. Reich, La bioetica negli Stati Uniti, in C. Fiavora (a cura di) Vent’anni di Bioetica, libreria
Gregoriana Editrice, Padova-Roma 1990, pagg. 129-175.
6
Ibid.
9
Questo breve resoconto mette in chiaro come sia possibile denunciare degli abusi soltanto laddove
permanga la coscienza comune di certi valori basilari, come quello della pari dignità di tutti gli
esseri umani, e si respinga la tentazione utilitaristica di una promozione del futuro e presunto
benessere di molti a discapito del danno, certo, di alcuni.
La terza area segnalata da Reich è quella legata all’uso della tecnologia nell’ambito della medicina e
la concomitante scarsità di risorse. Il problema è introdotto anche qui da un caso, diventato
emblematico: si tratta della vicenda di John Meyers, un uomo di 37 anni, all’ultimo stadio di una
malattia renale, che viene scelto per essere sottoposto a dialisi, il primo organo artificiale inventato
dalla medicina. Il caso è importante perché siamo di fronte all’introduzione della prima
commissione di selezione per permettere una terapia. Siamo nel 1962: a fronte di un’unica
apparecchiatura per la dialisi, viene formato un comitato che, dopo una prima selezione di pazienti,
attuata con criteri clinici, deve scegliere chi potrà sottoporsi alla dialisi.
Si forma così il primo comitato etico della storia della medicina: prototipo, per così dire, di quelli
che oggi sono diffusi, con compiti non sempre così drammatici, nelle strutture ospedaliere di tutti i
paesi occidentali.
Questo caso ci permette di indicare in sintesi alcune questioni bioetiche: la prima riguarda proprio i
criteri decisionali di un comitato etico e i criteri che dovrebbe utilizzare; la seconda investe il tema
della giustizia sociale; il terzo è connesso alla valutazione dei limiti da porre all’uso di strumenti
artificiali per mantenere in vita i malati.
Non è soltanto la presenza di problemi nuovi, connessi con l’introduzione di particolari tecnologie,
ma anche la percezione di una radicale trasformazione della professione medica, sempre più
parcellizzata in competenze incentrate sull’organo e sempre meno incline a considerare il paziente
nella sua totalità, a far sorgere, negli Stati Uniti, i primi centri di studio dedicati all’etica medica,
oggi centri di bioetica.
A partire dagli anni 70 si inizia a discutere la possibilità di identificare il progresso con lo sviluppo
della tecnoscienze; letta in questa prospettiva, la bioetica si presenta come una verifica sia della
morale (intendendo con ciò l’insieme dei criteri che si ritiene debbano indirizzare e valutare
l’azione umana), sia della moralità (cioè i concreti comportamenti che l’uomo attua) e interpella il
diritto, cioè la determinazione di regole di comportamento destinate a indirizzare gli atti a
immediata rilevanza sociale.
La prima stagione della bioetica è sorta spontaneamente attraverso l’analisi di determinati problemi
avvertiti come urgenti e non ulteriormente procrastinabili. La bioetica si pone, infatti, come la
coscienza critica dello sviluppo tecnologico, mettendo in gioco tutte le capacità intellettuali di cui la
civiltà occidentale dispone. La seconda fase della storia della bioetica riguarda il suo statuto
10
epistemologico. Interrogarsi sull’identità della bioetica significa individuare quale sia l’oggetto
formale (il tipo di domande che si indirizzano alla realtà), e l’oggetto materiale (la zona di realtà).
Potter nel 1971 scrive: “propongo il termine bioetica per sottolineare i due ingredienti più
importanti per il conseguimento di una nuova sapienza: la conoscenza biologica e i valori umani”
7
.
L’introduzione all’Enciclopedia di Bioetica del 1978 definisce la bioetica come “lo studio
sistematico del comportamento umano nel campo delle scienze della vita e della salute, in quanto
questo comportamento è esaminato alla luce di valori e principi morali”
8
.
Questa definizione sembra indicare l’oggetto materiale di questa nuova disciplina (il
comportamento umano nel campo delle scienze della vita e della salute), il metodo (studio
sistematico) e l’oggetto formale (valori e principi morali) dello studio.
La problematica etica ha conosciuto una certa diffusione negli Stati Uniti attraverso ciò che è stato
definito “principismo” o “principilismo”, i cui autori di riferimento sono Beuchamp e Childress.
Il cosiddetto principismo ha espresso due degli elementi che hanno condizionato la prima intensa
stagione della bioetica: la preoccupazione “clinica”, cioè la necessità di fornire indicazioni concrete
agli operatori sanitari, e l’esigenza sociale di fissare direttive pubbliche in una società pluralistica. Il
metodo proposto si affidava ad una procedura di bilanciamento dei principi, tali da ammettere
continue trasgressioni o restrizioni; l’intento era quello di trovare alcuni criteri d’azione, delle linee-
guida; l’esito, teorico e pratico, risultava però decisamente ambiguo, poiché, a seconda di come
venivano interpretati, questi principi avallavano soluzioni contraddittorie del medesimo problema.
Proprio l’insufficienza di tale impostazione ha indotto ad una successiva riformulazione della stessa.
Nel documento del Convegno internazionale di Erice del 1991, in cui vengono sinteticamente
delineati i rapporti tra bioetica, medicina legale e deontologia, vi si legge che la bioetica, in quanto
etica applicata al regno del biologico, va oltre l’etica medica tradizionale, e include: a) i problemi
etici di tutte le professioni sanitarie; b) le ricerche comportamentali, indipendentemente dalle loro
applicazioni terapeutiche; c) i problemi sociali associati con le politiche sanitarie, la medicina del
lavoro, la sanità internazionale, le politiche di controllo demografico; d) i problemi della vita
animale e vegetale in relazione con la vita dell’uomo. Le finalità della bioetica consistono
nell’analisi razionale dei problemi morali legati alla biomedicina e della loro connessione con gli
ambiti del diritto e delle scienze umane.
7
V. R. Potter, Bioethics. The science of survival, in A. Pessina, Bioetica. L’uomo sperimentale, op.
cit., pag. 24.
8
W. T. Reich (a cura di), Encyclopedia of Bioethics, op. cit.